Recensione
Beck - Mongolian Chop Squad
8.0/10
A rendere “Beck” uno show davvero piacevole e divertente ai miei occhi sono due caratteristiche.
La prima è, senza alcuna ombra di dubbio, quella del genere musicale affrontato durante la serie che non è un banale pop-rock ma il rapcore e il grunge, con i Rage Against the Machine come numi tutelari (la presenza di Chiba, creato fisicamente sull’aspetto del carismatico ed energico frontman dei Rage, Zack de la Rocha, sta lì a dimostrarlo). E a uno come me, cresciuto ascoltando la musica dei RATM, questa cosa non può che far piacere.
La seconda caratteristica è quella di essere uno spokon. Benché tratti un tema musicale, per me “Beck” è ascrivibile agli spokon per la presenza degli elementi cardine che caratterizzano questo genere.
Si parte con un protagonista che, dopo un incontro fortuito, si appassionerà (negli spokon allo sport, in questo caso alla musica), si allenerà e affronterà insieme ai suoi compagni varie sfide sempre più impegnative fino alla conclusione. Ma sono due le caratteristiche principali che caratterizzano un buon spokon e che “Beck” usa saggiamente, l’utilizzo della passione come duplice mezzo: quello per rendere ben chiaro il cambiamento e la maturazione del protagonista e quello di utilizzare la musica (come in questo caso o lo sport in qualsiasi altro spokon) come strumento per far aprire al mondo la vita di un ragazzo. Attraverso la musica Koyuki troverà degli amici e scoprirà l’amore e farà esperienze che formeranno la sua personalità. In questo modo “Beck” si trasforma in una bellissima e verosimile storia di formazione. A seguirlo in tutto questo c’è la saggia regia di Osamu Kobayashi, che delinea in modo perfetto il Giappone metropolitano contemporaneo e si eclissa nelle scene in cui si esplora la parte più privata e personale dei personaggi, dimostrando in questo modo di possedere un grande amore e rispetto per i protagonisti, rendendo in questo modo molto emozionanti e realistiche alcune scene (una su tutte, quella in cui Yukio e Maho cantano “Moon on the Water” in piscina in una torrida notte d’estate, a me una cosa del genere non è mai capitata, ma mi sono sentito molto vicino a Yukio in quel momento).
A tutte queste belle note positive non potevano mancare anche quelle negative. Innanzitutto manca un avversario, ovvero qualcosa che possa spingere i “Beck” a fare sempre di più e in uno spokon un avversario ben fatto fa metà del lavoro (è vero, ci sono i “Belle Ame”, ma non vengono mai messi sullo stesso piano dei nostri, che sono sempre migliori per musica e personalità). Inoltre accade spesso che alcuni avvenimenti accadano per puro caso, senza una contestualizzazione e in alcuni casi questo crea delle situazioni a dir poco patetiche (ne è un esempio tutta la scena in cui Koyuki canta con i suoi idoli, i “Dying Breed”). Infine il finale risulta eccessivamente velocizzato e forzato, a causa del fatto che la serie copre solo una parte degli eventi narrati nel manga di Harold Sakuishi, che durante la messa in onda era ancora in corso di pubblicazione in Giappone e questo non ha permesso che la splendida parabola di Yukio, Chiba, Ryosuke e gli altri avessero una degna conclusione (almeno nella loro versione animata).
Ma mentirei, innanzitutto a me stesso, se non dicessi che porterò sempre con me le avventure e le canzoni dei “Beck” e durante la visione delle ventisei puntate che compongono quest’anime sono volati.
La prima è, senza alcuna ombra di dubbio, quella del genere musicale affrontato durante la serie che non è un banale pop-rock ma il rapcore e il grunge, con i Rage Against the Machine come numi tutelari (la presenza di Chiba, creato fisicamente sull’aspetto del carismatico ed energico frontman dei Rage, Zack de la Rocha, sta lì a dimostrarlo). E a uno come me, cresciuto ascoltando la musica dei RATM, questa cosa non può che far piacere.
La seconda caratteristica è quella di essere uno spokon. Benché tratti un tema musicale, per me “Beck” è ascrivibile agli spokon per la presenza degli elementi cardine che caratterizzano questo genere.
Si parte con un protagonista che, dopo un incontro fortuito, si appassionerà (negli spokon allo sport, in questo caso alla musica), si allenerà e affronterà insieme ai suoi compagni varie sfide sempre più impegnative fino alla conclusione. Ma sono due le caratteristiche principali che caratterizzano un buon spokon e che “Beck” usa saggiamente, l’utilizzo della passione come duplice mezzo: quello per rendere ben chiaro il cambiamento e la maturazione del protagonista e quello di utilizzare la musica (come in questo caso o lo sport in qualsiasi altro spokon) come strumento per far aprire al mondo la vita di un ragazzo. Attraverso la musica Koyuki troverà degli amici e scoprirà l’amore e farà esperienze che formeranno la sua personalità. In questo modo “Beck” si trasforma in una bellissima e verosimile storia di formazione. A seguirlo in tutto questo c’è la saggia regia di Osamu Kobayashi, che delinea in modo perfetto il Giappone metropolitano contemporaneo e si eclissa nelle scene in cui si esplora la parte più privata e personale dei personaggi, dimostrando in questo modo di possedere un grande amore e rispetto per i protagonisti, rendendo in questo modo molto emozionanti e realistiche alcune scene (una su tutte, quella in cui Yukio e Maho cantano “Moon on the Water” in piscina in una torrida notte d’estate, a me una cosa del genere non è mai capitata, ma mi sono sentito molto vicino a Yukio in quel momento).
A tutte queste belle note positive non potevano mancare anche quelle negative. Innanzitutto manca un avversario, ovvero qualcosa che possa spingere i “Beck” a fare sempre di più e in uno spokon un avversario ben fatto fa metà del lavoro (è vero, ci sono i “Belle Ame”, ma non vengono mai messi sullo stesso piano dei nostri, che sono sempre migliori per musica e personalità). Inoltre accade spesso che alcuni avvenimenti accadano per puro caso, senza una contestualizzazione e in alcuni casi questo crea delle situazioni a dir poco patetiche (ne è un esempio tutta la scena in cui Koyuki canta con i suoi idoli, i “Dying Breed”). Infine il finale risulta eccessivamente velocizzato e forzato, a causa del fatto che la serie copre solo una parte degli eventi narrati nel manga di Harold Sakuishi, che durante la messa in onda era ancora in corso di pubblicazione in Giappone e questo non ha permesso che la splendida parabola di Yukio, Chiba, Ryosuke e gli altri avessero una degna conclusione (almeno nella loro versione animata).
Ma mentirei, innanzitutto a me stesso, se non dicessi che porterò sempre con me le avventure e le canzoni dei “Beck” e durante la visione delle ventisei puntate che compongono quest’anime sono volati.