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Amori, incantesimi e CGI

Lo Studio Ghibli è un universo tutto da esplorare che non manca mai di stupire svelando sempre nuovi territori e nuovi personaggi da incontrare. Con Il castello errante di Howl, scritto e diretto da Hayao Miyazaki nel 2004, siamo nel cuore della vecchia Europa, rivisitata in chiave fantasy sulle pagine del romanzo omonimo di Diana Wynne Jones, per un atipico racconto di formazione "al contrario" che unisce il predominante elemento visionario a una marcata componente romantica.

La diciottenne Sophie gestisce il negozio di cappelli ereditato da suo padre, in una città mitteleuropea su cui spirano venti di guerra. Un giorno viene importunata da due soldati per strada e in suo aiuto accorre il giovane mago Howl con cui entra subito in sintonia. Al suo ritorno riceve la visita della Strega delle Lande Desolate che ha nelle mire il cuore di Howl: lancia quindi un incantesimo sulla giovane, trasformandola in una vecchietta novantenne e intimandole di non rivelare la sua identità a Howl. Spaventata, Sophie fugge dalla città e si imbatte nello spaventapasseri Rapa che la accompagna presso la dimora del mago in un vecchio castello semovente. Qui viene accolta come governante, per dare una mano al giovane apprendista Markl e al demone del focolare Calcifer, con cui Sophie stringe segretamente un patto affinché si aiutino a liberarsi dei rispettivi incantesimi. Howl, che è conosciuto con diversi nomi a seconda dei diversi stati che si preparano alla guerra, cerca di sfruttare le sue identità per scongiurare il conflitto. Sophie, sempre più innamorata di Howl, affronterà una lunga serie di peripezie pur di aiutare il mago nel suo piano.

Il castello errante di Howl rappresenta un momento di passaggio nella filmografia di Hayao Miyazaki, di ritorno alla regia a tre anni di distanza da La città incantata, l’opera che aveva segnato la sua definitiva consacrazione a livello internazionale. Nonostante vi rientrino di buon grado tutte le tematiche e le suggestioni care al regista, l’intento ideologico è attenuato rispetto a opere fondamentali come Nausicaa o Mononoke hime. Anche Sophie ci regala un meraviglioso ritratto di eroina romantica che deve fronteggiare la minaccia della guerra, ma il conflitto viene mostrato in modo spettacolare e il film mantiene una certa leggerezza espressiva anche nelle scene più cupe e drammatiche. In un certo senso è come se il regista si fosse un po’ addolcito con l’età e avesse messo da parte le invettive contro la società per lasciare spazio a un fantasy poetico e sognante.

I due protagonisti, la dolce Sophie e il vanesio Howl, emergono per un più intenso profilo psicologico e sono dipinti con la solita grazia ed eleganza mai stucchevole che contraddistingue lo stile Miyazaki. All’inizio Sophie ha poca autostima e fiducia in sé, sebbene mandi avanti da sola la bottega paterna, ma una volta diventata vecchietta dimostra una personalità forte e risoluta; inoltre è gentile e rispettosa, tende ad essere impulsiva e si sente spesso in colpa. Howl è un giovane mago conosciuto con diversi pseudonimi (Pendragon e Jenkins). Anch’egli ha stretto un patto con Calcifer: gli ha donato il suo cuore ricevendo in cambio i poteri magici, il che però indebolisce progressivamente la sua volontà. Benché pusillanime, è un mago molto potente ed è descritto come un bel ragazzo alto e sofisticato, a cui piace tingersi i capelli e indossare abiti stravaganti ogni mattina, dopo aver trascorso almeno due ore in bagno; ma quando salva Sophie dalla Strega delle Lande Desolate ha un aspetto trascurato, a riprova del suo amore sincero verso la ragazza. Come controcanto abbiamo un numero considerevole di personaggi secondari che si distinguono con marcate e originali caratterizzazioni, spinte fino all’ironico e al grottesco. Su tutti spicca il multiforme Calcifer, capriccioso demone del fuoco e cuore pulsante dello stesso castello, a sua volta personaggio vivente e quasi umanizzato, destinato a disintegrarsi per poi rigenerarsi come un’araba fenice.

Si è scritto molto sui presunti “tradimenti” rispetto al romanzo della Wynne Jones, di certo il soggetto si presta molto all'estro di Miyazaki che in questo caso cura personalmente l'adattamento alla sceneggiatura. Nel piegare la storia al nuovo formato, inserisce lo sfondo bellico (assente nel libro), omette alcuni personaggi o ne ridimensiona il ruolo. Se da un lato bisogna notare che alcuni elementi narrativi si affastellano dando l’impressione di una trama un po' sfilacciata, dall’altro l’opera risulta arricchita proprio dai componenti tipici del repertorio miyazakiano.

Dove infatti il film non tradisce è sul piano puramente visivo: alcune sequenze sono da antologia e lasciano letteralmente a bocca aperta lo spettatore, con quel particolare sense of wonder che è un marchio di fabbrica dello Studio Ghibli. Fregiati della consueta cura maniacale per i dettagli, i fondali scenografici traboccano di ricercatezze, fra palazzi fiabeschi, arredi art-deco, padiglioni liberty e costumi sfarzosi, mentre tutto un minuzioso armamentario retro-futurista si esalta nelle scene di volo e nelle incredibili invenzioni meccaniche, in primis lo sbuffante e cigolante castello, dal sapore steampunk.

Tecnicamente si tratta del primo film dello Studio Ghibli che fa un uso sistematico della computer grafica, strumento verso il quale Miyazaki ha sempre nutrito una certa diffidenza e usato con estrema parsimonia. La CGI viene usata per lo più nelle animazioni del castello, nelle carrellate cittadine e negli effetti particellari (fumo, coriandoli, vapore), e bisogna riconoscere che è molto ben integrata e poco invasiva, a tutto vantaggio della spettacolarità delle scene.

La colonna sonora, composta e arrangiata per orchestra da Joe Hisaishi, si ispira chiaramente al clima decadente della belle epoque soprattutto nel tema principale The Merry-Go-Round of Life, scandito da uno struggente valzer, un po’ nostalgico e un po’ astratto, che si scompone in lievi pizzicati per poi ricomporsi in titaniche architetture sonore edificate sugli archi e sugli ottoni, il tutto ammantato dall’inconfondibile tocco del compositore nipponico. Nella seconda parte, quando il film vira su atmosfere più oscure, il tema iniziale tende a ripetersi in infinite varianti e se da un lato si fissa indelebilmente nell'orecchio dello spettatore, dall'altro manca di quella varietà tematica che aveva contraddistinto, ad esempio, le musiche di Mononoke, più incisive nei registri drammatici. Infine, il pianoforte conclusivo di To The Lake Of Stars tradisce assonanze e rimandi al capolavoro La città incantata.

Il castello errante di Howl è stato presentato in concorso alla 61ª Mostra di Venezia, conquistando il Premio Osella per il migliore contributo tecnico. È uscito nelle sale italiane l'anno successivo, il 9 settembre 2005, in concomitanza con la 62ª Mostra di Venezia, durante la quale Miyazaki è stato premiato con il Leone d'oro alla carriera. Creatura un po’ aliena, come il castello del titolo, rischia di apparire opera minore nell’ambito della prestigiosa e complessa filmografia dello Studio Ghibli, ma rimane pur sempre un film romantico e appassionato, emozionante e divertente, che continua a far sognare con le sue invenzioni e le sue visioni.