Recensione
Il mio vicino Totoro
8.5/10
Recensione di il me dei popoli futuri
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Trama
Anche qui, come per “Ponyo sulla scogliera” e “La ricompensa del gatto”, la trama è molto semplice, essendo un film per i più piccoli: negli anni ’50, due bambine traslocano insieme al papà in una villetta di campagna, mentre la madre è in cura all’ospedale. Nulla di straordinario, ma con la semplicità e la simpatia dei vari personaggi il film riesce a conquistare il pubblico di qualunque età. A parer mio, poi, molte cose sono state riprese da “Pippi Calzelunghe” (una su tutte, la casa in cui trasloca la famiglia assomiglia a Villa Villacolle), ma per la maggior parte delle trovate dobbiamo tutto all’incredibile immaginazione di Hayao Miyazaki. Dal gattobus allo stesso Totoro, ma di cui parleremo tra poco. Si parte molto bene.
Personaggi e stile
I personaggi non sono chissà che profondi: non hanno nulla di speciale o una particolare caratterizzazione. Tutti sono, semplicemente, realistici. O perlomeno, sono esattamente come ce li aspetteremmo, vedendoli apparire la prima volta. La bambina piccola è ingenua, vivace e sempre pronta all’avventura, il padre è un uomo buono che deve cercare di contenere due uragani da solo e preoccuparsi di sua moglie, etc.
Nulla di incredibile, ma che nell’insieme hanno una potenza indescrivibile. Senza addentrarsi negli angoli più remoti della psiche umana, cadendo nel ridicolo perché non si è capaci di arrivarci né di rappresentarli (sì, Goro, mi riferisco a te), Hayao Miyazaki crea personaggi mostruosamente belli.
L’esempio lampante è Totoro: ha una caratterizzazione? No.
Parla? No.
È un bel personaggio? Per l’amor del cielo, sì.
Comparto tecnico
Tutto ciò che concerne l’entrata in scena di Totoro o di altri esseri sovrannaturali è ancora oggi un cult e presa come riferimento per opere odierne. La qualità delle animazioni è assolutamente fuori di testa per essere il 1988 e per quegli anni, basta vedere quanto in alto sia stato alzato il tiro rispetto a “Nausicaä” e a “Laputa” (che comunque, per quegli anni, erano tanta roba), per capire di che cosa stiamo parlando.
Poi le musiche: ti rimangono in mente che è un piacere e, appena il cervello le processa, parte un sorriso a trentadue denti.
E i paesaggi, mamma mia i paesaggi.
Mi è piaciuto?
È strano da dire, ma, nonostante ne abbia parlato così bene, ho notato alcuni punti morti in cui, a mio parere, si potevano sfruttare meglio le situazioni, nell’arco dell’ora e trentaquattro minuti di durata. Ma comunque, non mi azzarderei a cambiare una virgola. Nell’imperfezione e nella simpatia di questo film, Miyazaki ha trovato la formula vincente.
Guardandolo, mi son detto a metà film: “Bello, ma mi aspettavo di più”.
Inutile dire che, arrivato alla fine, stavo saltando in giro per casa dall’emozione. Sì, mi è decisamente piaciuto.
Lo consiglierei?
Sì, sì, sì e ancora sì.
Non so tu, lettore, che età abbia, ma sono certo di una cosa: “Il mio vicino Totoro” ti piacerà. Perché è una pellicola pensata per i più piccoli, ma che è finita ad essere un’icona dell’animazione giapponese.
Anche qui, come per “Ponyo sulla scogliera” e “La ricompensa del gatto”, la trama è molto semplice, essendo un film per i più piccoli: negli anni ’50, due bambine traslocano insieme al papà in una villetta di campagna, mentre la madre è in cura all’ospedale. Nulla di straordinario, ma con la semplicità e la simpatia dei vari personaggi il film riesce a conquistare il pubblico di qualunque età. A parer mio, poi, molte cose sono state riprese da “Pippi Calzelunghe” (una su tutte, la casa in cui trasloca la famiglia assomiglia a Villa Villacolle), ma per la maggior parte delle trovate dobbiamo tutto all’incredibile immaginazione di Hayao Miyazaki. Dal gattobus allo stesso Totoro, ma di cui parleremo tra poco. Si parte molto bene.
Personaggi e stile
I personaggi non sono chissà che profondi: non hanno nulla di speciale o una particolare caratterizzazione. Tutti sono, semplicemente, realistici. O perlomeno, sono esattamente come ce li aspetteremmo, vedendoli apparire la prima volta. La bambina piccola è ingenua, vivace e sempre pronta all’avventura, il padre è un uomo buono che deve cercare di contenere due uragani da solo e preoccuparsi di sua moglie, etc.
Nulla di incredibile, ma che nell’insieme hanno una potenza indescrivibile. Senza addentrarsi negli angoli più remoti della psiche umana, cadendo nel ridicolo perché non si è capaci di arrivarci né di rappresentarli (sì, Goro, mi riferisco a te), Hayao Miyazaki crea personaggi mostruosamente belli.
L’esempio lampante è Totoro: ha una caratterizzazione? No.
Parla? No.
È un bel personaggio? Per l’amor del cielo, sì.
Comparto tecnico
Tutto ciò che concerne l’entrata in scena di Totoro o di altri esseri sovrannaturali è ancora oggi un cult e presa come riferimento per opere odierne. La qualità delle animazioni è assolutamente fuori di testa per essere il 1988 e per quegli anni, basta vedere quanto in alto sia stato alzato il tiro rispetto a “Nausicaä” e a “Laputa” (che comunque, per quegli anni, erano tanta roba), per capire di che cosa stiamo parlando.
Poi le musiche: ti rimangono in mente che è un piacere e, appena il cervello le processa, parte un sorriso a trentadue denti.
E i paesaggi, mamma mia i paesaggi.
Mi è piaciuto?
È strano da dire, ma, nonostante ne abbia parlato così bene, ho notato alcuni punti morti in cui, a mio parere, si potevano sfruttare meglio le situazioni, nell’arco dell’ora e trentaquattro minuti di durata. Ma comunque, non mi azzarderei a cambiare una virgola. Nell’imperfezione e nella simpatia di questo film, Miyazaki ha trovato la formula vincente.
Guardandolo, mi son detto a metà film: “Bello, ma mi aspettavo di più”.
Inutile dire che, arrivato alla fine, stavo saltando in giro per casa dall’emozione. Sì, mi è decisamente piaciuto.
Lo consiglierei?
Sì, sì, sì e ancora sì.
Non so tu, lettore, che età abbia, ma sono certo di una cosa: “Il mio vicino Totoro” ti piacerà. Perché è una pellicola pensata per i più piccoli, ma che è finita ad essere un’icona dell’animazione giapponese.