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“La parola più bella sulle labbra del genere umano è senza dubbio “Madre”
- Khalil Gibran

I fili dell’ordito sono il tempo che scorre
Cambiano le stagioni e tingono il cielo del suo colore
I fili della trama sono le azioni delle persone
Calcano la terra e scuotono l’animo


Una narrazione quasi biblica da profondi richiami mitologici ci prende delicatamente per mano e permette sin da subito di fare la conoscenza con gli Iolph, creature dalla vita praticamente eterna, che crescono fisicamente sino ad assumere l’aspetto di adolescenti o giovani adulti, per poi protrarre tale stato di grazia sino alla fine dei tempi. Per motivi dinastici e soprattutto etici, a tale razza che sovente ricorda gli elfi tolkeniani dell’epica fantastica è severamente vietato allacciare rapporti con gli esseri umani, creature più istintive, inclini alla suscettibilità delle emozioni e dall’arco vitale della durata d’un soffio di vento; almeno è ciò che appare agli occhi di queste angeliche creature, gli Iolph appunto, intenti a trascorrere le loro serene, monotone giornate in una bucolica realtà dal sapore di racconti perduti e ruralità ancestrali, tessendo infiniti metri di seta ricamata come fossero parche, capaci di leggere fra l’ordito del tessuto esattamente come noi assimiliamo le pagine di un libro parola dopo parola.

Il lungometraggio ci introduce alle vicende con ritmo compassato e surreale, nella sua eterea semplicità. Le note che accompagnano le prime scene riportano a galla ricordi di pace sfiorati da punte di leggera malinconia, note magiche, pronte ad aprire a dialoghi aulici e sontuosi, narrazioni perdute che immergono lo spettatore sin da subito nella giusta atmosfera. Il popolo degli Iolph ha davvero tanti punti in comune con la prospettiva degli elfi eterni del miglior immaginario collettivo fantasy moderno, e il modo di “tessere le giornate”, tela dopo tela, appare quasi omerico, in attesa che qualcosa accada, che un Ulisse torni (da dove?), raccogliendo così le cronistorie del mondo, alba dopo alba, settimana dopo settimana, anno dopo anno.
Secolo dopo secolo.
Ma gli esseri umani, come spesso accade, sono invidiosi.
In particolare, il vicino impero di Marzate anela alla vita eterna e i suoi reggenti sono intenzionati a scoprire il segreto che permette agli Iolph di vivere indeterminatamente.
Essendo gli Eterni un popolo pacifico, si trovano impreparati di fronte a tale, inaspettata minaccia. Protagonista di questa vera e propria epopea esistenziale è Maquia, bellissima ragazza dai capelli color oro, all’apparenza appena quindicenne: assiste al rapimento di Lilia, una delle donne più importanti di tutto il popolo eterno, trascinata via dal nemico per portarla in sposa al principe, così da creare una dinastia di esseri umani sempre più vicini all’immortalità. Lilia, strappata ignobilmente dalle braccia dell’amato Krim, è per tutti una sorella maggiore, una guida spirituale d’infinita comprensione e saggezza, e nel tentativo di inseguirla, Maquia riesce ad aggrapparsi a uno dei draghi volanti di Marzate, bestie con cui gli invasori hanno sferrato l’incursione. In un volo rocambolesco e scavezzacollo, la ragazza si accorge che il drago la sta portando troppo lontano dalle terre che conosce, facendola precipitare in un bosco sconosciuto, lontano, oscuro, mortale, misterioso.
Un altro mondo, un’altra vita.
L’inizio di una nuova avventura.

È meglio aver amato e perso, che non aver amato mai
- Alfred Tennyson

Quando riprende i sensi, è accasciata e ferita accanto a una carovana di gente che è stata sterminata. Tutti... tranne il più piccolo: un neonato, salvatosi fra le braccia della madre, che, anche se straziante cadavere, ancora lo stringe con dita fredde ed espressione persa nell’oblio. L’impatto emotivo è immenso, ma la ragazza non può certo abbandonarlo laggiù... la chiave di tutto il racconto, racchiusa in un istante: una persona sola e smarrita, incontra un’altra persona sola, e smarrita. Raccoglie quel bambino come fosse il proprio destino, il proprio futuro, lo specchio di ciò che sarà rispetto a ciò che era stata fino a quel momento.
Da qui in poi, la storia, come ben si può intuire, racconterà le vicissitudini di una ragazza madre intenta a crescere un bambino a cui darà il nome di Erial, e che nel corso degli anni crescerà, imparerà e invecchierà, scoprendo che la bellissima ed eterea madre rimane cristallizzata, purtroppo o per fortuna, nell’aspetto di una bellissima, immortale adolescente.

Maquia è più che un semplice slice of life attraverso un’intera generazione di padri, madri, figli e nipoti.
La filosofia della vita spesso ci sfugge, perché, essendo appunto umani, ci concentriamo troppo sul presente, mettendo in secondo piano l’importanza del poi. Il ritmo assillante del quotidiano divora ogni pensiero a lungo termine, se non siamo noi stessi a fermarci un attimo e riflettere, a considerare ciò che davvero conta, a darci delle priorità prima che queste ci sfuggano da sotto il naso senza che ce ne rendiamo conto.
L’importanza degli attimi e dei rapporti che abbiamo con chi ci circonda, il valore che diamo all’esistenza e al tempo che passa e non torna indietro: sfumature che ci accomunano tutti, ragionamenti che, nostro malgrado, più si diventa adulti e consapevoli, ci interessano sempre più profondamente. Se Maquia vive in eterno, Erial e tutti i suoi amici non potranno usufruire di questo “dono”... sempre che di dono si tratti.
E qui, il parallelismo con il magico Frieren diviene semplice e istintivo: è davvero una fortuna vivere in eterno? Quanto può essere sopportabile dover dire addio a tutti i propri cari, uno dopo l’altro, nel corso dei decenni, dei secoli, di... chi sa quanto tempo? È possibile rimanere anestetizzati a tutto questo? Che tipo di dolore può mai essere questo, posto che nessun essere umano può provare tale esperienza?
Ecco perché gli Iolph non possono stringere rapporti profondi con le altre razze. Così come - in uno dei più celebri passaggi de “Il Signore degli Anelli” - Elrond di Rivendell mette in guardia Arwen dall’innamorarsi di Aragorn, pena il dolore eterno per la perdita dell’amato quand’egli invecchierà, gli Iolph hanno un veto che cerca di proteggerli dalle tragedie del cuore.
Prendere atto, accettare la fine della vita per chi non ne vede il termine dev’essere qualcosa di terribile. La realtà della morte è sempre atroce, per chiunque, si tratta di un giorno vago e lontano per tutti noi, e di certo inconsciamente tutti lo rifuggiamo, non vogliamo in nessun modo conoscere il momento di quando questo si realizzerà, poiché in cuor nostro, meno ne sappiamo, più indistinto e irreale ci sembrerà. Ma, se pensiamo che accadrà anche e soprattutto a chi amiamo, allora l’angoscia diventa disperazione.

Cos’è la vita? È davvero solo spazio, tempo, materia? Cosa è, davvero, la vita?
- Schrödinger

In una lenta ascesa d’emozioni e di pause riflessive, questo massiccio lungometraggio ci regala più volte vibe in stile Escaflowne, facendo trapelare addii e profonde riflessioni da cui non possiamo uscirne immuni: un monumentale inno alle infinite sfaccettature della maternità, e di come in tali casi tale istinto sia una sorta di surrogato della solitudine, un mondo a parte, un universo di sensazioni come un cielo buio che aspetta la propria stella.
“Maquia” ha uno sviluppo centellinato ma piacevole, il ritmo narrativo è pertinente, anche se qualche punto debole lo mostra soprattutto ignorando alcuni personaggi secondari che avrebbero dovuto forse ricevere più spazio (almeno nel finale). A parte piccoli, precipitosi nei e alcuni accadimenti che fortunatamente possono esser letti anche in maniera implicita per favorire la scorrevolezza narrativa, lo spettatore viene costantemente abbracciato da una colonna sonora fantastica, che fa da cornice a un comparto tecnico immenso. Le animazioni sono eccezionali, i disegni in generale davvero accattivanti e gli scenari a dir poco clamorosi, capaci di richiamare i titoli più amati fra giochi di ruolo nipponici e tavole illustrate di numerosi e blasonati autori.
Sfumature rustiche ci riportano alla memoria la bellezza dei vari Final Fantasy Tactics, la serie dei Tales of… e tante altre chicche che i videogiocatori più esperti e navigati ricorderanno sicuramente. Le strutture gotiche, fantasy e imperialistiche accentuano la grandezza del regno nemico, imbastendo un emozionante intreccio pregno d’una intensità che viene dettata coi giusti tempi.

È stato doloroso, è stato proprio doloroso, ma il mondo è bellissimo. Non posso dimenticarlo!

Da giovane fuggiasca, a madre adottiva, a tanto, tanto altro.
In fondo, è la vita: ognuno di noi vive le proprie esperienze inaspettatamente, e come diceva Oscar Wilde, la vita è l’insegnante più severo: prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione!
“Maquia” è un cerchio, narra di separazioni, di addii inesorabili, allorché il tempo non si fermerà, avanti, sempre avanti senza arrestarsi, poiché questa è la vita, e se anche spesso ci guardiamo indietro nostalgicamente, è avanti a noi che dobbiamo guardare e concentrarci. Dal punto di vista degli Iolph, affezionarsi ai mortali è una maledizione, ma, al tempo stesso, un viaggio indimenticabile e pieno di emozioni. E l’epilogo, che tanto ci ricorda il dolcissimo, straziante paradosso dell’indimenticato Interstellar di Cristopher Nolan, costringerà lo spettatore a mettere mano ai fazzoletti più di una volta. Colpi di scena si susseguono in un climax fra luci distanti e cieli sconfinati, ma la bellezza del finale va assaporata nel ritmo compassato post caos (non perdetevi la chicca al termine dei crediti!)

Di separazione in separazione, questa è la vita.
Per quanta sofferenza si possa provare, per quanta tristezza si debba sopportare, ogni esperienza vale sempre e comunque la pena di essere vissuta al suo massimo: solo incrociando i nostri destini coi destini degli altri riusciremo a carpire il vero significato della solitudine. Solo chi assapora la sofferenza comprende davvero la gioia, ma mai e poi mai essa sarà un motivo per rinunciarvi: ogni attimo ne ripaga sempre il costo.

Un lungometraggio che è già stato assimilato da molti appassionati come un capolavoro moderno, più vicino al nostro cuore di quanto si possa immaginare. Regalatevi due ore di dolce terapia: guardatevi “Maquia”.