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Premessa per i moderatori e l'utenza: questa recensione è una versione aggiornata alla seconda visione. Vorrei far rimanere questa qui sul sito, al posto della vecchia.

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Anni Novanta, l'epoca dell'informatica era appena iniziata nella quotidianità eppure, come nella migliore tradizione della fantascienza, Serial Experiments Lain (che per comodità chiameremo “SEL”) si fa precursore degli sviluppi successivi, a cui ancora in parte dobbiamo far fronte noi, attraverso la storia di una nerd quattordicenne che, in una Tokyo futuristica, accede ad una specie di metaverso misterioso chiamato Wired e ciò la porta a confondere la realtà con la finzione.

Le origini culturali della serie sorgono da decenni di teorie scientifico-filosofiche e anticipazioni ottantiane del cyberpunk di scrittori quali Bruce Sterling e William Gibson e film come Videodrome, la descrizione di internet è figlia dei suoi anni per come riflette su una sorta di alienazione da social network ante-litteram, nonché sulla descrizione di una figura sociale: quella del nerd che al tempo era ancora neonata e senza una cultura intorno, lo fa soprattutto attraverso l’iconica protagonista, di cui caratterizzazione è vaga e basata su pochi, ma sapienti contrasti interiori, aspetti che non la sminuiscono ma la rendono un po’ come una divinità greca: universale e icastica come un archetipo dell’inconscio.

L'altra grande novità novantiana riguarda il riconoscibile tratto di disegno e l'idea di una sorta di "anime indie" dalle tematiche controculturali, filosofiche unite ad uno stile sperimentale, ad un ritmo contemplativo.

Era proprio nella seconda metà di quel decennio che quel tipo di approccio aveva iniziato ad essere realizzato e a trovare mercato, grazie al boom iniziato da Neon Genesis Evangelion e da una più generale atmosfera malinconica del decennio di fin de siècle, facile da riconoscere in tutte le arti.
È oggetto di dibattito se quest'ultimo anime abbia ispirato SEL, su questo lo sceneggiatore Chiaki J. Konaka ha dichiarato di aver visto il capolavoro della Gainax solo dopo aver scritto il quarto episodio della serie, non faccio molta fatica a crederci. Le affinità tra le due serie si basano infatti più sulle radici comuni che su citazioni dirette o legami di genere.

È improbabile che avrebbero potuto considerare fattibile un simile investimento se nessun produttore avesse visto Evangelion al quale, se è dubbia un'ispirazione vera e propria, dobbiamo comunque concedere un legame di filiera produttiva, in un' arte come l'animazione in cui non si può fare tutto quello che si vuole con poca o nessuna spesa come in letteratura, ma è necessario venire un po' incontro agli interessi di una parte di pubblico, sia esso generalista o di appassionati (per quanto SEL fosse, in generale, una serie rischiosa e senza compromessi).

Il confronto con Evangelion è fondamentale per capire come SEL si sia inserito nella storia del medium, proseguendo e radicalizzando la decostruzione dell'animazione televisiva giapponese (e non solo), in una nuova concezione formale e registica.

Se il primo prodotto nasce quasi come un tentativo "educativo" di veicolare contenuti più sfidanti ad un pubblico generalista, ciò si è tradotto nel linguaggio di una serie che nasce fruibile e termina nella sperimentazione più cerebrale, SEL nasce dopo che questa missione è stata esaurita, quindi è cerebrale e avanguardistico fin dall'inizio, puntando tutto su un'atmosfera che sarebbe stata pienamente abulica, se non fosse per il suo senso di inquietudine straniante e subliminale.

Questo rigore consapevolmente di nicchia dona a quest'anime una coesione stupefacente per la capacità di armonizzare un intreccio sfilacciato e sghembo con una sapiente dose di ripetitività e di immagini ricorrenti, che fanno da firma e proiezione del mood folle che caratterizza la serie.

La grandezza di SEL consiste però sia nei contenuti manifesti della sceneggiatura, sia nella regia e nel montaggio, che è eccezionale per la sua doppia capacità di confondere e dare risposte quando serve, stupendo per la varietà e la bellezza delle sue immersioni in mondi esterni all'interno di altri mondi, dove c'è una sensazione di infinito, di suggestione surreale come forse mai avvenuto prima e dopo di quest'opera che sviscera al massimo il potere dell'animazione di travalicare i confini delle armonie prestabilite, entrando nella più piena astrazione e nella più completa rivisitazione del reale, al punto da penetrare nel live-action per rivisitarlo, deformandolo con una qualità in bassa definizione, filtri e colorazioni che sembrano anticipare tutte quelle estetiche dei nostri anni come la vaporwave o i liminal space che prendono il reale e lo trasfigurano per mezzo di un filtro fosco e indefinito come un'allucinazione nostalgica.

Non a caso, SEL mette in evidenza nel meraviglioso finale l'idea di prosperare attraverso i ricordi del passato, del presente ma anche del futuro, in una condizione di solipsismo dove è possibile al massimo creare rapporti illusori laddove non si è in contatto con nessuno, neanche nella memoria, se non in maniera anonima e inconscia. Giacché l'opera parla (attraverso i mondi nei mondi, gli dèi creati dall'uomo, internet come specchio del sistema neuronale ecc) di una realtà che è tale solo perché siamo noi a percepirla, un individuo che non è mai stato presente nella vita e nei ricordi di nessuno è come se non esistesse. Colpisce, dunque la doppia valenza di un finale così agrodolce:

1) Il significato emotivo di un'emarginata che viene ora costretta a rimanere nella sua emarginazione proprio nel momento in cui aveva iniziato a stringere dei legami con il prossimo ma attraverso l'inconscio di Alice riesce ancora a lasciare una parvenza, una traccia di sé nonostante quest'ultima non sappia di Lain, in un affetto disinteressato (poiché privo di ego) che dà una piccola scintilla di gioia ad una solitudine eterna. È uno dei pochi momenti "caldi" della serie, eppure pienamente coerente al messaggio dell'opera sulla necessità dei rapporti umani in un mondo ormai fatto di puro edonismo e apatia.

2) Il significato più filosofico nella decostruzione del sogno evasivo di vivere come una divinità onnipotente, che è capace di contemplare tutto il creato e il creabile, ma qui è visto nella lancinante freddezza di non potervi partecipare attivamente. Sembra quasi l'alterazione di una prospettiva buddista poiché, se l'episodio si chiama "ego", questo finale mostra un sacrificio totale e responsabile di esso sull'altare di una trasformazione in esperienza pura, un onniveggente sguardo vivente ma freddo e isolato, che la serie vede come un sinonimo del nulla e al contempo dell'essere Dio.

Altrettanto stupefacente è stata la voglia di universalizzare una realtà con coordinate temporali definite come quella dell'era di internet che, attraverso gli inserti documentaristici, acquisisce il senso del completamento di un percorso iniziato secoli e millenni prima a partire dalla biologia degli esseri umani alle molteplici sperimentazioni scientifiche che si sono succedute prima del Wired per arrivare a quella sorta di apocalisse digitale in cui la realtà e la finzione si uniscono, che altro non è che l'estremizzazione di una condizione in cui viviamo noi oggi, nella quale tutti i rivolgimenti storici sembrano congelati in un magma definitivo in cui tutte le invenzioni scientifiche non fanno altro che deformare questo velo tra realtà e finzione, dalle fake news fino alla definizione sempre maggiore dei videogiochi e delle intelligenze artificiali.

SEL cita a tal proposito l'inconscio collettivo di Jung, la religione cristiana, i templari come origine culturale dei knights: un gruppo di hackers responsabili della fusione tra realtà e Wired, cita anche il calcolatore analogico Memex come primo tentativo di creare un archivio di memorie e conoscenze digitali, nonché i mistici della scienza che cercavano un'intuizione "divina" attraverso stati alterati della coscienza, la risonanza Schumann come elemento di cui si speculava una contaminazione con la psiche degli uomini e molto altro ancora.

Tutti questi esempi contribuiscono a dare l'idea di una storia che è contemporaneamente un'ode alla genialità creativa dell'uomo come subcreatore in grado di avvicinarsi un po’ di più a Dio attraverso le sue facoltà mentali (celebrato dall'immaginario surreale della serie) e un monito per l'uomo che non comprende i suoi limiti e finisce per non saper dare la giusta dimensione ai suoi piaceri esterni, alienandosi in questo mare di stimoli, dialettica incarnata dalla protagonista che è contemporaneamente affascinata e inquietata da questa tecnologia.

Si arriva a dire che il vero io di Lain non è che un ologramma della disinvolta ed energica personalità trasmessa sul Wired quando tecnicamente sarebbe il contrario, è un concetto che ricorda la dialettica dei social network tra il nostro carattere della vita vera e quello che manifestiamo online, spavaldo poiché crediamo di non essere in pericolo. È proprio quest'auto-repressione che finisce per farci rivelare la nostra vera natura lì, si crea un capovolgimento in cui è nel contatto fittizio che riveliamo veramente la nostra identità.

Nonostante la complessità per molti aspetti "elitaria" di SEL, non si tratta di un'opera tronfia, che vuole esibire attrazioni estetiche fini a sé stesse e provocazioni atte a dissimulare le carenze di contenuti. Non ci sono infatti paroloni a sproposito, violenze particolari o effusioni tabù, tutto è cerebrale e pacato come un saggio filosofico o scientifico ma morigerato e privo di sensazionalismi ed enfasi, anche quando l'anime infligge velate critiche nei confronti delle macchinazioni americane nel corso del Novecento, è proprio questo flusso lento e divulgativo, questa atarassia povera di azione e metaforici urli che avvicina SEL alle più grandi opere postmoderne, distinguendo questo prodotto da un po' tutto ciò che è venuto prima e dopo nell'animazione.

Al netto di tutto, Serial Experiments Lain rimane un anime unico, di una bellezza allucinante, un'opera che va oltre il capolavoro anche per quello che rappresenta: un anime coraggioso che sacrifica un po' tutte le consolazioni e i cliché "di genere" e dei media per "otaku", a favore di un rigore sfidante quasi da arte concettuale che però non è apparente o parziale come spesso avviene in chi tenta di fare qualcosa di diverso, ma è atto a coinvolgere lo spettatore sia per ragionamenti che per suggestione, attraverso un ripudio di espedienti catartici comuni in un po’ ogni opera narrativa (come un rilascio esplicito di adrenalina, rabbia, allegria, immedesimazione ecc) a cui si preferisce un approccio più freddo in apparenza, ma per questo paradossalmente ancora più efficace a comunicare i diversi stati d’animo; aspetto che, insieme alle altre peculiarità formali e strutturali, ridefinisce i fini e le vie di fascinazione di un medium così spesso diretto, commerciale e conservatore quale è quello dell'animazione televisiva (e non solo), lo fa attraverso un mosaico sensoriale di immagini e sonoro che riesce a esprimere una fantasia inesauribile nonostante i pochi mezzi, a celebrare un patrimonio controculturale necessario per scoprire nuovi orizzonti, tutti questi aspetti riassunti in un mood inimitabile e in sensazioni viscerali e mutevoli, che cambiano nel tempo e ne cementificano il valore nel lungo termine.