Recensione
Millennium Actress
8.0/10
Un omaggio al cinema, un omaggio alla Storia e un omaggio ai sentimenti di una terra la cui Esistenza fra passato e futuro viene ripercorsa in un millennio vero e filmico dai ricordi dell’esistenza di un’attrice alla ricerca dell’amore di un istante e di una vita. Ma tutto parte sempre da molto lontano, ovvero da uno spassosissimo intervistatore-superfan innamorato di tutti i film dell’attrice Chiyoko, che si reca con il suo cameraman divertentissimo a casa della vecchia stella ormai agli sgoccioli per darle qualcosa che ella aveva perduto tempo fa, e per farsi raccontare vita morte e miracoli in cui i di lei ruoli si mescolano alla sua storia e non si capisce dove inizino quelli e dove finisca questa. Così il ritrovamento della chiave che apre la cosa più importante (e mai raggiungibile) dà il via a questa rincorsa infinita di un reincontro desiderato con tutto il cuore e mai raggiunto, che trascinerà Chiyoko a sbattersi senza pace per tutta giovinezza fino alla rassegnazione preannunciata della vecchiaia. E se è vero che è tutta una grande metafora del senso dell’Esistenza , è soprattutto vero che la regia di Kon è assurda, e con la trovata dei due intervistatori che prendono parte viva all’azione delle memorie (assolutamente geniale!) alleggerisce una storia che sarebbe potuta essere troppo pesante e che invece diventa coinvolgente e leggerissima, e la messa in scena di ricordi di vita e di film mescolati senza sosta con il linguaggio unico Kon-style rende una storia ordinaria un’odissea straripante e caleidoscopica.
Corredati da animazioni sempre precise e fluide e da un chara particolarmente azzeccato (soprattutto Genya e la Chiyoko durante la guerra), i disegni belli e curati diventano incredibilmente espressivi (cosa a cui il maestro dà davvero molta importanza in tutte le sue opere), e mostrano emozioni e sentimenti in modo naturalissimo creando così un’empatia immediata. I colori delle memorie sono volutamente smorti – ma si sa che la luce del passato smorza le tinte – e rendono benissimo sia l’atmosfera bellica cupa sia il mistero del Giappone medievale e feudale; mentre sono splendidi i cromatismi da fantascienza anni ’70 delle scene spaziali.
E il finale disincantato dona a tutto il film un sapore amaro perfetto, perché un happy-end non ci sta proprio bene con l’occhio tipicamente provocatorio e anticonformista di Kon. E poi l’Ultimo viaggio – l’Ultima ricerca – visto come immersione nell’iperspazio è una genialata pazzesca che si stampa nella storia del cinema.
Certo la vicenda che traina tutte le metafore e i significati impliciti-e-non è il classico melodramma di un amore impossibile, per cui se siete più romantici di me (e non ci vuole molto) potete aggiungere tranquillamente 1 punto; ma lo spessore dell’opera è indipendentemente da questo notevole – e non poteva essere altrimenti, visto di chi stiamo parlando.
Corredati da animazioni sempre precise e fluide e da un chara particolarmente azzeccato (soprattutto Genya e la Chiyoko durante la guerra), i disegni belli e curati diventano incredibilmente espressivi (cosa a cui il maestro dà davvero molta importanza in tutte le sue opere), e mostrano emozioni e sentimenti in modo naturalissimo creando così un’empatia immediata. I colori delle memorie sono volutamente smorti – ma si sa che la luce del passato smorza le tinte – e rendono benissimo sia l’atmosfera bellica cupa sia il mistero del Giappone medievale e feudale; mentre sono splendidi i cromatismi da fantascienza anni ’70 delle scene spaziali.
E il finale disincantato dona a tutto il film un sapore amaro perfetto, perché un happy-end non ci sta proprio bene con l’occhio tipicamente provocatorio e anticonformista di Kon. E poi l’Ultimo viaggio – l’Ultima ricerca – visto come immersione nell’iperspazio è una genialata pazzesca che si stampa nella storia del cinema.
Certo la vicenda che traina tutte le metafore e i significati impliciti-e-non è il classico melodramma di un amore impossibile, per cui se siete più romantici di me (e non ci vuole molto) potete aggiungere tranquillamente 1 punto; ma lo spessore dell’opera è indipendentemente da questo notevole – e non poteva essere altrimenti, visto di chi stiamo parlando.