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<b>Attenzione: questa recensione contiene spoiler sull'opera.</b>

Premessa: i tre volumi a cui si fa riferimento sono quelli della recente ristampa Star Comics.

In principio fu una maschera di pietra. Realizzata da un popolo azteco come supporto centrale per i suoi famigerati sacrifici umani, la maschera ha il potere, quando sulla sua superficie viene versato del sangue, di penetrare nel cranio di chi la indossa con degli aculei ossei che trasformano la persona in una sorta di zombie-vampiro, un essere a metà tra la vita e la morte dalle sovrannaturali doti fisiche che può rigenerarsi assorbendo il sangue delle vittime che mieterà durante la nuova esistenza. L'obiettivo degli aztechi era sottomettere il mondo tramite questo potere del dominatore, ma non ebbero successo. Scomparsi misteriosamente dalle pagine della Storia, la maschera seguì la sorte dei suoi creatori, finendo dimenticata tra i ruderi della loro civiltà per secoli e secoli.

Inghilterra, 1880. Il nobile George Joestar accoglie nella propria casa l'orfano dell'uomo che - Joestar crede - ha salvato la vita sua e di suo figlio in seguito all'incedente in cui morì sua moglie. Così, fatalmente, si incrociano le strade di Jonathan Joestar, figlio biologico di George Joestar, e di Dio Brando, suo fratellastro.
Jonathan Joestar (per gli amici e il lettore Jojo) è l'archetipo del perfetto gentleman, che traspone la sua indole retta e proba nella lotta: determinato, onesto e coraggioso, Jojo è l'espressione pura della propria forza di carattere. Dio Brando è, invece, tutto l'opposto: infido e corrotto di natura, Dio intende approfittare della bontà di George Joestar per migliorare la sua condizione e ottenere l'eredità del padre adottivo. A questo fine, deve screditare totalmente Jojo agli occhi del padre, cosa che fa sottraendo al fratello tutto quanto ha caro: uccide il suo cane, umilia la ragazza che ama e da cui è contraccambiato, Erina, e commette altre innumerevoli cattiverie assortite. Come coronamento decide di sfruttare la maschera di pietra, per Jojo ricordo - un po' macabro in verità - della madre defunta. Ovviamente Dio non conosce tutte le funzioni del manufatto: sa soltanto che esso estrae degli artigli che si conficcano in testa e con questi crede di poter uccidere Jojo, ma ignora la trasformazione corporea che innesca. O per lo meno ne è all'oscuro finché non la sperimenta su una cavia. Trovandosi costretto ad affrontare i temibili effetti indotti dalla maschera, si accorge che è cosa buona e giusta (e fonte di salvezza) utilizzarla a proprio vantaggio, e non su Jojo. Per cui, Dio progetta di invertire i ruoli del rito sacrificale in suo onore: al posto di fare di Jojo la sua vittima, adesso intende eliminarlo e ricorrere al suo sangue per scatenare la propria mutazione; Dio ha intenzione di superare la condizione umana uccidendo il suo odiato e al contempo rispettato fratello Jojo.
Ha così inizio una rocambolesca serie di eventi tragici (tra cui morti epiche e il progetto di Dio di formare un proprio esercito di non morti a partire da Jack lo Squartatore, che rende un divoratore di uomini) e di combattimenti, interamente concentrati sul destino di amore-odio fraterno che unisce Jonathan e Dio. Più volte i due scontrano, e ogni volta tutti pensano che il male sia stato debellato definitivamente.
Ma le vie di Dio (Brando) sono infinite.

La caratteristica che personalmente ho più apprezzato de "Le Bizzarre Avventure di Jojo: Phantom Blood" è l'incastrarsi di numerose storie parallele e complementari. Tra queste ultime mi hanno colpito maggiormente la vicenda del Barone Zeppeli e dei personaggi femminili del manga.
Cominciamo dalla prima. Zeppeli è l'uomo che in gioventù rinviene la maschera di pietra, da quel momento la scia di morte seminata dall'oggetto ricomincia. Per rimediare alla sua colpa (il ritrovamento della maschera è stato fortuito, di certo Zeppeli non ne conosceva le potenzialità e meno che mai voleva seminare morte e distruzione) l'allora ragazzo abbandona la sua famiglia e parte per un lungo viaggio al fine di trovare un modo di contrastare gli effetti nefasti della maschera. Giunto in Tibet, apprende dal Lama Tompetty la Via dell'Eremita, un metodo positivo di utilizzare il sangue e la respirazione che si contrappone a quello negativo rappresentato dalla maschera. Avendo in comune l'obiettivo di fermare Dio, Zeppeli diventa il mentore di Jonathan. Ciò che mi ha colpito della sua figura, a parte il suo valore in sé, è come si sovrappone al ruolo di George Joestar: se quest'ultimo è per Jojo una fonte di ispirazione ideologica, Zeppeli si inserisce nella storia proprio quando Joestar padre è uscito di scena, e ne riprende la funzione diventando non soltanto modello ma mentore e compagno di battaglia al fianco di Jojo. È Zeppeli a fare di Jojo il guerriero che sconfiggerà Dio Brando. Ammiro tantissimo la maniera in cui l'autore, Hirohiko Araki, reitera certe tematiche sviluppandole a un certo punto per poi riprenderle da capo con variazioni e portandole a picchi di epicità sempre più alti.
Questa qualità si ritrova anche nelle donne che appaiono nel fumetto. Anche se sulle tavole compaiono poco in prima persona rispetto alle controparti maschili e le loro azioni rimangono un po' in ombra, sono comunque importanti. Si tratta di tre donne: la madre di Dio; Erina, la fidanzata di Jonathan; e Peggy, la sorella di Poko. La prima è in compagnia di Dario Brando, il padre di Dio, quando questi scopre la carrozza dei Joestar che ha appena avuto un incidente, ed è lei che salva Jojo; la seconda è innamorata di Jojo fin dall'adolescenza, ma un'insolenza di Dio li separa per un po' di tempo, tuttavia non provoca una spaccatura profonda: al momento del bisogno Erina c'è sempre per Jojo. La terza è un po' il calco di Erina nei confronti della parodia normale di Jojo, come il protagonista sarebbe stato se non avesse ricevuto un'educazione aristocratica, Poko: mentre Jojo ed Erina si incontrano per la prima volta quando il ragazzo la difende da dei bulli per puro spirito cavalleresco - dice lui -, tra Peggy e Poko è Peggy a insegnare il senso dell'onore a Poko, e come Dio molesta Erina e ne resta umiliato, così fa Peggy nelle battute finali della saga. In generale, le donne in "Le Bizzarre Avventure di Jojo: Phantom Blood" sono fonti di ispirazione per i protagonisti uomini: un compito un po' vetusto (l'amore angelico che si prova per una donna è un tema superato), però qui lo trovo usato con intelligenza e coerenza rispetto al messaggio di fondo, l'importanza della lealtà e della dedizione a una causa. Questo vale anche per Dio, i cui rari attimi di umanità (anche se sempre caricaturali e trasposti in chiave negativa) sono infatti innescati dai sentimenti che prova per la madre, morta a causa del comportamento ignobile del marito, e per Jojo, un legame che effettivamente unisce i due - come George Joestar accoglie Dio presso la sua dimora, la madre di Dio salva la vita di Jojo. Non a caso, alla fine Erina salverà un bambino orfano che prenderà con sé come erede di Jojo proprio come la madre di Dio fece in apertura.
Appunto queste storie complementari sono ricche di sfaccettature, e riconoscerle è stata una delle esperienze più soddisfacenti di questa lettura.

Una componente del titolo che, al contrario della precedente, reputo usata a volte con profitto, altre in maniera dannosa, è l'enfasi esagerata della narrazione. Il tipo di narrazione adottata in "Jojo: Phantom Blood" - e in generale dal mangaka, mi pare di capire - è molto trash: ora, personalmente non amo il trash, tuttavia qua è integrato coerentemente con la struttura base del manga, lo si ritrova in ogni suo aspetto e dunque riesce a convincere e ad appassionare; basta considerare il personaggio di Speed Wagon, il commentatore ufficiale della serie. Però, alcuni elementi come il vino che trasmette il Vento dei Vichinghi e certi punti di volgarità e assurdità non richiesti - Poko che mostra il sedere per farsi beffe di altri personaggi, per esempio - sono talmente ridondanti che l'epicità voluta mi sembra più ironia inconsapevole. Quindi il narrare, per quanto efficace nel complesso, ha delle oscillazioni qualitative.

Il discorso cambia ancora per quanto concerne l'ambientazione: l'Inghilterra cupa e gotica del XIX secolo è uno sfondo ideale per le avventure di Jojo - d'altronde è l'habitat ideale per le creature nemiche che i nostri devono affrontare.
Questa scelta si armonizza con lo stile di disegno di Araki, che predilige personaggi dai corpi giganteschi e muscolosi, essi hanno un certo non so che di michelangiolesco e un tratto globale che, come di moda all'epoca della pubblicazione, fa un forte uso del contrasto tra il bianco degli sfondi e un nero molto carico.
Questa grafica trovo sia ben resa dalla riedizione Star Comics, proposta in tre corposi volumi dalla carta un po' grigia che è una buona base per le tavole di Araki.

"Le Bizzarre Avventure di Jojo: Phantom Blood" è un titolo che ha fatto storia, e non sorprende: anche se determinati elementi sono un po' stereotipati e schematici, la serie è un ottimo riassunto delle qualità del manga shounen degli anni '80 che rielabora e presenta in maniera personalissima e che a sua volta saranno tratte da altre produzioni, a riconferma del valore dell'opera.