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Non sono molte le opere che siano state in grado di impressionarmi, e non parlo tanto della lettura in sé, ma di quel che a essa segue; passare ore intere a rimuginare, sdraiati sul letto, increduli e inquieti, incapaci anche solo di concepire quel che si è letto e quel che la lettura ha messo in moto nella propria mente. Questo stato d’animo inconsueto mi ha riportato indietro di un paio d’anni, alla lettura di Proiettili di Zucchero, un’opera che, per quanto dissimile da Saikano in termini di tematiche ed intreccio, ha suscitato in me reazioni equiparabili. All’epoca avevo parlato di orrore, inteso come senso profondo di inquietudine e claustrofobia dell’animo, ebbene, credo che la definizione calzi a pennello anche in questo caso. Se dovessi descrivere Saikano in una parola, penso sarebbe proprio “inquieto”, nel senso più esteso del termine. Talvolta irrefrenabile, talvolta lugubre, talvolta inesorabilmente mesto, tanto che è difficile comunicare il connubio di emozioni contrastanti che investe l’animo dei personaggi e di riflesso anche del lettore.

Partiamo dal presupposto che Saikano è essenzialmente una storia d’amore. Non una melensa commedia romantica, non un melodramma a tinte rosa, ma il tentativo di rappresentare l’amore nella sua forma più pura e idealizzata e quindi, in modo quasi naturale, Saikano è anche la storia di un amore maledetto.
Shouji e Chise sono due liceali di un anonimo paesino di provincia nell’Hokkaido, ai tempi della guerra tra il Giappone e un’ignota nazione. Fidanzati quasi per caso, apparentemente dissimili, imbarazzati e pure un po’ impacciati, i due protagonisti sembrano trascinati nella loro relazione quasi nel tentativo di straniarsi da una routine piatta e quanto mai monotona. La rottura della quotidianità avviene durante una gita di classe a Sapporo, quando un raid aereo mette a ferro e fuoco la città, finché gli aeroplani non cadono, uno dopo l’altro, colpiti da un minuto “qualcosa” che volteggia solitario nell’area intrisa di morte. Quando anche questo precipita, Shouji accorre sul luogo dell’impatto e, incredulo, vede emergere dalle fiamme dell’esplosione l’esile figura della sua fidanzata, Chise, l’arma finale.
Quel senso di tranquillità e sicurezza intrinseche che la vita quotidiana reca con sé, ora inizia a mutare, prima lentamente, poi in modo più netto e marcato, delineando scenari e situazioni via via più cupi e melancolici, fino ad affogare la mente del lettore nella tragedia e nella disperazione. Questo si esplica nell’incremento sensibile delle scene di guerra, nella cronaca delle innocenti e quasi inconsapevoli stragi che Chise realizza, una dopo l’altra, apparentemente incapace di discernere bene e male, alla stregua di un burattino nelle mani delle forze di autodifesa. Tutta l’insicurezza che la ragazza manifesta nella propria vita scolastica sembra scomparire una volta che, spuntate dal suo corpo ali meccaniche, missili e cannoni, essa si erge solitaria sul campo di battaglia per seminare morte e terrore nei cieli. Battaglia dopo battaglia l’anima di Chise, lontana dal ragazzo che ama, si affievolisce sempre più, lasciando il posto alla macchina da guerra chiamata “arma finale” che risiede dentro di lei. L’amore per Shuji diventa l’ultima goccia di umanità e motivo di attaccamento alla vita che essa si ostina a custodire gelosamente e morbosamente, ma a causa di ciò, inevitabilmente soffre, riversando le insicurezze e le paure che non può portare e non fa trasparire nel campo di battaglia all’interno delle pagine dei suoi diari per Shuji.
In questo, il manga si rivela uno dei tanti figli della corrente cyberpunk post-moderna, che prima con Akira, poi con i contemporanei Lain e Eden, esprime tutto lo spaesamento e, ancora una volta, la diffidenza di un popolo verso una tecnologia sempre più alienante, nonché il terrore e l’orrore di chi ha sperimentato sulla propria pelle le atrocità della bomba atomica.
In sostanza il manga, pur seguendo più da vicino le vicende di Shuji, converge sulla psicologia di Chise, diventandone quasi uno specchio. La de-umanizzazione e atomizzazione della ragazza trova corrispondenza nel cieco affidamento alla tecnica da parte dell’uomo moderno, il quale è divenuto inetto e totalmente alienato a causa di essa, pervenendo inesorabilmente alla rovina propria e altrui; nessuno sa come Chise sia stata creata, nessuno sa cosa potrebbe fare e come il suo corpo e il suo carattere potranno evolvere se sottoposti a continui shock psicologici e fisici; tuttavia gli scienziati si ostinano a riparare ogni volta il suo corpo e a rimandarla sul campo di battaglia nella cieca speranza di vincere la guerra.
Anche l’amore sotto questa nuova luce diventa un sentimento intrinsecamente contraddittorio e dicotomico: morboso e malato, espressione parossistica della passione carnale, del sesso privo di sentimento, dell’annegamento dell’animo nell’oblio del richiamo della carne e, tuttavia, nuovamente ancora di salvezza, uno sfogo disperato per mantenere il contatto con la realtà e ottenere di fatto la salvezza del proprio io. L’amore diventa un po’ come Chise, odiato e invocato allo stesso tempo, ultimo illusorio pilastro nella lotta per la sopravvivenza; ma quando anche questo crollerà dinnanzi all’uomo, che ne sarà di lui?

Più che “l’ultima canzone d’amore su questo piccolo pianeta”, quello di Saikano è un grido strozzato, atroce, dilaniante; è una richiesta d’aiuto, il desiderio che tutto finisca, il rimpianto e la consapevolezza di non poter tornare a passeggiare spensierati tra le vasche dell’acquario, mano nella mano con la propria metà, o a visitare i propri luoghi dell’anima; non poter più godere delle piccole gioie della vita quotidiana, giacché la vita stessa ora viene meno. E per quanto le persone mettano tutta la loro volontà nel tentativo di rimanervi attaccate, una domanda piomba come un macigno nella mente del lettore: c’è davvero un senso nel continuare a vivere in questo modo? L’essere umano anela alla vita, anche laddove essa non ha più nulla di positivo in serbo per lui, lo fa per natura, e per paura; ma librandosi in alto, sopra la Terra, tanto in alto da poter avere una vista chiara e completa dell’insieme, non sorge forse l’idea che sarebbe meglio se tutto finisse? Non sarebbe più conveniente metterci una pietra sopra, rassegnarsi, rinnegare le proprie speranze escapiste e illusorie e abbandonarsi a una cara e dolce morte? La culminazione di questo climax lascia spiazzati, il finale investe il lettore con una potenza espressiva sì travolgente, ma altresì terrificante.
La nostra memoria non è fatta per durare in eterno, presto o tardi dimenticherò i nomi dei personaggi, poi dell’autore; le vicende diventeranno offuscate e i dettagli andranno persi, ma una cosa che sono sicuro di non dimenticare è il messaggio che questo manga mi ha lasciato. Quello perdurerà, ne sono sicuro. E non è forse questa la massima aspirazione di qualunque artista? Shin Takahashi, pur con un disegno funzionale e povero di dettagli, è riuscito in questo grazie alla potenza della sua storia e delle proprie idee. Il mio consiglio per questo manga è rivolto essenzialmente agli amanti dell’amore, e a chiunque sia disposto a mettere in gioco le proprie certezze – assieme a qualche lacrima – durante la lettura, e a chi sappia guardare oltre la facciata di un prodotto e non fermarsi alla forma; leggetelo, e magari, come Chise e Shuji, nonché come il sottoscritto, “you’re going to fall in love”.