Inutile dire come uno degli ospiti di punta del Lucca Comics di quest'anno sia stato Shoji Kawamori, uno dei più importanti e influenti mecha designer della storia dell'animazione giapponese. Su queste pagine abbiamo già avuto modo di trattare una delle sue creazioni di punta, quel Valkyrie protagonista in Macross e che ha dato il via a una serie di “trasformazioni” nell'approccio a tutto ciò che è meccanico. Ve ne consigliamo la lettura, anche perché fa da compendio a quanto racconteremo nelle prossime righe.
Shoji Kawamori è stato protagonista in tre panel differenti e con una mostra a lui dedicata al cosiddetto Japan Town e oggi, vi racconteremo tutto.
Tutto è partito il 30 ottobre, data che ha segnato il ritorno in Italia del designer dopo ben trent'anni. In questo panel, l'elemento interessante era la possibilità di fare delle domande direttamente al maestro, un'occasione più unica che rara per gli appassionati; e chi vi scrive lo sa bene. Sono state due le domande poste a Kawamori, la prima riguardo un argomento che stranamente, non era ancora stato tirato fuori: Armored Core. Questa serie videoludica deve tanto a Shoji Kawamori, non solo perché ne è stato mecha designer dagli inizi ma perché persino il nome del franchise è nato da una sua idea. Kawamori ha disegnato tutte le parti singole dei vari Armored Core, che ovviamente andavano messe assieme per formare un robot a tutto tondo.
La difficoltà nel formare un design omogeneo nonostante le diverse componenti ha avviato uno spunto interessante perché in un videogioco l'inquadratura più utilizzata è quella di spalle, un punto spesso trascurato nel disegno. Dunque, anche il retro del mecha andava studiato per bene, proprio perché per la maggior parte del tempo il giocatore avrebbe visto soltanto quello.
L'altra domanda non ha trovato risposta, più per la classica “educazione” giapponese che altro. Tra i designer occidentali non ci si fa particolari problemi a elogiare o criticare i lavori altrui, nutrendo anche una sana invidia per qualcosa di successo. Al Museo dell'Automobile di Torino ad esempio, i più grandi designer del settore sono protagonisti con la loro opera migliore ma soprattutto, con l'automobile che avrebbero voluto disegnare loro. Cosa che a quanto pare mette in imbarazzo il popolo del Sol Levante.
Al “c'è un mecha creato dai suoi colleghi che avrebbe voluto disegnare lei?” Kawamori ha sorriso imbarazzato, dicendo di non poter rispondere. Ma sappiamo tutti che la risposta ce l'ha, eccome. Prima delle nostre domande però c'è stato spazio per una vera intervista che ha passato in rassegna le sue origini come designer, gli inizi allo Studio NUE in cui, per mancanza di tempo sfruttava i vetri dei treni per poter disegnare tra un viaggio e l'altro. La vita del pendolare è dura, soprattutto per i più creativi.
Una piccola capatina è stata fatta anche in Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory, in cui il suo approccio alla progettazione si è dovuto scontrare con dei canoni ormai standardizzati, soprattutto nel campo dell'Universal Century del franchise. Come abbiamo visto per il design del VF-1 Valkyrie, Kawamori è alla ricerca del massimo realismo ed è curioso come anche nella variante del suo Gundam Zephyranthes si sia agito nello stesso modo. Con il Core Fighter portato all'esterno, si può sprigionare più potenza, rendendo il Mobile Suit decisamente più efficace. Motivi costruttivi insomma, come se queste macchine esistessero davvero: è questa forse l'unicità di Shoji Kawamori, trovare concretezza in qualcosa di puramente fantastico.
Questo vale per Macross, nel già citato Stardust Memory, in Escaflowne, in Aquarion, in Eureka Seven e così via. Pragmatismo, insomma, cosa che si intravede nell'idea che il Sensei si è fatto nell'utilizzo delle ultime tecnologie in campo anime, tra disegno puramente in digitale e l'intelligenza artificiale pronta a fagocitare qualunque cosa. Se è vero, a detta di Kawamori, che la produzione di nuovi prodotti sia decisamente più rapida, permettendone la creazione di nuovi (e quindi maggiore varietà), ci si scontra con una certa frettolosità di fondo e poca cura al dettaglio, cosa che può essere riassunta nel classico “quantità non fa rima con qualità”. Stranamente Kawamori non si è fatto problemi a criticare questo modo industriale di produrre nuovi anime, forse un po' nostalgico di un mondo in cui tutto il potere di creazione era affidato a un pezzo di legno con dentro della grafite. Ma il mondo va avanti, forse troppo velocemente; persino quanto raccontato in Macross Plus, ambientato in un futuro lontano è praticamente il nostro presente ed è da qui che le nuove leve devono compiere un balzo più difficile per imporsi in questo settore. Saper cogliere al meglio la realtà che ci circonda è il consiglio di Kawamori a chi vuole intraprendere questa faticosa carriera, possibile ampliando il proprio repertorio. Studiare e guardare tante opere diverse, per forma e funzione, può aiutare nell'intento, percepire una realtà fatta di movimento e relazioni. Insomma, tutto ciò che compone la natura umana.
Ma in tutto questo, il viaggio di Kawamori tra i panel di Lucca continua, e ci spostiamo al 1° novembre quando, intervistato da LRNZ, il sensei ha avuto modo di approfondire ancora meglio le sue attitudini e idee riguardo al design. Grazie alla collega Alessandra – ringraziatela – possiamo scendere in dettaglio, quello che probabilmente è stato il miglior panel dedicato al sensei.
Come sappiamo, i più grandi designer trovano ispirazione in ogni dove, dal mondo che li circonda e da elementi che ai più potrebbero risultare insignificanti. La sua passione per l'aerospazio si unisce anche a quello dell'automotive, con figure come Giugiaro e Gandini in grado di ispirarlo sin da piccolo grazie alle loro creazioni. L'Isuzu 117: parte tutto da qui, una vettura disegnata da Giugiaro per la casa giapponese e che ha la particolarità di avere un design molto diverso dalle auto giapponesi dell'epoca. È normale che un bambino, vedendo quelle linee così inusuali se ne innamori e la scoperta che anche un'altra vettura che lo colpì profondamente come la De Tomaso Mangusta portava la stessa firma, lo portò ad approfondire i dietro le quinte della progettazione. Possiamo dire in qualche modo, che c'è un bel po' di Italia nelle creazioni di Kawamori.
Ma come già intuito precedentemente, la natura gioca un ruolo fondamentale. La relazione che i giapponesi hanno con il mondo che li circonda li ha portati in strade diametralmente opposte rispetto l'occidente. Il design giapponese trova una sua realizzazione solo attraverso la natura, fatta di armonia, perfetta amalgama tra le parti e un rispetto totale per le proporzioni. Solo rapportandosi con essa è possibile trarre il meglio dalle proprie creazioni e anche Shoji Kawamori non è indifferente a questa filosofia. Come possibile intuire, le ali di uccelli e insetti sono gli elementi su cui Kawamori si è soffermato maggiormente, con focus sulla loro aerodinamicità. Ma anche il concetto di “trasformazione” deriva soprattutto dalla natura che ci circonda, con l'esempio cardine della farfalla: il concetto di evoluzione e di cambiamento, sono centrali nella filosofia del maestro.
Questa però può scontrarsi con l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, argomento già toccato nel panel precedente ma soprattutto in una delle sue opere più riuscite: Macross Plus. Il ruolo dell'IA nel mondo dell'animazione, del design e non solo è un argomento che tocca tutti, su cui il maestro sembra avere le idee molto chiare. Anche Kawamori (così come tutti i creativi del resto) ha cominciato a utilizzare questa nuova tecnologia, rimanendo colpito dal livello già raggiunto. Ma per quanto essa possa essere efficace nel replicare opere già esistenti o apportare qualche miglioramento, è ancora molto lontana da riuscire a restituire le emozioni che hanno dato vita all'opera stessa. L'IA è dunque uno strumento che può funzionare al meglio solo se riusciamo a colmare questa lacuna, con una consapevolezza di fondo che porti il creativo a esprimere al meglio sé stesso. Questo è un argomento centrale per Shoji Kawamori, tanto che uno dei lavori attuali riguarda proprio la creazione e l'allestimento del padiglione dedicato al rapporto tra l'uomo e l'intelligenza artificiale per l'Expo di Osaka 2025. Il designer è conscio che questa nuova tecnologia probabilmente toglierà posti di lavoro a molte persone ma nel campo dell'animazione ad esempio, è qualcosa che potrebbe risultare controproducente. Il “tocco” umano è fondamentale nel processo di creazione, altrimenti, assisteremo a prodotti prettamente industriali e per giunta noiosi.
Ci spostiamo al 3 novembre, l'ultimo panel del maestro Kawamori in quel di Lucca. Questo è stato un evento di fondamentale importanza, non solo perché il sensei disegnava dal vivo ma anche perché insignito della Walk of Fame, con le sue mani immerse nel cemento e tramandate ai posteri come altri grandi maestri prima e dopo di lui. Qui, oltre a ripercorrere nuovamente il passato del designer, si è fatto una capatina anche in un franchise completamente diverso ma che di Kawamori ne possiede l'idea. Kawamori ha infatti lavorato anche su una linea di giocatoli chiamata Diaclone, oggetti trasformabili da auto a robot e che diedero vita ai famosi Transformers. Divertito dalla possibilità di realizzare questo tipo di prodotti, occupandosi del loro design e stile, il lavoro su i vari Diaclone è stato il primo di questo tipo, all'età di diciannove anni. In qualche modo anche questa esperienza è stata fondamentale per Macross, visto che il capo della Takara (produttrice di questi articoli) possedeva un piccolo aereo con cui sorvolava Tokyo nel tempo libero. Questo aereo è stato una delle fonti di ispirazioni per Valkyrie e simili, dimostrando come ogni piccola esperienza possa portare a qualcosa di grande.
E a proposito di Macross, impossibile non chiedere anche del concept di Lynn Minmay, una dei protagonisti della serie. Se già il Valkyrie e in generale il mecha design risultava innovativo, la creazione di un mix tra musica e animazione era appena agli inizi, anche se Kawamori aveva questa idea da tempo, disegnato di nascosto durante l'università. Tutto nasce all'interno di un ristorante cinese, in cui il giovane Kawamori vide una ragazza vestita con abiti tradizionali cantare una canzone. Un peccato vederla cantare soltanto lì e visto che si doveva differenziare il prodotto (soprattutto rispetto a Gundam e Battleship Yamato) si pensò di sfruttare la cosa per creare lo shock culturale per i nemici (gli zentradi) che tutti conosciamo. Mettere assieme musica e guerra era dunque l'idea originaria, qualcosa che sposava un nuovo target, giovani e adulti, che finalmente avevano qualcosa adatto a loro. Ma prima di questo, fu un certo Lupin III ad aprire gli occhi di Kawamori, un anime che si distaccava parecchio da quanto visto fino a quel momento. Lupin III è stata una grande fonte di ispirazione per il maestro, nonché la sua serie preferita. Ma Gundam fu la serie che cambiò tutto, avviando una transizione in cui Kawamori si trovò proprio nel mezzo.
E con l'imposizione delle mani sul cemento fresco si conclude questa tappa di Lucca del maestro Shoji Kawamori. In tutti i panel e persino durante la cerimonia del Walk of Fame, il sensei si è sempre mostrato disponibile verso il pubblico, sorridente e capace di scherzare su alcuni suoi momenti di vita. Non sono mancati siparietti comici, dalla sua imitazione di un aereo a quella di uno sciatore per spiegare la concezione del Valkyrie ma quello che rimarrà impresso è il suo saluto, preso direttamente da Macross e incastonato nel cemento per sempre (o quasi). Purtroppo nessuno accenno alla nuova serie su cui sta lavorando e in arrivo per il 2025 ma già così, è stato un onore e un privilegio poter osservare la mente dietro alcune delle opere più influenti del nostro tempo.
Shoji Kawamori è stato protagonista in tre panel differenti e con una mostra a lui dedicata al cosiddetto Japan Town e oggi, vi racconteremo tutto.
Tutto è partito il 30 ottobre, data che ha segnato il ritorno in Italia del designer dopo ben trent'anni. In questo panel, l'elemento interessante era la possibilità di fare delle domande direttamente al maestro, un'occasione più unica che rara per gli appassionati; e chi vi scrive lo sa bene. Sono state due le domande poste a Kawamori, la prima riguardo un argomento che stranamente, non era ancora stato tirato fuori: Armored Core. Questa serie videoludica deve tanto a Shoji Kawamori, non solo perché ne è stato mecha designer dagli inizi ma perché persino il nome del franchise è nato da una sua idea. Kawamori ha disegnato tutte le parti singole dei vari Armored Core, che ovviamente andavano messe assieme per formare un robot a tutto tondo.
La difficoltà nel formare un design omogeneo nonostante le diverse componenti ha avviato uno spunto interessante perché in un videogioco l'inquadratura più utilizzata è quella di spalle, un punto spesso trascurato nel disegno. Dunque, anche il retro del mecha andava studiato per bene, proprio perché per la maggior parte del tempo il giocatore avrebbe visto soltanto quello.
L'altra domanda non ha trovato risposta, più per la classica “educazione” giapponese che altro. Tra i designer occidentali non ci si fa particolari problemi a elogiare o criticare i lavori altrui, nutrendo anche una sana invidia per qualcosa di successo. Al Museo dell'Automobile di Torino ad esempio, i più grandi designer del settore sono protagonisti con la loro opera migliore ma soprattutto, con l'automobile che avrebbero voluto disegnare loro. Cosa che a quanto pare mette in imbarazzo il popolo del Sol Levante.
Al “c'è un mecha creato dai suoi colleghi che avrebbe voluto disegnare lei?” Kawamori ha sorriso imbarazzato, dicendo di non poter rispondere. Ma sappiamo tutti che la risposta ce l'ha, eccome. Prima delle nostre domande però c'è stato spazio per una vera intervista che ha passato in rassegna le sue origini come designer, gli inizi allo Studio NUE in cui, per mancanza di tempo sfruttava i vetri dei treni per poter disegnare tra un viaggio e l'altro. La vita del pendolare è dura, soprattutto per i più creativi.
Una piccola capatina è stata fatta anche in Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory, in cui il suo approccio alla progettazione si è dovuto scontrare con dei canoni ormai standardizzati, soprattutto nel campo dell'Universal Century del franchise. Come abbiamo visto per il design del VF-1 Valkyrie, Kawamori è alla ricerca del massimo realismo ed è curioso come anche nella variante del suo Gundam Zephyranthes si sia agito nello stesso modo. Con il Core Fighter portato all'esterno, si può sprigionare più potenza, rendendo il Mobile Suit decisamente più efficace. Motivi costruttivi insomma, come se queste macchine esistessero davvero: è questa forse l'unicità di Shoji Kawamori, trovare concretezza in qualcosa di puramente fantastico.
Questo vale per Macross, nel già citato Stardust Memory, in Escaflowne, in Aquarion, in Eureka Seven e così via. Pragmatismo, insomma, cosa che si intravede nell'idea che il Sensei si è fatto nell'utilizzo delle ultime tecnologie in campo anime, tra disegno puramente in digitale e l'intelligenza artificiale pronta a fagocitare qualunque cosa. Se è vero, a detta di Kawamori, che la produzione di nuovi prodotti sia decisamente più rapida, permettendone la creazione di nuovi (e quindi maggiore varietà), ci si scontra con una certa frettolosità di fondo e poca cura al dettaglio, cosa che può essere riassunta nel classico “quantità non fa rima con qualità”. Stranamente Kawamori non si è fatto problemi a criticare questo modo industriale di produrre nuovi anime, forse un po' nostalgico di un mondo in cui tutto il potere di creazione era affidato a un pezzo di legno con dentro della grafite. Ma il mondo va avanti, forse troppo velocemente; persino quanto raccontato in Macross Plus, ambientato in un futuro lontano è praticamente il nostro presente ed è da qui che le nuove leve devono compiere un balzo più difficile per imporsi in questo settore. Saper cogliere al meglio la realtà che ci circonda è il consiglio di Kawamori a chi vuole intraprendere questa faticosa carriera, possibile ampliando il proprio repertorio. Studiare e guardare tante opere diverse, per forma e funzione, può aiutare nell'intento, percepire una realtà fatta di movimento e relazioni. Insomma, tutto ciò che compone la natura umana.
Ma in tutto questo, il viaggio di Kawamori tra i panel di Lucca continua, e ci spostiamo al 1° novembre quando, intervistato da LRNZ, il sensei ha avuto modo di approfondire ancora meglio le sue attitudini e idee riguardo al design. Grazie alla collega Alessandra – ringraziatela – possiamo scendere in dettaglio, quello che probabilmente è stato il miglior panel dedicato al sensei.
Come sappiamo, i più grandi designer trovano ispirazione in ogni dove, dal mondo che li circonda e da elementi che ai più potrebbero risultare insignificanti. La sua passione per l'aerospazio si unisce anche a quello dell'automotive, con figure come Giugiaro e Gandini in grado di ispirarlo sin da piccolo grazie alle loro creazioni. L'Isuzu 117: parte tutto da qui, una vettura disegnata da Giugiaro per la casa giapponese e che ha la particolarità di avere un design molto diverso dalle auto giapponesi dell'epoca. È normale che un bambino, vedendo quelle linee così inusuali se ne innamori e la scoperta che anche un'altra vettura che lo colpì profondamente come la De Tomaso Mangusta portava la stessa firma, lo portò ad approfondire i dietro le quinte della progettazione. Possiamo dire in qualche modo, che c'è un bel po' di Italia nelle creazioni di Kawamori.
Ma come già intuito precedentemente, la natura gioca un ruolo fondamentale. La relazione che i giapponesi hanno con il mondo che li circonda li ha portati in strade diametralmente opposte rispetto l'occidente. Il design giapponese trova una sua realizzazione solo attraverso la natura, fatta di armonia, perfetta amalgama tra le parti e un rispetto totale per le proporzioni. Solo rapportandosi con essa è possibile trarre il meglio dalle proprie creazioni e anche Shoji Kawamori non è indifferente a questa filosofia. Come possibile intuire, le ali di uccelli e insetti sono gli elementi su cui Kawamori si è soffermato maggiormente, con focus sulla loro aerodinamicità. Ma anche il concetto di “trasformazione” deriva soprattutto dalla natura che ci circonda, con l'esempio cardine della farfalla: il concetto di evoluzione e di cambiamento, sono centrali nella filosofia del maestro.
Questa però può scontrarsi con l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, argomento già toccato nel panel precedente ma soprattutto in una delle sue opere più riuscite: Macross Plus. Il ruolo dell'IA nel mondo dell'animazione, del design e non solo è un argomento che tocca tutti, su cui il maestro sembra avere le idee molto chiare. Anche Kawamori (così come tutti i creativi del resto) ha cominciato a utilizzare questa nuova tecnologia, rimanendo colpito dal livello già raggiunto. Ma per quanto essa possa essere efficace nel replicare opere già esistenti o apportare qualche miglioramento, è ancora molto lontana da riuscire a restituire le emozioni che hanno dato vita all'opera stessa. L'IA è dunque uno strumento che può funzionare al meglio solo se riusciamo a colmare questa lacuna, con una consapevolezza di fondo che porti il creativo a esprimere al meglio sé stesso. Questo è un argomento centrale per Shoji Kawamori, tanto che uno dei lavori attuali riguarda proprio la creazione e l'allestimento del padiglione dedicato al rapporto tra l'uomo e l'intelligenza artificiale per l'Expo di Osaka 2025. Il designer è conscio che questa nuova tecnologia probabilmente toglierà posti di lavoro a molte persone ma nel campo dell'animazione ad esempio, è qualcosa che potrebbe risultare controproducente. Il “tocco” umano è fondamentale nel processo di creazione, altrimenti, assisteremo a prodotti prettamente industriali e per giunta noiosi.
Ci spostiamo al 3 novembre, l'ultimo panel del maestro Kawamori in quel di Lucca. Questo è stato un evento di fondamentale importanza, non solo perché il sensei disegnava dal vivo ma anche perché insignito della Walk of Fame, con le sue mani immerse nel cemento e tramandate ai posteri come altri grandi maestri prima e dopo di lui. Qui, oltre a ripercorrere nuovamente il passato del designer, si è fatto una capatina anche in un franchise completamente diverso ma che di Kawamori ne possiede l'idea. Kawamori ha infatti lavorato anche su una linea di giocatoli chiamata Diaclone, oggetti trasformabili da auto a robot e che diedero vita ai famosi Transformers. Divertito dalla possibilità di realizzare questo tipo di prodotti, occupandosi del loro design e stile, il lavoro su i vari Diaclone è stato il primo di questo tipo, all'età di diciannove anni. In qualche modo anche questa esperienza è stata fondamentale per Macross, visto che il capo della Takara (produttrice di questi articoli) possedeva un piccolo aereo con cui sorvolava Tokyo nel tempo libero. Questo aereo è stato una delle fonti di ispirazioni per Valkyrie e simili, dimostrando come ogni piccola esperienza possa portare a qualcosa di grande.
E a proposito di Macross, impossibile non chiedere anche del concept di Lynn Minmay, una dei protagonisti della serie. Se già il Valkyrie e in generale il mecha design risultava innovativo, la creazione di un mix tra musica e animazione era appena agli inizi, anche se Kawamori aveva questa idea da tempo, disegnato di nascosto durante l'università. Tutto nasce all'interno di un ristorante cinese, in cui il giovane Kawamori vide una ragazza vestita con abiti tradizionali cantare una canzone. Un peccato vederla cantare soltanto lì e visto che si doveva differenziare il prodotto (soprattutto rispetto a Gundam e Battleship Yamato) si pensò di sfruttare la cosa per creare lo shock culturale per i nemici (gli zentradi) che tutti conosciamo. Mettere assieme musica e guerra era dunque l'idea originaria, qualcosa che sposava un nuovo target, giovani e adulti, che finalmente avevano qualcosa adatto a loro. Ma prima di questo, fu un certo Lupin III ad aprire gli occhi di Kawamori, un anime che si distaccava parecchio da quanto visto fino a quel momento. Lupin III è stata una grande fonte di ispirazione per il maestro, nonché la sua serie preferita. Ma Gundam fu la serie che cambiò tutto, avviando una transizione in cui Kawamori si trovò proprio nel mezzo.
E con l'imposizione delle mani sul cemento fresco si conclude questa tappa di Lucca del maestro Shoji Kawamori. In tutti i panel e persino durante la cerimonia del Walk of Fame, il sensei si è sempre mostrato disponibile verso il pubblico, sorridente e capace di scherzare su alcuni suoi momenti di vita. Non sono mancati siparietti comici, dalla sua imitazione di un aereo a quella di uno sciatore per spiegare la concezione del Valkyrie ma quello che rimarrà impresso è il suo saluto, preso direttamente da Macross e incastonato nel cemento per sempre (o quasi). Purtroppo nessuno accenno alla nuova serie su cui sta lavorando e in arrivo per il 2025 ma già così, è stato un onore e un privilegio poter osservare la mente dietro alcune delle opere più influenti del nostro tempo.
si sa se Lucca Comics pubblicherà qualche contenuto video dato che solo loro hanno ripreso?
nei palinsesti delle loro dirette su twitch non ho visto nulla...
Ma grazie a te! Purtroppo sì, non abbiamo potuto riprendere nulla ed è stato un gran peccato, anche per darvi un feedback diretto dell'evento. Non so dirti se pubblicheranno qualcosa a riguardo ma spero di sì, anche per rivedere tutto con calma.
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