Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per oggi una rubrica all'insegna del mecha con Rahxephon, Gurren Lagann e Mobile Fighter G Gundam.

Per saperne di più continuate a leggere.


9.0/10
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<i>Se anche fosse, come potrebbe uno come me? Come posso cambiare una realtà confinata in uno spazio così ristretto?</i>
Con questi versi si apre 'Hemisphere', la sigla d'apertura di <i>RahXephon</i> serie d'animazione del 2002 realizzata dallo studio Bones. Le note di Yoko Kanno accompagnano il cantato cristallino di Maaya Sakamoto, che per l'occasione doppierà anche una delle protagoniste (Reika Mishima).
Il testo di questa canzone si rivela perfettamente in sincronia con quella che è la condizione iniziale di Ayato Kamina, diciassettenne di Tokyo nel cuore degli eventi della serie. La posizione del ragazzo richiama apertamente alla memoria ciò che una moltitudine di serie fantascientifiche passate avevano proposto, e a quanto pare non soltanto quella. Nelle situazioni stesse di alcuni episodi - soprattutto quelli iniziali - è a ragione individuabile una serie di corrispondenze con titoli come <i>Evangelion</i>, <i>Raideen</i> o <i>Megazone 23</i>, e tanti altri. Parlare di 'plagio' sarebbe tuttavia insensato e irrispettoso: <i>RahXephon</i> resta ad oggi un'opera sottovalutata e misconosciuta, per via di recriminazioni che non avrebbero motivo d'esistere.
Spacciare l'ispirazione per imitazione è un'abitudine abbastanza frequente, ma non rendere minima giustizia a un progetto di tale portata sarebbe un'ingiustificata scorrettezza.
Qualsiasi elemento della mastodontica trama che ci è proposta è innestato con ragioni e fini ben precisi in un meccanismo che, a prescindere da influenze esterne di forma esclusivamente iconica, non appartiene ad altri che a <i>RahXephon</i>: un'opera che splende quindi di luce propria, capace di adombrare ogni superficiale affinità con altri titoli.
Chiunque pensi alla serie in questione come nient'altro che l'ennesima accozzaglia di intrallazzi politico-fantascientifici conditi con mecha e con digressioni su discipline di ogni sorta, si renda conto di trovarsi completamente fuori strada.

<i>RahXephon</i> è ben più di una perfetta sintesi di richiami alla sfera musicale, al Surrealismo, alla letteratura vittoriana e pseudoscientifica, alla mitologia mesoamericana e nipponica, inseriti in un dettagliato e complesso intreccio narrativo plurimillenario. E' ben più di un raffinato esempio di come palesare le potenzialità di una sceneggiatura intricata e intrigante, di un regista (Izubuchi) ispiratissimo e di una produzione tecnica di indubbia qualità. <i>RahXephon</i> è fondamentalmente una meravigliosa storia d'amore, così come una dimostrazione fantastica dell'impossibilità di porvi barriere, che siano esse temporali, razziali, spaziali. Il sentimento capace non soltanto di cambiare il mondo, ma di 'riaccordarlo' in un'armonia ideale per tutti gli esseri viventi, non può essere altro che quello d'amore. Il tema amoroso costituisce a tutti gli effetti il 'vero' fulcro delle vicende di <i>RahXephon</i> - a differenza del tema 'musicale', nient'altro che figurativo, denotante, d'abbellimento - ed è spesso confrontabile nei differenti generi di relazione attribuiti ai vari personaggi. Questi ultimi meritano un'attenzione particolare, non solo per via dell'esemplare caratterizzazione introspettiva - qui mi sento di menzionare <i>Evangelion</i> - ma anche in proposito a un'adeguata comprensione delle vicende: guai a trascurare l'importanza dei dialoghi, anche i più effimeri - su tutte, le frasi-rompicapo di Quon - poiché ricchi di suggerimenti e parole-chiave da 'scovare' al fine di ricomporre il filo narrativo.

A dire la verità, è impresa vana quella di immedesimarsi lucidamente nelle circostanze narrate, quantomeno di tracciare una genealogia dei personaggi, se non dal nono episodio in poi.
Per tal ragione risulta molto più agevole un altro tipo d’immedesimazione, ovvero quella in Ayato Kamina, che è all'oscuro di tutto per gran parte della sua avventura. La vita dell'adolescente verrà d'improvviso scompigliata da una serie di fatti relativamente inspiegabili: tutto inizierà con l'attacco di aerei da caccia sconosciuti ai danni della capitale. La controffensiva non si farà attendere, e sarà attuata per mano dei Dolem, giganteschi mecha d'argilla in grado di scagliare potenti 'attacchi sonori' con il proprio canto. Con la città in assetto da guerra, Kamina tenterà la fuga in cerca di riparo, ma nel frattempo s'imbatterà in tre incontri inattesi, dai quali scaturiranno le sue prime grandi perplessità, riguardanti il mondo e le persone che lo circondano, e poi, la sua stessa esistenza...
Innegabilmente, chiunque abbia intenzione di guardare <i>RahXephon</i>, dovrà fare i conti in primo luogo con la complessità della trama, fondata più che altro sui retroscena, quindi difficile da apprezzare completamente se non a una seconda visione o con l'aiuto di una documentazione appropriata. Nondimeno, una volta colte tutte le sfumature di quest'anime, non si faticherà a esserne rapiti e infine a considerarlo un'opera d'arte nella sua interezza.

Riassumendone i pro, vi sono: animazioni di prim'ordine con ottimo impiego di CG; character e mecha design eleganti ed ispirati; colorazione particolare e allusiva; regia matura; colonna sonora toccante e avvolgente; personaggi memorabili; trama di ampio respiro; epilogo; splendido messaggio di fondo.
Per quanto riguarda i contro: poche agevolazioni all'immediata comprensione; troppe influenze di cui farsi carico.



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Spettacolarizzazione e "fracassonate" a più non posso: ecco in poche parole gli attributi di Gurren Lagann. Entrambe le caratteristiche, in effetti, danno la giusta linfa al titolo, ma la contropartita negativa si fa sentire non poco, evidenziando delle tare non trascurabili nella struttura narrativa.
La Gainax si cimenta nell'esplorazione della parodia di un genere che ha fatto la storia, il mecha, sondandone le potenzialità visive, e stroncandone allo stesso tempo, con una bella dose di kitsch, gli elementi che avevano reso i prodotti dei miti. È indiscutibile che la vena dissacratoria sia ciò che dà carattere alla prima parte della serie, che, nonostante il crescente numero di comparse - che in seguito diventerà eccessivo -, mostra un'ilarità e una leggerezza che scompariranno in seguito, lasciando spazio alla retorica tronfia e vanagloriosa degli eroi della brigata Dai Gurren.

Le manie di protagonismo di Kamina, al limite dell'esagerazione caricaturale, avevano dato una fisionomia particolare all'anime. Ma questa caratteristica si andrà perdendo con la volontà del titolo di mettere tra parentesi il parossismo fine a se stesso per trattare finalmente "una storia per come si deve".
Vero è che la fisionomia caratteriale degli scagnozzi di Lord Genom è quanto di più ridicolo si possa concepire sulla polverizzazione di qualsivoglia briciolo di orgoglio. Lord Genom stesso, a più riprese, sarà l'emblema della dissacrazione del <i>topos</i> del nemico affascinante e misterioso, vittima di una parabola involutiva davvero imbarazzante.
Purtroppo i buchi di sceneggiatura del secondo blocco di episodi non si possono tacere: ci si alterna tra uno schizofrenico Rossiu che si atteggia a uomo di stato e i vaneggiamenti sulla vera essenza di Nia.
Il difetto peggiore sta nelle spiegazioni di certi fenomeni che - tanto per restare in tema - non stanno né in cielo né in terra. Meglio stendere un velo pietoso su cosa ci si inventa per potere rendere plausibile l'esistenza del mare nello spazio. Il problema di queste argomentazioni fisiche non sta tanto nella loro completa inaccettabilità, ma nel fatto che esse vengano proposte con quella saccenteria da scienziati puntualmente smentita da apocalissi inconcepibili - si pensi alla Luna trainata dall'astronave (!).

Tirando le somme non è problematico ammettere che Gurren Lagann abbia perso di vista il suo iniziale obiettivo: quello di trattare con brio temi che potevano anche essere impegnativi. Se si fosse mantenuta tale tendenza forse il risultato sarebbe stato migliore. A conti fatti invece lo spettatore si ritrova con una serie composta da due metà quasi irriconoscibili tra loro. Vi è una prima metà molto frizzante, ilare e piacevolmente fracassona, seppure con delle pecche relative al lato tecnico, ma concentrate su pochi episodi. A essa si contrappone una seconda metà completamente dominata da una sceneggiatura puerile, incastonata su una notevole armatura di effetti speciali di grande respiro e da suggestive quanto improbabili ambientazioni.
Certo, le citazioni alle produzioni animate del genere mecha sono impressionanti per numero - lode a coloro che le hanno concepite e alla loro cultura otaku -, per non parlare dei riferimenti palesemente parodistici a "Capitan Harlock" e alla stessa Arcadia, costante filo rosso di tutta la serie, spudorate nella loro continua ridondanza.

In conclusione "Sfondamento dei Cieli Gurren Lagann" si potrebbe ben ritenere uno spettacolare inno al cattivo gusto. La sufficienza premia gli intenti, ma punisce quell'aspirazione a fare la differenza che, invece, fa deragliare "Sfondamento dei Cieli Gurren Lagann" dai binari pur tuttavia originali dell'esagerazione parodistica.



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Anno 60 del Future Century: come ogni quattro anni, è ora che si svolga il Gundam Fight, il torneo di arti marziali fra Gundam che designerà quale colonia spaziale ha il diritto di governare su tutte le altre fino alla prossima manifestazione. Prima che l'evento abbia inizio, Domon Kasshu, rappresentante di Neo Japan e pilota dello Shining Gundam, insieme al suo meccanico di fiducia, la bella Rain, viaggia da un luogo all'altro della Terra affrontando tutti Gundam Fighter in via preliminare, chiedendo a ciascuno di loro se hanno visto da qualche parte suo fratello Kyoji, verso cui nutre un odio smisurato...

Non è difficile immaginare le difficoltà incontrate da Sunrise e Bandai nell'impostare una nuova incarnazione televisiva di Gundam dopo Victory, serie televisiva tanto autoriale nella direzione quanto debolissima narrativamente, sfiancante nella sua svogliata riproposizione di tutti gli stereotipi della saga. Il creatore del franchise, Yoshiyuki Tomino, a metà anni '90 prova per lui solo odio, costretto a dirigere seguiti su seguiti, per clausole contrattuali, che fosse per lui non sarebbero mai esistiti, e non ha remore a farlo notare ribadendo all'infinito sempre le stesse cose, guerre d'indipendenza spazionoidi, Newtype, colonie che si abbattono sulla Terra, cloni di Amuro Ray, Char Aznable e Haman Karn... Giunge finalmente il tempo di svecchiare dal logorìo la saga prima di un periodo di eccessiva stagnazione. Con molto coraggio, lo studio mette la parola Fine alle serie tv ambientate nell'Era Spaziale inaugurando il periodo degli Alternate Universe, gli universi alternativi in cui ambientare storie autonome, meno tradizionaliste e aperte a target maggiori o addirittura diversi da quelli storici. Il primo titolo della nuova "gestione" si concretizza nel 1994, in contemporanea col 35esimo anniversario della nascita del marchio, in G Gundam: primo Gundam televisivo non diretto da Tomino, primo Gundam totalmente e orgogliosamente Super Robot, e primo Gundam a spaccare a metà il pubblico, amato per la freschezza e originalità (tanto da assurgere a una delle serie più popolari del decennio), odiato visceralmente dai fan ortodossi per le sue "eresie".

Dalla sinossi è ben chiara l'influenza principale di Yasuhiro Imagawa nel creare G Gundam: lo Street Fighter II videoludico, da cui riprende l'idea dell'eroe giapponese, esperto di arti marziali, che viaggia da un Paese all'altro per affrontare i più forti lottatori, plasmati sui più noti stereotipi internazionali (l'italiano mafioso, il francese tombeur de femmes, il russo "orso" etc). Dal capolavoro CAPCOM l'idea generale, dal Dragon Ball di Akira Toriyama il torneo di arti marziali: dall'unione dei due G Gundam unisce il meglio, presentandosi come un titolo sicuramente spiazzante nella saga, "eretico" per davvero nel rinnegare come mai prima d'ora lo spirito Real Robot che l'ha sempre contraddistinta, ma indubbiamente riuscito in tutte le sue componenti e ambizioni, ignominiosamente sepolto dalle tonnellate di fango spalategli contro dagli appassionati "talebani" del franchise, incapaci di farsi una ragione di una storia priva di guerre e Newtype.

Grande appassionato di cinema e del genere wuxia, già ben dimostrati nella fantasmagorica serie OVA di Giant Robot che lo ha reso famoso in quegli anni, Imagawa ripete il bis in G Gundam sbizzarrendosi in combattimenti estremamente creativi: uomo contro uomo, macchina contro macchina, addirittura uomo contro macchina... Dando libero sfogo alla fantasia, il regista inventa stili di combattimento e arti marziali tanto assurde quanto geniali: raffiche di pugni infuocati, fasci di seta serpentiformi, salti lunghi km, acrobazie impossibili e calci in grado di spaccare montagne sono punti di forza di una serie che non si vuole minimamente prendere sul serio, estremamente compiaciuta nel suo parodiare Gundam nell'ottica di una storia action grondante stile e ingegno, un inno alla sboronia, allo sfogo dell'aggressività e al cameratismo virile che lega i lottatori (indimenticabile il potentissimo Master Asia, maestro di Domon, destinato a diventare uno dei personaggi gundamici più popolari di sempre). Nonostante un'indubbia ripetitività delle situazioni, date da moltissimi episodi autoconclusivi che dicono sempre le stesse cose (mini-avventura di Domon in un Paese del mondo che culmina nel combattimento col Gundam Fighter, e la sua amicizia con un gruppo di combattenti destinato a riaffrontare più e più volte secondo schema prefissato), la serie gronda un carisma pressoché assoluto che fa digerire tutto, colmo di elementi di esaltazione.

La storia portante, semplicistica e indubbiamente ridicola, si compone di svariate sottotrame importanti capaci di diversificare l'azione, compresa quella principale (il fratello di Kyoji, il Devil Gundam etc) destinata, a un certo punto, addirittura a rimpiazzarla nell'ottica di qualcosa di più grande. La serie si fa poi portavoce di un nugolo di idee e sviluppi capaci di compiacere ogni target: oltre alle mazzate non mancano sensibili storie d'amore, melodramma da romanzo d'appendice o lottatori dai look assurdi o che celano la propria identità dietro una maschera, come da tipica tradizione gundamica... E che dire poi delle unità robotiche? Ognuno dei numerosi Gundam presenta tratti distintivi del proprio Paese, sono quindi di regola Gundam-tori da Neo Spain, Gundam-sirene da Neo Denmark o Gundam-mulino a vento di Neo Holland! Questa fantasiosa varietà, tanto causa di mal di stomaco per i puristi dell'Era Spaziale, è anche il punto forte della produzione, capaci sia di esprimere i fenomeni da baraccone sopra citati, ma anche Gundam tra i più spettacolari, potenti e irresistibili (il Master Gundam che cavalca un mecha-cavallo!). Liberi dai rigidi paletti in materia di verosimiglianza, i mecha designer Sunrise si divertono un mondo a sperimentare, col risultato di un piccolo e ben diversificato esercito di ben 48 unità gundamiche, pronte a fare la felicità di chi adora il caratteristico look del più famoso e incazzato robot bianco. Varietà, fantasia, divertimento: queste le parole chiave che determinano il "percorrere nuove strade" ordinato dai vertici Sunrise, e non si può negare che non manchino in una serie fracassona come G Gundam. E come se già non bastasse tutto questo, si può citare come il carisma di esprima anche in irresistibili motivetti musicali durante gli scontri, da una grande prova vocale da parte dei seiyuu, dall'idea che i Gundam replichino le mosse di arti marziali dei piloti (sullo stile di General Daimos) posti dentro un atrio al loro interno, o da spettacolari rituali ripetuti a ogni episodio (quando Domon entra in "sincronia" col suo Shining Gundam, o l'uso di certe mosse spettacolari per chiudere ogni match). Attraenti gli spigolosi disegni di Hiroshi Osaka (che più Nineties di così si muore), nonostante palesemente modaioli e fighettosi rispetto ai classici stili sobri delle serie televisive gundamiche.

G Gundam sembra fare proprio di tutto per rivendicare la sua indipendenza dalla serie madre e in questo risiede la sua bontà, rivelandosi un divertente, fracassone e ignorante "shounen" che, oltre agli stereotipi, comprimari fatti con lo stampino e leggerezze a non finire, sa rivelarsi appassionante e autoriale. L'eroe Domon è tamarro quanto basta per attirare subito simpatia, e le sue avventure, per quanto scontate, sanno ben intrattenere grazie alla cura negli elementi di contorno. È merito anche della buona sceneggiatura del veterano Fuyunori Gobu, che, seppur eccessivamente infarcita di riempitivi, costruisce con notevole cura, episodio dopo episodio, una grande curiosità verso i misteri della storia. Nodi che vengono puntualmente al pettine nell'ultimo arco narrativo della serie, un susseguirsi di puntate di ottimo livello che, nelle fasi finali, confluiscono in diversi climax magistrali. Un ispirato Imagawa dirige con la sua classe registica di alto livello, sopperendo ai vistosi limiti di un budget insolitamente medio-basso e arrivando a regalare, nel finale, diverse sequenze di forte impatto emotivo.

Indubbiamente una buona decina (ma anche ventina) di riempitivi si potevano evitare senza ripercussioni sulla storia e questo è un dato di fatto, ma nel complesso G Gundam va bene così com'è: la sua natura spiccatamente "ignorante" palesa subito le ambizioni del prodotto, che va inteso unicamente come divertissement di classe, nato con l'unico scopo dichiarato, e riuscito, di commemorare il marchio. Nel suo genere è un'opera riuscita, spesso avvincente e talvolta favolosa, che rimane alla memoria per le sue musiche, il protagonista e i piccoli, grandi momenti registici di cui vive. L'idea di un torneo Tenkaichi tra robot, poi, sicuramente originale, farà una certa scuola, ispirando due remake nell'arco di vent'anni, entrambi high budget: Apo Mekhanes Theos Gigantic Formula (2007, Brain's Base) e specialmente, in tempi recentissimi (2013), Gundam Build Fighters sempre di Sunrise, paradossalmente amatissimo dagli stessi fan che hanno osteggiato G Gundam.

Tirando le somme, G è un buonissimo AU che merita la visione, sia dai fan storici che dalle nuove leve, esattamente come quelle del 1994 a cui era originariamente rivolto. Il primo tentativo di rilanciare la saga riesce bene, peccato che molti dei successivi tentativi culmineranno in colossali e, ahimè, indimenticabili fallimenti.

Voto 7,5 approssimato per eccesso a 8.