Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Appuntamento conclusivo per il Ciclo Olimpico. È il turno di Mila e Shiro, Rocky Joe, Tommy - La stella dei Giants e Kuroko no Basuke.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



7.0/10
-

Scoprire che sono passati circa ventotto anni dalla nascita di "Mila e Shiro" mi ha davvero sorpreso. Ho ritenuto questo titolo uno dei migliori in assoluto nel variegato panorama sportivo, e assieme al leggendario "Holly e Benji" mi ha preso come nessun altro.
Come tante mie amiche mi fanno notare tutt’oggi, la bellezza di questo prodotto risiede sicuramente in alcuni elementi classici portanti di quasi tutte le serie ispirate a competizioni sportive di quel periodo: l’amicizia e la rivalità con le compagne di squadra, l’amore adolescenziale turbolento e mai chiaro, la difficoltà di gestire impegni scolastici e vita “da atleta”, nonché un allenatore burbero e spaventoso sommato a un fratellino pestifero da sopportare.
Forse i pareri più interessanti che ho mai ascoltato riguardo "Mila e Shiro" sono giunti dalle ragazze proprio perché questo fu un anime ideato e creato, parlando di target, apposta per le adolescenti. Così come tanti altri anime degli anni Ottanta, la parte prettamente tecnica inerente allo sport in questione, la pallavolo per l’appunto, risultò alterata e inverosimile, con le classiche palle ovalizzate dall’improponibile e per niente credibile potenza dei colpi inferti dalle giocatrici, per non parlare dei colpi segreti stile videogioco, dove i palloni scomparivano improvvisamente o si triplicavano grazie a effetti ottici degni di un prestigiatore all’avanguardia.

Sicuramente quest’aspetto “fenomenale” e incredibile dell’anime ha divertito tutti noi per l’intera saga, ma non è solo questo che gli autori hanno voluto mostrare: parlando proprio della protagonista, Mila, si può da subito delineare l’intenzione da parte degli sceneggiatori di dipingere un personaggio poliedrico e molto umano, pieno di difetti, una ragazza maschiaccio, imbranata con i ragazzi e generosa, talvolta egoista e nervosa, istintiva e immatura. Insomma, una perfetta adolescente con un amore sconfinato per la competizione e la pallavolo, padrona di una grinta e di una determinazione senza pari.
Forse il bello di tutto l’anime è proprio il carattere di Mila, che riuscirà con l’evolversi degli eventi, a farsi amiche anche le sue dirette rivali all’interno della squadra dove gioca, come Nami; poi addirittura a farsi (quasi) ben volere dal loro primo, rigido e tremendo allenatore, un uomo inflessibile, all’antica, una vera e propria mente da dittatore.

Tecnicamente parlando, siamo di fronte a un prodotto nella media, causa la lunga durata (54 episodi), e con un chara design semplice ma diretto. Con grande probabilità, ciò che al tempo mi colpì più di tutto fu la colonna sonora, incalzante, schietta e senza mezzi termini, assolutamente entusiasmante. Bella anche la sigla d’apertura cantata dall’eterna Cristina d’Avena, che tutt’oggi mi suscita bellissimi ricordi.
Probabilmente "Mila e Shiro" non è stato uno degli anime da me preferiti, ma l’ho saputo apprezzare sotto vari aspetti, emozionandomi e divertendomi come poche altre volte. Ad ogni modo, è uno dei capisaldi giunti in Italia durante i mitici anni Ottanta, che fra i tanti prodotti del filone sportivo ha spiccato per qualità in tutti i suoi settori.



-

Non se la prendano a male i fan di quest'anime ma, purtroppo, "Rocky Joe" si chiama Joe Yabuki. Quel “Rocky” che fa tanto pugile è stato aggiunto dai traduttori italiani nel 1982, anno in cui la serie approda in Italia. L’italianizzazione è scelta in base alla mania del momento: Rocky Balboa, e dubito fortemente che sia un omaggio a Rocky Marciano o Rocky Graziano (famosi pugili italo-americani degli anni '30/'40) come qualcuno sostiene.
"Ashita no Joe" (Joe del domani) nasce nel 1968, partorito dalla mente di Asao Takamori e disegnato da Tetsuya Chiba, che lavorò successivamente a “Io sono Teppei!”. Diventa un anime di due serie, la prima del 1971, la seconda del 1980, acquistate poi in blocco da Fininvest nel '82.
"Rocky Joe" è una storia cruda, difficile da digerire e figlia dei suoi tempi ("L’uomo tigre", "Judo boy"), che ha come protagonista un ragazzo sbandato delle immense periferie di un’anonima città giapponese (forse Tokyo), fuggito dall’orfanotrofio e capace solo di violenza e menzogne. Joe è l’antitesi dell’eroe. Gretto, meschino, falso, violento, ci regala un quadro vivido e veritiero di quello che fu il disagio costante delle periferie giapponesi negli anni del boom economico.

In strada Joe incontrerà Danpei, un vecchio pugile ora barbone e alcolista, con il quale si scontrerà. Danpei rimarrà impressionato dalla ferocia inaudita di Joe e deciderà di allenarlo per trasformarlo in un professionista. All’inizio il ragazzo sarà restio e sfuggirà alle proposte del vecchio pugile, poi cambierà idea, pensando di sfruttarlo per avere vitto e alloggio. L’insofferenza che Joe nutre verso il prossimo è ben delineata e il suo carattere, che si evolverà durante la serie, senza mai però diventare “buono”, è ben caratterizzato. Joe rappresenta un’intera generazione di sbandati, pronti a tutto pur di emergere in qualche modo dai bassifondi nipponici. Uno scorcio di Giappone che molti di noi occidentali ignorano, abituati come siamo allo stereotipo del giapponese composto e ben educato. La violenza che permea l’intera opera la fa da padrona in questo scenario per niente idilliaco, in cui Joe è il centro vorticoso di un gorgo fatto di menzogne, rabbia e solitudine. Abbandonato sin da piccolo, abituato a badare a se stesso, Joe non si fida di nessuno e tende a sfruttare le persone a proprio vantaggio. Questo tipo di “eroe” è davvero raro nelle serie animate. Bisognerà aspettare il nuovo millennio per vedere di nuovo questa fetta di umanità rappresentata nelle opere nipponiche, dopo 20 anni di eroi positivi, leali e sinceri. Quello che è più importante è che Joe non è affatto fiero di sé, né dei suoi gesti né della sua vita. Non è uno spavaldo avventuriero, ciò che fa agli altri è una semplice manifestazione dell’odio che nutre anche per se stesso. Completamente incapace di provare amore e comprensione, arriverà, con l’evolversi degli eventi, a compiere atti abbietti, provando un rimorso umano, che tenterà di soffocare dietro la sua immagine da duro.

Un difetto è però da riscontrare nella produzione. Spesso infatti il proselitismo la fa da padrone. I dialoghi sono centrati su un ricircolo di moralità di difficile comprensione, non perché il concetto in sé sfugga, ma perché essi non portano a nessuna conclusione concreta. Che questa sia una scelta di Takamori, il che è probabile data la moda dei primi anni '70, di far pensare un po’ troppo i protagonisti degli anime, anche quelli come Joe, che tanto svegli poi non sono, o che sia un'interpretazione dei traduttori italiani, spesso comunque i pensieri di Joe paiono prolissi, campati per aria, dettati da un narratore che sicuramente, non può trovarsi nella testa del nostro pugile.
Il disegno è ben confezionato. Si parla dei primi anni '70, ed è completamente allineato alla produzione del periodo. Il colore però appare scuro, come incupito dall’ombra di una coscienza che Joe vuole in tutti i modi zittire. Belli i paesaggi, rappresentano un chiaro scorcio di un Giappone che cresce, spesso però a scapito della popolazione più indigente. Assente è la luce.
"Rocky Joe" è un anime non adatto a tutti. Difficile da comprendere e digerire, è impossibile spesso immedesimarsi nel personaggio o condividerne le scelte. Tuttavia questo è solo un nostro vizio, una storia per essere bella non deve per forza trascinarci al suo interno, possiamo anche osservarla come semplici spettatori, prenderne atto, e lasciarci coinvolgere non dai personaggi, ma dalla storia stessa. Un anime che mi ha sicuramente segnato, fatto riflettere e commosso, oltre ogni limite, oltre quel confine del cuore che spesso, molte opere, seppure ben realizzate, non riescono a valicare. Nove.



-

Impegno, disciplina, sacrificio.

"Kyojin no Hoshi", da noi conosciuto con il titolo "Tommy la stella dei Giants", è un fiero rappresentante del genere spokon ("tenacia sportiva"), ovvero quei manga sportivi in voga principalmente tra gli anni '60 e '70, narranti storie di ragazzini atleti che portano all'estremo il loro spirito agonistico.

A causa di un infortunio alla spalla, Arthur Young è costretto nel 1948 a rinunciare a una promettente carriera nel baseball. Scaricherà così anni dopo sul figlio Tommy, ancora bambino, i suoi sogni mancati sottoponendolo ad allenamenti massacranti di vario genere, imbracature di molle e ferro per muscoli comprese.
Tommy ormai adolescente entra nel liceo Sinclair, conosce colui che diverrà il suo migliore amico e fidato ricevitore, Charlie, e insieme tenteranno la lunga scalata verso il Kōshien. In seguito al torneo Tommy entra a far parte dei Giants e, con lo scopo di sconfiggere i temuti rivali Hashin Tigers, inventerà una serie di super lanci.

Assurdo, come giusto che sia, "Tommy la stella dei Giants" è una carovana di personaggi egoisti che pur di vincere ricorrono a ogni mezzo, alla faccia dello spirito sportivo. In pieno stile giapponese post-bellico, in Tommy, ancora più che in altri anime, si avverte una voglia di riscatto e di ossessione nell'abbattere l'avversario in una partita come fosse il nemico di una vita, rendendo così i personaggi schiavi di questo sport: distruggere o venire distrutti.

La famiglia di Tommy è povera e per le strade non passa una sola automobile. A metà tra il degrado del dopoguerra e la ricostruzione, il Giappone visto in Tommy la stella dei Giants è un Giappone totalmente diverso da quello del boom economico degli anni '80 al quale siamo abituati. L'autore Ikki Kajiwara/Asao Takamori affronerà questo tema anche, e soprattutto, nei celebri "Tiger Mask" e "Ashita no Joe".

La prima serie conta ben 182 episodi; tecnicamente essa si difende bene per la sua età e ancora oggi risulta godibile. Allo spettatore odierno potrebbe apparire alquanto strano che i personaggi dell'anime, in particolare Tommy, esprimano apertamente i loro sentimenti con le parole (tipo "sono amareggiato", "sono felice" con lacrime agli occhi o cose simili), ma tutto in Tommy deve essere enfatizzato; tipica di questo genere, per esempio, la scena al tramonto con un enorme e irrealistico sole rosso che occupa tutto l'orizzonte.
Se si accetta questo spirito, la trama risulterà avvincente come poche, tra partite che durano ore e una serie di lanci impossibili. I personaggi femminili, come di consueto per questo genere, vengono quasi del tutto messi da parte: "Tommy la stella dei Giants" è maschio dal primo all'ultimo episodio.

Da noi la serie giunge su Italia7 e su varie tv locali, con il solito rimaneggiamento di nomi da giapponese a inglese inventati sul momento, ma, tutto sommato, di dialoghi e adattamento non ci possiamo lamentare, oggi è possibile procurarselo in DVD da Yamato Video e nel momento in cui scrivo la recensione sta andando in onda sul canale satellitare Man-Ga!.

Per concludere, pur con i suoi difetti, Tommy è a suo modo una serie storica, quasi un manuale per i Giapponesi e i mangaka che vogliono avvicinarsi a questo genere; per noi italiani invece è un innocuo (salvo tentativi di imitazione nella vita reale dei super lanci) divertimento pre-serale sulle tv locali.
Seguono una seconda serie gradevole, ma non all'altezza della prima, e una terza disastrosa, oltre che introvabile.



-

"Il basket di Kuroko"; titolo azzecchato in quanto nessun altro sarebbe in grado di giocarlo! Allontanerei pertanto immediatamente da quest'anime chiunque sia appassionato dello sport in questione a tal punto da non riuscire a sopportare la "fantascientifica" versione che qui ne viene data.
La vicenda infatti si incentra su un ragazzo, Kuroko appunto, che ha l'abilità di cancellare la propria presenza impedendo così agli avversari di percepirlo sul campo da gioco, così da consentirgli di fare magici passaggi e incredibili intercettazioni. E quando dico 'cancellare la propria presenza', intendo dire che risulta davvero invisibile.
E Kuroko non è certo l'unico ad avere abilità fuori dal comune; vi è chi salta incredibilmente, chi segna con una precisione del 100% da ogni luogo del campo, chi ha una visione perfetta del gioco come se avesse un terzo occhio in cielo e chi più ne ha più ne metta.
La trama presenta come antefatto una scuola media, la cui squadra era talmente forte da aver vinto il campionato per tre anni di fila senza trovare avversari degni di nota. Al momento del passaggio al liceo tutti i componenti della "generazione dei miracoli" finiscono con l'iscriversi a scuole differenti e così anche Kuroko, che pur non compare, proprio per la sua abilità tra l'altro, tra i nomi dei titolari, finisce per separarsi dai suoi vecchi compagni di squadra. Nella nuova scuola si iscriverà al club di basket, dove oltre a conoscere quello che diviene il coprotagonista della vicenda, Kagami, un portento tornato in Giappone dagli USA, tenterà di battere ogni membro della generazione dei miracoli grazie ai nuovi compagni, e a un ritrovato amore per il basket che aveva perduto durante le scuole medie a causa della mentalità della vecchia squadra incentrata unicamente sulla vittoria.

Punti di forza: graficamente la serie risulta piacevole, non ci sono praticamente ripetizioni di sequenze già viste, cosa abbastanza comune nel genere sportivo. I personaggi, pur restando un minimo stereotipati, appaiono vari e divertenti. Altro punto di forza, ma mi rendo conto che questo sia molto soggettivo, risiede nel fatto che non si sia ricorsi alle solite figure dei bulli scontrosi, molto utilizzati in quest'ambito, ad esempio tanto per citare alcuni dei più famosi, "Slam Dunk" e "Rookies".
Infine, se si riesce a sorvolare su quanto inverosimile sia il basket presentato in quest'anime, gli espedienti trovati per risolvere le partite ed entusiasmare lo spettatore risultano abbastanza ingegnosi.

Punti deboli: come già ripetuto più e più volte, il vero punto debole di quest'anime sta proprio nella ricerca di un'eccessiva spettacolarizzazione, che potrebbe, agli occhi dei più fedeli, risultare incredibilmente assurda. Con la traduzione poi si perde qualche risata a causa dei giochi di parole composti da un personaggio, che risultano intraducibili, ma nulla per cui perdere il sonno.

In conclusione, "Kuroko no Basket" è un anime divertente che di sicuro potrà piacere a coloro che non siano eccessivamente pignoli e amino il genere sportivo. Forse un 7 potrebbe risultare un po' troppo alto come voto, ma voglio ugualmente favorire quest'anime tenendo conto di come sia da un lato molto difficile creare un intreccio interessante avendo come tema a cui attenersi uno sport, dall'altro anche di come sia complicato creare a maggior ragione qualcosa di apprezzabile su una materia nella quale si sono visti anime che hanno avuto un incredibile successo, come il sopracitato "Slum Dunk". Ci tengo a precisare che non sarebbe mia abitudine recensire un anime non ancora terminato, ma superata la metà dubito seriamente che lo stile possa cambiare sensibilmente così come la caratterizzazione dei personaggi.
Buona visione!