Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi scendiamo tutti in campo con qualche titolo di natura sportiva: gli anime Initial D e L'uomo tigre ed il manga Nine.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


7.0/10
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Partiamo con un presupposto: sebbene lo street racing non sia considerato un sport, tecnicamente - e qua saprò di ricevere segni di disappunto da molti - io considero questo anime uno spokon.
Iniziamo. Uno spokon è completo quando riesce a trasportare il lettore/spettatore nella sua dimensione, quando riesce ad appassionarlo a qualcosa che lui non ha mai sentito nominare, o meglio ancora, a qualcosa che lo spettatore conosceva già ma che fino a quel momento snobbava, facendogli rivalutare il suddetto sport accompagnandolo secondo la visione dell'autore. Mi spiego meglio: quanti di voi, anche i meno dotati atleticamente, hanno sentito un forte impulso di giocare a basket dopo avere visto "Slam Dunk", o di disputare un match di football americano dopo avere letto "Eyeshield 21" o ancora di volere sfidare il primo passante a Go dopo l'ennesimo numero di "Hikaru no Go"? A me è successo, per questo motivo le reputo delle opere fantastiche e uniche nel loro genere.
Ma "Initial D" non è riuscito in questo intento, purtroppo.

Per fare un esempio, quando leggi un giallo, non devi essere un appassionato di cronaca nera, uno non legge Conan Doyle e Agatha Christie perché freme dalla voglia di leggere una minuziosa descrizione del corpo pallido e sporco di sangue della malcapitata vittima, lo legge perché interessato dagli intrecci narrativi e dal mistero, ma "Initial D" non può trasportare tutto il suo peso basandosi sullo svolgimento della trama, deve coinvolgerti.
Uno dei punti di forza di "Initial D" viene mostrato per la prima volta nel terzo episodio, le atmosfere notturne che vengono ricreate difatti sono molto coinvolgenti e ben rappresentate.

La grafica è invecchiata molto male, per non parlare delle sessioni in computer grafica degne della PlayStation 1, a cui tuttavia ci si abitua dopo qualche episodio. La soundtrack, che ho scoperto riconducibile al genere eurobeat e che sinceramente a me sembra la versione raffinata delle "musiche da baraccone", svolge benissimo il suo ruolo, inoltre ogni puntata porta con sé una nuova traccia sempre di buon livello, a memoria non ricordo di avere mai sentito un pezzo "insufficiente". Tra le pecche invece rientra la caratterizzazione del protagonista, difatti, per quanto la scelta di rendere la sua mente impenetrabile allo spettatore possa essere condivisibile, il fatto che cambi completamente comportamento nei confronti dello street racing nel giro di una singola puntata è quantomeno improbabile, avrei preferito fossero state inserite ulteriori sfumature, invece di passare dal bianco al nero.
Concludendo questa veloce recensione, in generale l'opera è godibile e ha un suo personale stile, ma alla ventesima puntata circa l'interesse comincia a venire meno e tutto diventerà molto più difficoltoso. Continuerò con la visione della seconda stagione sperando sia migliore di questa.



6.0/10
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Come si può intuire dal titolo, "Nine" è uno slice of life scolastico sul baseball, ambientazione molto cara ad Adachi. Katsuya, il protagonista, decide di entrare a far parte del club di baseball dopo aver visto piangere la manager, perché convinto di dover fare la sua parte per risollevare l'umore della ragazza. Come suo solito l'autore ci introduce nel suo mondo col classico protagonista "bravo ragazzo" che si innamora della "bella e piena di virtù" e con uno svolgimento di trama scontatissimo, ma sempre gradevole da leggere. In "Nine" il Koshien non ricopre grande importanza, non ci sono stelle nel club del Seishu e questo fatto permette ai ragazzi di essere consci dei propri limiti e di impegnarsi nello sport con serenità, senza nutrire sogni di gloria, ma divertendosi a giocare.
Di questo manga ho apprezzato molto lo stile narrativo, sempre molto spontaneo e naturale. Di contro devo dire che ho un'opinione molto bassa della coppia protagonista. Probabilmente il problema è che questo manga ha più di 30 anni ed evidentemente questo rapporto di coppia rispecchia il maschilismo dell'epoca. Ammetto però che non sono in grado di contestualizzare di fronte a simili atteggiamenti, per me è inconcepibile che un ragazzo ritenga di avere il diritto di dare uno "schiaffo educativo" ad una sua coetanea, manco ne fosse il padre. Ma la cosa che ha mi ha disturbata maggiormente è il fatto che la ragazza si senta lusingata da un gesto del genere perché il significato dello schiaffo è "lui tiene a me".
In conclusione consiglio questo manga solo ai fan di Adachi, è una storia semplice e con difetti non indifferenti, ma lo stile del maestro, anche se ancora acerbo, ve lo farà apprezzare.



9.0/10
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Parliamo di uno dei grandi classici dell’animazione mondiale. Un anime che è rimasto, per tantissimi anni, nei palinsesti televisivi di tante nazioni, parliamo delle avventure di Naoto con la maschera che l'ha reso celebre, quella dell’Uomo Tigre. Correva l’anno 1969, i Beatles suonavano per l’ultima volta dal vivo, l’uomo sbarcava sulla Luna, mancavano 13 anni all’avvento della mia persona e in un paese lontano dall’Italia, un gruppo di disegnatori e sceneggiatori creava per la casa editrice Kodansha, "L’Uomo Tigre".

Tredici anni dopo, nel 1982, oltre al mio avvento, gli italiani potevano godere di un altro grande evento, l’arrivo sui nostri schermi di questa serie animata. La storia parla di un uomo, Naoto Date, figlio della guerra, che, allevato in orfanotrofio, fugge e si unisce all’organizzazione criminale nota come “tana delle tigri”. Dopo anni di trattamenti disumani (spesso ripresi nell’anime sotto forma di flashback, i primi di questo genere in una produzione nipponica), Naoto è pronto a mettere in pratica le sue tecniche omicide al soldo di Mr. X, lo spietato capo dell’organizzazione che fa soldi in un modo alquanto bislacco: forgia giovani lottatori e poi pretende il 50% dei loro proventi (insomma, un manager). Naoto non ci sta: abituato a commettere nefande scorrettezze sul ring, si redime quando torna al suo vecchio orfanotrofio e si erge a bandiera dei piccoli abbandonati. Decide quindi di dare a loro, e non al suo protettore, i soldi che incassa, suscitando quindi l’ira del poco raccomandabile Mr.X, che la prende sul personale e gli spara contro un’ondata di sicari pronti a tutto. Ovviamente Naoto li combatterà tutti, alcuni anche in modo non proprio ortodosso, come nel memorabile scontro contro l’uomo ragno nipponico su una specie di tela di corde e acciaio posta in alto sopra il ring!

La storia è tutto sommato qualcosa di lineare. Uno scontro dopo l’altro, Naoto mostrerà spesso il volto che si cela dietro la maschera, un volto umano, provato dagli occhi di chi ha visto troppa violenza. Il Naoto buono, cordiale e riflessivo si contrappone al suo alter ego sul ring, spietato e violento. Un dualismo noto a pochi, chiaro solo ai compagni più intimi come Daigo.
Una figura interessante è invece quella di Ruriko, direttrice dell’orfanotrofio di cui Naoto è benefattore e per il quale nutre sentimenti romantici. Ruriko sospetterà a lungo sulla vera identità dell’eroe mascherato e mostrerà un’apprensione da “mogliettina” guardando i combattimenti in TV.
Il disegno è molto bello per l’anno d’uscita. Curatissimo in certi dettagli, sottolinea una violenza davvero raccapricciante in certi punti. Sangue a fiumi e mosse terribili sono dipinti con maestria. I tratti dei personaggi non risentono ancora dell’uniformità al “kawaii effect” e sono spesso molto realistici.
Insomma, un grande titolo, una grande produzione, un grande successo, foriero di osanna negli anni'80 italiani, imitatissimo. Infiniti sono infatti i fanzine e le parodie a esso dedicati.
Nove, non dieci, per quell’unica macchia dei combattimenti spesso troppo scontati, buttati lì, per aggiunger sangue alla piazza.