Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi tema libero, con Gyakkyou Burai Kaiji Ultimate Survivor, Shinrei tantei Yakumo e Time of Eve.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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"I soldi non fanno la felicità" - quante volte abbiamo udito questo detto, ma quante volte ci abbiamo davvero creduto? E quante volte abbiamo dubitato del presunto valore del denaro, e realizzato che si trattasse di un mero concetto vuoto, di una convenzione che noi stessi c'imponiamo giorno per giorno, assecondando l'idea di esserne succubi? Eppure, nel sistema che noi stessi abbiamo creato, accolto e perpetuato, il guadagno tende irrimediabilmente a identificarsi con il potere, vano o tangibile che sia, d'imporsi nella società. È ai margini di questa che i protagonisti di Gyakkyou burai Kaiji, reietti inghiottiti dai debiti, tentano di aggrapparsi.
Kaiji Itou è uno di loro, un individuo che vede ormai irraggiungibile ogni appiglio rimasto, finché un giorno gli si presenta l'opportunità di una rivalsa, e un barlume di speranza si manifesta nel suo sguardo, facendosi strada tra lacrime di collera e rassegnazione. Nel gioco d'azzardo, l'unico mezzo in grado di materializzare rapidamente quella speranza, ma al contempo di disintegrarla una volta per tutte, si raccolgono tutte le energie, le illusioni, le virtù e i vizi dell'umanità messa alle strette, qui specchiatasi in un ceppo di 'giocatori' senza più nulla da perdere, se non la stessa vita.

La storia di Kaiji si divide in quattro tronconi cui corrispondono le altrettante modalità di gioco che egli, insieme ad altri disgraziati come lui, si ritroverà ad affrontare, tutte naturalmente svolte in clandestinità, e dalle pericolose posta in gioco. Tralasciando il lato 'ludico' dei vari cimenti, tutti dotati di una determinata logica e sicuramente stimolanti in favore dell'intrattenimento, a rendere l'opera tra le più interessanti e sottovalutate della sua generazione è la pregnanza di significato che questi racchiudono. A garantire l'accesso a una serie impressionante di spunti di riflessione saranno non solo le considerazioni dei personaggi, in particolare quelle degli 'antagonisti' al vertice, ma soprattutto la raffigurazione metaforica dei momenti salienti della narrazione, sottolineati finanche dalle osservazioni fuori campo di un narratore, imparziale e distaccato, vero e proprio 'cronista' dei patimenti, ma anche dei trionfi, degli scommettitori.
La trama di Ultimate Survivor si avvale del concetto di denaro come filo conduttore tra svariati argomenti di dibattito, facendo leva su un pragmatismo che condiziona indistintamente quelli di tipo sociale o psicologico. Ed è specialmente sulla psicologia dei singoli e di gruppo che Kaiji affonda le unghie, dimostrando quanto facilmente la fragile indole umana possa alterarsi a seconda delle circostanze, e implicare le più vili forme d'abuso altrui, di se stessi e di quell'ingannevole, provvidenziale dono chiamato 'fortuna'. Il gioco d'azzardo è in tal proposito un veicolo ideale per ritrarre la condotta umana nei suoi più estremi stati d'alterazione, evidenziati pure dalla pomposa espressività dei personaggi.

I disegni propongono uno stile particolare, fortemente onomatopeico e indubbiamente distintivo che è quello di Nobuyuki Fukumoto, autore dotato per giunta di notevole ingegno. Ma ovviamente, rispetto al cartaceo, la versione televisiva deve sobbarcarsi anche un giudizio qualitativo in merito a regia e animazioni, che in questo caso non può essere, purtroppo, dei più favorevoli: tutto molto inconsistente, a partire dalla computer grafica, su cui è meglio stendere un velo pietoso.
Madhouse non tradisce tuttavia in chiave sonora, è infatti il chitarrista Hideki Taniuchi a curare le splendide musiche, che richiamano alla mente un certo Death Note, e non per pura coincidenza. Ai conoscitori del medesimo titolo (cioè praticamente tutti), è, a proposito, caldamente consigliata la visione di Kaiji, che in quanto a plot twists, tranelli mentali e fattore suspense tra un episodio e l'altro, non ha nulla da invidiare all'altro nome, e sicuramente molto più da 'insegnare'.
Il futuro è nelle nostre mani, raccogliamo ciò che seminiamo. Finché i frutti non saranno di nostro piacimento, daremo la colpa ai piani alti, dove chi ha vinto c'è riuscito essendosi messo in gioco, contando sulle proprie forze e soprattutto sul coraggio e i sacrifici che un mondo così competitivo richiede. Si segue la propria strada, verso una meta il cui raggiungimento non permette sbagli né sconti, in solitudine, a un passo falso dal tracollo.
In un quadro tanto cinico quanto realista, Itou Kaiji non è intenzionato a farsi da parte.



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"Shinrei tantei Yakumo" è una di quelle serie che fanno da contorno, non brillano, ma non sono nemmeno a livelli così bassi da finire negli orrori. Sul piano tecnico ci siamo, i disegni sono decenti, i comparti d'animazione e musica sono buoni, ma la trama non convince e onestamente lascia un senso di "perdita di tempo" nello spettatore.
Io ammetto di aver visto questa serie perché in un momento di stanchezza non sapevo cosa guardare e per pura casualità mi suonava bene il nome "Yakumo", dai tempi di "3x3 occhi", e non chiedetemi come ho fatto l'associazione. Ho deciso così di guardare quest'anime. Il mio 6 è regalato perché i momenti di tedio sono tanti, ma onestamente, ho visto cosa gira di recente e mi sento quasi cattiva, perché la sufficienza ce l'ha questa serie, che ha anche il pregio di essere breve. E, sì, è vero, ha il malus di non finire per davvero, ma almeno non uccide con 50 episodi improbabili, a 13 si ferma.

Veniamo alla trama che non convince: il bel tenebroso Yakumo ha il potere di vedere i fantasmi, gli spiriti e annessi tramite il suo occhio sinistro che è rosso e figo. Ha il classico atteggiamento da bello dannato e depresso, che odia il mondo e diffida di tutto e tutti, bisognoso di essere salvato da se stesso, dal suo pessimismo cosmico, ma soprattutto dalla sua diffidenza verso la razza umana, e con qualche spruzzatella di spleen decadentista c'è il tocco per nulla di classe del rassegnato in Yakumo, il dotato di poteri che sa più del necessario e disprezza l'uomo medio. Vista l'impronta fin troppo ovvia e da manuale del protagonista non poteva che seguire a ruota la coprotagonista, Haruka, la salvatrice di Yakumo, l'anima gentile, la Beatrice luminosa e piena di speranza che di vasi di Pandora ne ha due, non uno, doppia dose di speranza, per compensare la mancanza del bel fanciullo.
I due, in modo assolutamente non coerente, legano subito per un caso iniziale che riguarda la ragazza, diventeranno amici, più che amici, non si capisce, ma si capisce, ecc.. La bella zuccherosa ottimista scioglierà l'animo depresso e cupo di Yakumo e lo aiuterà ad affrontare le ombre del suo passato con il suo animo luminoso. Insomma, già visto, signori, già sentito e magari anche trattato meno banalmente.

Tanto la trama di contorno, ossia le indagini, quanto la storia centrale, ovvero il misterioso figuro nell'ombra del passato di Yakumo, non coinvolgono abbastanza, scadendo in una prevedibilità che a un certo punto dà seriamente fastidio, tuttavia inganna bene, concede dei dubbi di speranza elargendoli anche abbastanza lentamente all'inizio, al punto che ci si illude abbastanza da volerci arrivare, all'episodio 13. Il ruolo del detective nel passato di Yakumo è stata l'ennesima cosa ovvia; per fortuna non si chiama Gordon, e nella sua inutilità ha tentato di illudere lo spettatore che ci fosse di più sotto, però non c'è.
Il lato psicologico dei personaggi secondo me è trattato in modo inconsistente per quello che voleva apparire quest'anime, un thriller-paranormale-psicologico: di fatto i due principali sono due stereotipi fatti e finiti che non si sforzano di variare da questa loro base e i personaggi secondari non sono trattati con abbastanza interesse da distogliere dal tedio di Haruka e dall'ovvietà di Yakumo. Io capisco il concetto serie breve, quindi non allarghiamo l'analisi che rischiamo di non gestire, ma almeno qualcosa di più articolato lo si poteva fare secondo me, e magari si sarebbe creato un vero colpo di scena.

Insomma, tanto fumo, come già ho già detto - disegni decenti e musiche buone -, ma niente arrosto: la storia non decolla mai davvero, e non spinge mai oltre il banale e lo scontato del già visto. Conscia che gira molto di peggio, io la sufficienza la do, ma con una certa remora.



8.0/10
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In un futuro non meglio specificato, robot umanoidi vivono in famiglia, servendo gli umani, da essi virtualmente indistinguibili. Forse per questo ogni androide ha una specie di aureola sulla testa, spesso l'unico modo di riconoscerlo. E, mentre è in atto una pesante campagna mediatica contro l'uso degli androidi, accusati di essere pericolosi per lo sviluppo dei giovani, che li trattano spesso in modo troppo paritario, alcuni robot cominciano ad agire apparentemente di testa propria, recandosi in un bar chiamato Time of Eve. Lì vige l'unica regola del divieto di distinzione fra umani e non umani, che possono interagire e comprendersi vicendevolmente senza il fardello di muri eretti fra di loro. E se, per certi modelli, è difficile discriminare tra umano e macchina, attenersi alla regola della casa anche coi modelli più antiquati può diventare malinconicamente ridicolo.

Mi fa sempre un certo effetto, dopo tanti anni, trovare ancora storie che citano le insuperabili leggi della robotica di Asimov. E insuperabili lo sono davvero, se addirittura nella scienza reale vengono usate, come lessi tempo fa. Ma sto divagando. Eppure, ci sono altri riferimenti a storie sci-fi: per esempio, LUH e THX 1138 sono nomi presi direttamente dal film con lo stesso titolo, anche se il contesto è molto diverso.

In un mondo dove sembrano esserci sempre più androidi, impiegati per scopi sempre più vari, è possibile rimanere umani, senza farsi sopraffare? E quale potrà mai essere la definizione di umano? E, ancora, perché sembra sia in atto quasi una cospirazione per sostituire le persone con delle macchine, visto che, a camminare per strada, non si vede quasi altro che "aureole"? Quel che è certo è che una cospirazione esiste, ed è invece quella di chi osteggia il largo impiego di androidi.
Molti umani li trattano in modo sgarbato, e deridono chi si rivolge loro in modo più educato, 'umano'. Eppure, non stiamo forse tutti cercando di vivere senza ferirci vicendevolmente? Ma, anche con le migliori intenzioni, gli umani si feriscono, e si feriscono anche umani e androidi o, addirittura, gli androidi quando interagiscono fra di loro. Se succede questo quando, nel bar di EVE, non si riesce a riconoscere la natura di chi ci sta di fronte, non significa forse che non esistono differenze? O forse, paradossalmente, sono proprio le troppe differenze a rendere impossibile il riconoscimento? Ma la civile coabitazione è possibile, e la reciproca comprensione, addirittura l'amore, non sono assurdità, nemmeno se avvengono fra esseri naturali e artificiali.

E' un'opera decisamente valida, dalla magnifica grafica, specialmente per quanto riguarda le ambientazioni. Ho gradito particolarmente le animazioni e i repentini cambi di punti di vista, che danno a molte scene un taglio quasi da film. Un po' meno mi sono piaciuti gli occhi di alcuni soggetti, ma è forse l'unico appunto che posso fare al comparto grafico, che ho apprezzato molto, specie perché i personaggi sono molto ben differenziati.
Anche la parte sonora è davvero molto ben curata e serve benissimo la storia.

Intendiamoci, non si può certo gridare al miracolo per l'originalità del concetto, ma trovo che venga portato avanti in modo abbastanza originale, pur con le pecche derivanti dall'essere un lavoro breve. Del resto, con l'ambientazione quasi esclusiva dentro un bar, e i personaggi limitati, se fosse stato più lungo sarebbe stato noioso. Così, porta a segno il messaggio senza noia. Un'opera ottima sotto ogni aspetto, che mi sento di consigliare a chiunque.