Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).
I titoli al momento disponibili sono:
[LIVE] Piece (Scadenza: 19/4/2015)
[ANIME] Mujaki no rakuen (Scadenza: 22/4/2015)
[MANGA] White Haired Devil (Scadenza: 26/4/2015)
[ANIME] Bonjour koiaji pâtisserie (Scadenza: 29/4/2015)
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi ci dedichiamo ai lungometraggi cinematografici, con La storia della principessa splendente, Una lettera per Momo e Paprika.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Recensione di AkiraSakura
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Nel 2013, con "Kaguya-hime no Monogatari", Isao Takahata - uno dei più grandi registi della storia dell'animazione giapponese - lascia ai posteri il suo testamento spirituale, un'opera estremamente essenziale e allo stesso tempo molto profonda e densa di simbolismi. Il film è basato su un antico racconto popolare giapponese, il "Taketori no Monogatari"; tale soggetto, estremamente atavico e quanto mai distante dall'attuale cultura occidentalizzata del Giappone moderno, viene plasmato dall'inconfondibile stile dell'autore, il quale gli conferisce uno stile evanescente e strettamente personale.
Un giorno, un anziano tagliatore di bambù trova per caso un misterioso ed elegante essere luminoso nel fusto di una pianta di bambù. Per l'umile vecchio, tale essere dalle sembianze di una piccola principessa è indubbiamente un dono elargito dal cielo; ergo egli lo accoglie con gioia nella sua casa e decide di crescerlo come un figlio. In breve tempo, da essere magico la piccola principessa è diventata un neonato che cresce a dismisura, e questa rapida crescita porterà in breve tempo Gemma di Bambù - questo è il nome affibbiato alla misteriosa bambina, data la sua sovrannaturale capacità di sviluppo - a diventare una vivace ragazza allegra e piena di entusiasmo. Tuttavia, è impossibile per Gemma di Bambù evitare il momento in cui dovrà dire addio alla felicità: ella verrà condotta dai genitori adottivi in città - venendo costretta a rinunciare a quella simbiosi con la vita che alimentava quelle gaie giornate in cui la meraviglia del vivere era meramente indotta dalle cose semplici e ordinarie -, e dovrà diventare suo malgrado una raffinata dama dell'alta società, perché tale, secondo il vecchio tagliatore di Bambù, è la volontà divina. Ma la volontà divina è molto distante dall'uomo: è un qualcosa di incomprensibile, di sfuggente, di intimamente legato alla natura delle cose. La Principessa Splendente, nata da una canna di bambù e intimamente legata all'essenza della vita, è tristemente sola nel mondo degli uomini; quel mondo di menzogne così distante dal luogo superno in cui ella viveva prima d'incarnarsi sulla terra.
Il folklore giapponese è denso di simbolismi legati allo shintoismo e al buddhismo; e, in "Kaguya-hime no Monogatari", questi elementi sono altresì presenti in grande quantità. Il film tuttavia propende verso una concezione vitalistica più affine allo shintoismo che al buddhismo: secondo Isao Takahata, le passioni e la vita terrena non vanno disprezzate, ma sono cose necessarie alla propria crescita interiore. La storia della Principessa Splendente è quindi paragonabile ad un percorso in cui la meta/non-meta finale - ovvero il Nirvana, l'annullamento, il distacco ultimo dalle cose terrene - è l'ultima tappa di un cammino fatto di sofferenza, di gioia, di amore, di comprensione, di rabbia, di perdita. Nel film ritorna la poetica dell'autorealizzazione del sé, nonché il contrasto presente tra la ricerca di sé stessi e i vincoli imposti dalle formalità della vita urbana (si pensi al capolavoro "Omohide Poro Poro"). Il finale del film è molto evocativo, e con il suo retrogusto spiccatamente drammatico lascia intendere il messaggio-testamento dell'autore, un grande inno all'esistenza e alla totalità delle cose, ovvero a quell'illimitato mare in cui è ancora possibile trovare sé stessi nonostante l'opposizione delle fredde ed imperturbabili leggi decretate dall'uomo e dalle divinità.
Se da un lato "Kaguya-hime no Monogatari" è puro folklore, dall'altro è pura poesia; e questi due elementi corrispondono tra loro con la giusta armonia. Isao Takahata con quest'opera decide di restare un grande poeta sino all'ultimo, senza smentire la sua fama di artista dotato di un'innata sensibilità e di un'intellettualità particolarissima e ricercata. Con questo film Isao Takahata va a scandagliare le profondità abissali dell'esistenza, perdendosi nei meandri del patrimonio collettivo e atavico della cultura del Giappone antico. Il tema della "ragazza che scompare" è molto ricorrente nel folklore giapponese, e antropologicamente è intimamente legato a quel passato comune a tutti i popoli in cui avvenne la transizione dal matriarcato al patriarcato: non a caso la Principessa Splendente possiede una grande affinità con la Luna e con il raccolto, entrambi elementi considerati sacri nelle varie tradizioni matriarcali appartenenti alle culture ancestrali di tutto il mondo. Il calendario lunare è infatti molto più antico del calendario solare, ed è intimamente legato all'attività agricola, che si pensava fosse favorita da una grande "Dea Lunare" e/o "Dea Madre". Gradualmente, il potere passò dalle mani delle donne a quelle degli uomini; e studiando il patrimonio mitologico di tutte le culture è possibile trovare moltissimi indizi di questa profonda trasformazione sociale avvenuta migliaia di anni fa (uno studio del genere è stato fatto da Robert Graves nel suo illuminante libro "La Dea Bianca"). A mio avviso una completa trattazione di stampo antropologico - la quale andrebbe comunque fatta in altra sede - permetterebbe una maggiore comprensione della natura degli archetipi comuni alle culture di tutta l'umanità.
Chiudendo la precedente divagazione e tornando a parlare dell'opera in sé, la Principessa Splendente di Takahata non è soltanto un mero archetipo, giacché egli la plasma infondendole una caratterizzazione molto particolare, più vicina a quella di una vera ragazza in carne ed ossa che a un simbolo dai connotati mitologici. La Principessa ride, piange, si tormenta, e viene altresì colta dal dubbio. Ella è sacra e profana allo stesso tempo.
Tra le numerose scene del film, una in particolare è rimasta gradevolmente impressa nella mia memoria: quando la protagonista fa notare alla madre adottiva che, se visto da una prospettiva differente, il giardino presente nella loro casa in città sia in realtà molto simile alle campagne dalle quali si erano trasferiti. Tale scena, nella sua estrema semplicità, a mio avviso nasconde un significato molto profondo: la natura ripete sé stessa su scale differenti, differenziandosi e allo stesso tempo conservando la stessa sostanza in tutte le sue innumerevoli manifestazioni. Su un diverso piano di lettura, gli steli che paiono alberi e le formiche che paiono animali di campagna stanno lì a simboleggiare che le cose sono strettamente legate al modo con cui le si osserva; e che neanche un'artificiosa città abitata da degli altrettanto artificiosi uomini si può sottrarre alle sostanziali ricorrenze della natura.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici del film, la regia estremamente d'autore si dimostra in grado di trasmettere lo stato d'animo della protagonista facendo esprimere ai fondali, ai colori e ai suoni l'essenza della sua stessa anima. In una scena, ad esempio, la disperazione della Principessa viene rappresentata mediante un tetro lamento dell'intera natura circostante: gli alberi diventano improvvisamente scuri, aggrovigliati, il tutto si fa angoscioso, frenetico, opprimente. Takahata fa parlare direttamente l'immagine come se fosse una poesia dai versi aspri e cupi, fornendo alla sua opera affascinanti risvolti espressionisti. Lo stile di disegno è alquanto particolare, un misto tra design tradizionale e sperimentalismo grafico; gli acquarelli e l'indeterminatezza del tratto - che rimane sul vago risultando allo stesso tempo estremamente espressivo - rendono la visione molto simile a un sogno ad occhi aperti. La vivacità della Principessa Splendente si riflette come d'incanto nelle suggestive ed eteree visioni naturalistiche dell'autore, quei luoghi dal cielo bianchissimo e imperturbato tipici della sua poetica.
In conclusione, a mio avviso questo non è affatto un film per tutti, ma un prodotto estremamente di nicchia, godibile appieno soltanto da chi ha una certa dimestichezza con la cultura giapponese. E' una fiaba molto profonda, "Kaguya-hime no Monogatari", che andrebbe rivista più volte per poterne coglierne le molteplici sfaccettature.
Un giorno, un anziano tagliatore di bambù trova per caso un misterioso ed elegante essere luminoso nel fusto di una pianta di bambù. Per l'umile vecchio, tale essere dalle sembianze di una piccola principessa è indubbiamente un dono elargito dal cielo; ergo egli lo accoglie con gioia nella sua casa e decide di crescerlo come un figlio. In breve tempo, da essere magico la piccola principessa è diventata un neonato che cresce a dismisura, e questa rapida crescita porterà in breve tempo Gemma di Bambù - questo è il nome affibbiato alla misteriosa bambina, data la sua sovrannaturale capacità di sviluppo - a diventare una vivace ragazza allegra e piena di entusiasmo. Tuttavia, è impossibile per Gemma di Bambù evitare il momento in cui dovrà dire addio alla felicità: ella verrà condotta dai genitori adottivi in città - venendo costretta a rinunciare a quella simbiosi con la vita che alimentava quelle gaie giornate in cui la meraviglia del vivere era meramente indotta dalle cose semplici e ordinarie -, e dovrà diventare suo malgrado una raffinata dama dell'alta società, perché tale, secondo il vecchio tagliatore di Bambù, è la volontà divina. Ma la volontà divina è molto distante dall'uomo: è un qualcosa di incomprensibile, di sfuggente, di intimamente legato alla natura delle cose. La Principessa Splendente, nata da una canna di bambù e intimamente legata all'essenza della vita, è tristemente sola nel mondo degli uomini; quel mondo di menzogne così distante dal luogo superno in cui ella viveva prima d'incarnarsi sulla terra.
Il folklore giapponese è denso di simbolismi legati allo shintoismo e al buddhismo; e, in "Kaguya-hime no Monogatari", questi elementi sono altresì presenti in grande quantità. Il film tuttavia propende verso una concezione vitalistica più affine allo shintoismo che al buddhismo: secondo Isao Takahata, le passioni e la vita terrena non vanno disprezzate, ma sono cose necessarie alla propria crescita interiore. La storia della Principessa Splendente è quindi paragonabile ad un percorso in cui la meta/non-meta finale - ovvero il Nirvana, l'annullamento, il distacco ultimo dalle cose terrene - è l'ultima tappa di un cammino fatto di sofferenza, di gioia, di amore, di comprensione, di rabbia, di perdita. Nel film ritorna la poetica dell'autorealizzazione del sé, nonché il contrasto presente tra la ricerca di sé stessi e i vincoli imposti dalle formalità della vita urbana (si pensi al capolavoro "Omohide Poro Poro"). Il finale del film è molto evocativo, e con il suo retrogusto spiccatamente drammatico lascia intendere il messaggio-testamento dell'autore, un grande inno all'esistenza e alla totalità delle cose, ovvero a quell'illimitato mare in cui è ancora possibile trovare sé stessi nonostante l'opposizione delle fredde ed imperturbabili leggi decretate dall'uomo e dalle divinità.
Se da un lato "Kaguya-hime no Monogatari" è puro folklore, dall'altro è pura poesia; e questi due elementi corrispondono tra loro con la giusta armonia. Isao Takahata con quest'opera decide di restare un grande poeta sino all'ultimo, senza smentire la sua fama di artista dotato di un'innata sensibilità e di un'intellettualità particolarissima e ricercata. Con questo film Isao Takahata va a scandagliare le profondità abissali dell'esistenza, perdendosi nei meandri del patrimonio collettivo e atavico della cultura del Giappone antico. Il tema della "ragazza che scompare" è molto ricorrente nel folklore giapponese, e antropologicamente è intimamente legato a quel passato comune a tutti i popoli in cui avvenne la transizione dal matriarcato al patriarcato: non a caso la Principessa Splendente possiede una grande affinità con la Luna e con il raccolto, entrambi elementi considerati sacri nelle varie tradizioni matriarcali appartenenti alle culture ancestrali di tutto il mondo. Il calendario lunare è infatti molto più antico del calendario solare, ed è intimamente legato all'attività agricola, che si pensava fosse favorita da una grande "Dea Lunare" e/o "Dea Madre". Gradualmente, il potere passò dalle mani delle donne a quelle degli uomini; e studiando il patrimonio mitologico di tutte le culture è possibile trovare moltissimi indizi di questa profonda trasformazione sociale avvenuta migliaia di anni fa (uno studio del genere è stato fatto da Robert Graves nel suo illuminante libro "La Dea Bianca"). A mio avviso una completa trattazione di stampo antropologico - la quale andrebbe comunque fatta in altra sede - permetterebbe una maggiore comprensione della natura degli archetipi comuni alle culture di tutta l'umanità.
Chiudendo la precedente divagazione e tornando a parlare dell'opera in sé, la Principessa Splendente di Takahata non è soltanto un mero archetipo, giacché egli la plasma infondendole una caratterizzazione molto particolare, più vicina a quella di una vera ragazza in carne ed ossa che a un simbolo dai connotati mitologici. La Principessa ride, piange, si tormenta, e viene altresì colta dal dubbio. Ella è sacra e profana allo stesso tempo.
Tra le numerose scene del film, una in particolare è rimasta gradevolmente impressa nella mia memoria: quando la protagonista fa notare alla madre adottiva che, se visto da una prospettiva differente, il giardino presente nella loro casa in città sia in realtà molto simile alle campagne dalle quali si erano trasferiti. Tale scena, nella sua estrema semplicità, a mio avviso nasconde un significato molto profondo: la natura ripete sé stessa su scale differenti, differenziandosi e allo stesso tempo conservando la stessa sostanza in tutte le sue innumerevoli manifestazioni. Su un diverso piano di lettura, gli steli che paiono alberi e le formiche che paiono animali di campagna stanno lì a simboleggiare che le cose sono strettamente legate al modo con cui le si osserva; e che neanche un'artificiosa città abitata da degli altrettanto artificiosi uomini si può sottrarre alle sostanziali ricorrenze della natura.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici del film, la regia estremamente d'autore si dimostra in grado di trasmettere lo stato d'animo della protagonista facendo esprimere ai fondali, ai colori e ai suoni l'essenza della sua stessa anima. In una scena, ad esempio, la disperazione della Principessa viene rappresentata mediante un tetro lamento dell'intera natura circostante: gli alberi diventano improvvisamente scuri, aggrovigliati, il tutto si fa angoscioso, frenetico, opprimente. Takahata fa parlare direttamente l'immagine come se fosse una poesia dai versi aspri e cupi, fornendo alla sua opera affascinanti risvolti espressionisti. Lo stile di disegno è alquanto particolare, un misto tra design tradizionale e sperimentalismo grafico; gli acquarelli e l'indeterminatezza del tratto - che rimane sul vago risultando allo stesso tempo estremamente espressivo - rendono la visione molto simile a un sogno ad occhi aperti. La vivacità della Principessa Splendente si riflette come d'incanto nelle suggestive ed eteree visioni naturalistiche dell'autore, quei luoghi dal cielo bianchissimo e imperturbato tipici della sua poetica.
In conclusione, a mio avviso questo non è affatto un film per tutti, ma un prodotto estremamente di nicchia, godibile appieno soltanto da chi ha una certa dimestichezza con la cultura giapponese. E' una fiaba molto profonda, "Kaguya-hime no Monogatari", che andrebbe rivista più volte per poterne coglierne le molteplici sfaccettature.
Una lettera per Momo
8.0/10
Recensione di Kabutomaru
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Sono passati ben tredici anni da quel capolavoro di "Jin-Roh: Uomini e Lupi", quando finalmente Hiroyuki Okiura ha deciso di interrompere la sua pausa dalla regia di un film per realizzare "Una Lettera per Momo". Ci si ritrova innanzi a un film molto più personale rispetto alla precedente pellicola, visto che la mano di Mamoru Oshii era ben evidente, mentre con quest'opera Okiura riversa tutto sé stesso, curandone anche il soggetto, la sceneggiatura, il character design e lo storyboard. Il regista con questa pellicola doveva dimostrare agli scettici che l'opera precedente fosse di notevole spessore anche per via del suo talento registico e non solo per l'apporto determinante di Oshii. Il film, uscito nelle sale Giapponesi a inizio del 2012, è stato portato nel nostro Paese dalla Dynit, che si interessa sempre più pellicole d'animazione cinematografiche.
La storia è di una semplicità estrema: Momo Miyaura è una timida ragazzina di undici anni che ha da poco perso il padre, con il quale aveva litigato prima del tragico evento. Tutto ciò che le resta del defunto genitore è una lettera incompiuta le cui uniche parole sono "Cara Momo". La ragazza, trasferitasi con la madre in una nuova casa nell'isola di Shio per ricominciare una nuova vita, trova in soffitta un libro antico e improvvisamente intorno a lei cominciano a succedere strani eventi di natura soprannaturale.
Nonostante una costante per tutta la durata della pellicola sia un'atmosfera malinconica, ci si ritrova innanzi a un'opera molto più solare e allegra rispetto alla cupezza che permeava il precedente film del regista. Okiura, pur infondendo nella pellicola alcuni elementi tipici del suo stile, decide di distaccarsi nettamente dai film pessimistici e tristi in cui non solo aveva lavorato come regista, ma anche come direttore dell'animazione. Il regista decide di mettere in scena il conflitto tra genitori e figli, toccando il tema in modo apparentemente leggero, ma al contempo incisivo e schietto.
Momo è una ragazzina che a soli undici anni ha perso qualunque parvenza di felicità, chiudendosi in una totale, quanto dolorosa, solitudine interiore. La ragazza rifiuta ogni tentativo di socializzare e di creare un benché minimo legame con qualcuno, trattando tutte le persone che la circondano in modo freddo, poiché egoisticamente crede che sia solo lei a soffrire della perdita del padre, con il quale non potrà mai più scusarsi del pesante litigio avvenuto prima che morisse. Ikuku, madre di Momo, cerca con sorrisi forzati di far sì che non sia successo niente, portandosi l'intero dolore sulle proprie spalle, non conscia che in questo modo attira su di sé l'odio della figlia, con la quale avrà numerose discussioni e litigi.
Una storia molto delicata quanto al contempo leggera, ma capace comunque di veicolare un messaggio molto maturo, nonostante il target di riferimento per stessa ammissione del regista siano i bambini. Nonostante l'impostazione da slice of life per quasi tutta la durata del film (circa due ore), Okiura ha l'idea di inserire un elemento fantastico, tramite le figure dei tre demoni che hanno il compito di vigilare su Momo e Ikuku, nell'attesa che il padre della ragazza possa raggiungere l'aldilà per provvedervi personalmente. Grazie a questi simpatici mostri, avremo modo di scoprire il lato più solare e positivo di Momo, anche grazie a qualche siparietto comico divertente.
Nonostante "Una Lettera per Momo" sia un prodotto semplice e leggero, ci sono voluti ben sette anni per realizzarlo. La forza del film non risiede assolutamente nella trama (alla stesura della quale, se Okiura ci avrà dedicato un paio di giorni è già tanto), ma nell'uso sapiente ed efficace della regia. Un occhio esperto noterà subito come nell'intera pellicola non vi sia una sola inquadratura buttata via, ma tutte quante hanno una ragion d'essere, così che il cinefilo possa percepire come Okiura abbia dedicato giorni interi prima di preparare una singola scena.
Il marchio di fabbrica dell'autore lo si riconosce nei primi piani dove si focalizza sulla testa abbassata di Momo, la quale, con i suoi occhi strabici e persi nel vuoto, sembra essere alla ricerca di una risposta che non riesce a trovare. Chi non si interessa di queste sottigliezze cinematografiche potrà comunque essere ammaliato per tutte le due ore di film dalle splendide animazioni, nonché dallo splendido comparto grafico, semplice, ma pulsante freschezza da ogni poro, accompagnato dai magnifici quanto dettagliati fondali dell'isola di Shio con tutti i suoi elementi moderni (supermarket zeppi di roba e ponti) e rurali (le case e le coltivazioni sulla collina). Da segnalare inoltre la fotografia di Tanaka, che vira su colori crepuscolari tendenti al giallo ocra e all'arancione chiaro, nel sottolineare il triste stato d'animo di Momo, per poi virare nel lieto finale su colori più luminosi.
Tirando le somme, "Una Lettera per Momo" risulta un fulgido esempio di come fare un film d'autore senza che esso sfoci nel "tre persone in una stanza che parlano dell'esistenza, la vita e la società" (i film di Oshii per esempio), che tanto sono idolatrati da gran parte della critica stagionata, ancora imperante al giorno d'oggi. Un'opera leggera, semplice, fresca, non originale certo, ma che risulta di sicuro ben narrata, con un ritmo molto sostenuto che ben si confà ai luoghi in cui è ambientata la storia.
Il film non è perfetto, visto qualche calo di continuità nella seconda parte del film, un paio di raccordi di montaggio per niente convincenti e soprattutto i dieci minuti sulla collina, girati con una regia da manuale, ma risultanti dei veri e propri filler inutili all'interno della pellicola, oltre che mostrare una povertà di idee su piano realizzativo. In sostanza, Okiura confeziona un lungometraggio fruibile da tutte le tipologie di spettatori, ad appannaggio anche di coloro che provano avversione verso il cinema d'autore.
La storia è di una semplicità estrema: Momo Miyaura è una timida ragazzina di undici anni che ha da poco perso il padre, con il quale aveva litigato prima del tragico evento. Tutto ciò che le resta del defunto genitore è una lettera incompiuta le cui uniche parole sono "Cara Momo". La ragazza, trasferitasi con la madre in una nuova casa nell'isola di Shio per ricominciare una nuova vita, trova in soffitta un libro antico e improvvisamente intorno a lei cominciano a succedere strani eventi di natura soprannaturale.
Nonostante una costante per tutta la durata della pellicola sia un'atmosfera malinconica, ci si ritrova innanzi a un'opera molto più solare e allegra rispetto alla cupezza che permeava il precedente film del regista. Okiura, pur infondendo nella pellicola alcuni elementi tipici del suo stile, decide di distaccarsi nettamente dai film pessimistici e tristi in cui non solo aveva lavorato come regista, ma anche come direttore dell'animazione. Il regista decide di mettere in scena il conflitto tra genitori e figli, toccando il tema in modo apparentemente leggero, ma al contempo incisivo e schietto.
Momo è una ragazzina che a soli undici anni ha perso qualunque parvenza di felicità, chiudendosi in una totale, quanto dolorosa, solitudine interiore. La ragazza rifiuta ogni tentativo di socializzare e di creare un benché minimo legame con qualcuno, trattando tutte le persone che la circondano in modo freddo, poiché egoisticamente crede che sia solo lei a soffrire della perdita del padre, con il quale non potrà mai più scusarsi del pesante litigio avvenuto prima che morisse. Ikuku, madre di Momo, cerca con sorrisi forzati di far sì che non sia successo niente, portandosi l'intero dolore sulle proprie spalle, non conscia che in questo modo attira su di sé l'odio della figlia, con la quale avrà numerose discussioni e litigi.
Una storia molto delicata quanto al contempo leggera, ma capace comunque di veicolare un messaggio molto maturo, nonostante il target di riferimento per stessa ammissione del regista siano i bambini. Nonostante l'impostazione da slice of life per quasi tutta la durata del film (circa due ore), Okiura ha l'idea di inserire un elemento fantastico, tramite le figure dei tre demoni che hanno il compito di vigilare su Momo e Ikuku, nell'attesa che il padre della ragazza possa raggiungere l'aldilà per provvedervi personalmente. Grazie a questi simpatici mostri, avremo modo di scoprire il lato più solare e positivo di Momo, anche grazie a qualche siparietto comico divertente.
Nonostante "Una Lettera per Momo" sia un prodotto semplice e leggero, ci sono voluti ben sette anni per realizzarlo. La forza del film non risiede assolutamente nella trama (alla stesura della quale, se Okiura ci avrà dedicato un paio di giorni è già tanto), ma nell'uso sapiente ed efficace della regia. Un occhio esperto noterà subito come nell'intera pellicola non vi sia una sola inquadratura buttata via, ma tutte quante hanno una ragion d'essere, così che il cinefilo possa percepire come Okiura abbia dedicato giorni interi prima di preparare una singola scena.
Il marchio di fabbrica dell'autore lo si riconosce nei primi piani dove si focalizza sulla testa abbassata di Momo, la quale, con i suoi occhi strabici e persi nel vuoto, sembra essere alla ricerca di una risposta che non riesce a trovare. Chi non si interessa di queste sottigliezze cinematografiche potrà comunque essere ammaliato per tutte le due ore di film dalle splendide animazioni, nonché dallo splendido comparto grafico, semplice, ma pulsante freschezza da ogni poro, accompagnato dai magnifici quanto dettagliati fondali dell'isola di Shio con tutti i suoi elementi moderni (supermarket zeppi di roba e ponti) e rurali (le case e le coltivazioni sulla collina). Da segnalare inoltre la fotografia di Tanaka, che vira su colori crepuscolari tendenti al giallo ocra e all'arancione chiaro, nel sottolineare il triste stato d'animo di Momo, per poi virare nel lieto finale su colori più luminosi.
Tirando le somme, "Una Lettera per Momo" risulta un fulgido esempio di come fare un film d'autore senza che esso sfoci nel "tre persone in una stanza che parlano dell'esistenza, la vita e la società" (i film di Oshii per esempio), che tanto sono idolatrati da gran parte della critica stagionata, ancora imperante al giorno d'oggi. Un'opera leggera, semplice, fresca, non originale certo, ma che risulta di sicuro ben narrata, con un ritmo molto sostenuto che ben si confà ai luoghi in cui è ambientata la storia.
Il film non è perfetto, visto qualche calo di continuità nella seconda parte del film, un paio di raccordi di montaggio per niente convincenti e soprattutto i dieci minuti sulla collina, girati con una regia da manuale, ma risultanti dei veri e propri filler inutili all'interno della pellicola, oltre che mostrare una povertà di idee su piano realizzativo. In sostanza, Okiura confeziona un lungometraggio fruibile da tutte le tipologie di spettatori, ad appannaggio anche di coloro che provano avversione verso il cinema d'autore.
Paprika - Sognando un sogno
8.0/10
"Paprika" è un lungometraggio animato del 2006, diretto dal maestro Satoshi Kon, noto per gli elementi fortemente psicoanalitici presenti nelle sue pellicole, e tratto dall'omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui.
La trama ruota attorno alla DC Mini, un dispositivo creato dal tanto pingue e vorace quanto geniale Tokita, con il quale sarebbe possibile entrare nei sogni altrui, aiutando gli psichiatri a risolvere i problemi dei propri pazienti, indagandone direttamente il subconscio. Il furto dei prototipi, ancora in fase di sperimentazione, rivela la pericolosità degli stessi, in quanto il colpevole riesce a manipolare la mente di alcune persone, distorcendone il senso della realtà e coinvolgendole in pericolosi incidenti.
L'équipe che ha lavorato alla realizzazione della DC Mini cercherà in ogni modo di fermare il criminale, mettendo a repentaglio la propria vita e la propria salute mentale.
Considerando il comparto puramente tecnico, "Paprika" è un film veramente straordinario: ottime le animazioni, la colonna sonora e il doppiaggio italiano. Le ambientazioni sono estremamente curate e precise, fin nel minimo dettaglio, così come il design della maggior parte personaggi, il quale, con il suo realismo, crea un bizzarro contrasto con l'aspetto vagamente caricaturale ed esagerato di alcuni soggetti. La CG si amalgama bene con l'animazione tradizionale, e non si fa quasi notare.
Il cast principale è costituito da appena una manciata di personaggi, comunque dotati di un'interessante caratterizzazione psicologica: da un lato credibile, realistica, dall'altro assurda e irrequieta, quindi più che adatta alle situazioni cui sono sottoposti.
Il regista gioca con la mente dello spettatore, fondendo magistralmente mondo materiale e mondo onirico, rendendo, con lo sviluppo della vicenda, sempre più difficile distinguere questi due ambiti. Non è quasi mai possibile affermare con certezza se si stia assistendo ad eventi che hanno luogo nella sfera reale o in un sogno. Questa caratteristica è ben evidente sin dall'eccellente opening, che vede la protagonista passare con disinvoltura da un'inquadratura all'altra, saltando tra un cartellone pubblicitario e il logo di una T-shirt, cambiando location in un battito di ciglia, modificando il tempo e lo spazio a proprio piacimento.
Le incursioni nel mondo dei sogni sono rappresentate efficacemente da un'esplosione cromatica dalle tonalità luminose e brillanti o, al contrario, da atmosfere più cupe e inquietanti, spesso contrassegnate da una evidente distorsione della scena, sia dal punto di vista del contesto, sia da quello della fisionomia dei personaggi.
Questo universo, con le sue contraddizioni, la modificazione dei ricordi, l'alterazione delle leggi della fisica e della natura e il peculiare caos, disorienta e, allo stesso tempo, affascina i protagonisti e gli spettatori, immergendoli in una realtà fantastica, ma pericolosa, in cui è facile perdere sé stessi, smarrendosi insieme a una moltitudine di figure e creature surreali.
C'è anche spazio per citazioni e riferimenti cinematografici, alcuni dei quali relativi ad opere dello stesso Satoshi Kon.
"Paprika" è, nel complesso, un'opera visivamente e acusticamente splendida, capace di stordire e meravigliare continuamente lo spettatore con la sua potenza e ricchezza grafica e sonora.
I presupposti per la realizzazione di una storia curiosa e intrigante c'erano tutti: un pericoloso criminale, in possesso di una tecnologia avanzatissima, da fermare a tutti i costi e dei risvolti psicanalitici rilevanti. Speravo in una trama articolata, ma non incomprensibile, ricca di sviluppi inaspettati. Peccato che, in realtà, l'intreccio in sé sia molto più lineare di quanto non possa sembrare.
Tutto si risolve in una sorta di conflitto tra bene e male, tra indipendenza e controllo, rappresentato sostanzialmente dall'incontro/scontro tra mondo reale e mondo onirico, la cui separazione è messa in dubbio dalla creazione della DC Mini, che permette agli uomini di violare la sacralità dei sogni, di invadere, grazie alla scienza, uno dei pochi luoghi in cui si può ancora essere autenticamente liberi e privi di limitazione alcuna.
A tratti, pare che l'estrema maestria che il regista esprime nel sapersi giostrare abilmente tra concretezza e illusione, che lo sfoggio di bellezza grafica e che la stravaganza degli avvenimenti servano a distogliere l'attenzione da una sceneggiatura non sempre all'altezza, seppur molto interessante e non priva di riusciti colpi di scena. In parole povere, l'aspetto relativo all'estetica e alla forma sembra sorpassare quello dei contenuti.
Nonostante questi difetti, "Paprika" resta una pellicola d'animazione visionaria e non poco avvincente, condita con una buona dose di ironia, la cui visione è sicuramente consigliata agli appassionati del genere psicologico, specie se valorizzato da atmosfere allucinate e stranianti.
La trama ruota attorno alla DC Mini, un dispositivo creato dal tanto pingue e vorace quanto geniale Tokita, con il quale sarebbe possibile entrare nei sogni altrui, aiutando gli psichiatri a risolvere i problemi dei propri pazienti, indagandone direttamente il subconscio. Il furto dei prototipi, ancora in fase di sperimentazione, rivela la pericolosità degli stessi, in quanto il colpevole riesce a manipolare la mente di alcune persone, distorcendone il senso della realtà e coinvolgendole in pericolosi incidenti.
L'équipe che ha lavorato alla realizzazione della DC Mini cercherà in ogni modo di fermare il criminale, mettendo a repentaglio la propria vita e la propria salute mentale.
Considerando il comparto puramente tecnico, "Paprika" è un film veramente straordinario: ottime le animazioni, la colonna sonora e il doppiaggio italiano. Le ambientazioni sono estremamente curate e precise, fin nel minimo dettaglio, così come il design della maggior parte personaggi, il quale, con il suo realismo, crea un bizzarro contrasto con l'aspetto vagamente caricaturale ed esagerato di alcuni soggetti. La CG si amalgama bene con l'animazione tradizionale, e non si fa quasi notare.
Il cast principale è costituito da appena una manciata di personaggi, comunque dotati di un'interessante caratterizzazione psicologica: da un lato credibile, realistica, dall'altro assurda e irrequieta, quindi più che adatta alle situazioni cui sono sottoposti.
Il regista gioca con la mente dello spettatore, fondendo magistralmente mondo materiale e mondo onirico, rendendo, con lo sviluppo della vicenda, sempre più difficile distinguere questi due ambiti. Non è quasi mai possibile affermare con certezza se si stia assistendo ad eventi che hanno luogo nella sfera reale o in un sogno. Questa caratteristica è ben evidente sin dall'eccellente opening, che vede la protagonista passare con disinvoltura da un'inquadratura all'altra, saltando tra un cartellone pubblicitario e il logo di una T-shirt, cambiando location in un battito di ciglia, modificando il tempo e lo spazio a proprio piacimento.
Le incursioni nel mondo dei sogni sono rappresentate efficacemente da un'esplosione cromatica dalle tonalità luminose e brillanti o, al contrario, da atmosfere più cupe e inquietanti, spesso contrassegnate da una evidente distorsione della scena, sia dal punto di vista del contesto, sia da quello della fisionomia dei personaggi.
Questo universo, con le sue contraddizioni, la modificazione dei ricordi, l'alterazione delle leggi della fisica e della natura e il peculiare caos, disorienta e, allo stesso tempo, affascina i protagonisti e gli spettatori, immergendoli in una realtà fantastica, ma pericolosa, in cui è facile perdere sé stessi, smarrendosi insieme a una moltitudine di figure e creature surreali.
C'è anche spazio per citazioni e riferimenti cinematografici, alcuni dei quali relativi ad opere dello stesso Satoshi Kon.
"Paprika" è, nel complesso, un'opera visivamente e acusticamente splendida, capace di stordire e meravigliare continuamente lo spettatore con la sua potenza e ricchezza grafica e sonora.
I presupposti per la realizzazione di una storia curiosa e intrigante c'erano tutti: un pericoloso criminale, in possesso di una tecnologia avanzatissima, da fermare a tutti i costi e dei risvolti psicanalitici rilevanti. Speravo in una trama articolata, ma non incomprensibile, ricca di sviluppi inaspettati. Peccato che, in realtà, l'intreccio in sé sia molto più lineare di quanto non possa sembrare.
Tutto si risolve in una sorta di conflitto tra bene e male, tra indipendenza e controllo, rappresentato sostanzialmente dall'incontro/scontro tra mondo reale e mondo onirico, la cui separazione è messa in dubbio dalla creazione della DC Mini, che permette agli uomini di violare la sacralità dei sogni, di invadere, grazie alla scienza, uno dei pochi luoghi in cui si può ancora essere autenticamente liberi e privi di limitazione alcuna.
A tratti, pare che l'estrema maestria che il regista esprime nel sapersi giostrare abilmente tra concretezza e illusione, che lo sfoggio di bellezza grafica e che la stravaganza degli avvenimenti servano a distogliere l'attenzione da una sceneggiatura non sempre all'altezza, seppur molto interessante e non priva di riusciti colpi di scena. In parole povere, l'aspetto relativo all'estetica e alla forma sembra sorpassare quello dei contenuti.
Nonostante questi difetti, "Paprika" resta una pellicola d'animazione visionaria e non poco avvincente, condita con una buona dose di ironia, la cui visione è sicuramente consigliata agli appassionati del genere psicologico, specie se valorizzato da atmosfere allucinate e stranianti.
Non smetterò mai di sostenere quanto La Storia della Principessa Splendente sia un'opera di rara intensità: sapientemente intrisa in ogni istante dal calore dei produttori e soprattutto di Takahata, in un lavoro lungo ben otto anni. Più passano gli anni, meno è probabile trovare bellezze di questo calibro. Ottima recensione quella di AkiraSakura, che coglie appieno i perchè delle scelte stilistiche e i messaggi dell'autore. Io non sono un esperto di cultura giapponese (almeno non a livello di conoscere le fiabe popolari) ma questo film l'ho apprezzato come pochi nella mia vita: certo qualche leggera infarinatura è necessaria - forse anche per questo non ha vinto l'oscar (premio della cui importanza ho cominciato a dubitare) - ma voglio credere che a molti riesca ad arrivare la dolcezza di questo film.
Una lettera per Momo è nella lista da vedere... Prima o poi un po' di tempo lo trovo
Mentre Paprika è l'ennesimo filmone, sicuramente non il migliore di Satoshi Kon, un regista davvero talentuoso ahimè scomparso prematuramente, ma senz'altro godibilissimo in cui si avverte tutto lo spirito del regista. Ottime recensioni anche quelle di Kabutomaru ed Eoin!
Altrettanto bella è la recensione di Kabutomaru per il film Una lettera per Momo, altra pellicola splendidamente realizzata, capace di restituirci una storia delicata e commovente allo stesso tempo. Un altro titolo da promuovere a pieni voti!
Di Paprika purtroppo ho visto solo spezzoni casualmente su Rai4, e non ancora l'intero film, perciò non posso esprimermi, anche se mi pare un titolo assai interessante.
Anche Una lettera per Momo è da troppo nell'elenco dei film che voglio vedermi, anche qui cercherò di rimediare.
Paprika, invece, me lo sono visto due volte: peccato che - pur essendo un estimatore del genere psicologico - in entrambi i casi non ci abbia capito molto Questo è un problema mio, non sono riuscito a entrare nello spirito del film e mi sono perso a cercare di capirlo; per il resto concordo con Eoin, realizzazione tecnica spettacolare e doppiaggio italiano di ottimo livello.
In ogni caso, vi ringrazio per l'apprezzamento e per aver selezionato una mia recensione. Mi scuso per il "sé stessi", non riesco a credere che mi sia scappato l'accento.
Insomma l'allievo di Oshii si è emancipato dal suo maestro.
Il film di Takahata è magnifico. Un capolavoro di rara bellezza che funge da chiusura ideale della carriera di questo regista. La scena della fuga dal banchetto con la ripresa in carrellata laterale vale la filmografia di molti registi da strapazzo.
Bravo il regista ad introdurre molte parti ex-novo rispetto alla storia originale.
Paprika...filmone. Ottima l'analisi. Struttura ingarbugliata ma trama semplice ( come sempre nei film di Kon). Ad un certo punto il regista ne perde i fili ma innanzi ad un'opera del genere...ottimo lavoro.
Momo mi interessa da tempo, peccato che non riesca a trovarlo nei negozi!
Paprika invece l'ho visto quando andò in onda su una RAI4 che ancora aveva un briciolo di rispetto per gli anime: bello, anche se non facile da comprendere in alcuni punti.
Il film di Takahata lo vedrò sicuramente a breve, mentre quello di Okiura dovrò recuperarlo, perché è un regista da seguire con attenzione.
Complimenti ai recensori.
Con Paprika ne ho avuto la conferma potenziata per mille.
Il film è certamente il capolavoro di Takahata, intriso del suo pensiero e del suo amore per l'animazione in ogni fotogramma. Ho visto anche gli altri due film proposti nella rubrica e confesso di non amarli troppo, sarà che sia Okiura che Kon mi avevano abituato a cinematografia di ben altra levatura. Una lettera per momo in particolare mi è sembrato un tentativo di fare qualcosa "alla Ghibli" per estetica, ma del tutto lontano per trama e caratterizzazione ai film di Miyazak, moscietto e noiosetto in più parti.
Gli altri due mi riprometto di visionarli al più presto, visti i pareri più che positivi.
Ottima selezione di recensioni, complimenti agli autori!
È una tipica storia di crescita ed elelaborazione di un lutto con una messa in scena dei personaggi tipica delle produzioni di Oshii, da cui però Okiura si distacca mano a mano sino a sfociare verso lidi più ottimisti e solari. Momo alla fine giunge alla verità che invece di essere fonte di sofferenza (come nei film di Oshii), è un punto di svolta decisivo per maturare.
Per quanto concerne parole come noioso; non le uso mai perché sono troppo personali. Chi legge le recensioni vuole un'analisi sulla qualita' dell'opera e non i pareri personali (del tipo "è bello" o "mi è piaciuto molto").
Proprio oggi ho preso il blu-ray di Kaguya-hime, non vedo l'ora di gustarmelo per bene.
N.B. Se vi va di leggere sappiate che c'è qualche spoiler, ma credo che importi poco, dato che la leggenda ormai la conosciamo, no?
http://www.sempredirebanzai.it/kaguya-hime-principessa-splendente-la-heidi-giapponese/
Comunque trovo un po' fastidioso che invece di chiamarla Kaguya la chiamino "signorina principessa"... Ma perché???
Anche se non ho più il coraggio di criticare Cannarsi dopo aver ascoltato quell'obbrobrio sonoro de Il viaggio verso Agartha...
Una Lettera per Momo è un film che mi è piaciuto molto, ma immagino a una successiva visione perderebbe molto...
Paprika non mi è piaciuto granché per farla breve.
Complimenti ai tre
Comunque trovo un po' fastidioso che invece di chiamarla Kaguya la chiamino "signorina principessa"... Ma perché???
perchè nelle intenzioni di Takahata, e come spesso avviene nelle favole, c'è una corrispondenza nomen-omen. Se ci hai fatto caso nel film vengono taciuti i nomi di molti personaggi, tra cui i genitori adottivi (chiamati rispettivamente Anziano tagliatore di bambù e Sua moglie)
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