Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).
I titoli al momento disponibili sono:
[LIVE] Limit (Scadenza: 26/7/2015)
[ANIME] Sally la maga (Scadenza: 9/9/2015)
[ANIME] Kaleido Star (Scadenza: 13/9/2015)
[ANIME] Natsu no Arashi (Scadenza: 16/9/2015)
[ANIME] Softenni (Scadenza: 20/9/2015)
[MANGA] L'impero Romano (Scadenza: 9/9/2015)
[MANGA] Porompompin (Scadenza: 13/9/2015)
[MANGA] Crimson Wolf (Scadenza: 16/9/2015)
[LIVE] Rough (Scadenza: 9/9/2015)
[LIVE] Thermae Romae II (Scadenza: 13/9/2015)
[LIVE] Megaloman (Scadenza: 16/9/2015)
[GAME] Clannad (Visual Novel) (Scadenza: 9/9/2015)
[GAME] Mario Kart 8 (Scadenza: 13/9/2015)
[SERIAL] Xena, principessa guerriera (Scadenza: 9/9/2015)
[SERIAL] Tutto in famiglia (Scadenza: 13/9/2015)
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Witchblade, Tamako Love Story e The Tatami Galaxy.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Witchblade
9.0/10
L'anime "Witchblade" deriva da un noto fumetto americano col quale tuttavia condivide le idee di base solo a grandi linee: lo potremmo a tutti gli effetti considerare un'eccellente interpretazione a sé stante, una sorta di tributo a questo titolo, dal quale prende spunto per narrare una storia tutta sua.
Anche il fumetto originale (nato nel '95 e tuttora in corso al momento della stesura di questa recensione) ha subito nel tempo innumerevoli mutazioni, narrative e grafiche, dovute all'avvicendarsi di molteplici autori e di diversi protagonisti; curioso scoprire che tra le varie "detentrici" del "witchblade" figuri anche il nome di una certa "Lara Croft".
Cos'è il "witchblade"? Esteticamente si presenta come una gemma incastonata in una sorta di bracciale, ma si tratta di un oggetto "dannato" o qualcosa di simile; è lui a scegliere la sua detentrice (rigorosamente donna) e le conferisce poteri inimmaginabili a patto di una convivenza assolutamente forzata che, presto o tardi, vedrà inesorabilmente consumare il fisico di chi lo ospita, ma che non potrà in alcun modo disfarsene fino a che avrà vita. Una specie di maledizione, a ben vedere. Nell'anime ci troviamo a fare i conti con delle potenti società che cercheranno di sfruttare e di replicare questo tipo di potere per creare delle perfette macchine da guerra.
Se tutto si concludesse unicamente in questi termini avremmo avuto a che fare con un anime potenzialmente interessante, ma sicuramente privo di profondità; fortunatamente non è il nostro caso. L'involontaria detentrice del witchblade risponde al nome di Amaha Masane, una prosperosa ragazza dal carattere semplice e solare, una ragazza madre con una bambina da proteggere a tutti i costi. Il primo approccio con la protagonista potrebbe non essere dei migliori, sotto diversi aspetti; tanto per cominciare il carattere, come già anticipato poc'anzi, la può far sembrare nient'altro che una stupidotta poco sviluppata (non certo di seno, intendo), ma durante il prosieguo della storia non ci sarà difficile entrare in sintonia con questa ragazza e cominciare a considerarla dolce e "indifesa", determinata solo nel proteggere sua figlia; interessante a tal proposito il cambiamento caratteriale che il witchblade esercita su di lei, trasformandola in un essere che vuole spingersi oltre i propri limiti e che brama lo scontro e la battaglia in modo quasi morboso.
L'aspetto della protagonista, nonché di quasi tutte le antagoniste presenti, è quello di donne dalle sensualissime forme, che le loro "armature" non mancheranno di mettere in netto risalto. Da grande estimatore di bellezza femminile questo dettaglio mi aveva portato sulla "cattiva" strada, facendomi pensare che si trattasse di un anime decisamente più frivolo, ma è stato largamente in grado di dimostrarmi quella che definirei "forma e sostanza". In alcuni passaggi narrativi "Witchblade" è arrivato a commuovermi profondamente, e non sono "di lacrima facile".
Tecnicamente potrebbe lasciare un pochino spiazzati, graficamente abbiamo un tratto tutt'altro che sgradevole ma al quale bisogna fare l'occhio: sembra essere decisamente più datato rispetto all'anno effettivo di produzione (2006) per immagini, colori e animazioni, non certo su altissimi livelli e non solo se paragonati alle opere più recenti. Le musiche sono piuttosto ricercate per quanto riguarda opening ed ending, mentre all'interno dell'opera stessa passano decisamente in secondo piano, ad eccezione del brano (semplice ma efficace) che accompagnerà quasi ogni scontro.
"Witchblade" è un anime che mi ha felicemente sorpreso, regalandomi ottimi momenti d'azione, una trama piuttosto solida e articolata, fasi commoventi e riflessive, diversi personaggi che non sarà facile dimenticare e ai quali ci si affeziona, la protagonista su tutti.
Non vi ho trovato particolari cali narrativi, eventuali difetti andrebbero cercati un po' come il proverbiale "pelo nell'uovo". Il finale è degno di una serie bella come questa, anche se personalmente mi sarei aspettato qualcosa di diverso, qualcosa di più epico, di chiaro ed esplicito riguardo alcuni "dettagli" che, pur non trattandosi di un finale aperto, resteranno avvolti nel mistero.
Anche il fumetto originale (nato nel '95 e tuttora in corso al momento della stesura di questa recensione) ha subito nel tempo innumerevoli mutazioni, narrative e grafiche, dovute all'avvicendarsi di molteplici autori e di diversi protagonisti; curioso scoprire che tra le varie "detentrici" del "witchblade" figuri anche il nome di una certa "Lara Croft".
Cos'è il "witchblade"? Esteticamente si presenta come una gemma incastonata in una sorta di bracciale, ma si tratta di un oggetto "dannato" o qualcosa di simile; è lui a scegliere la sua detentrice (rigorosamente donna) e le conferisce poteri inimmaginabili a patto di una convivenza assolutamente forzata che, presto o tardi, vedrà inesorabilmente consumare il fisico di chi lo ospita, ma che non potrà in alcun modo disfarsene fino a che avrà vita. Una specie di maledizione, a ben vedere. Nell'anime ci troviamo a fare i conti con delle potenti società che cercheranno di sfruttare e di replicare questo tipo di potere per creare delle perfette macchine da guerra.
Se tutto si concludesse unicamente in questi termini avremmo avuto a che fare con un anime potenzialmente interessante, ma sicuramente privo di profondità; fortunatamente non è il nostro caso. L'involontaria detentrice del witchblade risponde al nome di Amaha Masane, una prosperosa ragazza dal carattere semplice e solare, una ragazza madre con una bambina da proteggere a tutti i costi. Il primo approccio con la protagonista potrebbe non essere dei migliori, sotto diversi aspetti; tanto per cominciare il carattere, come già anticipato poc'anzi, la può far sembrare nient'altro che una stupidotta poco sviluppata (non certo di seno, intendo), ma durante il prosieguo della storia non ci sarà difficile entrare in sintonia con questa ragazza e cominciare a considerarla dolce e "indifesa", determinata solo nel proteggere sua figlia; interessante a tal proposito il cambiamento caratteriale che il witchblade esercita su di lei, trasformandola in un essere che vuole spingersi oltre i propri limiti e che brama lo scontro e la battaglia in modo quasi morboso.
L'aspetto della protagonista, nonché di quasi tutte le antagoniste presenti, è quello di donne dalle sensualissime forme, che le loro "armature" non mancheranno di mettere in netto risalto. Da grande estimatore di bellezza femminile questo dettaglio mi aveva portato sulla "cattiva" strada, facendomi pensare che si trattasse di un anime decisamente più frivolo, ma è stato largamente in grado di dimostrarmi quella che definirei "forma e sostanza". In alcuni passaggi narrativi "Witchblade" è arrivato a commuovermi profondamente, e non sono "di lacrima facile".
Tecnicamente potrebbe lasciare un pochino spiazzati, graficamente abbiamo un tratto tutt'altro che sgradevole ma al quale bisogna fare l'occhio: sembra essere decisamente più datato rispetto all'anno effettivo di produzione (2006) per immagini, colori e animazioni, non certo su altissimi livelli e non solo se paragonati alle opere più recenti. Le musiche sono piuttosto ricercate per quanto riguarda opening ed ending, mentre all'interno dell'opera stessa passano decisamente in secondo piano, ad eccezione del brano (semplice ma efficace) che accompagnerà quasi ogni scontro.
"Witchblade" è un anime che mi ha felicemente sorpreso, regalandomi ottimi momenti d'azione, una trama piuttosto solida e articolata, fasi commoventi e riflessive, diversi personaggi che non sarà facile dimenticare e ai quali ci si affeziona, la protagonista su tutti.
Non vi ho trovato particolari cali narrativi, eventuali difetti andrebbero cercati un po' come il proverbiale "pelo nell'uovo". Il finale è degno di una serie bella come questa, anche se personalmente mi sarei aspettato qualcosa di diverso, qualcosa di più epico, di chiaro ed esplicito riguardo alcuni "dettagli" che, pur non trattandosi di un finale aperto, resteranno avvolti nel mistero.
Tamako Love Story
9.0/10
Il quartiere commerciale Usagiyama è di nuovo in fermento: stavolta non è un uccello parlante a portare scompiglio nel microcosmo di Tamako Market, ma è l'amore a ribaltare gli umori degli abitanti del vivace carnevale di negozi, teatro di uno dei più dolci anime targato KyoAni. Se già la serie del 2013 era riuscita a conquistare con la sua dolcezza, Tamako Love Story, delicato ed emozionante lungometraggio che prosegue il racconto da dove si era interrotto, centra l'obiettivo ancora di più. In uno scenario poetico che richiama alla mente il ritratto romantico del Giappone, coi suoi lunghi fiumi, le stazioni, i viali pieni di alberi, si consuma il sentimento che Tamako Kitashirakawa e Ooji Mochizou provano l'uno per l'altra. La frase che per tanti anni Mochizou si è portata chiusa nel cuore, perché la timidezza e la paura di fallire l'hanno zittito, è forse la battuta che tutti si sarebbero aspettati di ricevere nel finale della serie. La coppia nata dalla progenie dei due mochiya dell'Usagiyama finalmente convola, regalando allo spettatore emozioni che fanno perdere l'equilibrio. Di fronte allo Shinkansen in partenza, la sbadata ed eccentrica liceale col fetish dei mochi rincorre il sogno di ogni ragazza alla scoperta dell'amore, mentre in gola le esplode silenziosamente un ti amo.
Amaro come il caffè. Dolce come lo zucchero. Tamako Love Story riesce ad essere una mescolanza perfetta di questi due sapori, che fanno il bello e il cattivo tempo della gioventù. Insomma, come i mochi, il tipico e caratteristico dessert giapponese dalla forma e consistenza delle nuvole, è la crasi perfetta del gusto per i palati più raffinati. All'interno della caffetteria "Hoshi to Pierrot", davanti a una tazza di nero fumante, Tamako e Mochizou si prendono una pausa di riflessione e ricevono parole di saggezza per sbloccare l'impasse nella quale si sono ficcati. Guardando una foto di vecchi ricordi, il presente saluta il passato per diventare futuro. La paura del cambiamento, che subentra con la fine del liceo e con i questionari sulla scelta universitaria, è uno dei temi portanti degli shōjo manga, a cui Tamako Love Story strizza l'occhio portando in scena una delicata storia d'amore fra due amici di infanzia che riscoprono essere essenziale la presenza dell'uno per l'altra. Il profondo legame che unisce i due ragazzi è rappresentato dal telefono senza fili che Tamako e Mochizou usano fin dall'infanzia per mettere in comunicazione le finestre delle loro case. E proprio dietro la tenda delle due finestre, che separa gli innamorati come facevano i fusuma nella letteratura antica, si consumano l'imbarazzo e l'aspettativa di un amore che sta sbocciando.
Come la serie, anche il film punta sulle situazioni normali che ogni ragazzo vive a quell'età, confida nella realtà dell'ogni giorno e ne rivaluta la bellezza, riuscendo a conquistare lo spettatore senza fare troppi ghirigori o esasperazioni. La KyoAni, con una zampata da vecchia volpe, coglie l'unico punto in sospeso di Tamako Market e ne realizza un film per la grande sala, che risulta vincente esattamente perché risolve la delicata situazione fra Tamako e Mochizou, che tanto aveva preoccupato i fan della coppia. La love story della figlia del Tamaya e del suo dirimpettaio fa sussultare il cuore, in un sentimentalismo mai scontato o smielato, ma che in ogni inquadratura riesce a regalare sospiri d'amore. La maestria della casa d'animazione della vecchia capitale si percepisce nella cura del character design, ma soprattutto nella scelta dell'ambientazione delle scene chiave. Anche il vento che scompiglia i capelli o i primi piani dei personaggi sono tecniche sapientemente orchestrate per ottenere il massimo da questa piccola ma grande storia d'amore. La colonna sonora si rifà a quella della serie, portando alla ribalta il pezzo scritto dal padre di Tamako per la defunta moglie, Koi no uta (恋の歌, la canzone del primo amore), cantato anche dalla doppiatrice della protagonista, Suzaki Aya, nei titoli di coda.
Credo che vederlo al cinema col proprio fidanzato sarebbe il massimo, peccato che per quanto mi riguarda sono mancate le basi per farlo. Essendo che la pellicola si può apprezzare anche senza aver seguito la serie, consiglio il film agli appassionati delle love story, alle coppie, ma soprattutto a chi ha bisogno di coccolarsi sognando attraverso le storie degli altri. Diceva Mary Poppins: "con un poco di zucchero la pillola va giù!"
Amaro come il caffè. Dolce come lo zucchero. Tamako Love Story riesce ad essere una mescolanza perfetta di questi due sapori, che fanno il bello e il cattivo tempo della gioventù. Insomma, come i mochi, il tipico e caratteristico dessert giapponese dalla forma e consistenza delle nuvole, è la crasi perfetta del gusto per i palati più raffinati. All'interno della caffetteria "Hoshi to Pierrot", davanti a una tazza di nero fumante, Tamako e Mochizou si prendono una pausa di riflessione e ricevono parole di saggezza per sbloccare l'impasse nella quale si sono ficcati. Guardando una foto di vecchi ricordi, il presente saluta il passato per diventare futuro. La paura del cambiamento, che subentra con la fine del liceo e con i questionari sulla scelta universitaria, è uno dei temi portanti degli shōjo manga, a cui Tamako Love Story strizza l'occhio portando in scena una delicata storia d'amore fra due amici di infanzia che riscoprono essere essenziale la presenza dell'uno per l'altra. Il profondo legame che unisce i due ragazzi è rappresentato dal telefono senza fili che Tamako e Mochizou usano fin dall'infanzia per mettere in comunicazione le finestre delle loro case. E proprio dietro la tenda delle due finestre, che separa gli innamorati come facevano i fusuma nella letteratura antica, si consumano l'imbarazzo e l'aspettativa di un amore che sta sbocciando.
Come la serie, anche il film punta sulle situazioni normali che ogni ragazzo vive a quell'età, confida nella realtà dell'ogni giorno e ne rivaluta la bellezza, riuscendo a conquistare lo spettatore senza fare troppi ghirigori o esasperazioni. La KyoAni, con una zampata da vecchia volpe, coglie l'unico punto in sospeso di Tamako Market e ne realizza un film per la grande sala, che risulta vincente esattamente perché risolve la delicata situazione fra Tamako e Mochizou, che tanto aveva preoccupato i fan della coppia. La love story della figlia del Tamaya e del suo dirimpettaio fa sussultare il cuore, in un sentimentalismo mai scontato o smielato, ma che in ogni inquadratura riesce a regalare sospiri d'amore. La maestria della casa d'animazione della vecchia capitale si percepisce nella cura del character design, ma soprattutto nella scelta dell'ambientazione delle scene chiave. Anche il vento che scompiglia i capelli o i primi piani dei personaggi sono tecniche sapientemente orchestrate per ottenere il massimo da questa piccola ma grande storia d'amore. La colonna sonora si rifà a quella della serie, portando alla ribalta il pezzo scritto dal padre di Tamako per la defunta moglie, Koi no uta (恋の歌, la canzone del primo amore), cantato anche dalla doppiatrice della protagonista, Suzaki Aya, nei titoli di coda.
Credo che vederlo al cinema col proprio fidanzato sarebbe il massimo, peccato che per quanto mi riguarda sono mancate le basi per farlo. Essendo che la pellicola si può apprezzare anche senza aver seguito la serie, consiglio il film agli appassionati delle love story, alle coppie, ma soprattutto a chi ha bisogno di coccolarsi sognando attraverso le storie degli altri. Diceva Mary Poppins: "con un poco di zucchero la pillola va giù!"
The Tatami Galaxy
8.0/10
Recensione di AkiraSakura
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Un giapponese che parla del Giappone, Hiroki Azuma, nel suo libro sulla filosofia postmoderna, definisce l'otaku come un consumatore ossessivo-compulsivo paradossalmente caratterizzato dallo snobismo tipico del periodo Edo. L'otaku è anche un costruttore di mondi immaginari, un escapista che ama sostituire le tristi esperienze - e delusioni - del quotidiano con mondi fittizi e illusori, amando feticci anziché persone reali - volendo, anche eleganti donne-artefatto legate ad arcaici canoni di bellezza, non più riscontrabili in una frenetica società animalizzata come quella giapponese. E' bene specificare che quello dell'otaku sia un caso limite del giovane figlio della postmodernità, soggetto in genere alienato dal mondo che lo circonda, giacché non riesce a trovare in esso - e in sé stesso - punti di riferimento stabili con cui identificarsi. Il protagonista di "The Tatami Galaxy" indubbiamente soddisfa tutti questi requisiti, a parte il non essere un consumatore ossessivo-compulsivo: egli è una persona passiva, dalla parlantina veloce e dal flusso di coscienza delirante, costantemente alla ricerca del "bello" in un mondo che non rispecchia affatto le sue elevate pretese snobistiche. In ogni episodio lo sventurato andrà incontro a determinati fallimenti sul piano sociale e sentimentale, arrivando addirittura a rinchiudersi in casa come un vero e proprio hikikomori, oppure ad amare platonicamente una bambola - a suo dire - bellissima, dalla raffinata pettinatura e dal portamento elegante. Con una regia estremamente dinamica, postmoderna, estremizzata, dilatata e nevrotica, l'ottimo Masaaki Yuasa mette in scena una commedia incentrata sui problemi tipici di un giovane giapponese dall'identità frammentaria, non definita - egli non ha nemmeno un nome - che si appresta a intraprendere le prime relazioni sentimentali e ad affrontare l'ambiente universitario.
Su un diverso piano di lettura, a mio avviso l'opera contiene altresì una metafora vagamente buddhista negli intenti: i continui "reset the world" che avvengono dopo ciascun fallimento del nostro antieroe sono delle vere e proprie catene che lo vincolano a ripetere eclatanti errori di predisposizione mentale; la ciclicità delle - seppur vincolate, direbbe il "saggio" della serie - possibilità dell'esistenza potrebbe essere un'arguta rappresentazione della ruota del divenire, che imprigiona le vittime della tirannia dei preconcetti e delle costruzioni mentali aliene al mondo reale. Il "demonietto" che inganna sempre il povero protagonista senza nome si potrebbe leggere come il dominio della mente, delle teorie che cercano di spiegare un mondo esterno la cui sostanza è collocata al di là del velo illusorio con cui il nostro intelletto lo filtra e lo plasma in modo meccanico e aleatorio. I velocissimi monologhi che accompagnano ogni puntata sono infatti artificiosi, delle illazioni caratterizzate da una logica folle che mediante processi inconsci privi di consapevolezza diventano aberrazioni, che distorcono la percezione soggettiva del protagonista nei riguardi della realtà sensibile e degli affetti. Tuttavia, in modo molto intelligente, il suddetto acquisterà via via qualche briciolo di consapevolezza in più, e lo show diventerà una sorta di metanarrazione in cui, gradualmente, le immagini reali prenderanno il posto dei disegni, dando un senso di "pienezza" nella non-narrazione che caratterizza l'opera. Con l'avvento della consapevolezza, il mondo falsato e distorto dalla mente del protagonista/spettatore diventerà il "mondo reale possibile".
Nonostante i suoi risvolti impegnati, "The Tatami Galaxy" è una serie molto divertente da vedere; pare quasi il prodotto di un ipotetico Woody Allen giapponese sotto effetto di allucinazioni da LSD: lo stile è proprio quello, con quei monologhi schizzati e quelle metafore del quotidiano coadiuvate da colori sgargianti, inquadrature da malati di mente, un cowboy testosteronico che sta lì a simboleggiare le pulsioni sessuali, incursioni nel kitsch e nel nonsense più spinto. In particolare, la vetta la si raggiunge con le paranoie amorose del nostro protagonista, combattuto tra una corrispondenza letteraria fasulla, una bambola "parlante" - come già accennato "bellissima ed elegante" - e un'igienista dentale in piena crisi ormonale. Le musiche sono sempre integrate con quel delirio visivo che è la grafica, e in particolare è notevole la sigla di chiusura, che nel suo simbolismo contiene implicitamente una raffigurazione delle possibilità della vita, le quali si ampliano "aprendo le porte" delle stanze della nostra mente; mente che deve essere - appunto - aperta, libera, come una stanza a cinque tatami che si collega con altri lidi, con altre ramificazioni; perché tenendo le porte chiuse non si andrà mai da nessuna parte, si rimarrà per sempre confinati nella stanza a cinque tatami della solitudine e dell'indifferenza.
Su un diverso piano di lettura, a mio avviso l'opera contiene altresì una metafora vagamente buddhista negli intenti: i continui "reset the world" che avvengono dopo ciascun fallimento del nostro antieroe sono delle vere e proprie catene che lo vincolano a ripetere eclatanti errori di predisposizione mentale; la ciclicità delle - seppur vincolate, direbbe il "saggio" della serie - possibilità dell'esistenza potrebbe essere un'arguta rappresentazione della ruota del divenire, che imprigiona le vittime della tirannia dei preconcetti e delle costruzioni mentali aliene al mondo reale. Il "demonietto" che inganna sempre il povero protagonista senza nome si potrebbe leggere come il dominio della mente, delle teorie che cercano di spiegare un mondo esterno la cui sostanza è collocata al di là del velo illusorio con cui il nostro intelletto lo filtra e lo plasma in modo meccanico e aleatorio. I velocissimi monologhi che accompagnano ogni puntata sono infatti artificiosi, delle illazioni caratterizzate da una logica folle che mediante processi inconsci privi di consapevolezza diventano aberrazioni, che distorcono la percezione soggettiva del protagonista nei riguardi della realtà sensibile e degli affetti. Tuttavia, in modo molto intelligente, il suddetto acquisterà via via qualche briciolo di consapevolezza in più, e lo show diventerà una sorta di metanarrazione in cui, gradualmente, le immagini reali prenderanno il posto dei disegni, dando un senso di "pienezza" nella non-narrazione che caratterizza l'opera. Con l'avvento della consapevolezza, il mondo falsato e distorto dalla mente del protagonista/spettatore diventerà il "mondo reale possibile".
Nonostante i suoi risvolti impegnati, "The Tatami Galaxy" è una serie molto divertente da vedere; pare quasi il prodotto di un ipotetico Woody Allen giapponese sotto effetto di allucinazioni da LSD: lo stile è proprio quello, con quei monologhi schizzati e quelle metafore del quotidiano coadiuvate da colori sgargianti, inquadrature da malati di mente, un cowboy testosteronico che sta lì a simboleggiare le pulsioni sessuali, incursioni nel kitsch e nel nonsense più spinto. In particolare, la vetta la si raggiunge con le paranoie amorose del nostro protagonista, combattuto tra una corrispondenza letteraria fasulla, una bambola "parlante" - come già accennato "bellissima ed elegante" - e un'igienista dentale in piena crisi ormonale. Le musiche sono sempre integrate con quel delirio visivo che è la grafica, e in particolare è notevole la sigla di chiusura, che nel suo simbolismo contiene implicitamente una raffigurazione delle possibilità della vita, le quali si ampliano "aprendo le porte" delle stanze della nostra mente; mente che deve essere - appunto - aperta, libera, come una stanza a cinque tatami che si collega con altri lidi, con altre ramificazioni; perché tenendo le porte chiuse non si andrà mai da nessuna parte, si rimarrà per sempre confinati nella stanza a cinque tatami della solitudine e dell'indifferenza.
Witchblade - così come scrivo nella mia rece - è un'opera che mi ha positivamente sorpreso, un'opera dalla quale non mi aspettavo granchè, un'opera alla quale ormai sono discretamente affezionato. Purtroppo si tratta anche di un titolo poco noto e sottovalutato. Un titolo che comunque non consiglierei affatto a chiunque cerchi un impatto grafico moderno e tirato a lucido.
Faccio i complimenti anche agli altri recensori; nonostante le altre due opere non siano proprio il mio genere, un'occhiata non fa mai male.
BTW lo dico sempre: ormai 8 è il nuovo 6 XD
Sono d'accordo con Grandebonzo quando dice che la serie non va sottovalutata, perché è innanzitutto la base da cui parte poi questo film. A me è piaciuta molto. Il film ovviamente è più immediato, perché è una pura love story, mentre la serie ha un ritmo lento da slice of life e non sempre incontra il gusto dello spettatore.
In ogni caso, grazie KyoAni ♥ avevo bisogno che la Mochizou x Tamako diventasse canon!
L'ho trovato molto interessante, e la recensione rispecchia appieno alcune mie considerazioni precedenti.
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