Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Shimoseka, Psycho-Pass e Mind Game.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Shimoseka, Psycho-Pass e Mind Game.
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Shimoneta
6.0/10
Recensione di traxer-kun
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Nell'animazione giapponese il genere ecchi è, senza dubbio alcuno, intrinsecamente legato a quell'ormai sempre più ampia fetta produttiva destinata a un consumo esclusivamente commerciale. I tòpoi ormai consolidati di questo genere, che spesso - per non dire sempre - è associato ad altri contesti e stereotipi (vedasi l'harem, l'ambientazione scolastica, la commedia slapstick, et cetera) cui solitamente fa da contorno, vengono nella quasi totalità dei casi riferiti a un target di pubblico maschile senza troppe pretese a livello di trama e character development, ma il cui unico fine è quello di sollazzarsi in un po' di fanservice erotico che può essere più o meno spinto.
Alla luce di ciò, veniamo all'oggetto della recensione, ovvero la serie televisiva Shimoneta to Iu Gainen ga Sonzai Shinai Taikutsu na Sekai (che d'ora in poi, per ovvie ragioni, chiamerò semplicemente Shimoneta): quest'ultima fa senz'altro parte di questa nutrita categoria di opere, in quanto ne rimarca diversi elementi tipici, ma al tempo stesso bisogna riconoscerne il merito di proporre qualcosa di più. O perlomeno, bisogna riconoscerne il tentativo.
In un ipotetico Giappone futuro, la società ha raggiunto il maggior grado di purezza possibile, poggiando le proprie fondamenta sull'esaltazione della moralità e del buon costume. Per raggiungere questo status quo, ogni oggetto, atto e comportamento ritenuto osceno è stato bandito, e la popolazione viene monitorata ventiquattro ore al giorno per mezzo di speciali collari, al fine di rilevarne ogni eventuale condotta illecita. Okuma Tanukichi, studente al primo anno delle superiori, si iscrive a un'Accademia tra le più prestigiose per standard morali dell'intero Paese, desideroso di dimostrare alla bella e castissima Anna Nishikinomiya, presidentessa del consiglio studentesco, il suo valore. Tuttavia, ben presto il giovane si ritrova invischiato in un'organizzazione eversiva, denominata SOX, che fa capo ad Ayame Kajou, il cui scopo è quello di diffondere le oscenità tra gli ignari studenti della scuola.
Ciò che salta subito all'occhio già ai primi minuti di visione della serie è l'onnipresente e sfacciatissima irriverenza che ne caratterizza la sceneggiatura. Shimoneta non aspetta nessuno; al pari del malcapitato protagonista, veniamo trascinati a forza nella spirale di volgarità, battutacce e oscenità gratuite scatenata da Ayame Kajou, la travolgente fondatrice e leader dell'organizzazione SOX. Ma anche se il primo impatto con il tipo di comicità risulta spiazzante - per usare un eufemismo -, non si può fare a meno di constatare come la cosa, nel contesto in cui viene inserita, regga benissimo. Per capire la dinamica di ciò, occorre concentrarsi un attimo sul concetto di volgarità che viene qui presentato: l'originalità sta appunto nel fatto che va palesemente e (soprattutto) consapevolmente contro la tendenza presa dagli anime contemporanei del suo genere. Nell'animazione giapponese, un elemento comune delle commedie ecchi è la tendenza ad amplificare la carica erotica, paradossalmente, attraverso la sola suggestione. Questi anime, nel 99% dei casi, non fanno che offrire spunti; per via della loro natura più "soft" non si abbandonano del tutto al contenuto sessuale, ma si limitano a stuzzicare la fantasia dello spettatore, in termini sì provocatori, ma mai espliciti. E proprio qua sta il punto: tutto quello che l'ecchi medio ti nasconde, Shimoneta te lo sbatte in faccia, consapevolmente e con gli interessi. Le pantsu indossate in testa dai membri della SOX sono proprio il simbolo di tutto ciò; il genere viene spogliato di tutta la sua provocante quanto innocua sfumatura simil-sessuale, in favore del più libero, entusiastico e dirompente inno al sesso e all'indecenza. E ciò va anche a sottolineare i toni satirici della serie, incarnati dalla società utopica - o, volendo, distopica - in cui si muovono i personaggi, nella quale il concetto di "sconcezza", o di qualsiasi espressione offenda il pudore e il buon gusto, non esiste; il che è l'esatto contrario della realtà nipponica, che vede in un certo tipo di animazione e cultura otaku una delle tante valvole di sfogo di una società troppo chiusa e alienata. Dunque, il soggetto che sta alla base di Shimoneta si può dire assolutamente convincente, sia per l'idea originale sia per l'intelligente autoironia con la quale la stessa è stata trattata. Un ulteriore esempio infatti è la mole quasi impressionante di intenzionali e studiatissime censure, che cercano senza troppa convinzione di epurare la serie dalle numerose volgarità (sia visive che auditive) proposte, riallacciandosi scherzosamente al tema portante della trama; per non parlare poi del bizzarro quanto inoppugnabile simbolismo inserito praticamente ovunque, che oltre a fungere spesso da spunto per svariati siparietti comici ironizza sull' "iconografia" - passatemi il termine - della sexualité di concezione comune. Alle prime battute, dunque, Shimoneta si presenta bene; i veri dolori infatti iniziano a palesarsi e ad accumularsi solo in seguito.
Prima di tutto, uno sguardo sui personaggi. Magari sbaglio io a considerare il character development come metro di valutazione, essendo l'anime in questione una commedia senza troppe pretese, ma non ho potuto fare a meno di notare come la caratterizzazione di quasi tutti i personaggi sia a senso unico e ricalchi i più comuni cliché del genere. Questo si nota maggiormente nei comprimari, alcuni dei quali si presentano come delle vere e proprie macchiette inserite solo per accentuare gli onnipresenti toni da commedia. D'accordo, magari lo sviluppo dei personaggi non sarà il cardine di questa storia, ma il problema è che questa mancanza viene a galla proprio a causa dell'evolversi dell'intreccio.
I primi episodi infatti, come detto poco prima, convincono e divertono. Tuttavia, man mano che la storia procede, ci si accorge di come gli autori si limitino a riproporre sempre le solite situazioni, utilizzando lo stesso tipo di comicità e ancorandosi ai soliti temi; il soggetto è senza dubbio originale, ma l'autocompiacimento purtroppo produce l'effetto opposto. Difatti verso metà serie la stessa trama subisce uno stallo, la narrazione si fa prolissa e al tempo stesso il ripetersi degli eventi comincia a risultare tedioso, nonché banale; finito l' "effetto sorpresa" gli elementi comedy si impadroniscono della sceneggiatura, che nel suo voler stupire e "rompere" a tutti i costi, assume toni sempre più deliranti e assurdi, con l'unico risultato di farsi via via più stucchevole e fine a sé stessa. Gli esempi più eclatanti si riscontrano nei personaggi di Gouriki e Tsukimigusa (ma non solo), i cui "risvolti" si dimostrano del tutto fuori luogo e inutili, se non appunto per creare qualche siparietto. E l'apice di tutto ciò si raggiunge nell'arco narrativo finale, dedicato a "Il bianco della vetta", che, oltre a essere alla stregua di un riempitivo, mette in evidenza le numerose difficoltà della sceneggiatura, il cui forzato arrancare ha effetti negativi su tutto il meccanismo narrativo. L'epilogo, infine, come ci si poteva aspettare, non c'è. La serie si interrompe lasciando la vicenda in sospeso, ma in modo anonimo e senza infondere nello spettatore il minimo desiderio di proseguire; ulteriore sintomo del livello di stagnazione raggiunto, e di come gli autori avessero ormai del tutto esaurito le idee.
Shimoneta è una normale commedia ecchi, che parte in modo atipico ma che fa l'errore di crogiolarsi nel suo maggiore punto di forza, che immancabilmente gli si rivolta contro. Fosse stata una miniserie di sei episodi avrebbe senz'altro avuto un diverso ritmo, e con l'apporto di mani più esperte alla sceneggiatura forse avrebbe anche potuto ritagliarsi un piccolo spazio in cima a un genere ormai abusato e spremuto fino alla buccia. Tuttavia, questa possibilità si sgretola definitivamente con l'evolvere della trama, sempre più piatta, ripetitiva e insicura; se a ciò poi aggiungiamo una cattiva gestione dei personaggi, molti dei quali inseriti solo in funzione di una scialba comicità, a mio parere Shimoneta raggiunge a fatica la sufficienza.
Alla luce di ciò, veniamo all'oggetto della recensione, ovvero la serie televisiva Shimoneta to Iu Gainen ga Sonzai Shinai Taikutsu na Sekai (che d'ora in poi, per ovvie ragioni, chiamerò semplicemente Shimoneta): quest'ultima fa senz'altro parte di questa nutrita categoria di opere, in quanto ne rimarca diversi elementi tipici, ma al tempo stesso bisogna riconoscerne il merito di proporre qualcosa di più. O perlomeno, bisogna riconoscerne il tentativo.
In un ipotetico Giappone futuro, la società ha raggiunto il maggior grado di purezza possibile, poggiando le proprie fondamenta sull'esaltazione della moralità e del buon costume. Per raggiungere questo status quo, ogni oggetto, atto e comportamento ritenuto osceno è stato bandito, e la popolazione viene monitorata ventiquattro ore al giorno per mezzo di speciali collari, al fine di rilevarne ogni eventuale condotta illecita. Okuma Tanukichi, studente al primo anno delle superiori, si iscrive a un'Accademia tra le più prestigiose per standard morali dell'intero Paese, desideroso di dimostrare alla bella e castissima Anna Nishikinomiya, presidentessa del consiglio studentesco, il suo valore. Tuttavia, ben presto il giovane si ritrova invischiato in un'organizzazione eversiva, denominata SOX, che fa capo ad Ayame Kajou, il cui scopo è quello di diffondere le oscenità tra gli ignari studenti della scuola.
Ciò che salta subito all'occhio già ai primi minuti di visione della serie è l'onnipresente e sfacciatissima irriverenza che ne caratterizza la sceneggiatura. Shimoneta non aspetta nessuno; al pari del malcapitato protagonista, veniamo trascinati a forza nella spirale di volgarità, battutacce e oscenità gratuite scatenata da Ayame Kajou, la travolgente fondatrice e leader dell'organizzazione SOX. Ma anche se il primo impatto con il tipo di comicità risulta spiazzante - per usare un eufemismo -, non si può fare a meno di constatare come la cosa, nel contesto in cui viene inserita, regga benissimo. Per capire la dinamica di ciò, occorre concentrarsi un attimo sul concetto di volgarità che viene qui presentato: l'originalità sta appunto nel fatto che va palesemente e (soprattutto) consapevolmente contro la tendenza presa dagli anime contemporanei del suo genere. Nell'animazione giapponese, un elemento comune delle commedie ecchi è la tendenza ad amplificare la carica erotica, paradossalmente, attraverso la sola suggestione. Questi anime, nel 99% dei casi, non fanno che offrire spunti; per via della loro natura più "soft" non si abbandonano del tutto al contenuto sessuale, ma si limitano a stuzzicare la fantasia dello spettatore, in termini sì provocatori, ma mai espliciti. E proprio qua sta il punto: tutto quello che l'ecchi medio ti nasconde, Shimoneta te lo sbatte in faccia, consapevolmente e con gli interessi. Le pantsu indossate in testa dai membri della SOX sono proprio il simbolo di tutto ciò; il genere viene spogliato di tutta la sua provocante quanto innocua sfumatura simil-sessuale, in favore del più libero, entusiastico e dirompente inno al sesso e all'indecenza. E ciò va anche a sottolineare i toni satirici della serie, incarnati dalla società utopica - o, volendo, distopica - in cui si muovono i personaggi, nella quale il concetto di "sconcezza", o di qualsiasi espressione offenda il pudore e il buon gusto, non esiste; il che è l'esatto contrario della realtà nipponica, che vede in un certo tipo di animazione e cultura otaku una delle tante valvole di sfogo di una società troppo chiusa e alienata. Dunque, il soggetto che sta alla base di Shimoneta si può dire assolutamente convincente, sia per l'idea originale sia per l'intelligente autoironia con la quale la stessa è stata trattata. Un ulteriore esempio infatti è la mole quasi impressionante di intenzionali e studiatissime censure, che cercano senza troppa convinzione di epurare la serie dalle numerose volgarità (sia visive che auditive) proposte, riallacciandosi scherzosamente al tema portante della trama; per non parlare poi del bizzarro quanto inoppugnabile simbolismo inserito praticamente ovunque, che oltre a fungere spesso da spunto per svariati siparietti comici ironizza sull' "iconografia" - passatemi il termine - della sexualité di concezione comune. Alle prime battute, dunque, Shimoneta si presenta bene; i veri dolori infatti iniziano a palesarsi e ad accumularsi solo in seguito.
Prima di tutto, uno sguardo sui personaggi. Magari sbaglio io a considerare il character development come metro di valutazione, essendo l'anime in questione una commedia senza troppe pretese, ma non ho potuto fare a meno di notare come la caratterizzazione di quasi tutti i personaggi sia a senso unico e ricalchi i più comuni cliché del genere. Questo si nota maggiormente nei comprimari, alcuni dei quali si presentano come delle vere e proprie macchiette inserite solo per accentuare gli onnipresenti toni da commedia. D'accordo, magari lo sviluppo dei personaggi non sarà il cardine di questa storia, ma il problema è che questa mancanza viene a galla proprio a causa dell'evolversi dell'intreccio.
I primi episodi infatti, come detto poco prima, convincono e divertono. Tuttavia, man mano che la storia procede, ci si accorge di come gli autori si limitino a riproporre sempre le solite situazioni, utilizzando lo stesso tipo di comicità e ancorandosi ai soliti temi; il soggetto è senza dubbio originale, ma l'autocompiacimento purtroppo produce l'effetto opposto. Difatti verso metà serie la stessa trama subisce uno stallo, la narrazione si fa prolissa e al tempo stesso il ripetersi degli eventi comincia a risultare tedioso, nonché banale; finito l' "effetto sorpresa" gli elementi comedy si impadroniscono della sceneggiatura, che nel suo voler stupire e "rompere" a tutti i costi, assume toni sempre più deliranti e assurdi, con l'unico risultato di farsi via via più stucchevole e fine a sé stessa. Gli esempi più eclatanti si riscontrano nei personaggi di Gouriki e Tsukimigusa (ma non solo), i cui "risvolti" si dimostrano del tutto fuori luogo e inutili, se non appunto per creare qualche siparietto. E l'apice di tutto ciò si raggiunge nell'arco narrativo finale, dedicato a "Il bianco della vetta", che, oltre a essere alla stregua di un riempitivo, mette in evidenza le numerose difficoltà della sceneggiatura, il cui forzato arrancare ha effetti negativi su tutto il meccanismo narrativo. L'epilogo, infine, come ci si poteva aspettare, non c'è. La serie si interrompe lasciando la vicenda in sospeso, ma in modo anonimo e senza infondere nello spettatore il minimo desiderio di proseguire; ulteriore sintomo del livello di stagnazione raggiunto, e di come gli autori avessero ormai del tutto esaurito le idee.
Shimoneta è una normale commedia ecchi, che parte in modo atipico ma che fa l'errore di crogiolarsi nel suo maggiore punto di forza, che immancabilmente gli si rivolta contro. Fosse stata una miniserie di sei episodi avrebbe senz'altro avuto un diverso ritmo, e con l'apporto di mani più esperte alla sceneggiatura forse avrebbe anche potuto ritagliarsi un piccolo spazio in cima a un genere ormai abusato e spremuto fino alla buccia. Tuttavia, questa possibilità si sgretola definitivamente con l'evolvere della trama, sempre più piatta, ripetitiva e insicura; se a ciò poi aggiungiamo una cattiva gestione dei personaggi, molti dei quali inseriti solo in funzione di una scialba comicità, a mio parere Shimoneta raggiunge a fatica la sufficienza.
Psycho-Pass
10.0/10
Recensione di Thecrimsonking
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E' giusto seguire le direttive del sistema pur mettendo da parte la propria etica personale? E' possibile stabilire un modello di giustizia che sia equo e universale? La creazione di una collettività perfetta è destinata inevitabilmente alla soppressione del libero arbitrio?
Sono queste le tematiche presentate in "Psycho-Pass", anime scritto da Gen Urobuchi e prodotto da Production I.G.
La storia è ambientata in un ipotetico futuro (più precisamente nel 2112), in un distopico Giappone ove la società si avvicina molto a quella rappresentata in "Minority Report"; una società in cui i progressi tecnologici hanno reso possibile misurare e monitorare con precisione lo stato mentale, la personalità e le disposizioni delle persone, usando lo "Psycho-Pass". Quest'ultimo viene usato anche per valutare le probabilità che una persona commetta un crimine, misurandone il "Coefficiente di Criminalità": quando questo valore supera un determinato limite, interviene la sezione anticrimine della Pubblica Sicurezza, formata dagli Agenti, criminali latenti il cui compito è catturare altri criminali e dagli Ispettori, ufficiali di polizia che monitorano e dirigono le loro azioni. Ispettori e Agenti possono intervenire usando le Dominator, particolari pistole che possono variare il tipo di colpo in base al tipo di bersaglio (si disattivano di fronte a persone con coefficienti bassi, stordiscono in caso di coefficiente medio, sono armi letali per i criminali con alti coefficienti).
Le atmosfere dark lasciano intendere fin da subito ciò che va a palesarsi ancor di più con la messa a nudo della psicologia dei personaggi: similmente alla Londra rappresentata da George Orwell in "1984", ma con assai meno totalitarismo, è evidente il contrasto tra la ricerca utopica di una società strutturalmente perfetta e la cruda, spietata realtà, una realtà in cui la popolazione è schiava di un sistema oppressivo che giudica le masse attraverso metodi ignoti alle stesse e ne prestabilisce il futuro abolendone il libero arbitrio, un mondo in cui una presenza occulta governa incutendo terrore ai cittadini. La volontà stessa del singolo di essere un buon concittadino porta i personaggi alla disperazione, all'ossessione e al conseguente peggioramento del proprio Psycho-Pass, che comporta la perdita definitiva di qualsivoglia diritto o addirittura la morte.
L'opera non risalta semplicemente per la grande varietà di temi e la profonda analisi psicologica dei personaggi, ma anche per l'eccellente comparto tecnico. La grafica è minuziosa in ogni aspetto, dal character design alle ambientazioni, passando anche per le dettagliatissime scene d'azione quali combattimenti e inseguimenti. Il sonoro è sempre accuratamente selezionato e rispecchia perfettamente il contesto in cui viene posto. Il ritmo stesso di tutta quanta la serie è pressoché perfetto, con una buona alternanza di dialoghi mai banali ad avvenimenti avvincenti.
In una serie dal così alto spessore psicologico non potevano certo mancare riferimenti culturali e letterari; essi sono numerosissimi in tutto l'arco narrativo, e mostrano il profondo studio dietro alla creazione dell'anime: vi sono riferimenti ad opere delle più svariate epoche, in particolare vengono nominate spesso "I viaggi di Gulliver" di Swift, "1984" di Orwell e alcune citazioni filosofiche di Pascal, Cartesio e Rousseau.
In definitiva, "Psycho-Pass" è un anime di altissimo livello che riesce a spaziare tra più generi differenti quali cyber-punk, poliziesco, splatter, psicologico ecc., adatto a un pubblico che non ricerchi solamente il puro intrattenimento, ma che al contrario sia disposto, seguendo i numerosi dialoghi, a prendere coscienza della crudeltà del mondo e della complessità della psicologia umana.
Sono queste le tematiche presentate in "Psycho-Pass", anime scritto da Gen Urobuchi e prodotto da Production I.G.
La storia è ambientata in un ipotetico futuro (più precisamente nel 2112), in un distopico Giappone ove la società si avvicina molto a quella rappresentata in "Minority Report"; una società in cui i progressi tecnologici hanno reso possibile misurare e monitorare con precisione lo stato mentale, la personalità e le disposizioni delle persone, usando lo "Psycho-Pass". Quest'ultimo viene usato anche per valutare le probabilità che una persona commetta un crimine, misurandone il "Coefficiente di Criminalità": quando questo valore supera un determinato limite, interviene la sezione anticrimine della Pubblica Sicurezza, formata dagli Agenti, criminali latenti il cui compito è catturare altri criminali e dagli Ispettori, ufficiali di polizia che monitorano e dirigono le loro azioni. Ispettori e Agenti possono intervenire usando le Dominator, particolari pistole che possono variare il tipo di colpo in base al tipo di bersaglio (si disattivano di fronte a persone con coefficienti bassi, stordiscono in caso di coefficiente medio, sono armi letali per i criminali con alti coefficienti).
Le atmosfere dark lasciano intendere fin da subito ciò che va a palesarsi ancor di più con la messa a nudo della psicologia dei personaggi: similmente alla Londra rappresentata da George Orwell in "1984", ma con assai meno totalitarismo, è evidente il contrasto tra la ricerca utopica di una società strutturalmente perfetta e la cruda, spietata realtà, una realtà in cui la popolazione è schiava di un sistema oppressivo che giudica le masse attraverso metodi ignoti alle stesse e ne prestabilisce il futuro abolendone il libero arbitrio, un mondo in cui una presenza occulta governa incutendo terrore ai cittadini. La volontà stessa del singolo di essere un buon concittadino porta i personaggi alla disperazione, all'ossessione e al conseguente peggioramento del proprio Psycho-Pass, che comporta la perdita definitiva di qualsivoglia diritto o addirittura la morte.
L'opera non risalta semplicemente per la grande varietà di temi e la profonda analisi psicologica dei personaggi, ma anche per l'eccellente comparto tecnico. La grafica è minuziosa in ogni aspetto, dal character design alle ambientazioni, passando anche per le dettagliatissime scene d'azione quali combattimenti e inseguimenti. Il sonoro è sempre accuratamente selezionato e rispecchia perfettamente il contesto in cui viene posto. Il ritmo stesso di tutta quanta la serie è pressoché perfetto, con una buona alternanza di dialoghi mai banali ad avvenimenti avvincenti.
In una serie dal così alto spessore psicologico non potevano certo mancare riferimenti culturali e letterari; essi sono numerosissimi in tutto l'arco narrativo, e mostrano il profondo studio dietro alla creazione dell'anime: vi sono riferimenti ad opere delle più svariate epoche, in particolare vengono nominate spesso "I viaggi di Gulliver" di Swift, "1984" di Orwell e alcune citazioni filosofiche di Pascal, Cartesio e Rousseau.
In definitiva, "Psycho-Pass" è un anime di altissimo livello che riesce a spaziare tra più generi differenti quali cyber-punk, poliziesco, splatter, psicologico ecc., adatto a un pubblico che non ricerchi solamente il puro intrattenimento, ma che al contrario sia disposto, seguendo i numerosi dialoghi, a prendere coscienza della crudeltà del mondo e della complessità della psicologia umana.
Mind Game
7.0/10
Recensione di Robocop XIII
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YOUR LIFE IS THE RESULT OF YOUR OWN DECISIONS
Dopo aver visto Ping Pong The Animation, non ho potuto fare a meno di cercare e visionare quante più opere possibili di Masaaki Yuasa. Di questo regista scrissi: "Tutte le sue opere sono nel contempo personali ed eterogenee. Ad ogni sua opera sai che troverai la mano di Yuasa, ma sai anche che troverai qualcosa di completamente nuovo.". Questo film tuttavia è un discorso a parte. Con Mind Game, che contiene spunti seminali per opere future come The Tatami Galaxy e Happy Machine, Yuasa sembra aver voluto animare un suo manifesto stilistico.
La cosa che colpisce di più è certamente lo stile grafico. L'autore utilizza diversi stili grafici e tecniche, rendendo erroneamente quest'opera "troppo sperimentale" già per molti. Sarebbe errato dire il contrario, ma in molti confondono sperimentale con non-sense, mentre sono due cose molto differenti. Posso dire con certezza che Mind Game è più sperimentale per quanto riguarda la sceneggiatura piuttosto che per il comparto grafico. L'incipit del film è molto interessante. La telecamera, posandosi sullo schermo di un telefonino nei primi minuti di animazione, ci svela tramite un messaggio scritto in inglese il leitmotiv dell'opera. Si parla di vita, ma si parla soprattutto di scelte, senza sconfinare nella filosofia del libero arbitrio. Il film fa pensare, anticipando di quasi cinque anni quel fantastico film chiamato Mr. Nobody. Poi la svolta, due personaggi trasformano l'atmosfera in tarantiniana. Ancora dopo, una lunga sequenza action. Dopo, ancora scene oniriche. E così via, sembra quasi che Yuasa abbia voluto comprendere in questo manifesto stilistico tutti i generi esistenti, per dimostrare la sua poliedricità. Ma il risultato è solamente un calderone, che rovina lo spunto iniziale sfociando poi nella noia della seconda metà del film. Ci sono spunti interessanti - la morte, la vita, le scelte, il riscatto, il sovrannaturale -, ma sono troppi e gestiti male.
Yuasa ha questo problema. Ha i mezzi e le capacità per creare opere memorabili, ma perde spesso il punto della situazione. E lo fa quasi spesso volontariamente (a voi decidere se ciò sia un aggravante o meno). Mind Game, quando applica la sua atmosfera romantica e pietosa all' "interpretazione a molti mondi", risulta interessante, ma soprattutto fa riflettere e commuovere. Purtroppo, a partire dalla parte action, si perde, deludendo le aspettative. Non è riempendo la testa dello spettatore di input visivi che lo si tiene occupato, bisogna anche creare una struttura coerente che renda l'opera memorabile nel tempo, se no ci si ritrova con innumerevoli scene dal forte impatto visivo e registico ma fini a loro stesse.
Dopo aver visto Ping Pong The Animation, non ho potuto fare a meno di cercare e visionare quante più opere possibili di Masaaki Yuasa. Di questo regista scrissi: "Tutte le sue opere sono nel contempo personali ed eterogenee. Ad ogni sua opera sai che troverai la mano di Yuasa, ma sai anche che troverai qualcosa di completamente nuovo.". Questo film tuttavia è un discorso a parte. Con Mind Game, che contiene spunti seminali per opere future come The Tatami Galaxy e Happy Machine, Yuasa sembra aver voluto animare un suo manifesto stilistico.
La cosa che colpisce di più è certamente lo stile grafico. L'autore utilizza diversi stili grafici e tecniche, rendendo erroneamente quest'opera "troppo sperimentale" già per molti. Sarebbe errato dire il contrario, ma in molti confondono sperimentale con non-sense, mentre sono due cose molto differenti. Posso dire con certezza che Mind Game è più sperimentale per quanto riguarda la sceneggiatura piuttosto che per il comparto grafico. L'incipit del film è molto interessante. La telecamera, posandosi sullo schermo di un telefonino nei primi minuti di animazione, ci svela tramite un messaggio scritto in inglese il leitmotiv dell'opera. Si parla di vita, ma si parla soprattutto di scelte, senza sconfinare nella filosofia del libero arbitrio. Il film fa pensare, anticipando di quasi cinque anni quel fantastico film chiamato Mr. Nobody. Poi la svolta, due personaggi trasformano l'atmosfera in tarantiniana. Ancora dopo, una lunga sequenza action. Dopo, ancora scene oniriche. E così via, sembra quasi che Yuasa abbia voluto comprendere in questo manifesto stilistico tutti i generi esistenti, per dimostrare la sua poliedricità. Ma il risultato è solamente un calderone, che rovina lo spunto iniziale sfociando poi nella noia della seconda metà del film. Ci sono spunti interessanti - la morte, la vita, le scelte, il riscatto, il sovrannaturale -, ma sono troppi e gestiti male.
Yuasa ha questo problema. Ha i mezzi e le capacità per creare opere memorabili, ma perde spesso il punto della situazione. E lo fa quasi spesso volontariamente (a voi decidere se ciò sia un aggravante o meno). Mind Game, quando applica la sua atmosfera romantica e pietosa all' "interpretazione a molti mondi", risulta interessante, ma soprattutto fa riflettere e commuovere. Purtroppo, a partire dalla parte action, si perde, deludendo le aspettative. Non è riempendo la testa dello spettatore di input visivi che lo si tiene occupato, bisogna anche creare una struttura coerente che renda l'opera memorabile nel tempo, se no ci si ritrova con innumerevoli scene dal forte impatto visivo e registico ma fini a loro stesse.
L'idea di Shimoseka andava bene per una miserie/OAV di 3-6 episodi, e non per una serie intera. Direi che ha colto tutti i pregi, i limiti ad essi correlati e i difetti dell'opera.
Poi forse per PP il voto massimo è troppo, ma si tratta comunque di una serie ampiamente positiva.
Psycho-Pass è un anime quasi perfetto. Sono poco propendo a concedere dei 10 nella valutazione (in fin dei conti la perfezione assoluta non esiste), ma si avvicina sicuramente.
Complimenti a tutti e tre!
Mind Game capolavoro.
Trovo anch'io eccessivo il voto massimo per "Psycho-Pass" (comparto tecnico altalenante e qualche eccesso nella sceneggiatura), ma è un'opera davvero meritevole, fosse anche solo per gli spunti di riflessioni che propone.
Purtroppo forse il mio giudizio non è del tutto oggettivo (in quanto ho amato questa serie, o almeno il concetto su cui gioca), ma sono comunque del parere che per valutare qualcosa non bisogna far troppo riferimento alle fonti da cui si basa, altrimenti si finisce per minimizzare tutto ad un semplice "bé non regge proprio il confronto con A".
Io non ho mai visto Minority Report (cosa a cui devo rimediare) e non voglio comunque fare paragoni tra i due, perché sarebbe ingiusto nei confronti di ambedue le serie.
Non metto in dubbio quindi che la base da cui riprende sia ovviamente l'originale, ma a mio parere Psycho-Pass è riuscito costruire su quella stessa base qualcosa di eccezionale (e non forse innovativo, poiché già usato precedentemente).
La cosa che più ho amato di Psycho-Pass è proprio il fatto di avermelo fatto amare. Questa serie racchiude in sé tutti generi che io non apprezzo particolarmente (vedi splatter e poliziesco) e allo stesso tempo gioca sulla psicologia umana e su un futuro utopistico, cose che invece trovo molto intriganti.
Quest'ultime due sono le caratteristiche che più mi hanno ammaliato di tutta la serie: il modo in cui Psycho-Pass è riuscito a giocare con le menti umane e le loro psicosi mi ha letteralmente lasciato senza parole. L'ambientazione dark/sci-fi ha poi contribuito molto ad enfatizzare questi disturbi psicologici che attanagliano l'intera popolazione, oltremodo ignara del fatto che sia proprio questa utopia sociale a causarla.
(Questo è solo una mia opinione, ma sinceramente Psycho-Pass merita anche solo per Makishima Shogo, sarà pure il solito antagonista rivoluzionario stereotipato, ma è forse l'unico "sano" dell'intera serie che si rende conto della "malattia" di quella realtà in cui vive proprio a causa della sua diversità che viene catalogata, ironicamente, come "malattia" dalla società.
Potrebbe forse essere paragonato alla figura dell'inetto di Svevo ...)
A parte gli scherzi, nn ho mai dato troppa importanza al cattivo di spyco pass perché concentrato su alte tematiche quindi potrebbe essere come dici te.
@Fma35
Senza offesa ma il nome corretto è Kogami non Konami(infatti mi chiedevo cosa centrasse la nota software house con PP).
Forse però sto andando off topic, scusate.
Credo infatti che lui volesse dare splendore all'individualità della persona, la cui vita era praticamente già segnata fin dall'infanzia. Le sue azioni non erano altro che un modo per offrire a queste persone una "via di fuga", o meglio ancora un modo per esprimere sé stessi.
(Se non erro Makishima stesso lo afferma durante la serie)
Non posso mettere in dubbio che i suoi metodi erano sicuramente anticonformisti e immorali, tuttavia è questo suo atteggiamento che fa di Makishima ciò che è. Inoltre bisogna ricordare che lui non ha ceduto nemmeno di fronte alla golosa opportunità che gli aveva offerto il Sibyl System, proprio perché fedele ai suoi principi e ai suoi valori.
Sì, ero sul cellulare che mi ha fatto il correttore.
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