Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Complice il cambio della doppiatrice originale, nel 2012 arriva in Giappone questa "Lupin III - La donna chiamata Fujiko Mine", maxi-serie di tredici episodi incentrata sulla complice/traditrice/amante di Lupin III. Nelle tre serie precedenti abbiamo amato in lei la capacità di tradire, ma anche di essere "fedele" al ladro dalla faccia scimmiesca, perché le altre donne che compaiono negli anime sono quasi sempre delle pere cotte - cadono ai piedi di Lupin troppo facilmente -, se non delle assassine. Dopo troppi special TV che la vedevano in ruoli marginali, da miss Moneypenny degli 007 vecchia maniera, eccola guadagnarsi un ruolo da protagonista, o quasi. Ovviamente, aspettarsi nel 2012 degli episodi stile "Lupin III" anni '70, ovvero autoconclusivi, è un'utopia, qui tutto è collegato, persino negli episodi dove la ladra incontra per la prima volta Lupin, Jigen, Goemon e Zenigata. La trama, che non è altro che un prequel della prima serie TV, si avvicina a quella horror del film "Lupin III - La pietra della saggezza", con degli inquietanti uomini gufo che rimpiazzano il nano millenario Mamoo, e tutto sembra sospeso in quei magici anni '70 che sono la spina dorsale dell'animazione migliore di Lupin.

Le trame sono adulte, i nudi della ladra rimandano a quelli della nostra Valentina di Crepax, Lupin è il solito marpione in giacca verde (riacquista anche molto del cinismo perso negli anni) e Jigen il solito pistolero misogino. Quelli che cambiano un po' sono Goemon e Zenigata; troppo infantile e infatuato di Fujiko il primo, troppo poliziotto alla Dick Tracy tutto d'un pezzo il secondo. Non che sia un male, specie per l'ispettore, che ha persino un giovane assistente fra i suoi collaboratori, ma questi ha ben pochi faccia a faccia con Lupin, per quanto sia, ovviamente, ossessionato da lui. Il fatto che qui Fujiko sia disinibita più che in passato non deve scioccare, siamo nel terzo millennio e certi argomenti vanno trattati. Non mancano i personaggi eccentrici, gli invertiti innamorati di altri uomini invidiosi del sex appeal di Fujiko e i mafiosi dai nomi buffi (Maccherone lui e Cicciolina lei).
Magnifica la colonna sonora della serie, diversa dalla consueta di Yugi Ohno, ma indovinata come la sigla iniziale parlata, che ci introduce magnificamente nel mondo della ladra. Discreto il doppiaggio Milano/Roma effettuato nel 2014, accettabile il nuovo Jigen, Alessandro Maria d'Errico, che mi ricorda nei toni il Germano Longo della prima serie. Si attende solo l'uscita italiana dei DVD.


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Marmalade Boy è uno dei più grandi successi nell'ambito dei manga per ragazze in Italia e a ogni sua ristampa della Planet Manga continua a riscuotere grande successo nonostante il passare degli anni.
Forse a causa della trasmissione televisiva dell'anime su Italia 1 che, nonostante le censure, ha lanciato Marmalade Boy nell'immaginario dello shoujo collettivo come la tipica commedia sentimentale/familiare, da allora la Planet Manga ha continuato a pubblicare quasi tutte le opere della Yoshizumi e Marmalade Boy Little non fa eccezione.
Parliamo del seguito, ambientato circa 15 anni dopo la conclusione della prima serie (per questo sconsiglio la lettura della recensione a chi debba ancora leggere Marmalade Boy perché inevitabilmente nel parlare di Little ci saranno degli spoiler, che comunque cercherò di mantenere al minimo).

I protagonisti stavolta sono i fratellini di Miki e Yu (che sono fratelli di entrambi gli ex protagonisti ma non condividono legami di sangue tra loro) Rikka e Saku, che convivono nella stessa casa con i loro strampalati genitori e si trovano alle prese con le loro prime vicende sentimentali.
Proprio quando Rikka ha la sua prima cotta per un bel ragazzo conosciuto a scuola, suo "fratello" Saku le dichiara di essere innamorato di lei da sempre... all'inizio Rikka rimane totalmente shoccata da questa dichiarazione e cerca di minimizzare, ma piano piano, come sembra imporre il destino di questa famiglia "confusa", dovrà iniziare a prendere più seriamente i sentimenti di quello che fino a quel momento ha sempre considerato soltanto suo fratello, iniziando a scoprirne lati nascosti.
Parallelamente la Yoshizumi ci mostra cosa ne è stato di tutti i personaggi del manga precedente, di Miki e Yu che ora convivono insieme da molto tempo, di Ginta e di tutti gli altri, e in alcuni casi dei loro figli.

Insomma Marmalade Boy little si articola su due piani: le avventure sentimentali, le prime cotte e i primi turbamenti di Rikka, Saku e dei loro compagni di scuola e dall'altro lato delle vicende "più adulte" dei vecchi personaggi della serie originale, che devono risolvere problemi più concreti e maturi (scelte come lo sposarsi o no, il divorzio, l'avere dei figli, e così via).
Elemento questo che forse appiattisce e rende confuso il manga, perché il target di riferimento non è chiarissimo e si passa da storie d'amore tra adolescenti a storie di "adulti" con ben altri tipi di problemi da risolvere.
La Yoshizumi stessa pare aver avuto qualche dubbio su come gestire le vicende delle due generazioni di protagonisti, visto che mentre la serie originale veniva serializzata in Giappone su Ribon che è una rivista per bambine dagli 8 ai 12 anni circa, questa serie viene invece pubblicata su Cocohana rivista dal target un po' più maturo, e il compromesso raggiunto alla fine di alternare le due vicende non sembra essere proprio molto azzeccato.
E' come passare da uno shoujo (le avventure di Rikka e Saku) a un josei (Miki e gli altri) da una pagina all'altra e questo crea qualche problema di continuità.

Esaminando questo aspetto più nel dettaglio, la parte su Rikka non è molto originale. Capisco che sia un manga più che altro "tributo" a Marmalade Boy fatto per attirare i vecchi fan, ma tutti i soliti finti colpi di scena alla "ora a causa di un'improvvisa gelosia, vedo il ragazzo che ho sempre considerato un parente in modo diverso, come un uomo" sono talmente triti e ritriti da annoiare facilmente. Per carità, la Yoshizumi è una veterana e una maestra nel campo delle commedie sentimentali per ragazze, ma inizia a ripetersi un po' troppo, e le situazioni e i personaggi sono praticamente sempre gli stessi dai tempi di Cuore di menta.
Per quanto riguarda gli "adulti" ci sono piccole incomprensioni che si risolvono quasi subito, rendendo il tutto un po' insapore e privo di pathos. I personaggi tendono a razionalizzare tutto, ogni minimo sentimento, e a risolvere tutto col dialogo e la logica, cosa che li rende forse piatti e troppo affettati per essere realistici o quantomeno verosimili.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, qui si vede il grande miglioramento della Yoshizumi, che rimane sempre fedele a sé stessa (il suo stile non ha subito grosse variazioni negli anni, se non un'armonizzazione complessiva e una cura crescente per i dettagli e la scelta dei colori), ma i disegni sono sempre più eleganti, raffinati e mai pacchiani o fuori posto. C'è quella piacevole "rigidezza" che contraddistingue i suoi personaggi e una retinatura pacata e ben equilibrata.
Molto belle soprattutto le cover e le immagini a colori, semplici ma d'impatto.

L'edizione della Planet Manga è semplice, in formato standard, ma comunque ben curata all'interno.

Insomma, un manga che non deluderà i nostalgici e i fedelissimi della Yoshizumi, ma forse un po' troppo privo di contenuti nuovi per chi si avvicina per la prima volta a questa mangaka, che in passato ha lavorato a shoujo e josei molto più convincenti.
Manca quella freschezza, quell'autentico colpo di scena, che in passato al Yoshizumi è stata in grado di regalare, anche nel suo shoujo più recente Chitose etc. (in cui forse il pathos andava affievolendosi sempre di più col passare dei volumi).


10.0/10
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"One-Punch Man" è il canto della fenice dell'animazione giapponese.

Penso non si possa negare che il medium dell'animazione e del disegno giapponese sia arrivato a un punto morto. Mentre da un punto di vista tecnico un'evoluzione c'è stata nel corso degli anni (sebbene molto lenta vista la natura iper-tradizionalista del medium), la produzione più recente di manga e anime ha visto un arresto della creatività e una stagnazione tematica preoccupante. La produzione anime e manga giapponese è immensa, eppure non è facile trovare nelle opere più recenti qualcosa di veramente fresco e originale. Per trovare esempi interessanti bisogna scavare in un mare di produzioni plastificate e preconfezionate, spesso anche poco curate. L'utilizzo della CG ha permesso di ottenere risultati grafici discreti con un sforzo produttivo considerevolmente ridotto. Una notizia del genere potrebbe far pensare a un enorme passo avanti nel campo dell'animazione che, con questo incredibile assist, potrebbe creare sequenze complesse con una frazione del budget. Invece quanti anime abbiamo visto sfruttare degnamente questo mezzo contro quelli che invece ne hanno fatto un uso scialbo? Questo è indice, piuttosto grave, di una crisi di creatività e di passione.
Quando, di recente, ho cercato di gustarmi l'ultima trasposizione di "Berserk", ho storto il naso più di una volta per l'uso massiccio e grossolano di CG, ma allo stesso tempo giustificavo la scelta dicendomi che probabilmente c'erano questioni di budget dietro e che la scelta non dipendeva dal team. Poi ho visto "One-Punch Man" e mi sono chiesto quale budget stratosferico e numero impressionante di disegnatori richiedesse una tale magnificenza grafica oggi. Invece si trattava della Madhouse, studio con notevole esperienza ma sicuramente "minore" rispetto a tanti altri che oggi sfornano prodotti mediocri. Questo per sottolineare quanto passione e impegno contino nella produzione di queste opere e quanto normalmente manchino.

Inoltre, che senso ha fare un anime di formazione e di scoperta della brutale e spietata bellezza del mondo dopo "Neon Genesis Evangelion"? Un anime sulla forza dei rapporti dopo "Full Metal Alchemist"? Un anime su apatia e ambizione dopo "Berserk"? Eppure molti anime riprendono questi nodi senza immettere un punto di vista più intimo. A volte con anche discreti risultati, si veda come "L'attacco dei giganti" riprende il binomio crescita/crudeltà di "Neon Genesis Evangelion" in modo soddisfacente. Si veda però anche come "Tokyo Ghoul" lo riutilizza con deprecabili risultati.

Soprattutto per l'animazione giapponese, che avanza per temi e idee piuttosto che sulle storie (spesso, anche per quanto riguarda le opere più entusiasmanti, inutilmente complesse o, al contrario, incredibilmente semplici e ripetitive), riproporre continuamente gli stessi temi vuol dire perdere vitalità. Un processo creativo che non cresce è un processo morto e, attualmente, l'animazione giapponese è particolarmente stagnante. Ciò non vuol dire che vengano prodotti esclusivamente anime inguardabili. I più recenti "Ajin" e "Parasyte" (anche se il manga è degli anni '90), per esempio, non sono cattivi esempi di animazione. Soprattutto nello stile, il primo, ha anche degli sprazzi di innovazione e uno dei pochi esempi di CG definibili come virtuosi. Ma sono anime realmente utili all'evoluzione del medium?

Sotto questo aspetto "One-Punch Man" è eccezionale. Disseziona e de-struttura con precisione lucida e affascinante tutti quei modelli abusati e confermati in più di un decennio di stagnazione culturale. Fin qui è un processo intelligente e, tra l'altro, dannatamente divertente, ma ciò in cui Saitama è, appunto, eccezionale, nella sua figura di eroe antitetico, è il suo porre le basi per qualcosa di nuovo. L'animazione giapponese, pur essendo seguita da un pubblico di tutte le età, ha sempre fatto riferimento a un target adolescenziale o fanciullesco. Da qui si è sempre sentita la forte necessità di inserire l'elemento della formazione, della crescita e della scoperta. Saitama, al contrario, non ha bisogno di essere formato. Saitama è un venticinquenne pelato, senza passioni, il cui percorso di crescita è già completo nel momento in cui l'anime ha inizio. Non è un ragazzo problematico che ha bisogno di maturare e di scoprire il mondo, non ha traumi interiori inconcepibili, non ha una forza di volontà disumana e, anzi, fatta eccezione per la sua misteriosa forza, è un uomo assolutamente mediocre. Ci tengo a sottolineare che questa sua mediocrità è assolutamente adorabile e meravigliosa, ma pur mediocrità resta.

Eppure Saitama è anche un uomo che fatica a trovare uno stimolo nella vita. Incredibilmente lucido rispetto ai personaggi di cui è circondato, percepisce un vuoto dentro di sé. Saitama è un uomo incompleto proprio per via della sua forza così "completa" e ineguagliabile. Non ha obiettivi, se non sciocchi capricci, eppure è questa la decostruzione e ricostruzione più importante di "One-Punch Man": non ci sentiamo più vicini a lui piuttosto che al ragazzino dalla storia improbabile e dalla determinazione infallibile? Non abbiamo anche noi, spesso, obiettivi di vita sciocchi supportati/mascherati da nobili intenzioni? Non abbiamo grette e basse aspirazioni? Non siamo anche noi a volte annoiati, dubbiosi e senza stimoli? In un fallimentare tentativo di insegnare al suo allievo, Saitama dice che la vera forza e il vero cambiamento partono dal cuore. Ovviamente in quel momento risulta eccessivamente melenso e tenta quindi di rimediare dando all'allievo banali direttive contestuali. Eppure non risulta difficile credere che in quel momento, pur con auto-ironia, "One-Punch Man" stesse anche difendendo e ponendo una nuova base.

Molti considerano quest'anime come una dissacrante, irriverente e potentissima opera distruttrice. Sarebbe sufficiente. Sarebbe già unica. Ma per me "One-Punch Man" è molto di più, è un'opera rivoluzionatrice (perdonate il neologismo).