Ogni anno i premi Oscar catturano l'attenzione di milioni di appassionati di cinema in tutto il mondo, lasciando una coda di riflessioni o polemiche sulle varie scelte della Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Mai come quest'anno, in ogni caso, si percepiva la consapevolezza di arrivare ad assistere ad un'edizione storica, soprattutto nella categoria che avrebbe assegnato l'Oscar al miglior film, dove si sarebbero scontrati titoli che in caso di vittoria avrebbero inevitabilmente avuto un impatto rilevante nel mondo della cinematografia e non solo. Avremmo forse assistito alla vittoria del primo film distribuito in streaming anziché al cinema con The Irishman di Martin Scorsese o Storia di un matrimonio di Noah Baumbach? Sarebbe stata la prima volta per Quentin Tarantino con C'era una volta a... Hollywood? Oppure ancora si sarebbe fatta la storia con la vittoria di un cinecomic come Joker di Todd Phillips? Ebbene, la risposta è stata: nessuna di queste. A trionfare è stato Parasite (Gisaengchung) di Bong Joon-ho, film sudcoreano già vincitore della Palma d'oro a Cannes, primo film in lingua straniera a imporsi in questa categoria, che ha raccolto ben quattro statuette in categorie importanti come appunto Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Film Straniero.
Come detto, quella sera sarebbe stata comunque storia, ma la scelta dell'Academy ha sicuramente incuriosito. Già numerosi film avevano sfiorato l'impresa di riuscire a imporsi in terra straniera; solo lo scorso anno vi era tra i favoriti Roma di Alfonso Cuarón, e se pensiamo all'Italia non possiamo non citare il 1999 con La Vita è Bella di Roberto Benigni, vincitore del Premio Oscar come Miglior Film Straniero e tuttavia superato da Shakespeare in Love di John Madden nella categoria assoluta. Vestendoci per un secondo di patriottismo, va segnalato che un pizzico di Italia in questa vittoria in realtà c'è, visto che chiunque ha ben udito la voce di Gianni Morandi e la sua "In ginocchio da te" in un momento chiave del film, al punto che lo stesso artista ha voluto fare i complimenti a tutta la produzione sul proprio profilo Facebook.
Tornando ora ad una veste più critica, Parasite è certamente un grandissimo film, e non potrebbe essere altrimenti considerando i riconoscimenti che ha ricevuto negli ultimi mesi; in molti tuttavia si domandano il perché l'opera di Bong Joon-ho sia riuscita a imporsi in maniera così netta nella più importante e storica rassegna di premi cinematografici al mondo. Rispondendo in maniera rapida e coincisa si potrebbe dire che Parasite sia un film che ad altri non era mai riuscito: è la pellicola che più di ogni altra riesce a mostrare il divario socio-culturale tra ricchi e poveri, e che vuole denunciare la totale sparizione della cosiddetta "middle class", la quale di fatto rendeva meno evidente la distanza sociale tra individui. Un tema forte, già trattato in svariate opere, ma la bravura di Bong Joon-ho, e con lui dello sceneggiatore Han Ji-won, è stata quella di rendere tutto questo appetibile per il grande pubblico: ciò è avvenuto dapprima "occidentalizzando" la pellicola, e poi riuscendo a mescolare tra loro numerosi generi tra cui il thriller, il quale porta allo spettatore quella componente ansiogena molto forte che serve a mantenere viva l'attenzione, che altrimenti sarebbe venuta meno durante lo svolgersi della storia rendendo Parasite un'opera asiatica canonica, molto drammatica e a tratti compassata.
Parasite è dunque un film asiatico che di orientale ha solo la componente visiva. Conquista certamente per la sua capacità di aprirsi a decine di spunti di riflessione, alcuni ben marcati, altri da scoprire, dove non abbiamo alcun elemento o situazione che non richiami al messaggio chiave descritto sopra. Assistiamo al maniacale e utopistico desiderio della famiglia Kim di arrivare in cima, di voler "essere come quelli là", di voler scalare la propria condizione sociale. Il cammino tuttavia è irto di insidie: bisogna fingere, rinnegare le proprie origini, e la vita non smetterà mai di tentare di farli affogare, in questo caso tra i loro stessi liquami.
Parasite racconta quindi in maniera cruda, diretta e artistica ciò che di fatto avviene nella vita reale, dove vi è un precariato o un ceto più povero che vive sulle spalle degli altri, un parassita che vive nello scantinato dell'élite sociale, il quale si divide tra chi vorrebbe emergere e chi non ha le forze per poterlo fare, ma tuttavia si sente in obbligo di ringraziare quotidianamente chi gli permette di vivere la propria vita, seppur miserabile. In risposta, la classe più abbiente sente la necessità di attuare pesanti disinfestazioni per ripulire la propria vita da questi "scarafaggi", anch'essa col volto rivolto verso l'alto, inconsapevole di colui che vive più in basso. Tuttavia il parassita è abituato a respirare il veleno, ne è ormai immune, può continuare il proprio lavoro nonostante la nube tossica lo avvolga e il liquame lo sovrasti, anzi risponde fumandosi una sigaretta senza curarsi del tanfo o della sporcizia. L'odore è però ben rilevabile dal capitalismo, sin dalla tenera età, quell'odore in questo caso di pendolare o di ravanello, qualcosa di insopportabile e che non manca mai di essere sottolineato; questo, almeno finché la continua umiliazione non si va a scontrare con l'orgoglio di un padre, che di fatto è l'orgoglio di una classe. Infine, il film va a mostrare come anche il piano meglio costruito o geniale, se ordito da un "inferiore", alla fine deve per forza fare i conti con ciò che non è scritto ma che si avverte: a tal proposito siamo partecipi di uno dei dialoghi più interessanti del film, con Ki-taek, appena ritrasformatosi in scarafaggio sociale, che racconta a suo figlio Ki-woo che il piano che non può mai fallire è quello che non viene mai progettato.
Parasite è dunque nelle parole del suo stesso regista: "Una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi", dove nessuno di fatto è sbagliato ma è sbagliata la vita, quella che viviamo nel quotidiano. Il film è quindi denuncia pura, magistralmente costruita, che non punta il dito in un'unica direzione bensì apre a numerosi imputati, anche politici: si intravedono infatti frecciate alla guerra tra le due Coree e la loro diversità culturale, quindi alle dittature, alla borghesia consolidata arricchitasi grazie ad una bolla speculativa che di fatto ha scavato un solco insormontabile tra classi, alle fredde e ipocrite maschere con cui si è costretti a convivere. Se in molte altre pellicole questi messaggi erano rivolti agli ultimi, per dar loro speranza e voglia di rivalsa, in questo caso il tutto è indirizzato ai primi, ai club, alle cerchie ristrette e per gli ultimi non resta che la dura realtà, ossia un finale amaro e un sogno che potrebbe realizzarsi ma che ad occhi aperti sappiamo che mai si realizzerà.
Riassumendo il concetto, all'Academy Awards la denuncia è arrivata forte e chiara, e in tutta risposta si è voluto mostrare un'apertura verso coloro che "non hanno mai fatto parte del giro". Tuttavia, per quanto nella sua narrazione Parasite sia stato diretto e schietto, dobbiamo ora esserlo altrettanto anche noi. La Corea del Sud e la cinematografia asiatica in generale non sono mai state prese seriamente in considerazione, non solo in termini di riconoscimenti ma in generale anche da noi stessi in quanto spettatori. In questi giorni sono decine i messaggi che si leggono di appassionati che hanno visto otto dei nove film candidati agli Oscar snobbando Parasite in quanto sudcoreano. Anche ora, nonostante i premi Oscar, ci si domanda se valga la pena approcciarvisi. Insomma nonostante tutto, il divario da colmare resta ampio, e lo è anche in termini di critica dove sono piovuti plausi per l'apertura e la scelta di Parasite come miglior film dell'anno, eppure salta comunque all'occhio come non si sia voluto candidare uno straordinario Song Kang-ho tra i migliori attori protagonisti. Indubbiamente in questa edizione Joaquin Phoenix e il suo Joker, che di fatto rappresenta un disagiato sociale che vive come la famiglia Kim nel desiderio di rivalsa, è certamente una scelta più che condivisibile, ma è altresì vero che nessun attore asiatico è mai stato anche solo nominato, e quindi anche questa appare come un'occasione mancata.
Come detto in apertura, gli Oscar lasciano sempre strascichi riflessivi: il prossimo anno seguiremo la miniserie americana di HBO spin-off di Parasite, perché il ferro va battuto finché è caldo, il business è sempre il business, e il capitalismo resta sfrenato nonostante le buone intenzioni. Tuttavia la vittoria di Parasite va accolta con gioia, è riuscito ad arrivare dove nessuno era mai arrivato, insomma citando di nuovo Gianni Morandi, il film è quell’uno su mille che è riuscito a farcela, nonostante la salita.
Come detto, quella sera sarebbe stata comunque storia, ma la scelta dell'Academy ha sicuramente incuriosito. Già numerosi film avevano sfiorato l'impresa di riuscire a imporsi in terra straniera; solo lo scorso anno vi era tra i favoriti Roma di Alfonso Cuarón, e se pensiamo all'Italia non possiamo non citare il 1999 con La Vita è Bella di Roberto Benigni, vincitore del Premio Oscar come Miglior Film Straniero e tuttavia superato da Shakespeare in Love di John Madden nella categoria assoluta. Vestendoci per un secondo di patriottismo, va segnalato che un pizzico di Italia in questa vittoria in realtà c'è, visto che chiunque ha ben udito la voce di Gianni Morandi e la sua "In ginocchio da te" in un momento chiave del film, al punto che lo stesso artista ha voluto fare i complimenti a tutta la produzione sul proprio profilo Facebook.
Tornando ora ad una veste più critica, Parasite è certamente un grandissimo film, e non potrebbe essere altrimenti considerando i riconoscimenti che ha ricevuto negli ultimi mesi; in molti tuttavia si domandano il perché l'opera di Bong Joon-ho sia riuscita a imporsi in maniera così netta nella più importante e storica rassegna di premi cinematografici al mondo. Rispondendo in maniera rapida e coincisa si potrebbe dire che Parasite sia un film che ad altri non era mai riuscito: è la pellicola che più di ogni altra riesce a mostrare il divario socio-culturale tra ricchi e poveri, e che vuole denunciare la totale sparizione della cosiddetta "middle class", la quale di fatto rendeva meno evidente la distanza sociale tra individui. Un tema forte, già trattato in svariate opere, ma la bravura di Bong Joon-ho, e con lui dello sceneggiatore Han Ji-won, è stata quella di rendere tutto questo appetibile per il grande pubblico: ciò è avvenuto dapprima "occidentalizzando" la pellicola, e poi riuscendo a mescolare tra loro numerosi generi tra cui il thriller, il quale porta allo spettatore quella componente ansiogena molto forte che serve a mantenere viva l'attenzione, che altrimenti sarebbe venuta meno durante lo svolgersi della storia rendendo Parasite un'opera asiatica canonica, molto drammatica e a tratti compassata.
Parasite è dunque un film asiatico che di orientale ha solo la componente visiva. Conquista certamente per la sua capacità di aprirsi a decine di spunti di riflessione, alcuni ben marcati, altri da scoprire, dove non abbiamo alcun elemento o situazione che non richiami al messaggio chiave descritto sopra. Assistiamo al maniacale e utopistico desiderio della famiglia Kim di arrivare in cima, di voler "essere come quelli là", di voler scalare la propria condizione sociale. Il cammino tuttavia è irto di insidie: bisogna fingere, rinnegare le proprie origini, e la vita non smetterà mai di tentare di farli affogare, in questo caso tra i loro stessi liquami.
Parasite racconta quindi in maniera cruda, diretta e artistica ciò che di fatto avviene nella vita reale, dove vi è un precariato o un ceto più povero che vive sulle spalle degli altri, un parassita che vive nello scantinato dell'élite sociale, il quale si divide tra chi vorrebbe emergere e chi non ha le forze per poterlo fare, ma tuttavia si sente in obbligo di ringraziare quotidianamente chi gli permette di vivere la propria vita, seppur miserabile. In risposta, la classe più abbiente sente la necessità di attuare pesanti disinfestazioni per ripulire la propria vita da questi "scarafaggi", anch'essa col volto rivolto verso l'alto, inconsapevole di colui che vive più in basso. Tuttavia il parassita è abituato a respirare il veleno, ne è ormai immune, può continuare il proprio lavoro nonostante la nube tossica lo avvolga e il liquame lo sovrasti, anzi risponde fumandosi una sigaretta senza curarsi del tanfo o della sporcizia. L'odore è però ben rilevabile dal capitalismo, sin dalla tenera età, quell'odore in questo caso di pendolare o di ravanello, qualcosa di insopportabile e che non manca mai di essere sottolineato; questo, almeno finché la continua umiliazione non si va a scontrare con l'orgoglio di un padre, che di fatto è l'orgoglio di una classe. Infine, il film va a mostrare come anche il piano meglio costruito o geniale, se ordito da un "inferiore", alla fine deve per forza fare i conti con ciò che non è scritto ma che si avverte: a tal proposito siamo partecipi di uno dei dialoghi più interessanti del film, con Ki-taek, appena ritrasformatosi in scarafaggio sociale, che racconta a suo figlio Ki-woo che il piano che non può mai fallire è quello che non viene mai progettato.
Parasite è dunque nelle parole del suo stesso regista: "Una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi", dove nessuno di fatto è sbagliato ma è sbagliata la vita, quella che viviamo nel quotidiano. Il film è quindi denuncia pura, magistralmente costruita, che non punta il dito in un'unica direzione bensì apre a numerosi imputati, anche politici: si intravedono infatti frecciate alla guerra tra le due Coree e la loro diversità culturale, quindi alle dittature, alla borghesia consolidata arricchitasi grazie ad una bolla speculativa che di fatto ha scavato un solco insormontabile tra classi, alle fredde e ipocrite maschere con cui si è costretti a convivere. Se in molte altre pellicole questi messaggi erano rivolti agli ultimi, per dar loro speranza e voglia di rivalsa, in questo caso il tutto è indirizzato ai primi, ai club, alle cerchie ristrette e per gli ultimi non resta che la dura realtà, ossia un finale amaro e un sogno che potrebbe realizzarsi ma che ad occhi aperti sappiamo che mai si realizzerà.
Riassumendo il concetto, all'Academy Awards la denuncia è arrivata forte e chiara, e in tutta risposta si è voluto mostrare un'apertura verso coloro che "non hanno mai fatto parte del giro". Tuttavia, per quanto nella sua narrazione Parasite sia stato diretto e schietto, dobbiamo ora esserlo altrettanto anche noi. La Corea del Sud e la cinematografia asiatica in generale non sono mai state prese seriamente in considerazione, non solo in termini di riconoscimenti ma in generale anche da noi stessi in quanto spettatori. In questi giorni sono decine i messaggi che si leggono di appassionati che hanno visto otto dei nove film candidati agli Oscar snobbando Parasite in quanto sudcoreano. Anche ora, nonostante i premi Oscar, ci si domanda se valga la pena approcciarvisi. Insomma nonostante tutto, il divario da colmare resta ampio, e lo è anche in termini di critica dove sono piovuti plausi per l'apertura e la scelta di Parasite come miglior film dell'anno, eppure salta comunque all'occhio come non si sia voluto candidare uno straordinario Song Kang-ho tra i migliori attori protagonisti. Indubbiamente in questa edizione Joaquin Phoenix e il suo Joker, che di fatto rappresenta un disagiato sociale che vive come la famiglia Kim nel desiderio di rivalsa, è certamente una scelta più che condivisibile, ma è altresì vero che nessun attore asiatico è mai stato anche solo nominato, e quindi anche questa appare come un'occasione mancata.
Come detto in apertura, gli Oscar lasciano sempre strascichi riflessivi: il prossimo anno seguiremo la miniserie americana di HBO spin-off di Parasite, perché il ferro va battuto finché è caldo, il business è sempre il business, e il capitalismo resta sfrenato nonostante le buone intenzioni. Tuttavia la vittoria di Parasite va accolta con gioia, è riuscito ad arrivare dove nessuno era mai arrivato, insomma citando di nuovo Gianni Morandi, il film è quell’uno su mille che è riuscito a farcela, nonostante la salita.
PS: non sono d'accordo che "La Corea del Sud e la cinematografia asiatica in generale non sono mai state prese seriamente in considerazione." Ma per discuterne non basterebbero 100 commenti e si rischierebbe di sforare nel soggettivo.
Esattissimo. SI tratta proprio di un film che non si limita ad affrontare il dramma degli scartati ma propone un'intero spaccato della socialità, non solo Coreana.Consente una serie di riflessioni su quel che è la società moderna.
Concordo assolutamente, infine, sul fatto che la cinematografia, e non solo, della Corea, va meglio considerata.
E' un paese dai contrasti fortissimi, in cui vivere è davvero difficile, ma anche un paese nel quale nascono esperienze culturali di sicuro interesse.
Per quanto riguarda la vittoria del premio più ambito, a mio parere lo meritava già Departures nel 2009, ma probabilmente erano altri tempi....
Come dici tu si apre un dibattito infinito, ma voglio spiegare meglio il concetto. Su tutte le persone che conosci quante sono mai state in una sala a guardare un film asiatico? Parasite, che è un film vincitore di Palma d'Oro e 4 Oscar, quindi se vogliamo il massimo esponente del cinema asiatico della storia è stato proiettato in solo 150 sale italiane e ha raccolto solo 120 milioni di dollari nel mondo (Corea esclusa). Figurati se non fosse così chiacchierato o premiato. Per farti esempio degli altri film candidati in Italia Piccole donne è andato in 450 sale, 1917 in 530, Joker in 830 sale. Nessuno sta colpevolizzando nessuno, i cinema non li proiettano perché la gente obiettivamente non se li va a guardare. È un dato di fatto. Io per vedere Parasite legalmente dovrei fare circa 50km, perché dove abito io manco lo proiettano. Per cui secondo me si, non è un cinema che la pancia del popolo, speriamo fino a ieri, prendeva in considerazione, ma ripeto, senza offesa per nessuno.
Tuttavia la vera carta vincente di questo film è che Parasite, come suggerisce il titolo, si trasmette soprattutto negli spettatori molto dopo la visione. Disturba, un po ', paralizza, un po', ma piace, molto.
Prima o poi la chiamata a Bong Joon-ho per dirigere un blockbuster da 200 milioni.
Bong Joon-ho da anni è popolare in America, almeno da The Host
Ecco, The Host sicuramente un buon film, ma non mi ha convinto del tutto.
Dicono che il suo miglior film sia Memories of Murder, non l'ho ancora visto, chissà...
Forse il pubblico no, ma nei festival (un attimo meno politici e più meritocratici dell'Academy) i film asiatici in generale e coreani in particolare sono sempre molto apprezzati di recente.
L'anno di svolta a mio avviso è stato il 2003, quando uscirono "Oldboy" di Park Chan-wook, "Memories of Murder" di Bong Joon-ho e "Primavera, estate, autunno, inverno... e di nuovo primavera" di Kim Ki-duk; tre film meravigliosi che vinsero un sacco di premi internazionali, dando una grande notorietà al cinema coreano.
Capisco la tua frustrazione e anche io voglio spiegarmi meglio. Parasite è il primo film straniero (o internazionale, come li chiamano ora) a vincere l'Oscar come miglior film. Esistono due categorie di film per l'academy: quelli americani e gli altri. Non vedo un accanimento contro il cinema asiatico. Come giustamente già detto sopra da altri, Festival che contano da anni ormai guardano a oriente con il dovuto rispetto. Tutto il discorso dei numeri al cinema è vero ma, da un lato, è un po' il cane che si morde la coda, e, dall'altro, Parasite non è un film mainstream. See fosse stato un film francese, spagnolo o italiano, internazionalmente, dubito avrebbe fatto numeri diversi.
Io tantissime. Se il mio sguardo dovesse fermarsi agli ultimi 20 anni, a questa generazione, ti darei ragione. Ma non è sempre stato così. Basta guardare indietro e ci si accorge quanta roba arrivò nel nostro paese, AL CINEMA, dall'Asia. E facevano il pienone, per giunta! Altri tempi, sicuramente, ma la gente era pronta a guardare tutto. Oggi non è più così. Fermo restando che l'oriente è sempre stato sottovalutato come mercato; ci sono capolavori inediti che purtroppo non sono mai arrivati.
Comunque questa dell'oscar a parasite è un film già visto: quando lo diedero a La tigre e il dragone (che ha fatto più male che bene), non si parlava d'altro di wuxia, come se quel genere si fosse scoperto in quel momento. Stessa cosa per La città incantata e l'animazione giapponese....
Non è un film già visto per nulla. La tigre e il Dragone (Taiwan) vinse Oscar come miglior film straniero, come lo vinse Departures (Giappone) e come lo ha vinto Parasite (Corea). Quindi in 64 anni, da quando esiste Oscar come miglior film straniero, abbiamo solo 3 vittorie di Paesi asiatici. Giusto per fare un esempio Rep.Ceca 3 vittorie, Olanda 3 vittorie, Svezia 3 vittorie, Danimarca 3 vittorie, Svizzera, Austria e Argentina 2 vittorie. Non mi sembrano Paesi che sfornino film di chissà quale elevatura rispetto a Corea o Giappone.
Parasite è storia e si differenzia da La Tigre e il Dragone perché punto primo è la prima volta della Corea come film straniero, e punto secondo perché ha vinto come film assoluto dove nessuno era mai riuscito. Vincere il premio come film straniero è importante come riconoscimento ma diciamo che non si viene considerati dalla massa. Quando nel 2018 vinse Una donna fantastica (Cile) qualcuno si è addentrato nella cinematografia cilena? Nessuno credo. Vincere come premio assoluto invece io penso che la cassa di risonanza potrà essere ben diversa.
Possibile perche ho paragonato il cinema coreano al cinema occidentale, cosa vera è confermata dalla critica mondiale, cosa scritta anche nella recensione qui sopra in grassetto
"un film asiatico che di orientale ha solo la componente visiva"
con questa frase è tutto il cinema coreano degli ultimi anni se qualcuno lo conosce per davvero.
Come cosa vera appena uno vince un oscar lo assumono per progetti più grossi e costosi.
Con The Host il film è stato un grande successo in America nonostante sia stato distribuito in pochissime sale è già allora è uno dei più importanti registi orientali negli States, iniziando a lavorare con staff estero e occidentale, lol ovviamente @fulgenzio lo scopre solo ora.
Ed ecco altri dislike a caso.
Lo trovo veramente un capolavoro, è qualcosa di stupendo e straziante, e mi ha ricordato quanto amo il cinema quando è fatto in un certo modo.
Non mi fa piacere che abbia vinto un premio che molti nel mondo considerano importante "perché è asiatico", mi fa piacere che abbia che abbia vinto perché è un film di una bellezza assurda e onestamente - con tutto che ho adorato Joker e apprezzato moltissimo C'era una volta a Hollywood - non credo che ora come ora gli americani sarebbero stati in grado di fare una cosa simile. Nel mio personale mondo delle fiabe i premi si darebbero per pura meritocrazia, a prescindere dalle problematiche politiche dei Paesi in cui vengono organizzate, e anche se sfortunatamente so bene che quel mondo non esiste e che ci sarà chi incenserà Parasite fregandosene dell'effettiva meraviglia che è e solo perché è coreano (so che non è il caso di questa community o non ci scriverei), pace e peggio per loro, io sono felice che a questo giro un film ENORME come questo abbia avuto un po' più di risonanza.
Una parte della sua bellezza sta nell'evitare di non fare "la morale" più classica e non inneggiare a ideologie politiche specifiche. Ti mostra la crudezza di una realtà deprimente per quello che è, personaggi né buoni né cattivi, solo umani nel termine più vero del termine (quindi TUTTI capaci di enormi bassezze e miserie oltre che di amore), calati in un mondo che fa pietà, pieno di ingiustizie, ma che così è.
A questo unisce grande intrattenimento in forma di thriller, per poi piombare nella tragedia, che imho era l'unico finale possibile per una storia e un film simili. Se a tutto questo si aggiungono i suoi attori incredibili, le inquadrature da mascella a terra, luci, colori e musica incredibile... è un film stupendo, c'è poco da fare. Potrei parlarne per ore ma mi fermo qua e aggiungo solo che concordo col giudizio qualitativo del post.
Ah, e concordo anche col fatto che sarebbe stato assolutamente da candidare Song Kang-ho, ma amen, almeno il film ha ottenuto riconoscimento a livello mondiale, e credo che chiunque lo vedrà si renderà conto della bravura di quell'uomo.
the irishman è un film mediocre girato bene forse 15-20 anni fa avrebbe preso l'oscar ma ormai è un film che sa di vecchio ( come molte produzioni netflix forse è quello il loro target )
mi sarei aspettato un oscar ad avenger endgame più che altro per rispetto alla saga della marvel
Credo che i dislike vengano piuttosto dalla frase "(infatti è anche il miglior cinema orientale)".
Un'opinione personale buttata un po' là come verità assoluta.
Per il resto non mi pare che tu abbia detto niente di che.
è il migliore dai fatti, il cinema coreano ha una messa in scena e recitazione di gran lunga migliore dei altri cinema dell'oriente, seguito dall'india e Cina.
Il Giappone sia come regia, recitazione e fotografia sta sotto a tutti, tranne nei casi che presente Takeshi Kitano.
Non so, dipende, non c'è solo Kitano comunque in Giappone di registi validi, anche se di nuove leve in gamba ce ne sono pochine in Giappone mi sa...
Il Giappone ha avuto un certo Akira Kurosawa, che ha diretto cosucce come "i sette samurai" e "Rapsodia in agosto" oppure un genio visionario quale Takeshi Miike, e sono solo i primi che mi vengono in mente.
Non sono uno di quelle persone che ha messo dislike ad un tuo commento.
Però ci tenevo a precisare un paio di concetti:
1. Tempistiche. Parlando di cinema giapponese contemporaneo, attualmente sta vivendo un momento difficile per le condizioni modeste in cui riversa il settore. Un esempio è Yu Irie, costretto a lasciare la capitale per mancanza di risorse, nonostante il grande successo dei suoi ultimi film. Si sta ripetendo quello che successe qualche generazione fa (anni 70/80), ovvero quello che è comunemente noto in Giappone come "jishu eiga" (film letteralmente autoprodotti). Questo nuovo modo di pensare il cinema, tradizionalmente in 8mm, il formato più accessibile del tempo, ora ampiamente convertito in digitale meno costoso; è diventata una delle forme cinematografiche più dinamiche e personali del Giappone. Simile a un atto di resistenza che non ha mai smesso di favorire la creazione sopra ogni altra cosa.
Quello che tu chiami cinema che "sta sotto a tutti" corrisponde al cambio di un'epoca. I film della generazione degli anni '60 e '70 giapponesi (Ozu,Imamura) avevano per lo più contenuti politici, tema cui il cinema coreano ne è impregnato, dove la lotta di classe è onnipresente. Tuttavia la generazione di cineasti giapponese degli anni '80 e a seguire, non è più interessata alla politica e si esprime in modo diverso. Argomenti che il cinema coreano deve ancora affrontare.
2. Budget diversi. Parasite è costato 11 milioni di dollari, cifre imparagonabili al cinema giapponese di oggi.
Se confrontiamo il cinema giapponese con quello coreano, trovo che i giapponesi si esprimano in un modo più intimo e personale. In Corea, il cinema è più legato all'industria e alla società in generale. Il cinema è definito dalla società in un certo senso e viceversa. Ma secondo me il cinema giapponese ha legami molto più labili con quest'ultima. È la dimensione personale che prevale. C'è anche la tendenza degli artisti a posizionarsi al di fuori della società, ma ciò è certamente legato anche alle condizioni della sua produzione. In Giappone non ci sono soldi pubblici spesi per il cinema. Il cinema è finanziato solo con denaro privato. E lo stesso vale per il cinema indipendente autoprodotto.
era sottinteso che parlavo dei tempi recenti e Miike è ottimo quando tratta opere originali ma meno in adattamenti e negli ultimi tempi è più no che si, però pensa un pò quando si parla di registi giapponesi escono sempre i soliti 4 noti, questo fa capire benissimo quanti talenti ci stanno li
Grazie per avermi risposto
Condivido questo passaggio che secondo me è appunto un punto focale.
Come si scriveva più su, certamente esistono a livello mondiale festival dedicati al cinema asiatico, bellissimi, interessanti, sempre sul pezzo e curatissimi. Cito il Far East Film Festival di Udine perché abbiamo la fortuna di avere una di queste splendide rassegne proprio nella nostra bella Italia, e credo non sia poco rilevante.
Però appunto, in un certo senso l'esistenza stessa di questi festival dedicati implica che sia una cinematografia che ha un certo riconoscimento ma al tempo stesso rimane "figlia di un dio minore", per così dire. E' come se, per poter splendere, debba per forza essere giudicata nel "recinto" di altre opere "di quella stessa area", sennò nessuno o quasi se ne accorgerebbe.
Per questo anche io credo che l'assegnazione del premio come Miglior Film Assoluto possa (o meglio "dovrebbe", speriamo che sia così) fungere da scossone, come di un terremoto che, caspita, voglia o non voglia ti fa distogliere per forza dal tuo tran tran quotidiano e ti obbliga a concentrarti su di lui. A forza XD
Questo io credo significhi questo premio. O quantomeno, mi piace pensarla così.
Complimenti per la bella recensione!
Non sono d'accordo che il Giappone sta sotto a tutti gli altri paesi asiatici. Solo l'anno scorso Hirokazu Kore'eda è andato agli Oscar con "Un affare di famiglia"; non ha vinto solo perchè c'era anche "Roma", ma si mangiava a colazione un buon 80% degli altri in concorso nella categoria miglior film.
Devo dire che mi ha colpito nettamente in positivo e soprattutto mi ha molto incuriosito la catarsi giacobina che si respira in generale e che acquista sempre più vigore fino ad un crescendo molto teatrale e d'effetto.
Ho gradito in particolare la figura di Ki-jung, che denuncia con icastica ironia metatestuale tutte le assurdità dei sofismi borghesi, con le velleità pseudo-intellettuali e artistiche, la deformazione del mondo dell'infanzia e tutti gli artifici psicoloidi di una crescita pseudo-formativa. Fra tutti è il personaggio che esprime al meglio la vis dissacrante e lustrale del film.
Non ho invece capito un addebito della critica secondo cui il film sposerebbe tesi classiste.
A me ha dato l'impressione opposta.
Bravo.
Non avevo pensato alla catarsi giacobina (Che hai mangiato stamattina?)
A proposito di velleità pseudo-intellettuali... "psicoloidi" non lo trovo neppure sulla Treccani.
Scherzi a parte (non te la prendere) ma quale è il senso della tua recensione? Sono davvero curioso.
Showing-off? Comunicare qualcosa? Perculare qualcuno? Educare il volgo?
Se lo scopo era comunicare qualcosa o aprire una discussione... meh.
Sono d'accordo che non bisogna sempre ridursi a beceri messaggi da social network e sono seriamente convinto che scambi con persone più preparate può arricchire tutti. Per esempio sarebbe interessante dibattere se "lustrale" (grazie Treccani) sia più il ruolo di Ki-jeong, o quello del padre Ki-taek.
Ma superato un certo limite è controproducente e... diventa solo un pesce d'aprile.
Sarebbe troppo breve e troppo sommaria per potersi dire tale.
Per catarsi giacobina mi riferisco
Anche il termine "lustrale" l'ho proposto come sinonimo di "catartico/purificatorio" (un po' come il finale di Dogville
per intenderci).
Naturalmente queste sono solo mie impressioni.
Hanno un valore esclusivamente soggettivo (come quelle di tutti) e non aspirano ad essere altro.
Il mio intento non è perculare o fare pesci d'Aprile a nessuno e meno che mai "educare qualcuno" (istanza questa in particolare dalla quale mi dissocerò sempre per motivi personali).
Tutti i termini (inventati o meno) sono solo frutto di riflessioni personali e totalmente soggettive, che si possono tranquillamente ignorare o rifiutare.
Come detto, ho semplicemente scarabocchiato le mie impressioni, non c'era nessun altro intento.
Se ho offeso qualcuno facendolo, chiedo scusa.
Ma per quanto ne so è quello che fanno tutti.
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