Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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"Science Fell in Love, So I Tried to Prove It" è un anime del 2020 tratto dall'omonimo manga redatto a partire dal 2016. Si tratta di una commedia sentimentale e, infatti, i due protagonisti sono Shinya Yukimura e Ayame Himuro, due studenti universitari che studiano ed effettuano ricerche su svariati campi della scienza, ma, per questi episodi, i loro sforzi saranno concentrati principalmente nel cercare di spiegare numericamente e scientificamente l'amore.

Potrebbe sembrare un'impresa ardua per le persone normali, ma non di certo per loro, che di normale hanno ben poco, infatti anche gli altri studenti che studiano allo stesso laboratorio di ricerca sono piuttosto particolari. Innanzitutto troviamo Kanade, la più normale del gruppo e colei che, spesso durante gli episodi, incarna i pensieri e le emozioni dello spettatore, riversandoli, però, all'interno della serie; poi vi è Kosuke, "l'uomo che vive d'amore" (e ho detto tutto), vi è anche Ibarada, una loli fissata con i videogiochi, e infine il professor Ikeda, culturista e sportivo. Man mano poi si aggiungeranno altri personaggi, anzi, principalmente solo una ragazza, che si aggiungerà e "movimenterà" ancor più la serie.
Certamente una descrizione del genere non è adatta a dei personaggi presentati in modo così particolare e per cui ci sarebbe da parlare molto di più, però, per evitare di anticipare qualcosa, mi fermo qui.

La serie è composta da dodici episodi, tutti molto piacevoli da guardare e tutti molto divertenti; mi è parso solamente che, dopo una partenza "a tutto gas", si sia andati un po' a scemare fino a, più o meno, metà serie, per poi risollevarsi e giungere ad una bella, bellissima conclusione, anche se scontata. Un po' tutto all'interno di questa serie risulta scontato, però piacevole da guardare perché molto divertente e, comunque, leggero.
Un aspetto che mi è piaciuto è quando, durante ogni episodio, si "sospende" la narrazione per lasciare lo spazio a un simpaticissimo orso (Rikekuma) che spiega in modo semplice e pratico leggi fisiche o regole matematiche incontrate poco prima, perché discusse o utilizzate dai personaggi.
Il comparto tecnico è molto buono: i disegni mi sono piaciuti parecchio, ma le animazioni, anche se buone, un po' meno. OST presenti e ben inserite, ma, dal punto di vista musicale, opening ("PARADOX") ed ending ("Turing Love") sono degne di nota: molto, molto belle.

Si tratta di una bella serie, piacevole e leggera da guardare, per chi vuole passare un po' di tempo divertendosi e, soprattutto, molto meglio rispetto ad altre serie dello stesso genere. Non escludo il fatto che sia contornata da difetti, ma nel complesso è più che accettabile!

Voto: 8/10

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L’animazione giapponese è sottovalutata, spesso anche da chi se ne professa appassionato; a volte mi capita di ritrovarmi a leggere polemiche sterili e immancabili, ci si concentra sulla minima differenza di adattamento, sulla pagina di manga non mostrata, sui frame di ogni secondo, su qualsiasi uso della CGI e anche sulla mancanza di idee e di spunti dalle produzioni animate ferme, ad uno sguardo superficiale, ai grandi nomi e a quella sfilza sempre corposa di serie copia-incolla tra fantasy e isekai. Di conseguenza passano sotto traccia ogni stagione tante serie interessanti e curiose che magari quegli elementi li utilizzano pure, ma riescono a presentarli in un modo tanto particolare da risultare allo stesso tempo originali, e mai esempio migliore per me può essere “Maoujou de Oyasumi” (lett. ‘La buonanotte nel castello del re dei demoni’).

Quest’anime è ambientato, guarda caso, in un universo fantasy abitato da umani e demoni perennemente in lotta tra loro. Protagonista è la Principessa Syalis, membro della famiglia reale del Regno di Goodreste, che viene rapita dal re dei demoni Twilight affinché faccia da ostaggio e attiri nel suo castello l’Eroe, l’essere umano deputato a sconfiggerlo. Queste premesse ‘tragiche’ si dissolvono ben presto però nel momento in cui ci viene mostrato il problema che attanaglia la povera principessa prigioniera nell’inospitale castello: riuscire a dormire nel modo più confortevole possibile!

“Maoujou de Oyasumi” infatti è una fantastica commedia dell’assurdo, una rappresentazione che parodia gli archetipi delle opere di genere presentando una situazione assolutamente surreale, dove il Re dei Demoni è un bonaccione insicuro, l’Eroe un idiota incapace di capire a volte anche dove si trovi e la povera Principessa una macchina da guerra pronta a tutto e a passare sopra a tutti pur di garantirsi il miglior sonno possibile.
E gran parte della buona riuscita di questa serie risiede sicuramente nell’ottima scrittura dei personaggi, prima tra tutti la sua stralunata protagonista: Syalis infatti è una ragazza dall’aria spaesata ma dalla volontà incrollabile, ed è fantastico il contrasto tra la sua visione concentrata sull'obiettivo del momento (fabbricarsi un lenzuolo più comodo, trovare un cuscino più soffice, rendere più confortevole la sua cella) e l’atteggiamento non solo del Re dei Demoni ma anche dei suoi sottoposti completamente spiazzati dall’indole sprezzante della ragazza e incapaci quindi di opporvisi davvero, tanto da diventare alla lunga vittime inconsapevoli, e inermi, dei suoi desideri e capricci. L’altro punto forte di questa serie poi è fondare la sua trama su un espediente, una ragazza che vuole dormire sempre più comodamente, decisamente stupido, ma riuscendo a costruirci attorno un universo variegato di personaggi strampalati, situazioni surreali e trovate comiche riuscitissime in grado di rendere “Maoujou de Oyasumi” un anime fresco, stravagante e sempre, sempre, divertente, tanto che alla lunga finisci quasi per dimenticarti che hai cominciato a vedere questa serie perché Syalis non riusciva a dormire nonostante avesse tanto tempo libero a disposizione da prigioniera.

Difficile quindi non dare giusti meriti allo studio Doga Kobo che si è occupato di questa produzione e che non ha mai fatto mancare, neanche nel disgraziato 2020, la sua presenza nel panorama animato giapponese sia con altre serie un po’ più di nicchia, come l’adorabile “Hōkago Teibō Nisshi”, sia con anime dal riscontro maggiore come “Yesterday wo Utatte”. “Maoujou de Oyasumi” in particolare è un adattamento del manga originale, peraltro ancora in corso, di Kagiji Kumanomata, ed è un anime in dodici episodi, la cui regia è curata da Mitsue Yamazaki con la composizione della serie di Yoshiko Nakamura, strutturati quasi tutti nello stesso modo con piccole quest, di solito tre, affrontate da Syalis per risolvere il problema del momento. L’ottimo comparto visuale è anch’esso opera di figure femminili, come Ai Kikuchi che ha curato il character design, rifacendosi a quello del manga ma ‘ammorbidendolo’ un po’ per renderlo più dolce e meno spigoloso, e Chieko Nakamura a capo della direzione artistica, e posso dire che graficamente l’anime è carinissimo nel senso migliore della parola; un design dai toni moe che potrebbe scoraggiare i più duri, ma che in realtà si adatta benissimo ai contenuti della serie, così come l’ambientazione principale rappresentata da questo Castello misterioso dove a un primo sguardo prevalgono colori cupi e freddi, salvo lasciare il passo a un’atmosfera leggera e coloratissima quando Syalis scombussola la tranquillità del momento con le sue ‘missioni impossibili’. Ad aiutare in questo, arrivano pure le musiche di Yukari Hashimoto, capaci di caricare ulteriormente il clima surreale delle scene più concitate, ma soprattutto lo straordinario doppiaggio giapponese dove brillano tante voci importanti (come Yoshitsugu Matsuoka nei panni di Twilight, Kaito Ishikawa, Jun'ichi Suwabe, Chikahiro Kobayashi) che tuttavia cedono il passo, esattamente come nella serie, alla strabordante protagonista affidata a una Inori Minase (Rem da “Re:zero”, Mari Tamaki da “Yorimoi”, Hestia da “Danmachi” e tantissime altre) qui in grandissima forma, anche nei panni di cantante,visto che a lei è affidata l’opening (‘Kaimin! Anmin! Syalist Seikatsu’) della serie che è un piccolo gioiellino già da sola, una canzone banalotta che nel testo riporta praticamente la trama di base della storia, ma che coi suoi cambi di ritmo e un video grondante allegria trasmette le sensazioni migliori per prepararsi alla visione della serie, così come l’ending ‘Gimmme!’ degli ORESAMA ci saluta con un ritmo compassato ideale, mai come in questo caso, per dare la buonanotte a chi guarda.

Insomma, una storia divertente e mai noiosa c’è, un ottimo comparto grafico anche, personaggi ben scritti a cui affezionarsi idem, un fantastico doppiaggio non ne parliamo proprio, opening ed ending riuscitissime pure, direi che tutto quello che idealmente poteva comporre una lista di richieste da porre a “Maoujou de Oyasumi” sia stato ampiamente corrisposto dalla serie; purtroppo gli editori italiani non hanno dato altrettanta fiducia a quest’anime trasmesso nella stagione autunnale del 2020, che quindi risulta ufficialmente inedito nel nostro Paese, ma i fansub hanno provato, coi loro tempi, a porre rimedio alla situazione, in modo che anche gli appassionati nostrani potessero godersi al meglio questa serie in tutta la sua frizzante essenza; non è certamente l’anime dell’anno, non è la serie che ti cambia la vita, ma è un’opera equilibrata, originale e ben riuscita che merita la giusta attenzione, sicuramente più di quanta ne ha avuto finora.

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Tatsu, alias il Drago Immortale, è un ex yakuza che ha deciso di voltare pagina e di cambiare vita, sposandosi e diventando un casalingo perfetto. La moglie è una donna impegnata, dai ritmi di lavoro quasi estremi, così conta su di lui, cosa che non gli pesa affatto, visto l’impegno maniacale che profonde nella cura della casa e nell’espressione di doti culinarie eccelse. La nomea che Tatsu si è fatto è tanta e tale che, seppur ritiratosi, scatena ancora crisi di panico in uomini grandi, grossi e cattivi al solo nominarlo. D’altra parte il vicinato, tra cui molte casalinghe, lo apprezza con una normalità sconcertante.
Pochi sono i momenti in cui la moglie o i suoceri ricordano il primo incontro assai terrorizzante con quest’uomo tatuato (in Giappone il tatuaggio è una vergogna, come tale è prerogativa degli yakuza averli addosso... infatti non si vedono personaggi tatuati negli anime nipponici se non in rarissimi casi, come questo), dallo sguardo arcigno e minaccioso. La posa del collo, gli occhiali scuri, la cicatrice verticale sulla tempia, la voce profonda e roca conferiscono al protagonista quell’aura intrigante che cozza continuamente con le situazioni folli in cui incappa, come ad esempio quando la polizia lo becca a “spacciare” basilico.

L’anime si sviluppa in episodi brevi, brevissimi, tutti tendenti al paradosso e dunque alla risata.
Il problema di una simile strutturazione è che dopo sei episodietti del genere o ti sei assuefatto a una comicità del genere o non ridi nemmeno più, alzando gli occhi al cielo. È molto divertente partire con situazioni quasi surreali, ma se il copione non cambia di molto, può risultare assurdamente pesante.
Si susseguono scene in cui Tatsu è impegnato in varie situazioni, tra cui lo shopping sfrenato, la lotteria, il mercatino delle pulci, una lezione di cucina, una seduta in palestra, una statuina rotta, uno scarafaggio in casa o lui nelle veste di baby sitter... tutte condite con la sua nuova filosofia, venata dello spirito dello yakuza.
Le scenette del gatto, poi, sono di uno squallore indescrivibile.

In una simile struttura “narrativa”, che di trama non ha nemmeno l’ombra, i personaggi secondari risultano diventare mere comparse, e la stessa moglie apparicchia qua e là in scenette carine, ma nulla di più. Gli altri personaggi sono tratteggiati; tra i più “memorabili” c’è l’ex accolito che si converte a seguito del nostro Tatsu alla via del grembiule, il resto sono apparizioni di circostanza che animano la scenetta. I fatti pregressi allo svolgimento sono solo accennati: nessun personaggio ha una degna biografia alle spalle, si descrivono le situazioni così come sono, con veloci rimandi a “Faceva quella cosa lì”, “Era leader dei...” (nel caso siano yakuza), mentre i personaggi come le casalinghe, la moglie stessa o i genitori di lei non meritano un passato.

L’unico personaggio che spicca è il nostro yakuza casalingo, la cui personalità è trascinante e la cui aura di dannato si scontra spesso e volentieri con la situazione banale in cui si trova a vivere, creando momenti di comicità non ricercata, ma che nasce dall’assurdo fine a sé stesso. Tatsu si muove come un monolito, fedele alla sua mania, con i modi rudi dell’ex yakuza che si sposano con la gentilezza insita nella sua nuova vita. Scritto così pare una gran cosa, ma alla lunga questa comicità (istintiva) o ti prende o ti logora i nervi. La sua aria da sadico, poi, quando espone teorie banali e innocue, di primo acchito fa ridere, poi tende a tediare.
Una nota di merito è la voce di Tatsu, il cui timbro è un bel sentire.

Il chara design si concentra su pochi, pochissimi, personaggi, abbozzando gli altri quasi in maniera grossolana. Come non c’è una trama, non c’è neppure uno sviluppo fluido delle scene, che sembrano incollate una dietro l’altra, stile sketch, appunto. A volte si sentono le voci, ma la scenetta è lì, congelata, con personaggi sbozzati.

Che dire, tirando le somme, di un prodotto simile? Ha le sue belle potenzialità, ma è presentato troppo male. Punta a una comicità del qui-ed-ora, perdendo l’occasione di fare un salto di qualità, perché un buon personaggio può essere favoloso, ma se è presentato così, a gestire le situazioni da solo con comprimari facilmente dimenticabili, stanca per sovraesposizione. E Tatsu rimane là, un monolito di verve tutta sua, uguale a sé stesso, col sempiterno grembiule addosso sul completo nero (il marchio del casalingo!) in scene che si ripetono sconcertanti o assurde sull’assurdo, perdendo il suo fascino per diventare una macchietta trascurabile.

Qualora ci sarà una seconda serie, io ho già dato, e già di mio mi sento di sconsigliare quest’anime facilmente dimenticabile.