Case File nº221: Kabukicho
Trama: siamo nel distretto malfamato Kabukicho, nel quale vengono commessi molti crimini; le povere vittime si affidano a un bar (sì, un bar, avete capito bene), nel quale si riuniscono i detective più bravi della zona, che per la giusta ricompensa proveranno a risolvere il caso.
La cosa che inizialmente mi ha più stupito (siccome l'ho trovato un po' per caso), e che avrei preferito sapere prima, è che i personaggi dell'anime sono Sherlock Holmes, Watson, Moriarty e compagnia bella, e personalmente io adoro le storie incentrate su di loro. Difatti anche quest'anime mi è piaciuto molto.
La storia non parte a razzo, ci vuole un pochino prima che prenda forma del tutto, poi i primi episodi servono un po' a presentare tutti gli investigatori che si sfidano. Devo dire però che nessun episodio mi ha annoiato, anzi mi hanno piacevolmente intrattenuto e divertito tutti quanti.
Per quanto riguarda i personaggi, sono molto ben caratterizzati e in alcuni c'è stata una crescita notevole, soprattutto se ricordiamo com'erano all'inizio, anche se ho trovato il personaggio di Sherlock po' particolare rispetto al solito. Una cosa che proprio non mi è piaciuta è quando spiegava le sue deduzioni: con quella sua forma di recitazione, l'ho trovato un po' noioso alla lunga in tutti i ventiquattro episodi. Quando viene spiegato appieno il perché lo fa, lo capisci, ma comunque ti ha già annoiato negli episodi precedenti, perciò cambia poco. E poi avrà anche un motivo, ma continuerà sempre ad annoiare, almeno me.
In conclusione, l'ho trovato un anime leggero, divertente, ma anche serio e con molti colpi di scena. Non mi ha mai annoiato la visione, tranne che per le spiegazioni delle deduzioni di Sherlock, che alla lunga possono risultare noiose. Buoni i personaggi e, una cosa che non ho detto prima, i disegni non fanno schifo, sono fatti bene, tutto sommato. Ci tengo a precisare che, quando io guardo un anime, l'occhio vorrà anche la sua parte, ma la storia e il come viene raccontata è molto più importante, e in questo l'anime non ha 'toppato'.
Consiglio vivamente la visione a tutti, se volete intrattenervi!
La cosa che inizialmente mi ha più stupito (siccome l'ho trovato un po' per caso), e che avrei preferito sapere prima, è che i personaggi dell'anime sono Sherlock Holmes, Watson, Moriarty e compagnia bella, e personalmente io adoro le storie incentrate su di loro. Difatti anche quest'anime mi è piaciuto molto.
La storia non parte a razzo, ci vuole un pochino prima che prenda forma del tutto, poi i primi episodi servono un po' a presentare tutti gli investigatori che si sfidano. Devo dire però che nessun episodio mi ha annoiato, anzi mi hanno piacevolmente intrattenuto e divertito tutti quanti.
Per quanto riguarda i personaggi, sono molto ben caratterizzati e in alcuni c'è stata una crescita notevole, soprattutto se ricordiamo com'erano all'inizio, anche se ho trovato il personaggio di Sherlock po' particolare rispetto al solito. Una cosa che proprio non mi è piaciuta è quando spiegava le sue deduzioni: con quella sua forma di recitazione, l'ho trovato un po' noioso alla lunga in tutti i ventiquattro episodi. Quando viene spiegato appieno il perché lo fa, lo capisci, ma comunque ti ha già annoiato negli episodi precedenti, perciò cambia poco. E poi avrà anche un motivo, ma continuerà sempre ad annoiare, almeno me.
In conclusione, l'ho trovato un anime leggero, divertente, ma anche serio e con molti colpi di scena. Non mi ha mai annoiato la visione, tranne che per le spiegazioni delle deduzioni di Sherlock, che alla lunga possono risultare noiose. Buoni i personaggi e, una cosa che non ho detto prima, i disegni non fanno schifo, sono fatti bene, tutto sommato. Ci tengo a precisare che, quando io guardo un anime, l'occhio vorrà anche la sua parte, ma la storia e il come viene raccontata è molto più importante, e in questo l'anime non ha 'toppato'.
Consiglio vivamente la visione a tutti, se volete intrattenervi!
"Case File n.221: Kabukicho" è un'opera che si prende sulle spalle il delicato compito di trasportare Sherlock Holmes nel ventunesimo secolo, precisamente nel quartiere a luci rosse di Kabukicho.
L'ambientazione è sicuramente interessante, così come la scelta di affiancare ad Holmes altri cinque investigatori che operano, assieme a lui, nel "Pipecat", locale gestito dalla signora Hudson.
Quasi ogni episodio è incentrato su di un caso da risolvere che vedrà coinvolti alcuni degli investigatori del Pipecat. Alcuni di questi gialli saranno ispirati ai racconti di Conan Doyle, altri saranno invece inediti e dalla qualità un po' altalenante. Ai vari casi viene poi affiancata una trama orizzontale che nella prima parte della serie riguarda Jack lo Squartatore e nella seconda vede Holmes affrontare la sua nemesi: James Moriarty. L'atmosfera generale della serie vede l'alternarsi di parti umoristiche a parti più serie, che sfiorano addirittura il drammatico in alcune circostanze.
Interessante è la riproposizione in chiave moderna dei personaggi del canone holmesiano, che ne escono un po' diversi rispetto alle controparti letterarie: se per alcuni si tratta di una nuova caratterizzazione ben gradita (è il caso della signora Hudson), altri invece ci faranno un po' storcere il naso. In particolare negli ultimi episodi ho avuto difficoltà ad inquadrare bene la psicologia di alcuni personaggi e le loro azioni.
"Case File n.221: Kabukicho" è comunque un'opera che vanta un ottimo comparto tecnico, un character design accattivante e un ottima colonna sonora jazz, accompagnata da opening ed ending che si integrano perfettamente con l'atmosfera della serie. Gli episodi si lasciano guardare molto volentieri ed è bello vedere i vari investigatori all'opera, anche se di "battaglie a colpi di deduzioni", come recita l'introduzione, se ne vedono ben poche. La serie infatti sembra non avere un'identità ben definita, con del potenziale sprecato che rende "Case File n. 221: Kabukicho" un buon anime, ma non un capolavoro.
L'ambientazione è sicuramente interessante, così come la scelta di affiancare ad Holmes altri cinque investigatori che operano, assieme a lui, nel "Pipecat", locale gestito dalla signora Hudson.
Quasi ogni episodio è incentrato su di un caso da risolvere che vedrà coinvolti alcuni degli investigatori del Pipecat. Alcuni di questi gialli saranno ispirati ai racconti di Conan Doyle, altri saranno invece inediti e dalla qualità un po' altalenante. Ai vari casi viene poi affiancata una trama orizzontale che nella prima parte della serie riguarda Jack lo Squartatore e nella seconda vede Holmes affrontare la sua nemesi: James Moriarty. L'atmosfera generale della serie vede l'alternarsi di parti umoristiche a parti più serie, che sfiorano addirittura il drammatico in alcune circostanze.
Interessante è la riproposizione in chiave moderna dei personaggi del canone holmesiano, che ne escono un po' diversi rispetto alle controparti letterarie: se per alcuni si tratta di una nuova caratterizzazione ben gradita (è il caso della signora Hudson), altri invece ci faranno un po' storcere il naso. In particolare negli ultimi episodi ho avuto difficoltà ad inquadrare bene la psicologia di alcuni personaggi e le loro azioni.
"Case File n.221: Kabukicho" è comunque un'opera che vanta un ottimo comparto tecnico, un character design accattivante e un ottima colonna sonora jazz, accompagnata da opening ed ending che si integrano perfettamente con l'atmosfera della serie. Gli episodi si lasciano guardare molto volentieri ed è bello vedere i vari investigatori all'opera, anche se di "battaglie a colpi di deduzioni", come recita l'introduzione, se ne vedono ben poche. La serie infatti sembra non avere un'identità ben definita, con del potenziale sprecato che rende "Case File n. 221: Kabukicho" un buon anime, ma non un capolavoro.
E se il nostro caro vecchio Sherlock Holmes, invece di un superbo londinese dell'Ottocento, fosse stato un eccentrico giapponese dei nostri tempi? E se le sue vicende venissero reinventate e traslate nella cultura nipponica?
La serie "Kabukicho no Yatsu" ha il suo maggior punto di forza nel dare una risposta a queste domande che, in particolar modo, potrebbero stuzzicare l'interesse di chiunque sia fan della classica e immortale figura di Sherlock Holmes e, allo stesso tempo, dell'animazione giapponese, nonché della cultura nipponica. Ma prima di esporvi le mie considerazioni su questo prodotto, voglio mettere le mani avanti; la mia conoscenza del lavoro originale di Conan Doyle è estremamente generica, perciò lungi da me arrischiarmi in qualsiasi tipo di comparazione fra le due opere. Anzitutto perché, per ovvie ragioni, non ne sarei in grado, ma anche perché, personalmente, non ritengo particolarmente corretto o necessario giudicare la serie in relazione all'opera originale. Terrò comunque in considerazione il fatto che alcuni personaggi e vicende, essendo già noti almeno nominalmente, arriveranno allo spettatore influenzati da determinate aspettative.
La storia apre il sipario sul malfamato quartiere a luci rosse di Kabukicho, nell'East Side di Shinjuku. Al Pipecat, all'apparenza un semplice locale per travestiti, la "signora" Hudson organizza una specie di circolo clandestino per detective, la cosiddetta "Casa degli Investigatori", dove le persone possono recarsi a proporre dei casi.
La serie è orientata su toni molto distanti fra loro; si passa da episodi con intento comico di tipo demenziale e grottesco ad episodi che cercano la tensione drammatica e il pathos. Tuttavia, anche se l'intenzione comica o drammatica è ben riconoscibile, non sempre la prima scatena ilarità o riso, e non sempre la seconda suscita tensione o coinvolgimento emotivo. Infatti la riuscita concreta di questi intenti è traballante. La capacità della serie di tenere vivo l'interesse dello spettatore è incredibilmente altalenante. A momenti di estremo coinvolgimento emotivo si alternano episodi noiosi vissuti nella più totale indifferenza.
La trama si dirama in modo lineare senza intrichi particolarmente elaborati. Essendo una serie investigativa, molto dell'interesse della serie si basa sul fascino dei misteri e sulla genialità della risoluzione e completezza delle spiegazioni. I casi sono sufficientemente interessanti (alcuni meno di altri), ma nulla di stratosferico. Alcuni passaggi dei singoli casi o della trama principale (perlopiù dettagli) restano oscuri e non spiegati, o comunque non chiarificati in modo convincente.
L'ambiente stravagante ma accogliente del Pipecat è il filo conduttore che lega tutti i personaggi; essi sono sicuramente il punto di maggior forza e interesse della serie. Essi risultano ben inquadrati e caratterizzati da personalità marcate e parecchio strampalate, coerentemente con l'ambientazione un po' sopra le righe. Il character design è indubbiamente gradevole e distintivo. Purtroppo il fatto che i personaggi siano la parte, a mio avviso, più riuscita della serie, non significa che la caratterizzazione non abbia delle lacune di discreta importanza: certi aspetti di quest'ultima vengono completamente tralasciati; nel più dei casi ciò è potenzialmente irrilevante, mentre in altri questa mancanza non consente allo spettatore di comprendere le motivazioni e il significato di determinate azioni, impedendogli di entrare in empatia con essi. Ciò non lede la piacevolezza dell'intera visione, ma sicuramente lo fa per certi passaggi, anche importanti a livello narrativo.
La prima parte della serie è quella maggiormente riuscita, in quanto gioca molto sul mistero che circonda la figura di Moriarty, che si presenta come una figura positiva, seppur certi dettagli ci inducano a sospettare un certo squilibrio mentale. Da una parte lo spettatore conosce l'indole diabolica che connota la figura del suo originale, ma dall'altra "questo" Moriarty sembrerebbe niente più che un semplice giovane irriverente, spontaneo e sorridente.
Buono o cattivo? Colpevole o innocente? L'idea dello spettatore viene indotta da una parte all'altra e quest'ambiguità può facilmente inspirare una certa curiosità.
La seconda parte, meno sapientemente impostata e troppo sbilanciata ed esagerata, non attecchisce; una tale degenerazione degli eventi necessiterebbe motivazioni e spiegazioni, assenti o non convincenti. Perciò, ad eccezione di circoscritti momenti di tensione o emozione, nella seconda parte dell'anime, l'indifferenza regna sovrana.
Dunque torniamo al discorso di prima: questa serie è fatta di alti e bassi, ed è difficile fare un commento univoco che non tradisca la bellezza di certi passaggi davvero memorabili e intensi, e allo stesso tempo non critichi la sterilità e piattezza di altre fasi, davvero poco interessanti. Il fatto che buoni personaggi permeino l'intera visione indubbiamente aiuta, ma, concluso l'ultimo episodio, non resta molto da acclamare. Perciò serie senza infamia e senza lode, con spunti di interesse qua e là, ma anche un bel po' di mediocrità.
Nonostante i difetti mi sento di consigliare la visione che, complessivamente, è piuttosto piacevole, merito anche di un comparto tecnico molto curato.
La serie "Kabukicho no Yatsu" ha il suo maggior punto di forza nel dare una risposta a queste domande che, in particolar modo, potrebbero stuzzicare l'interesse di chiunque sia fan della classica e immortale figura di Sherlock Holmes e, allo stesso tempo, dell'animazione giapponese, nonché della cultura nipponica. Ma prima di esporvi le mie considerazioni su questo prodotto, voglio mettere le mani avanti; la mia conoscenza del lavoro originale di Conan Doyle è estremamente generica, perciò lungi da me arrischiarmi in qualsiasi tipo di comparazione fra le due opere. Anzitutto perché, per ovvie ragioni, non ne sarei in grado, ma anche perché, personalmente, non ritengo particolarmente corretto o necessario giudicare la serie in relazione all'opera originale. Terrò comunque in considerazione il fatto che alcuni personaggi e vicende, essendo già noti almeno nominalmente, arriveranno allo spettatore influenzati da determinate aspettative.
La storia apre il sipario sul malfamato quartiere a luci rosse di Kabukicho, nell'East Side di Shinjuku. Al Pipecat, all'apparenza un semplice locale per travestiti, la "signora" Hudson organizza una specie di circolo clandestino per detective, la cosiddetta "Casa degli Investigatori", dove le persone possono recarsi a proporre dei casi.
La serie è orientata su toni molto distanti fra loro; si passa da episodi con intento comico di tipo demenziale e grottesco ad episodi che cercano la tensione drammatica e il pathos. Tuttavia, anche se l'intenzione comica o drammatica è ben riconoscibile, non sempre la prima scatena ilarità o riso, e non sempre la seconda suscita tensione o coinvolgimento emotivo. Infatti la riuscita concreta di questi intenti è traballante. La capacità della serie di tenere vivo l'interesse dello spettatore è incredibilmente altalenante. A momenti di estremo coinvolgimento emotivo si alternano episodi noiosi vissuti nella più totale indifferenza.
La trama si dirama in modo lineare senza intrichi particolarmente elaborati. Essendo una serie investigativa, molto dell'interesse della serie si basa sul fascino dei misteri e sulla genialità della risoluzione e completezza delle spiegazioni. I casi sono sufficientemente interessanti (alcuni meno di altri), ma nulla di stratosferico. Alcuni passaggi dei singoli casi o della trama principale (perlopiù dettagli) restano oscuri e non spiegati, o comunque non chiarificati in modo convincente.
L'ambiente stravagante ma accogliente del Pipecat è il filo conduttore che lega tutti i personaggi; essi sono sicuramente il punto di maggior forza e interesse della serie. Essi risultano ben inquadrati e caratterizzati da personalità marcate e parecchio strampalate, coerentemente con l'ambientazione un po' sopra le righe. Il character design è indubbiamente gradevole e distintivo. Purtroppo il fatto che i personaggi siano la parte, a mio avviso, più riuscita della serie, non significa che la caratterizzazione non abbia delle lacune di discreta importanza: certi aspetti di quest'ultima vengono completamente tralasciati; nel più dei casi ciò è potenzialmente irrilevante, mentre in altri questa mancanza non consente allo spettatore di comprendere le motivazioni e il significato di determinate azioni, impedendogli di entrare in empatia con essi. Ciò non lede la piacevolezza dell'intera visione, ma sicuramente lo fa per certi passaggi, anche importanti a livello narrativo.
La prima parte della serie è quella maggiormente riuscita, in quanto gioca molto sul mistero che circonda la figura di Moriarty, che si presenta come una figura positiva, seppur certi dettagli ci inducano a sospettare un certo squilibrio mentale. Da una parte lo spettatore conosce l'indole diabolica che connota la figura del suo originale, ma dall'altra "questo" Moriarty sembrerebbe niente più che un semplice giovane irriverente, spontaneo e sorridente.
Buono o cattivo? Colpevole o innocente? L'idea dello spettatore viene indotta da una parte all'altra e quest'ambiguità può facilmente inspirare una certa curiosità.
La seconda parte, meno sapientemente impostata e troppo sbilanciata ed esagerata, non attecchisce; una tale degenerazione degli eventi necessiterebbe motivazioni e spiegazioni, assenti o non convincenti. Perciò, ad eccezione di circoscritti momenti di tensione o emozione, nella seconda parte dell'anime, l'indifferenza regna sovrana.
Dunque torniamo al discorso di prima: questa serie è fatta di alti e bassi, ed è difficile fare un commento univoco che non tradisca la bellezza di certi passaggi davvero memorabili e intensi, e allo stesso tempo non critichi la sterilità e piattezza di altre fasi, davvero poco interessanti. Il fatto che buoni personaggi permeino l'intera visione indubbiamente aiuta, ma, concluso l'ultimo episodio, non resta molto da acclamare. Perciò serie senza infamia e senza lode, con spunti di interesse qua e là, ma anche un bel po' di mediocrità.
Nonostante i difetti mi sento di consigliare la visione che, complessivamente, è piuttosto piacevole, merito anche di un comparto tecnico molto curato.
«Case File nº221: Kabukichō» o «Kabukichō Sherlock» è un’opera originale, della durata di ventiquattro episodi serializzati a partire dall’autunno 2019. Prodotto da Production I.G (che ha curato le varie serie e i film di «Psycho-Pass», o la recente trasposizione di «Vinland Saga») deve la sceneggiatura a Taku Kishimoto (sceneggiatore anche di «91 Days» e «Erased») e la regia a Ai Yoshimura («Ao Haru Ride»).
L’idea, alquanto accattivante, è quella di riproporre le avventure del famoso investigatore nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, stravolgendo l’ambientazione originale: questo Sherlock Holmes si muove nel Giappone contemporaneo, a Kabukichō, per la precisione.
Questa storia è l’ennesima di quella vasta produzione di apocrifi holmesiani, quanto mai fiorente negli ultimi anni, questa storia si pone in quella frazione di opere che stravolgono il canone, anche se non si pone al limite estremo delle bizzarrie del genere.
Ci sono elementi ben giocati, che funzionano: funziona tutto l’universo di contorno, nuovo e bizzarro, con richiami all’opera originale, tutti declinati con qualche differenza, funziona sicuramente questo Sherlock che si esibisce in un “rakugo deduttivo”, funziona il luogo di ritrovo del gruppo di investigatori che si vedono in azione, il club “Pipecat” che deve il suo nome all’enorme gatto, Pipe, della proprietaria la Sig.ra Hudson, funziona la prima parte della serie in cui sono ripresi casi canonici che divertono chi conosce l’opera originale, perché trae piacere nel riconoscere storie note - e può in un certo senso “giocare al detective” -, e divertono anche chi non ha letto gli scritti di Doyle, perché sono intrecci ben scritti. Funzionano i siparietti comici che risultano spesso molto freschi e mai volgari, anche quando giocano con temi più o meno maliziosi.
Ci sono però anche difetti di un certo rilievo: i personaggi di nuova introduzione non sono quasi mai incisivi e, soprattutto, la scrittura delle parti originali non è all’altezza della pur non malvagia idea che è alla base: seguendo una delle possibilità classiche degli apocrifi holmesiani si cerca di ampliare il blackground dei personaggi; purtroppo l’operazione non è riuscita e (senza fare troppi spoiler) al momento della serie ispirato agli eventi delle cascate di Reichenbach molti saranno alquanto perplessi...
Anche il tono generale della serie non è azzeccato: troppa indecisione fra qualcosa di serio e qualcosa di spensierato.
Vale la pena di esser visto? Io propenderei per il sì ma a due condizioni: che non siate “fanatici holmesiani” e che non vi aspettiate molto a livello di trama.
Infatti la gradevolezza della serie risiede nella bellezza del character design di Toshiyuki Yahagi: incisivo, netto, non troppo estetizzante ma elegante, così come nel bel doppiaggio, nei colori sgargianti degli sfondi notturni, nelle musiche accattivanti che ben accompagnano lo spettatore. Degna di nota anche la opening “Capture” che contiene diversi indizi...
Un esperimento non riuscito appieno, ma interessante...
L’idea, alquanto accattivante, è quella di riproporre le avventure del famoso investigatore nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, stravolgendo l’ambientazione originale: questo Sherlock Holmes si muove nel Giappone contemporaneo, a Kabukichō, per la precisione.
Questa storia è l’ennesima di quella vasta produzione di apocrifi holmesiani, quanto mai fiorente negli ultimi anni, questa storia si pone in quella frazione di opere che stravolgono il canone, anche se non si pone al limite estremo delle bizzarrie del genere.
Ci sono elementi ben giocati, che funzionano: funziona tutto l’universo di contorno, nuovo e bizzarro, con richiami all’opera originale, tutti declinati con qualche differenza, funziona sicuramente questo Sherlock che si esibisce in un “rakugo deduttivo”, funziona il luogo di ritrovo del gruppo di investigatori che si vedono in azione, il club “Pipecat” che deve il suo nome all’enorme gatto, Pipe, della proprietaria la Sig.ra Hudson, funziona la prima parte della serie in cui sono ripresi casi canonici che divertono chi conosce l’opera originale, perché trae piacere nel riconoscere storie note - e può in un certo senso “giocare al detective” -, e divertono anche chi non ha letto gli scritti di Doyle, perché sono intrecci ben scritti. Funzionano i siparietti comici che risultano spesso molto freschi e mai volgari, anche quando giocano con temi più o meno maliziosi.
Ci sono però anche difetti di un certo rilievo: i personaggi di nuova introduzione non sono quasi mai incisivi e, soprattutto, la scrittura delle parti originali non è all’altezza della pur non malvagia idea che è alla base: seguendo una delle possibilità classiche degli apocrifi holmesiani si cerca di ampliare il blackground dei personaggi; purtroppo l’operazione non è riuscita e (senza fare troppi spoiler) al momento della serie ispirato agli eventi delle cascate di Reichenbach molti saranno alquanto perplessi...
Anche il tono generale della serie non è azzeccato: troppa indecisione fra qualcosa di serio e qualcosa di spensierato.
Vale la pena di esser visto? Io propenderei per il sì ma a due condizioni: che non siate “fanatici holmesiani” e che non vi aspettiate molto a livello di trama.
Infatti la gradevolezza della serie risiede nella bellezza del character design di Toshiyuki Yahagi: incisivo, netto, non troppo estetizzante ma elegante, così come nel bel doppiaggio, nei colori sgargianti degli sfondi notturni, nelle musiche accattivanti che ben accompagnano lo spettatore. Degna di nota anche la opening “Capture” che contiene diversi indizi...
Un esperimento non riuscito appieno, ma interessante...
I Giapponesi amano Sherlock Holmes. E non gli do torto; il personaggio nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle è da quasi 150 anni ormai non solo l’icona del giallo deduttivo, ma pure una figura capace di superare i limiti del suo genere e di imporsi anche in epoca moderna come base per la creazione di produzioni (che vanno dai film alle serie televisive) che reinterpretano il personaggio in chiave contemporanea. Anche gli anime non si sono sottratti recentemente, ma anche negli anni precedenti, a quest’operazione di ‘sfruttamento’ di un marchio col quale è molto facile familiarizzare, ma ahimè devo dire, da holmesiano convinto, che i risultati di queste riscritture raramente mi hanno soddisfatto e molto spesso deluso, e, purtroppo, “Kabukichō Sherlock”, conosciuta anche come “Case File nº221: Kabukicho”, rientra tra queste.
Questa rivisitazione, come suggerisce il titolo, è ambientata a Kabukichō, una frazione del quartiere speciale di Shinjuku, a Tokyo, celebre per la sua forte concentrazione di love hotel, night club e locali a luci rosse in generale. Uno di questi club è il Pipecat gestito dalla Sig.ra Hudson, una drag queen molto celebre nel quartiere, che funge anche da base per la ‘casa dei detective’, un gruppo di sei investigatori chiamati a risolvere, dietro lauto compenso, i misteri più disparati. E tra questi spicca chiaramente il nostro Sherlock Holmes che, in compagnia del nuovo arrivato Watson, si ritroverà invischiato prima nella risoluzione di singoli casi e quindi in una trama orizzontale più ampia che coinvolgerà personaggi già noti come Jack lo Squartatore o la sua, in teoria, nemesi giurata Moriarty.
In questa scarna descrizione sono racchiusi già quelli che per me sono i principali pregi e, allo stesso tempo, i più gravi difetti di quest’anime. Un pregio è sicuramente la caratterizzazione dei personaggi, che trova un buon equilibrio tra il rispetto delle figure originali e una ricostruzione moderna che strizzi l’occhio anche alle commedie un po’ trash; Sherlock ad esempio è un uomo più giovane dell’originale, ma che condivide diverse caratteristiche con quest’ultimo: ha difficoltà a relazionarsi col prossimo, pochissimi amici, un difficile rapporto con le donne (qui dettato però più da timidezza che da una lieve misoginia) e un lato caratteriale istrionico e teatrale che, nel suo caso, si evidenzia quando si cimenta in prove di rakugo deduttivo (il rakugo è un genere teatrale tradizionale giapponese) durante la spiegazione delle sue deduzioni che hanno portato alla soluzione di un mistero. Anche gli altri personaggi ispirati direttamente dal canone originale conservano caratteristiche che possono accomunarli agli esemplari primigeni e soddisfare in questo modo le aspettative degli holmesiani in solluchero; di riflesso, e non è certamente un caso, tutti quelli inventati appositamente per la serie risultano decisamente più scialbi e dimenticabili. Ma se si dovesse giudicare questa serie solo dalla caratterizzazione dei personaggi, il mio giudizio su essa sarebbe molto più positivo; i problemi maggiori in questo caso stanno nella sceneggiatura e nella strada che ha deciso di intraprendere. L’inizio infatti mi aveva fatto intravedere una serie che si proponeva di adattare, in una chiave sicuramente anche più comica e un po’ trash, una parte dei racconti che compongono l’epopea holmesiana di Doyle, e il risultato, con comprensibili alti e bassi, mi aveva comunque piacevolmente impressionato. Nel momento in cui è stata introdotta una trama orizzontale invece sono cominciate le prime complicazioni, soprattutto nella seconda parte della serie, quando un’analisi psicologica scarna e deludente dei protagonisti, insieme ad alcuni episodi completamente originali poveri di contenuto sia comico che mystery, hanno dato vita a un anime che ha provato a cercare consensi in tante fasce di pubblico, finendo però per non accontentarne nessuna: chi voleva una serie leggera e divertente si è ritrovato con un polpettone improbabile di drammi familiari e personalità deviate da digerire; chi cercava un poliziesco thriller si è ritrovato un mix di azione povera e macchinazioni assurde da metabolizzare; chi, infine, e più grave motivazione a livello personale, si era avvicinato alla serie semplicemente per il nome che portava ha dovuto amaramente constatare che questo era solo uno specchietto per le allodole, visto che quest’anime avrebbe potuto avere lo stesso svolgimento sia che i protagonisti si fossero chiamati Holmes e Watson che Giovanni e Michele. Certo, è chiaro che quando metti il nome di Sherlock Holmes a un prodotto qualsiasi ti assicuri come minimo una certa dose di attenzione e, nel peggiore dei casi, comunque una curiosità in grado di attirare spettatori generici; ma se questi ultimi possono anche aver trovato piacevole il prodotto finale, chi era affezionato alle figure dei personaggi che portavano cotanto nome non può non aver storto il naso più di una volta, e io purtroppo (ma meglio dire per fortuna) faccio parte della seconda categoria.
Fortunatamente posso parlare in termini più lusinghieri dell’aspetto tecnico dell’anime, che sicuramente è pregevole in alcuni punti. La resa grafica della Production I.G., lo studio che ha prodotto l’anime originale, è davvero molto buona, sia nella riproduzione delle ambientazioni di una vibrante Kabukichō che nel character design dei personaggi, curato da Toshiyuki Yahagi, che ho trovato davvero molto bello, espressivo e particolare, una bella boccata d’ossigeno da questo punto di vista nel panorama dell’animazione giapponese. Il comparto sonoro fa il suo dovere nella colonna sonora di Takuro Iga, che si amalgama complessivamente bene alle scene che accompagna, ma quello che brilla particolarmente è il doppiaggio giapponese della serie, dove cito ad esempio per tutti, perché penso sia comunque la prova migliore, l’ottimo Katsuyuki Konishi (Diavolo in “Jojo - Vento Aureo” o Dreyfus in “The Seven Deadly Sins”), che ha doppiato il nostro Sherlock dotandolo di una personalità multiforme e con tante sfaccettature, credibile in ogni versione, da quella più seria a quella più apparentemente ridicola. Mi dispiace non poter dare un’opinione anche sul doppiaggio italiano, che è già disponibile, visto che la serie è stata trasmessa quasi in contemporanea col Giappone anche doppiata su Amazon Prime Video, ma ho preferito optare per il giapponese come prima scelta, vista anche la presenza di sequenze di rakugo e, detto onestamente, la serie non mi è piaciuta abbastanza da dargli una possibilità pure in italiano.
La mia non è una bocciatura clamorosa però, quanto piuttosto un rammarico su quello che poteva essere; la riscrittura dei personaggi in questa versione mi era parsa molto interessante e le ricostruzioni delle storie originali nei primi episodi mi avevano finanche entusiasmato, peccato che la sotto-trama che faceva da trait d'union lungo il resto degli episodi si sia rivelata deludente e per larghi tratti noiosa. Oltre che superflua, dal mio punto di vista.
Questa rivisitazione, come suggerisce il titolo, è ambientata a Kabukichō, una frazione del quartiere speciale di Shinjuku, a Tokyo, celebre per la sua forte concentrazione di love hotel, night club e locali a luci rosse in generale. Uno di questi club è il Pipecat gestito dalla Sig.ra Hudson, una drag queen molto celebre nel quartiere, che funge anche da base per la ‘casa dei detective’, un gruppo di sei investigatori chiamati a risolvere, dietro lauto compenso, i misteri più disparati. E tra questi spicca chiaramente il nostro Sherlock Holmes che, in compagnia del nuovo arrivato Watson, si ritroverà invischiato prima nella risoluzione di singoli casi e quindi in una trama orizzontale più ampia che coinvolgerà personaggi già noti come Jack lo Squartatore o la sua, in teoria, nemesi giurata Moriarty.
In questa scarna descrizione sono racchiusi già quelli che per me sono i principali pregi e, allo stesso tempo, i più gravi difetti di quest’anime. Un pregio è sicuramente la caratterizzazione dei personaggi, che trova un buon equilibrio tra il rispetto delle figure originali e una ricostruzione moderna che strizzi l’occhio anche alle commedie un po’ trash; Sherlock ad esempio è un uomo più giovane dell’originale, ma che condivide diverse caratteristiche con quest’ultimo: ha difficoltà a relazionarsi col prossimo, pochissimi amici, un difficile rapporto con le donne (qui dettato però più da timidezza che da una lieve misoginia) e un lato caratteriale istrionico e teatrale che, nel suo caso, si evidenzia quando si cimenta in prove di rakugo deduttivo (il rakugo è un genere teatrale tradizionale giapponese) durante la spiegazione delle sue deduzioni che hanno portato alla soluzione di un mistero. Anche gli altri personaggi ispirati direttamente dal canone originale conservano caratteristiche che possono accomunarli agli esemplari primigeni e soddisfare in questo modo le aspettative degli holmesiani in solluchero; di riflesso, e non è certamente un caso, tutti quelli inventati appositamente per la serie risultano decisamente più scialbi e dimenticabili. Ma se si dovesse giudicare questa serie solo dalla caratterizzazione dei personaggi, il mio giudizio su essa sarebbe molto più positivo; i problemi maggiori in questo caso stanno nella sceneggiatura e nella strada che ha deciso di intraprendere. L’inizio infatti mi aveva fatto intravedere una serie che si proponeva di adattare, in una chiave sicuramente anche più comica e un po’ trash, una parte dei racconti che compongono l’epopea holmesiana di Doyle, e il risultato, con comprensibili alti e bassi, mi aveva comunque piacevolmente impressionato. Nel momento in cui è stata introdotta una trama orizzontale invece sono cominciate le prime complicazioni, soprattutto nella seconda parte della serie, quando un’analisi psicologica scarna e deludente dei protagonisti, insieme ad alcuni episodi completamente originali poveri di contenuto sia comico che mystery, hanno dato vita a un anime che ha provato a cercare consensi in tante fasce di pubblico, finendo però per non accontentarne nessuna: chi voleva una serie leggera e divertente si è ritrovato con un polpettone improbabile di drammi familiari e personalità deviate da digerire; chi cercava un poliziesco thriller si è ritrovato un mix di azione povera e macchinazioni assurde da metabolizzare; chi, infine, e più grave motivazione a livello personale, si era avvicinato alla serie semplicemente per il nome che portava ha dovuto amaramente constatare che questo era solo uno specchietto per le allodole, visto che quest’anime avrebbe potuto avere lo stesso svolgimento sia che i protagonisti si fossero chiamati Holmes e Watson che Giovanni e Michele. Certo, è chiaro che quando metti il nome di Sherlock Holmes a un prodotto qualsiasi ti assicuri come minimo una certa dose di attenzione e, nel peggiore dei casi, comunque una curiosità in grado di attirare spettatori generici; ma se questi ultimi possono anche aver trovato piacevole il prodotto finale, chi era affezionato alle figure dei personaggi che portavano cotanto nome non può non aver storto il naso più di una volta, e io purtroppo (ma meglio dire per fortuna) faccio parte della seconda categoria.
Fortunatamente posso parlare in termini più lusinghieri dell’aspetto tecnico dell’anime, che sicuramente è pregevole in alcuni punti. La resa grafica della Production I.G., lo studio che ha prodotto l’anime originale, è davvero molto buona, sia nella riproduzione delle ambientazioni di una vibrante Kabukichō che nel character design dei personaggi, curato da Toshiyuki Yahagi, che ho trovato davvero molto bello, espressivo e particolare, una bella boccata d’ossigeno da questo punto di vista nel panorama dell’animazione giapponese. Il comparto sonoro fa il suo dovere nella colonna sonora di Takuro Iga, che si amalgama complessivamente bene alle scene che accompagna, ma quello che brilla particolarmente è il doppiaggio giapponese della serie, dove cito ad esempio per tutti, perché penso sia comunque la prova migliore, l’ottimo Katsuyuki Konishi (Diavolo in “Jojo - Vento Aureo” o Dreyfus in “The Seven Deadly Sins”), che ha doppiato il nostro Sherlock dotandolo di una personalità multiforme e con tante sfaccettature, credibile in ogni versione, da quella più seria a quella più apparentemente ridicola. Mi dispiace non poter dare un’opinione anche sul doppiaggio italiano, che è già disponibile, visto che la serie è stata trasmessa quasi in contemporanea col Giappone anche doppiata su Amazon Prime Video, ma ho preferito optare per il giapponese come prima scelta, vista anche la presenza di sequenze di rakugo e, detto onestamente, la serie non mi è piaciuta abbastanza da dargli una possibilità pure in italiano.
La mia non è una bocciatura clamorosa però, quanto piuttosto un rammarico su quello che poteva essere; la riscrittura dei personaggi in questa versione mi era parsa molto interessante e le ricostruzioni delle storie originali nei primi episodi mi avevano finanche entusiasmato, peccato che la sotto-trama che faceva da trait d'union lungo il resto degli episodi si sia rivelata deludente e per larghi tratti noiosa. Oltre che superflua, dal mio punto di vista.
È un anime molto bello, che differisce dai soliti cliché su Sherlock Holmes.
Mi è piaciuta la caratterizzazione dei personaggi, soprattutto quella di Mrs. Hudson e del dottor Watson, ho gradito la crescita personale dei protagonisti tramite le vicende narrate. Ho apprezzato molto la scelta di dare una visione ampia sulla società attuale, quindi di utilizzare anche i social network, i droni e molto altro.
Questo anime ha portato una ventata d’aria fresca rispetto allo stereotipo di Sherlock Holmes.
Che dire di altro, se non di consigliarne a tutti la visione?
Mi è piaciuta la caratterizzazione dei personaggi, soprattutto quella di Mrs. Hudson e del dottor Watson, ho gradito la crescita personale dei protagonisti tramite le vicende narrate. Ho apprezzato molto la scelta di dare una visione ampia sulla società attuale, quindi di utilizzare anche i social network, i droni e molto altro.
Questo anime ha portato una ventata d’aria fresca rispetto allo stereotipo di Sherlock Holmes.
Che dire di altro, se non di consigliarne a tutti la visione?
Uno Sherlock inusuale immerso nel caotico Kabuki-cho della Tokyo moderna.
I personaggi, che di primo acchito paiono solo bizzarri, nascondono caratteri complessi e storie profonde. Avventure nonsense con picchi di trash conducono alla cupa e straziante storia del mitico detective Sherlock Holmes, del suo aiutante Watson e del deviato Moriarty.
Il tutto è accompagnato da un bellissimo character design e una opening insolita ma molto catchy.
Mi ricorda vagamente lo stile di "Sarazanmai": una partenza leggera, un anime che non pretende di essere il più psicologicamente pesante della stagione, ma che poi, negli ultimi episodi, ti emoziona e con cui ti ritrovi a empatizzare, nonché a piangere durante i titoli di coda.
I personaggi, che di primo acchito paiono solo bizzarri, nascondono caratteri complessi e storie profonde. Avventure nonsense con picchi di trash conducono alla cupa e straziante storia del mitico detective Sherlock Holmes, del suo aiutante Watson e del deviato Moriarty.
Il tutto è accompagnato da un bellissimo character design e una opening insolita ma molto catchy.
Mi ricorda vagamente lo stile di "Sarazanmai": una partenza leggera, un anime che non pretende di essere il più psicologicamente pesante della stagione, ma che poi, negli ultimi episodi, ti emoziona e con cui ti ritrovi a empatizzare, nonché a piangere durante i titoli di coda.
Storie coinvolgenti, comicità velatamente maliziosa, i personaggi rispecchiano profili umani reali con le loro debolezze e loro pregi.
In una atmosfera quasi irreale del quartiere a luci rosse di Kabukicho la morale è presente e fa da faro nelle scelte dei protagonisti.
Sherlock è divino nel rappresentare l’uomo alla ricerca di un ruolo nella vita, il rakugo-deduttivo è una pillola esilarante che mantiene un collegamento tra il desiderio mai realizzato di diventare attore e la sua professione di investigatore.
Consiglio la visione agli appassionati del genere.
In una atmosfera quasi irreale del quartiere a luci rosse di Kabukicho la morale è presente e fa da faro nelle scelte dei protagonisti.
Sherlock è divino nel rappresentare l’uomo alla ricerca di un ruolo nella vita, il rakugo-deduttivo è una pillola esilarante che mantiene un collegamento tra il desiderio mai realizzato di diventare attore e la sua professione di investigatore.
Consiglio la visione agli appassionati del genere.