Dragon Quest Saga - L'Emblema di Roto
Iniziato nel 1998 e mai finito, ora grazie a degli amici ho potuto leggerne tutti i volumi nell’edizione Star Comics di allora in 21 volumi e posso quindi dare un voto a questo manga: il voto è 7 ½ e lo motivo così: opera interessante, fantasy carino e senza pretese che dura per l’epoca molti volumi trattandosi di un’opera tratta da un videogioco. I personaggi sono quelli di Dragon Quest un gioco campione di incassi e quindi conosciuto dai ragazzi, il chara design di protagonisti e mostri è uscito dalla mano di Akira Toriyama, popolarissimo autore di Dragon Ball (all’epoca ancora in corso), con queste premesse il fumetto non poteva che diventare una delle colonne portanti gi GanGan, rivista dell’Enix.
Quando i Kappa Boys selezionarono questo titolo pensavano che il fatto che il disegnatore fosse già conosciuto in Italia potesse aiutare: purtroppo l’opera precedente di Kamui Fujiwara, intitolata "Raika", e pubblicata dalla Comic Art nel 1997 probabilmente ha venduto poco, tanto che il quarto ed ultimo volume non è stato pubblicato.
Anche i dati di questo Dragon Quest – L’emblema di Roto si trovo a vendere poco perché surclassato dal "Dragon Quest" di Koji Inada – Yuji Horii – Riku Sanjo intolato "Dai no daibouken" ovvero la grande avventura di Dai (Star Comics 1997), arrivato anche sui canali Mediaset col titolo “I cavalieri del drago”.
Quindi eclissato da altri titoli all’epoca è stato riproposto nel 2015 con una perfect edition… ma devo ammettere che il mercato di quell’anno è pieno di altri titoli interessanti e di nuovo Roto non ha fatto numeri straordinari.
Ma ritorniamo al motivo del mio 7 ½: il fumetto è carino, il disegno è pulito, le armi e i mostri sono ben disegnati, la trama funziona, anche se ho indovinato quasi tutte le svolte della stessa, il fumetto ingrana quasi subito ma… in nulla eccelle e il finale (gli ultimi 2 volumi) è un finale troppo buonista, un po’ più di morti non sarebbero stati disprezzati, intendo qualche morte eccellente.
Comunque se volete una storia fantasy carina, che non si perde come hanno fatto altri fumetti (due su tutti, "Bastard!!" e "Berserk") questo può fare per voi nonostante i troppi cliché, dall’eroe troppo puro (Arus) a dei nemici che non sono tutti così cattivi, al sacrificio dei genitori, al fatto che il protagonista viene sconfitto per diventare più forte ecc ecc</fine></spoiler>
Quando i Kappa Boys selezionarono questo titolo pensavano che il fatto che il disegnatore fosse già conosciuto in Italia potesse aiutare: purtroppo l’opera precedente di Kamui Fujiwara, intitolata "Raika", e pubblicata dalla Comic Art nel 1997 probabilmente ha venduto poco, tanto che il quarto ed ultimo volume non è stato pubblicato.
Anche i dati di questo Dragon Quest – L’emblema di Roto si trovo a vendere poco perché surclassato dal "Dragon Quest" di Koji Inada – Yuji Horii – Riku Sanjo intolato "Dai no daibouken" ovvero la grande avventura di Dai (Star Comics 1997), arrivato anche sui canali Mediaset col titolo “I cavalieri del drago”.
Quindi eclissato da altri titoli all’epoca è stato riproposto nel 2015 con una perfect edition… ma devo ammettere che il mercato di quell’anno è pieno di altri titoli interessanti e di nuovo Roto non ha fatto numeri straordinari.
Ma ritorniamo al motivo del mio 7 ½: il fumetto è carino, il disegno è pulito, le armi e i mostri sono ben disegnati, la trama funziona, anche se ho indovinato quasi tutte le svolte della stessa, il fumetto ingrana quasi subito ma… in nulla eccelle e il finale (gli ultimi 2 volumi) è un finale troppo buonista, un po’ più di morti non sarebbero stati disprezzati, intendo qualche morte eccellente.
Comunque se volete una storia fantasy carina, che non si perde come hanno fatto altri fumetti (due su tutti, "Bastard!!" e "Berserk") questo può fare per voi nonostante i troppi cliché, dall’eroe troppo puro (Arus) a dei nemici che non sono tutti così cattivi, al sacrificio dei genitori, al fatto che il protagonista viene sconfitto per diventare più forte ecc ecc</fine></spoiler>
Dragon Quest- L'emblema di roto è un manga del 1992 di Kamui Fujiwara, che prende ispirazione dalla serie videoludica di Dragon Quest, in particolare da Dragon Quest III, ambientato nello stesso mondo.
Ci troviamo in un mondo fantasy dove il prode Roto, dopo aver riportato la pace, ha avuto due figli, Loran e Carmen che a loro volta hanno fondato due regni. Nel regno di Carmen sta per nascere il primogenito Arus, ma poco tempo prima della sua nascita il demone Imajin, che sta per risvegliarsi, manda il Re Drago per rapire il nascituro Arus e farlo diventare un demone, evitando cosi che una volta cresciuto possa replicare le gesta di suo nonno, sventando i piani malefici di Imajin. Ovviamente il Re Drago fallirà nell'impresa, ma Arus sarà comunque costretto ad abbandonare il castello e andrà a vivere in un piccolo villaggio, dove farà la conoscenza di Kira e dove inizierà il suo viaggio che lo porterà a diventare il nuovo prode.
La storia si sviluppa come il più classico dei Battle Shonen, infatti Arus farà la conoscenza di vari personaggi che in seguito lo accompagneranno nelle sue avventure. Il già citato Kira sarà il maestro della spada, il maschiaccio Yao sarà la maestra del pugno e il simpatico Poron diventerà il maestro della saggezza. Non mancherà anche il rivale di turno, ovvero Jagan, altro discendente di Roto, divenuto malvagio a causa di Imajin, ma che durante la storia vedremo non essere poi cosi cattivo. Le ambientazioni sono molto fedeli al videogioco e in generale sembra davvero di star leggendo le gesta che di solito compiamo nei videogiochi del Brand di Dragon Quest. La storia avanza che è un piacere tra scontri con nemici sempre più forti e ben caratterizzati, con l'incontro di nuovi personaggi che affiancheranno i nostri eroi, in ambientazioni splendide e sempre diverse tra loro. Peccato però che il tutto si perda verso la fine. Gli eventi degli ultimi due volumi mi hanno lasciato con l'amaro in bocca, con degli episodi che paiono troppo forzati per arrivare al classico lieto fine.
I disegni sono buoni, considerando che il manga è del 1992 e si rifà molto al chara design di Akira Toriyama, che ha curato il chara design dei vari videogiochi della serie. Le scene di combattimento sono rappresentate in maniera abbastanza chiara e l'azione in generale è sempre su buoni livelli, senza mai perdersi in lunghi sproloqui dei personaggi. L'edizione Perfect Edition della Star Comics è convincente e si legge che è un piacere, peccato solo per il prezzo di 8 euro, abbastanza alto.
In conclusione assegno un 7 a quest'opera, se non fosse stato per il finale potevo anche assegnare un voto un po' più alto, ma in generale la lettura è stata piacevole e consiglio l'acquisto agli amanti del Battle Shonen.
Ci troviamo in un mondo fantasy dove il prode Roto, dopo aver riportato la pace, ha avuto due figli, Loran e Carmen che a loro volta hanno fondato due regni. Nel regno di Carmen sta per nascere il primogenito Arus, ma poco tempo prima della sua nascita il demone Imajin, che sta per risvegliarsi, manda il Re Drago per rapire il nascituro Arus e farlo diventare un demone, evitando cosi che una volta cresciuto possa replicare le gesta di suo nonno, sventando i piani malefici di Imajin. Ovviamente il Re Drago fallirà nell'impresa, ma Arus sarà comunque costretto ad abbandonare il castello e andrà a vivere in un piccolo villaggio, dove farà la conoscenza di Kira e dove inizierà il suo viaggio che lo porterà a diventare il nuovo prode.
La storia si sviluppa come il più classico dei Battle Shonen, infatti Arus farà la conoscenza di vari personaggi che in seguito lo accompagneranno nelle sue avventure. Il già citato Kira sarà il maestro della spada, il maschiaccio Yao sarà la maestra del pugno e il simpatico Poron diventerà il maestro della saggezza. Non mancherà anche il rivale di turno, ovvero Jagan, altro discendente di Roto, divenuto malvagio a causa di Imajin, ma che durante la storia vedremo non essere poi cosi cattivo. Le ambientazioni sono molto fedeli al videogioco e in generale sembra davvero di star leggendo le gesta che di solito compiamo nei videogiochi del Brand di Dragon Quest. La storia avanza che è un piacere tra scontri con nemici sempre più forti e ben caratterizzati, con l'incontro di nuovi personaggi che affiancheranno i nostri eroi, in ambientazioni splendide e sempre diverse tra loro. Peccato però che il tutto si perda verso la fine. Gli eventi degli ultimi due volumi mi hanno lasciato con l'amaro in bocca, con degli episodi che paiono troppo forzati per arrivare al classico lieto fine.
I disegni sono buoni, considerando che il manga è del 1992 e si rifà molto al chara design di Akira Toriyama, che ha curato il chara design dei vari videogiochi della serie. Le scene di combattimento sono rappresentate in maniera abbastanza chiara e l'azione in generale è sempre su buoni livelli, senza mai perdersi in lunghi sproloqui dei personaggi. L'edizione Perfect Edition della Star Comics è convincente e si legge che è un piacere, peccato solo per il prezzo di 8 euro, abbastanza alto.
In conclusione assegno un 7 a quest'opera, se non fosse stato per il finale potevo anche assegnare un voto un po' più alto, ma in generale la lettura è stata piacevole e consiglio l'acquisto agli amanti del Battle Shonen.
L’anno è il 1988, il giorno è il 10 febbraio, un frenetico giorno feriale come gli altri in Giappone, con i treni al solito affollati di lavoratori e studenti pendolari. Eppure quel mercoledì mattina accade qualcosa di inusuale in determinate zone della metropoli: gli abitanti vedono per strada interi gruppetti di studenti che hanno saltato le lezioni, tutti con uno sorriso deficiente stampato in faccia e una camminata abbastanza sostenuta. Poteva capitare di vedere qualche studente marinare la scuola, ma mai in quella quantità, e di conseguenza arrivarono svariate segnalazioni alle forze dell’ordine, che “catturarono” non 20, non 50, ma la bellezza di 300 studenti, e chissà quanti altri sfuggirono all'arresto. Gli stupiti agenti si chiesero cosa avesse scaturito quella “bigiata” di massa fino a quando non si accorsero di una curiosità: ognuno di quei ragazzini aveva in mano o in tasca la stessa identica cosa, una confezione ancora avvolta nel cellophane, che racchiudeva un videogioco in uscita proprio quel giorno, un giorno feriale come tutti gli altri per la maggior parte della popolazione, ma non per quei ragazzini.
Quel videogioco era Dragon Quest III.
Un milione di copie nel suo solo giorno di uscita, mai prima di allora si era vista una cosa del genere, il mercato giapponese stesso non era preparato a questo vero e proprio fenomeno sociale. Le file davanti ai negozi di Akihabara, le aperture ad orari eccezionali, i telegiornali che per la prima volta ne parlano, la passione smodata per gli RPG, tutte queste cose che hanno contraddistinto il decennio successivo iniziarono da quel 10 febbraio 1988, da Dragon Quest III. Il gioco alla fine raccoglierà qualcosa come 3,8 milioni di vendite, una cifra assurda che raggiungerà solo il settimo capitolo, 12 anni dopo, a cui va aggiunto il milione e mezzo della versione Super Famicom e altre seicentomila della versione Game Boy, rendendolo il Dragon Quest più venduto di sempre, nonché quello generalmente più amato dai giapponesi.
Spiegare i motivi del successo di Dragon Quest sul popolo giapponese (e quindi degli RPG tutti) è cosa lunga, ma da cosa scaturì tutto questo hype proprio per il terzo capitolo? La motivazione è presto detta: Dragon Quest III narra l’avventura di Roto, l’eroe leggendario costantemente accennato nei primi due giochi, che avevano invece come protagonisti i suoi discendenti. Ecco quindi un’altra cosa inventata dal terzo Dragon Quest: il prequel. Permettere ai giocatori di vestire i panni dell’eroe che diede inizio alla stirpe dei Roto, seguendone passo per passo la crescita, fu una cosa nuova e incredibilmente stimolante, che unita all’ormai capillare diffusione del Famicom contribuì al successo del titolo; senza contare poi l’enormità del gioco, il ciclo giorno-notte, l’innovativo sistema di classi, la colonna sonora. Soshite Densetsu e, e così entrò nella Leggenda, come dice il sottotitolo di Dragon Quest III.
Non stupisce quindi il rapido interesse da parte dell’editoria manga nei confronti del franchise fin dal suo debutto, un legame naturale; lo stesso Yuji Horii, il creatore di Dragon Quest, per sbarcare il lunario curava una rubrica di videogiochi su Shonen Jump. Praticamente ogni capitolo della saga ha il suo manga di riferimento, la cui durata non superava però la manciata di volumi, che riassumevano gli eventi del gioco oppure proponevano vignette 4-koma con protagonisti i personaggi o i mostri della serie. Erano poco più che manga promozionali.
Nel 1989 però la svolta, con l’avvio della serializzazione di Dai no Daibōken (La Grande Avventura di Dai) su Shonen Jump, si prende atto del fatto che si poteva prendere in prestito il mondo di Dragon Quest per narrare storie del tutto originali, sulla scia del successo di romanzi seriali fantasy come Lodoss War e Arslan Senki, ma con quello stile fanciullesco di Akira Toriyama che contraddistingue il design della serie, in pieno Dragon Ball-boom. In pratica un mix vincente.
Nel 1991 debutta Monthly Shōnen Gangan di proprietà della stessa Enix, e cosa c’è di meglio di una serie basata su Dragon Quest per spingere la nuova rivista? Ecco quindi Dragon Quest Retsuden: Roto no Monshō a cura di Kamui Fujiwara (insieme a Chiaki Kawamata e Junji Koyanagi), mangaka con già una serie all’attivo (Raika), ma che da grande appassionato del videogioco non si fece scappare l’occasione di partecipare al colloquio della neonata rivista Enix.
Dragon Quest: L’Emblema di Roto, rispetto a Dai no Daibōken, si ricollega al videogioco Dragon Quest III, si svolge nel suo mondo, ne cita i personaggi e gli eventi, avvenuti un secolo prima, da qui tutta l’introduzione ad esso dedicata, doverosa. Di fatto si potrebbe dire che L’Emblema di Roto sia il vero Dragon Quest IV, il quarto capitolo della saga di Roto, almeno narrativamente. Ma questo non deve frenare assolutamente eventuali lettori del tutto ignari alla storia del gioco e alla sua mitologia, egregiamente introdotta in ciò che è sufficiente sapere, sia all'inizio del manga che durante il prosieguo del medesimo. L’autore evita di adagiarsi sul soggetto di origine, come fanno molti (orribili) manga odierni tratti dai videogames, ma anzi si prefigge lo scopo di superarlo, imbastendo una storia lineare, che si prende i suoi giusti tempi per non apparire un ”riassuntino” e in egual modo evitando troppe divagazioni, mantenendo costantemente un legame indissolubile con ciò che è Dragon Quest.
È passato circa un secolo dalla sconfitta di Baramos e del Re Demone Zoma, ad opera del Prode Roto e dei suoi compagni. Il mondo ha conosciuto un'era di pace, ereditata dai due figli del Prode, Carmen e Loran, la cui discendenza vanta la protezione della Sacra Rubiss. I due formarono gli omonimi Regni, che prosperano per decenni fino a quando il malvago Re Demone Imagine, tramite un subdolo piano, decide di maledire i due neonati delle rispettive stirpe, donando loro un nome maledetto. Grazie all'intraprendenza del generale Bolgoi e della sua giovane figlia Lunafrea, il piano di Imagine fallisce sul fronte di Carmen, seppur a caro prezzo per il regno. Arus, questo il nome del neonato discendente di Roto, perde infatti entrambi i genitori ed è costretto ad una gioventù in esilio, accudito da Lunafrea e il vecchio saggio Tarkin. Dalla parte di Loran invece, conquistata dall'esercito demoniaco, il nuovo nato avrà il nome maledetto di Jagan, conferendogli così un potere maledetto unito al sangue di Roto. Sono in arrivo tempi bui per l'umanità.
Riferendosi alla differenza tra il videogioco e la sua idea di manga, nella postfazione del volume 6 Kamui Fujiwara distingue le “piccole onde” dalle “violente onde che travolgono il lettore”, e in effetti L’Emblema di Roto ha un metodo di narrazione che potremmo definire alquanto brusco, rispetto ai canoni dello shonen contemporaneo, che non si risparmiano volumi di niente. In Roto tutto sembra al suo posto per un racconto di formazione fantasy: la presentazione dei protagonisti, la loro gioventù, l’immancabile addestramento, ma d’un tratto ecco un avvenimento (inevitabilmente negativo) che fa virare la storia verso il suo culmine, come a voler dare una spinta appena ne intravede un rilassamento. Del resto c’è un mondo in declino da salvare, non c’è tempo per una vacanza al mare per sfoggiare i bikini come in Fairy Tail; un importante lutto già nei primi volumi della serie e una sconfitta totale del protagonista sono solo due esempi di “onde travolgenti” a cui fa riferimento l’autore.
Ciò si ripercuote purtroppo sull’approfondimento dei personaggi stessi, ed è qui che Roto no Monshō perde il confronto con Dai no Daibōken, che al contrario cura maggiormente i suoi interpreti, la loro crescita e le rispettive relazioni. In Roto, a prezzo di una maggior fedeltà al videogioco e di una storia poco dispersiva, questi elementi appaiono più abbozzati, specie nei personaggi di contorno, a fronte però di un protagonista, Arus, pienamente riuscito in tutte le sue fasi. Giovanissimo eroe prescelto, Arus si presenta come il tipico eroe da RPG (appunto), senza particolari guizzi, inizialmente debole, ma che emana comunque quell'impressione di colui che se la caverà sempre e comunque, una volta con la tecnica dell’eroe (il celebre Raidein), un’altra grazie ai suoi compagni, e un’altra volta magari con una ingegnosa strategia. Tutte certezze però che crolleranno dopo, o per meglio dire durante, una pesante sconfitta subita dal suo acerrimo nemico, che si può considerare uno dei punti culminanti della serie.
In ogni shonen che si rispetti l’eroe subisce almeno una sconfitta degna di questo nome, è una prassi per la sua crescita, da Kenshiro con Shin, da Goku contro Tao Pai Pai, passando per l’ignaro Joseph contro gli uomini del pilastro, in Battle Tendency, e diversi altri, ma la sconfitta che subisce Arus ha in sé le caratteristiche dell’imprevedibilità (avviene dopo una grande vittoria, in un apparente momento di rilassamento) e soprattutto della totalità, sgretolando quelle che fino ad allora erano le sue convinzioni, le convinzioni dell’eroe prescelto che dovrebbe salvare il mondo, venendo sconfitto non solo sul piano fisico, ma anche su quello dello spirito. Come già accennato la stessa attenzione non viene riposta sui comprimari Yao e Kira, che non vanno oltre il loro ruolo di forti e affidabili compagni del Prode, mentre il mago Poron propone invece un percorso di crescita maggiormente approfondito.
Non che in L’Emblema di Roto manchino altre figure di spicco, oltre ad Arus, e legge vuole che per creare una grande storia servono grandi avversari. Jagan, perfetto come nemesi di Arus, il curioso e melanconico Re Drago con i suoi dubbi costanti, o il Re Bestia Gunung e il suo incrollabile orgoglio, il manga di Kamui Fujiwara non lesina di nemici di grande carisma come nella migliore delle tradizioni shonen e che alcuni di essi non mancheranno, decisamente, di riserbare qualche sorpresa.
Mangaka stilisticamente duttile, capace di passare in pochi anni dal surreale The Chocolate Panic Picture Show al rozzo ma suggestivo Raika, fino al realismo di Kerberos Panzer Cop, Kamui Fujiwara per il suo Dragon Quest prende prevedibilmente spunto dalla scuola di Akira Toriyama donando al manga un aspetto familiare ai fan del gioco, infondendovi però un suo stile riconoscibile. L’autore predilige un tratto meno caricaturale rispetto a quello (comunque riuscitissimo) di Dai, rimarcando una maggior fisicità negli scontri, ravvisabile in particolare nella massiccia e violenta (quasi Berserkiana) battaglia contro le bestie di Gunung. Grande cura viene riposta in armamenti e luoghi conferendo all’opera semplici eppur degne atmosfere fantasy, ed è lodevole come Fujiwara sia riuscito a trasmigrare su carta i luoghi e l'atmosfera del videogioco, avendo a disposizione solo la rudimentale grafica del Famicom, imprimendo su carta la sua passione nei confronti del videogioco con una bella aggiunta di pura immaginazione, allo stesso modo di come i videogiocatori, chiudendo gli occhi, immaginavano le loro avventure prendere vita da quella grafica 8-bit.
Star Comics ripropone L’Emblema di Roto in versione Perfect Edition dal novembre del 2015 a cadenza mensile, per 15 volumi complessivi. Scelta curiosa dacché il manga di Kamui Fujiwara (ospite a Lucca Comics 2015) non fu certo definito un best-seller all’epoca della sua prima pubblicazione, rispetto ad altre serie affini. Che sia un tentativo di rilancio sul suolo italico dell’intero franchise di Dragon Quest, congiunto ai videogames (Dragon Quest Heroes disponibile per PS4, VII e VIII in arrivo sul 3DS) lo si potrà dire solo negli anni a venire, in caso l’editore decida di pubblicare altri manga del filone, a partire dallo stesso sequel di Roto. Nel mentre questa edizione si presenta bene come nello standard delle altre Perfect Edition della casa editrice, che a fronte di un prezzo in lieve rialzo (8 euro invece dei canonici 7) propone una rilegatura robusta, pagine a colori, copertine in rilievo, tavole ritoccate per l’occasione e interessanti aneddoti dell'autore a corredo. Si storce il naso giusto dinnanzi al numero variabile delle pagine, che passa dalle 370 del primo volume, alle circa 240 del numero 6, per poi risalire a 300, creando un vistoso distinguo di dimensioni tra gli stessi. Le splendide copertine della vecchia edizione, che avevano la particolarità di essere orizzontali allo scopo di richiamare le cover dei videogiochi Famicom, lasciano come sempre accade per le Kanzenban il posto a nuove copertine, spesso raffiguranti un solo personaggio o un paio al massimo. Il font per la numerazione e la scelta cromatica del blu non sono tuttavia casuali dato che vanno a creare sinergia con quelle del sequel, se mai verrà pubblicato.
Sul fronte adattamento, tramite questa edizione è invece tutto di guadagnato. Vuoi per inesperienza con il brand di Dragon Quest (del resto nel 1998 non ne era arrivato uno sul nostro mercato), vuoi per scelte di adattamento non sempre condivisibili, la vecchia edizione de L’Emblema di Roto conteneva diversi errori di gravità variabile, facilmente sgamabili però da un lettore più attento. Le scelte di trascrivere letteralmente alcuni nomi (come è il caso “Ribaiasan” invece del ben più familiare “Leviathan”, o “Saabain”/“Servine”), lasciano oggi il posto ad adattamenti più affini al contesto fantasy del manga e più fedeli in quei casi in cui i termini provengono dal videogioco, come è il caso della Sacra Rubiss (Genio Lubis nel vecchio adattamento), il regno di Alefgard (prima Alefguard), Re Demoni allora definiti Re Magici per la solita questione del maoh/maou.
Per atmosfera Dragon Quest non si poteva chiedere di meglio, Roto è un rimarchevole modello di un genere cui tuttora si necessita di esponenti, con quei mondi fantasy cavallereschi dove non sei Re se non hai la barba, ma che si fa fatica a trovarne, di così ben fatti. La sagoma di Akira Toriyama è vigente, pur stante una avvisabile difformità di tratto e di stile: Kamui Fujiwara assimila un mondo a lui caro e lo esalta su carta. L’approfondimento dei personaggi oltre il Prode rasenta l’appena indispensabile, succube comunque di una ricercata idea di scorrevolezza, raggiunta a pieno regime da questi volumoni consumabili in un niente, e finito uno ne vuoi ancora. L’Emblema di Roto è questo, attinge da un prodotto altrui, ma rispetto ad altri riesce a preservare la dignità creativa dell’artigiano.
Quel videogioco era Dragon Quest III.
Un milione di copie nel suo solo giorno di uscita, mai prima di allora si era vista una cosa del genere, il mercato giapponese stesso non era preparato a questo vero e proprio fenomeno sociale. Le file davanti ai negozi di Akihabara, le aperture ad orari eccezionali, i telegiornali che per la prima volta ne parlano, la passione smodata per gli RPG, tutte queste cose che hanno contraddistinto il decennio successivo iniziarono da quel 10 febbraio 1988, da Dragon Quest III. Il gioco alla fine raccoglierà qualcosa come 3,8 milioni di vendite, una cifra assurda che raggiungerà solo il settimo capitolo, 12 anni dopo, a cui va aggiunto il milione e mezzo della versione Super Famicom e altre seicentomila della versione Game Boy, rendendolo il Dragon Quest più venduto di sempre, nonché quello generalmente più amato dai giapponesi.
Spiegare i motivi del successo di Dragon Quest sul popolo giapponese (e quindi degli RPG tutti) è cosa lunga, ma da cosa scaturì tutto questo hype proprio per il terzo capitolo? La motivazione è presto detta: Dragon Quest III narra l’avventura di Roto, l’eroe leggendario costantemente accennato nei primi due giochi, che avevano invece come protagonisti i suoi discendenti. Ecco quindi un’altra cosa inventata dal terzo Dragon Quest: il prequel. Permettere ai giocatori di vestire i panni dell’eroe che diede inizio alla stirpe dei Roto, seguendone passo per passo la crescita, fu una cosa nuova e incredibilmente stimolante, che unita all’ormai capillare diffusione del Famicom contribuì al successo del titolo; senza contare poi l’enormità del gioco, il ciclo giorno-notte, l’innovativo sistema di classi, la colonna sonora. Soshite Densetsu e, e così entrò nella Leggenda, come dice il sottotitolo di Dragon Quest III.
Non stupisce quindi il rapido interesse da parte dell’editoria manga nei confronti del franchise fin dal suo debutto, un legame naturale; lo stesso Yuji Horii, il creatore di Dragon Quest, per sbarcare il lunario curava una rubrica di videogiochi su Shonen Jump. Praticamente ogni capitolo della saga ha il suo manga di riferimento, la cui durata non superava però la manciata di volumi, che riassumevano gli eventi del gioco oppure proponevano vignette 4-koma con protagonisti i personaggi o i mostri della serie. Erano poco più che manga promozionali.
Nel 1989 però la svolta, con l’avvio della serializzazione di Dai no Daibōken (La Grande Avventura di Dai) su Shonen Jump, si prende atto del fatto che si poteva prendere in prestito il mondo di Dragon Quest per narrare storie del tutto originali, sulla scia del successo di romanzi seriali fantasy come Lodoss War e Arslan Senki, ma con quello stile fanciullesco di Akira Toriyama che contraddistingue il design della serie, in pieno Dragon Ball-boom. In pratica un mix vincente.
Nel 1991 debutta Monthly Shōnen Gangan di proprietà della stessa Enix, e cosa c’è di meglio di una serie basata su Dragon Quest per spingere la nuova rivista? Ecco quindi Dragon Quest Retsuden: Roto no Monshō a cura di Kamui Fujiwara (insieme a Chiaki Kawamata e Junji Koyanagi), mangaka con già una serie all’attivo (Raika), ma che da grande appassionato del videogioco non si fece scappare l’occasione di partecipare al colloquio della neonata rivista Enix.
Dragon Quest: L’Emblema di Roto, rispetto a Dai no Daibōken, si ricollega al videogioco Dragon Quest III, si svolge nel suo mondo, ne cita i personaggi e gli eventi, avvenuti un secolo prima, da qui tutta l’introduzione ad esso dedicata, doverosa. Di fatto si potrebbe dire che L’Emblema di Roto sia il vero Dragon Quest IV, il quarto capitolo della saga di Roto, almeno narrativamente. Ma questo non deve frenare assolutamente eventuali lettori del tutto ignari alla storia del gioco e alla sua mitologia, egregiamente introdotta in ciò che è sufficiente sapere, sia all'inizio del manga che durante il prosieguo del medesimo. L’autore evita di adagiarsi sul soggetto di origine, come fanno molti (orribili) manga odierni tratti dai videogames, ma anzi si prefigge lo scopo di superarlo, imbastendo una storia lineare, che si prende i suoi giusti tempi per non apparire un ”riassuntino” e in egual modo evitando troppe divagazioni, mantenendo costantemente un legame indissolubile con ciò che è Dragon Quest.
È passato circa un secolo dalla sconfitta di Baramos e del Re Demone Zoma, ad opera del Prode Roto e dei suoi compagni. Il mondo ha conosciuto un'era di pace, ereditata dai due figli del Prode, Carmen e Loran, la cui discendenza vanta la protezione della Sacra Rubiss. I due formarono gli omonimi Regni, che prosperano per decenni fino a quando il malvago Re Demone Imagine, tramite un subdolo piano, decide di maledire i due neonati delle rispettive stirpe, donando loro un nome maledetto. Grazie all'intraprendenza del generale Bolgoi e della sua giovane figlia Lunafrea, il piano di Imagine fallisce sul fronte di Carmen, seppur a caro prezzo per il regno. Arus, questo il nome del neonato discendente di Roto, perde infatti entrambi i genitori ed è costretto ad una gioventù in esilio, accudito da Lunafrea e il vecchio saggio Tarkin. Dalla parte di Loran invece, conquistata dall'esercito demoniaco, il nuovo nato avrà il nome maledetto di Jagan, conferendogli così un potere maledetto unito al sangue di Roto. Sono in arrivo tempi bui per l'umanità.
Riferendosi alla differenza tra il videogioco e la sua idea di manga, nella postfazione del volume 6 Kamui Fujiwara distingue le “piccole onde” dalle “violente onde che travolgono il lettore”, e in effetti L’Emblema di Roto ha un metodo di narrazione che potremmo definire alquanto brusco, rispetto ai canoni dello shonen contemporaneo, che non si risparmiano volumi di niente. In Roto tutto sembra al suo posto per un racconto di formazione fantasy: la presentazione dei protagonisti, la loro gioventù, l’immancabile addestramento, ma d’un tratto ecco un avvenimento (inevitabilmente negativo) che fa virare la storia verso il suo culmine, come a voler dare una spinta appena ne intravede un rilassamento. Del resto c’è un mondo in declino da salvare, non c’è tempo per una vacanza al mare per sfoggiare i bikini come in Fairy Tail; un importante lutto già nei primi volumi della serie e una sconfitta totale del protagonista sono solo due esempi di “onde travolgenti” a cui fa riferimento l’autore.
Ciò si ripercuote purtroppo sull’approfondimento dei personaggi stessi, ed è qui che Roto no Monshō perde il confronto con Dai no Daibōken, che al contrario cura maggiormente i suoi interpreti, la loro crescita e le rispettive relazioni. In Roto, a prezzo di una maggior fedeltà al videogioco e di una storia poco dispersiva, questi elementi appaiono più abbozzati, specie nei personaggi di contorno, a fronte però di un protagonista, Arus, pienamente riuscito in tutte le sue fasi. Giovanissimo eroe prescelto, Arus si presenta come il tipico eroe da RPG (appunto), senza particolari guizzi, inizialmente debole, ma che emana comunque quell'impressione di colui che se la caverà sempre e comunque, una volta con la tecnica dell’eroe (il celebre Raidein), un’altra grazie ai suoi compagni, e un’altra volta magari con una ingegnosa strategia. Tutte certezze però che crolleranno dopo, o per meglio dire durante, una pesante sconfitta subita dal suo acerrimo nemico, che si può considerare uno dei punti culminanti della serie.
In ogni shonen che si rispetti l’eroe subisce almeno una sconfitta degna di questo nome, è una prassi per la sua crescita, da Kenshiro con Shin, da Goku contro Tao Pai Pai, passando per l’ignaro Joseph contro gli uomini del pilastro, in Battle Tendency, e diversi altri, ma la sconfitta che subisce Arus ha in sé le caratteristiche dell’imprevedibilità (avviene dopo una grande vittoria, in un apparente momento di rilassamento) e soprattutto della totalità, sgretolando quelle che fino ad allora erano le sue convinzioni, le convinzioni dell’eroe prescelto che dovrebbe salvare il mondo, venendo sconfitto non solo sul piano fisico, ma anche su quello dello spirito. Come già accennato la stessa attenzione non viene riposta sui comprimari Yao e Kira, che non vanno oltre il loro ruolo di forti e affidabili compagni del Prode, mentre il mago Poron propone invece un percorso di crescita maggiormente approfondito.
Non che in L’Emblema di Roto manchino altre figure di spicco, oltre ad Arus, e legge vuole che per creare una grande storia servono grandi avversari. Jagan, perfetto come nemesi di Arus, il curioso e melanconico Re Drago con i suoi dubbi costanti, o il Re Bestia Gunung e il suo incrollabile orgoglio, il manga di Kamui Fujiwara non lesina di nemici di grande carisma come nella migliore delle tradizioni shonen e che alcuni di essi non mancheranno, decisamente, di riserbare qualche sorpresa.
Mangaka stilisticamente duttile, capace di passare in pochi anni dal surreale The Chocolate Panic Picture Show al rozzo ma suggestivo Raika, fino al realismo di Kerberos Panzer Cop, Kamui Fujiwara per il suo Dragon Quest prende prevedibilmente spunto dalla scuola di Akira Toriyama donando al manga un aspetto familiare ai fan del gioco, infondendovi però un suo stile riconoscibile. L’autore predilige un tratto meno caricaturale rispetto a quello (comunque riuscitissimo) di Dai, rimarcando una maggior fisicità negli scontri, ravvisabile in particolare nella massiccia e violenta (quasi Berserkiana) battaglia contro le bestie di Gunung. Grande cura viene riposta in armamenti e luoghi conferendo all’opera semplici eppur degne atmosfere fantasy, ed è lodevole come Fujiwara sia riuscito a trasmigrare su carta i luoghi e l'atmosfera del videogioco, avendo a disposizione solo la rudimentale grafica del Famicom, imprimendo su carta la sua passione nei confronti del videogioco con una bella aggiunta di pura immaginazione, allo stesso modo di come i videogiocatori, chiudendo gli occhi, immaginavano le loro avventure prendere vita da quella grafica 8-bit.
Star Comics ripropone L’Emblema di Roto in versione Perfect Edition dal novembre del 2015 a cadenza mensile, per 15 volumi complessivi. Scelta curiosa dacché il manga di Kamui Fujiwara (ospite a Lucca Comics 2015) non fu certo definito un best-seller all’epoca della sua prima pubblicazione, rispetto ad altre serie affini. Che sia un tentativo di rilancio sul suolo italico dell’intero franchise di Dragon Quest, congiunto ai videogames (Dragon Quest Heroes disponibile per PS4, VII e VIII in arrivo sul 3DS) lo si potrà dire solo negli anni a venire, in caso l’editore decida di pubblicare altri manga del filone, a partire dallo stesso sequel di Roto. Nel mentre questa edizione si presenta bene come nello standard delle altre Perfect Edition della casa editrice, che a fronte di un prezzo in lieve rialzo (8 euro invece dei canonici 7) propone una rilegatura robusta, pagine a colori, copertine in rilievo, tavole ritoccate per l’occasione e interessanti aneddoti dell'autore a corredo. Si storce il naso giusto dinnanzi al numero variabile delle pagine, che passa dalle 370 del primo volume, alle circa 240 del numero 6, per poi risalire a 300, creando un vistoso distinguo di dimensioni tra gli stessi. Le splendide copertine della vecchia edizione, che avevano la particolarità di essere orizzontali allo scopo di richiamare le cover dei videogiochi Famicom, lasciano come sempre accade per le Kanzenban il posto a nuove copertine, spesso raffiguranti un solo personaggio o un paio al massimo. Il font per la numerazione e la scelta cromatica del blu non sono tuttavia casuali dato che vanno a creare sinergia con quelle del sequel, se mai verrà pubblicato.
Sul fronte adattamento, tramite questa edizione è invece tutto di guadagnato. Vuoi per inesperienza con il brand di Dragon Quest (del resto nel 1998 non ne era arrivato uno sul nostro mercato), vuoi per scelte di adattamento non sempre condivisibili, la vecchia edizione de L’Emblema di Roto conteneva diversi errori di gravità variabile, facilmente sgamabili però da un lettore più attento. Le scelte di trascrivere letteralmente alcuni nomi (come è il caso “Ribaiasan” invece del ben più familiare “Leviathan”, o “Saabain”/“Servine”), lasciano oggi il posto ad adattamenti più affini al contesto fantasy del manga e più fedeli in quei casi in cui i termini provengono dal videogioco, come è il caso della Sacra Rubiss (Genio Lubis nel vecchio adattamento), il regno di Alefgard (prima Alefguard), Re Demoni allora definiti Re Magici per la solita questione del maoh/maou.
Per atmosfera Dragon Quest non si poteva chiedere di meglio, Roto è un rimarchevole modello di un genere cui tuttora si necessita di esponenti, con quei mondi fantasy cavallereschi dove non sei Re se non hai la barba, ma che si fa fatica a trovarne, di così ben fatti. La sagoma di Akira Toriyama è vigente, pur stante una avvisabile difformità di tratto e di stile: Kamui Fujiwara assimila un mondo a lui caro e lo esalta su carta. L’approfondimento dei personaggi oltre il Prode rasenta l’appena indispensabile, succube comunque di una ricercata idea di scorrevolezza, raggiunta a pieno regime da questi volumoni consumabili in un niente, e finito uno ne vuoi ancora. L’Emblema di Roto è questo, attinge da un prodotto altrui, ma rispetto ad altri riesce a preservare la dignità creativa dell’artigiano.
Ispirato alla serie Videoludica Dragon Quest, L'emblema di Roto è uno Shounen "Classico", molto sottovalutato e poco conosciuto e questo è davvero un peccato.
La trama gira intorno a un nome: Jagan, un nome maledetto. Questo nome sarebbe dovuto andare al discendente di Roto, attraverso un complotto ordito dal malvagio Re Magico, ma il bimbo viene portato via e gli viene assegnato il nome di Arus, un nome portatore di luce. Durante questo tentativo, Arus rimane Orfano, venendo cresciuto da Lunaphrea (davvero un bellissimo e commuovente personaggio), figlia del capo della guardia del castello. 10 anni dopo Arus conscio del suo destino, inizia il viaggio per diventare a tutti gli effetti il "vero" discendente di Roto.
La trama è molto bella, pulita, migliora di fumetto in fumetto e ricalca le emozioni di Dragon Quest, saga a mio parere bellissima, in particolare Dragon Quest VIII (il mio preferito).
Come ogni avventura di Dragon Quest, la storia vi toccherà molto, la contrapposizione tra luce e oscurità, tra "il mollare" e il "non arrendersi mai", sono centrali nel manga. I disegni sono molto belli, molto caratterisco il personaggio di Arus. Un personaggio che mi ha toccato molto è il personaggio di Lunaphrea.
L'emblema di Roto è davvero un manga bellissimo, poetico, emozionate con quel senso di classicità che rende tutto più bello. Vale davvero la pena leggerlo, questo è davvero un piccolo capolavoro, una perla del genere fantasy, consigliato a tutti.
La trama gira intorno a un nome: Jagan, un nome maledetto. Questo nome sarebbe dovuto andare al discendente di Roto, attraverso un complotto ordito dal malvagio Re Magico, ma il bimbo viene portato via e gli viene assegnato il nome di Arus, un nome portatore di luce. Durante questo tentativo, Arus rimane Orfano, venendo cresciuto da Lunaphrea (davvero un bellissimo e commuovente personaggio), figlia del capo della guardia del castello. 10 anni dopo Arus conscio del suo destino, inizia il viaggio per diventare a tutti gli effetti il "vero" discendente di Roto.
La trama è molto bella, pulita, migliora di fumetto in fumetto e ricalca le emozioni di Dragon Quest, saga a mio parere bellissima, in particolare Dragon Quest VIII (il mio preferito).
Come ogni avventura di Dragon Quest, la storia vi toccherà molto, la contrapposizione tra luce e oscurità, tra "il mollare" e il "non arrendersi mai", sono centrali nel manga. I disegni sono molto belli, molto caratterisco il personaggio di Arus. Un personaggio che mi ha toccato molto è il personaggio di Lunaphrea.
L'emblema di Roto è davvero un manga bellissimo, poetico, emozionate con quel senso di classicità che rende tutto più bello. Vale davvero la pena leggerlo, questo è davvero un piccolo capolavoro, una perla del genere fantasy, consigliato a tutti.
Mi ero avvicinato a questo titolo cercando quel fantasy, quella storia appassionante che mancava alla mia libreria, qualcosa che soddisfacesse il mio palato da appassionato di fantasy, laddove manga come Warcraft o Zelda non erano riusciti; e Dragon Quest ha fortunatamente mantenuto e soddisfatto tutte le mie aspettative, né più né meno.
Essendo datata 1992, non aspettatevi una trama o un'ambientazione particolarmente originali, anche perché se conoscete il marchio <i>Dragon quest</i> sapete bene che "il classico" è all'ordine del giorno. Personalmente comunque questo "classicismo" di Dragon quest non mi dà affatto fastidio, anzi, mi trova contento di leggere qualcosa che si mantiene fedele al suo nome e alle sue origini, al contrario di altri marchi dove tra cyberpunk o età moderna di fantasy non c'è rimasto quasi più nulla, pur continuando a portare la dicitura "Fantasy" nel proprio nome.
La natura "vecchio stile" di Dragon quest ha comunque anche qualche lato negativo oltre i vari aspetti positivi: la sceneggiatura e certi dialoghi sono alquanto stereotipati, ma non affatto sterili o banali, anzi i colpi di scena e l'imprevedibilità di un combattimento sono dietro l'angolo, per fortuna negli scontri non si sente quell'odore di già visto e di "ora va a finire così" che si avverte negli shounen più moderni; e questo aspetto rende onore al titolo, sebbene i combattimenti non siano proprio eccezionali per coinvolgimento o per "tecnica". Anzi, se devo essere sincero, trovo che essi siano - almeno nella parte centrale del manga - a volte noiosetti o eccessivamente lunghi, anche dove non ce n'è bisogno, e appunto in certi casi possono dare un po' di fastidio.
La storia è sicuramente l'aspetto più importante di un fantasy, e <i>Dragon quest - L'emblema di Roto</i> sotto questo punto di vista è davvero impeccabile, con una trama che si evolve e si dipana fin nei dettagli sempre più, fino all'ultimo numero dove non smette di rivelare sorprese e ulteriori approfondimenti; tutti i dettagli di cui è infarcita la storia (Albero della vita, Seirei Rubis, Origini di Imajin ecc...) verranno chiariti a suo tempo, lasciando alla fine una sensazione di "amaro in bocca" assolutamente nullo e anzi molto dolce, come un buon bignè alla crema. Se devo fare il pignolo però, dovrei dire che alcuni passaggi e collegamenti non sono chiarissimi, ma più volte sono dovuto tornare a leggere indietro per capire cosa mi ero perso, e in un paio di occasioni ho constatato che si trattava unicamente di un errore di stampa, quindi questo difetto può essere riconducibile esclusivamente all'edizione italiana, dovrei leggerlo in giapponese per saperlo.
Poi ci sono i personaggi, e qui ci sono alti e bassi, sebbene il livello generale si appresta comunque a buoni livelli.
Ad esempio Arus e Jagan sono caratterizzati ottimamente, soprattutto il secondo lo trovo un personaggio davvero fantastico e profondo, forse il migliore della serie. Poi ci sono delle "vide di mezzo", approfonditi cioè quanto basta, come Poron e qualche nemico; infine ce ne sono alcuni fin troppo piatti, come Yao, il saggio Kadal e soprattutto Astea, personaggio praticamente senza personalità, caratterizzato in maniera ridicola. La cosa buona però è che nessuno viene completamente trascurato, ognuno ha i suoi "ma" e i suoi "perché", anche il semplice nemico di turno.
Graficamente è senza dubbio eccellente, sia nello stile che si rifà molto al grande Toriyama (che rimane comunque superiore e dal tratto più "pulito", solido e coerente), sia che - soprattutto - per i fondali, spesso e volentieri presenti e pieni di dettagli, davvero lodevole per le pubblicazioni di allora, in particolare la saga del Re Bestia avrà richiesto una cura e dei tempi massacranti, per la splendide tavole rappresentanti grandi eserciti.
Insomma, questo manga non sarà il capolavoro dell'anno per alcuni elementi che sanno di già visto, altri che potevano essere approfonditi meglio o altri ancora addirittura eliminati (essendo quasi degli allunga-brodo), ma rimane una perla come fantasy, che non dovrebbe mancare a nessun appassionato del genere.
Essendo datata 1992, non aspettatevi una trama o un'ambientazione particolarmente originali, anche perché se conoscete il marchio <i>Dragon quest</i> sapete bene che "il classico" è all'ordine del giorno. Personalmente comunque questo "classicismo" di Dragon quest non mi dà affatto fastidio, anzi, mi trova contento di leggere qualcosa che si mantiene fedele al suo nome e alle sue origini, al contrario di altri marchi dove tra cyberpunk o età moderna di fantasy non c'è rimasto quasi più nulla, pur continuando a portare la dicitura "Fantasy" nel proprio nome.
La natura "vecchio stile" di Dragon quest ha comunque anche qualche lato negativo oltre i vari aspetti positivi: la sceneggiatura e certi dialoghi sono alquanto stereotipati, ma non affatto sterili o banali, anzi i colpi di scena e l'imprevedibilità di un combattimento sono dietro l'angolo, per fortuna negli scontri non si sente quell'odore di già visto e di "ora va a finire così" che si avverte negli shounen più moderni; e questo aspetto rende onore al titolo, sebbene i combattimenti non siano proprio eccezionali per coinvolgimento o per "tecnica". Anzi, se devo essere sincero, trovo che essi siano - almeno nella parte centrale del manga - a volte noiosetti o eccessivamente lunghi, anche dove non ce n'è bisogno, e appunto in certi casi possono dare un po' di fastidio.
La storia è sicuramente l'aspetto più importante di un fantasy, e <i>Dragon quest - L'emblema di Roto</i> sotto questo punto di vista è davvero impeccabile, con una trama che si evolve e si dipana fin nei dettagli sempre più, fino all'ultimo numero dove non smette di rivelare sorprese e ulteriori approfondimenti; tutti i dettagli di cui è infarcita la storia (Albero della vita, Seirei Rubis, Origini di Imajin ecc...) verranno chiariti a suo tempo, lasciando alla fine una sensazione di "amaro in bocca" assolutamente nullo e anzi molto dolce, come un buon bignè alla crema. Se devo fare il pignolo però, dovrei dire che alcuni passaggi e collegamenti non sono chiarissimi, ma più volte sono dovuto tornare a leggere indietro per capire cosa mi ero perso, e in un paio di occasioni ho constatato che si trattava unicamente di un errore di stampa, quindi questo difetto può essere riconducibile esclusivamente all'edizione italiana, dovrei leggerlo in giapponese per saperlo.
Poi ci sono i personaggi, e qui ci sono alti e bassi, sebbene il livello generale si appresta comunque a buoni livelli.
Ad esempio Arus e Jagan sono caratterizzati ottimamente, soprattutto il secondo lo trovo un personaggio davvero fantastico e profondo, forse il migliore della serie. Poi ci sono delle "vide di mezzo", approfonditi cioè quanto basta, come Poron e qualche nemico; infine ce ne sono alcuni fin troppo piatti, come Yao, il saggio Kadal e soprattutto Astea, personaggio praticamente senza personalità, caratterizzato in maniera ridicola. La cosa buona però è che nessuno viene completamente trascurato, ognuno ha i suoi "ma" e i suoi "perché", anche il semplice nemico di turno.
Graficamente è senza dubbio eccellente, sia nello stile che si rifà molto al grande Toriyama (che rimane comunque superiore e dal tratto più "pulito", solido e coerente), sia che - soprattutto - per i fondali, spesso e volentieri presenti e pieni di dettagli, davvero lodevole per le pubblicazioni di allora, in particolare la saga del Re Bestia avrà richiesto una cura e dei tempi massacranti, per la splendide tavole rappresentanti grandi eserciti.
Insomma, questo manga non sarà il capolavoro dell'anno per alcuni elementi che sanno di già visto, altri che potevano essere approfonditi meglio o altri ancora addirittura eliminati (essendo quasi degli allunga-brodo), ma rimane una perla come fantasy, che non dovrebbe mancare a nessun appassionato del genere.
Forse l'opera più sottovalutata della storia del fumetto giapponese, un'opera d'arte in tutto e per tutto che riprende la radice videoludica dei famosi RPG della Dragon Quest. E bello vedere i miei colleghi recensori parlare bene di questo piccolo capolavoro, che forse inizialmente può ricordare la saga di Dragon Ball ma con il tempo la storia prende una personalità unica nel suo genere, Fujiwara (grande estimatore del maestro Akira Torijama) non nasconde la passione per il suo collega, che di questo fumetto è anche sceneggiatore di molti nemici e Boss, ma implementa nella caratterizzazione dei personaggi uno stile tutto suo e tutt'altro che simile al ben più famoso autore.
Si narra l'avventura del prode Arus, discendente di una famiglia reale molto importante, rimasto orfano da quando era neonato per colpa del Dio malvagio Imajin, che cresce ignaro in una tranquilla foresta in compagnia della sua madre adottiva Lunaphrea che gli insegna le arti della guerra.
Il fumetto inizialmente povero, prende davvero la quinta marcia dopo 5-6 numeri, potenziando la storia da commoventi intrecci di sangue, mettendo sul campo valori come amore fraterno, rivalità epica e forte lealtà. Ogni personaggio della storia è caratterizzato all'inverosimile, personalmente mai trovato in altri shounen fantasy, sei costretto ad affezionarti al personaggio che ti garba di più (non necessariamente al protagonista), io ad esempio ero infognato con il personaggio di Jagan.
I disegni sono davvero belli ma non posso nascondere che il richiamo a Dragon ball è davvero forte, le copertine e le rilegature non sono malaccio anche se si vede di mooolto meglio in giro, dopo anni vi assicuro che questo fumetto rischia di farsi sfogliare di nuovo e io l'ho fatto già 4 volte e non è detto che da stasera non ricominci di nuovo.
Epico come pochi, nemici interessantissimi, storia semplice ma che si intreccia col tempo, disegni divini anche dopo anni che ovviamente vanno migliorando con il passare dei volumetti. Credo che questo capolavoro si meritava di più e ancora non ho capito il motivo degli snob che lo hanno criticato e non lo hanno apprezzato. 10.
Si narra l'avventura del prode Arus, discendente di una famiglia reale molto importante, rimasto orfano da quando era neonato per colpa del Dio malvagio Imajin, che cresce ignaro in una tranquilla foresta in compagnia della sua madre adottiva Lunaphrea che gli insegna le arti della guerra.
Il fumetto inizialmente povero, prende davvero la quinta marcia dopo 5-6 numeri, potenziando la storia da commoventi intrecci di sangue, mettendo sul campo valori come amore fraterno, rivalità epica e forte lealtà. Ogni personaggio della storia è caratterizzato all'inverosimile, personalmente mai trovato in altri shounen fantasy, sei costretto ad affezionarti al personaggio che ti garba di più (non necessariamente al protagonista), io ad esempio ero infognato con il personaggio di Jagan.
I disegni sono davvero belli ma non posso nascondere che il richiamo a Dragon ball è davvero forte, le copertine e le rilegature non sono malaccio anche se si vede di mooolto meglio in giro, dopo anni vi assicuro che questo fumetto rischia di farsi sfogliare di nuovo e io l'ho fatto già 4 volte e non è detto che da stasera non ricominci di nuovo.
Epico come pochi, nemici interessantissimi, storia semplice ma che si intreccia col tempo, disegni divini anche dopo anni che ovviamente vanno migliorando con il passare dei volumetti. Credo che questo capolavoro si meritava di più e ancora non ho capito il motivo degli snob che lo hanno criticato e non lo hanno apprezzato. 10.
Un grande precursore e allo stesso tempo un grande capolavoro, questo è quello che penso di questa opera. Nonostante questo manga abbia raggiunto quasi vent'anni di età resta sempre una gemma splendente nel mondo del fantasy. Penso di poter dire che questa opera sia "sempreverde", cioè che in qualsiasi momento si riscopre come avvincente e mai noiosa. Lo sviluppo dei personaggi principali, sia a livello caratteriale che relazionale, e anche di quelli secondari, rendono tutta l'opera completa e mai semplicistica. La storia avvincente e in alcuni momenti concitata spinge a continuare la lettura fino al termine dell'ultimo volume. Le tavole sono sempre molto chiare e pulite, e lo stile del disegno migliora gradualmente assieme al proseguimento della storia, quasi a volerne aumentare d'intensità. Quindi, per concludere, dato che mi sono dilungato forse anche troppo, consiglio a tutti coloro appassionati di manga genere fantasy di leggere questo capolavoro!
È stato un grande piacere scoprire tanti commenti positivi su questo manga, che ritenevo semisconosciuto, almeno dalle mie parti. Oltre ad essere stato uno dei primi manga, e dei primi fumetti in generale, che abbia mai letto, ormai parecchi anni fa, lo ritengo uno dei più validi e meglio riusciti. A partire dal tratto, certo molto simile a quello di Toriyama, eppure dotato di un'evocatività ed una forza emotiva molto maggiore. La storia poi, pur semplice e lineare all'inizio, si complica e si arricchisce senza mai divenire pesante, ma conservando sempre un carattere epico e spettacolare, intriso da una sottile vena poetica che attraversa anche la caratterizzazione dei personaggi e gli intrecci sentimentali che vengono a crearsi. Sapiente anche l'uso della magia e dei combattimenti. Insomma, semplicemente impeccabile, bellissimo.
In assoluto uno dei miei fantasy preferiti. Acquistai la serie in blocco ad una fiera del fumetto e a distanza di diverso tempo d'allora ricordo ancora d'averlo riletto con passione, ed ora che son più grandicello posso tranquillamente affermare che il mio giudizio in merito non è cambiato di una virgola, o quasi. La storia è semplice ed epica, parte con un plot narrativo incisivo, genuino e decisamente chiaro, per poi andarsi ad intersecare in filoni narrativi più misteriosi, dark ed avventurosi in simbiosi all'incredibilmente vasto e corposo universo fantasy realizzato nell'arco della serie, creando una mitologia decisamente epica. Il tratto è accattivante e semplice per quanto concerne la realizzazione dei personaggi, decisamente più dettagliato sui vestiti, le armature, armi ed accessori (ma è una caratteristica molto frequente in titoli che fungono da adattamenti a giochi di ruolo o videogiochi in generale, serve a mantenere fedeltà ed attinenza con il prodotto originale da cui esso è tratto). Sebbene molti dicano che L'Emblema di Roto è sopravvissuto in edicola grazie al filone ereditato da Dragonball e Dai, io penso che rimanga un titolo estremamente valido a prescindere, ed anzi, a dispetto di Dai, credo riuscirebbe tranquillamente a mantenere la sua presenza nelle edicole, fumetterie o librerie specializzate nel corso di tutta la sua ristampa. Meriterebbe l'acquisto già solo per le evocative copertine! Se ne avete la possibilità reperitelo e leggetelo, non ve ne pentirete!
Uno dei primi manga a cui ho cominciato a interessarmi.
L'Emblema di Roto è ambientato nel mondo di Dragon Quest, una celebre saga di videogiochi di ruolo, e ci regala, come del resto già ci suggeriscono le particolarissime copertine, una grande avventura fantasy all'insegna del lirismo e dell'epicità.
L'epicità delle vicende, la drammaticità delle situazioni, la serietà dei temi trattati, i numerosi risvolti tragici e i rocamboleschi colpi di scena, sono il punto forte di questo manga che vanta, tra le altre cose, anche un ottimo stile di disegno: un pò Toriyama degli anni '90 (legame ovvio, dato che è stato Toriyama a dettare l'aspetto grafico di tutti i personaggi dei giochi di Dragon Quest) ed un pò simile ai nostri fumetti Bonelli. Ci vengono mostrate quindi tavole molto forti e aggressive, in linea con la maestosità della storia.
Per chi è appassionato di storie fantasy, sicuramente quest'avventura piena di magie, draghi, castelli e cavalieri sarà la manna, e di certo la trama di questo manga si fa seguire con immenso piacere. Volendo trovargli un difetto bisogna obbiettare che è un pò superficiale nelle caratterizzazione dei personaggi secondari, che vengono trattati con pressappochismo, e non approfonditi come dovrebbero; ma è un difetto su cui il lettore, rapito dalla bellezza del mondo e delle vicende che lo trascineranno fuori dalla realtà per vivere un'avventurosa fiaba, può passar sopra.
Un ulteriore difetto sta proprio nell'eccessiva serietà del tratto e della caratterizzazione di personaggi e vicende. Se tutto ciò è servito a creare un buon manga ricco di pathos, di certo si allontana dalle atmosfere giocose, allegre, simpatiche e fiabesche che caratterizzano il videogioco da cui è tratto. Ma questo è un problema che coglieranno solo i fans dei videogiochi come me (che anzi apprezzeranno i numerosissimi rimandi presenti nel manga) e che non intaccherà la godibilità della lettura per tutti gli altri.
Non è un manga impegnato, anzi è una lettura di puro svago, ma il suo sporco lavoro lo fa con estrema maestria. Ce ne fossero ancora di manga così appassionanti!
Consigliatissimo agli appassionati di romanzi fantasy e ai divoratori di shonen manga.
L'Emblema di Roto è ambientato nel mondo di Dragon Quest, una celebre saga di videogiochi di ruolo, e ci regala, come del resto già ci suggeriscono le particolarissime copertine, una grande avventura fantasy all'insegna del lirismo e dell'epicità.
L'epicità delle vicende, la drammaticità delle situazioni, la serietà dei temi trattati, i numerosi risvolti tragici e i rocamboleschi colpi di scena, sono il punto forte di questo manga che vanta, tra le altre cose, anche un ottimo stile di disegno: un pò Toriyama degli anni '90 (legame ovvio, dato che è stato Toriyama a dettare l'aspetto grafico di tutti i personaggi dei giochi di Dragon Quest) ed un pò simile ai nostri fumetti Bonelli. Ci vengono mostrate quindi tavole molto forti e aggressive, in linea con la maestosità della storia.
Per chi è appassionato di storie fantasy, sicuramente quest'avventura piena di magie, draghi, castelli e cavalieri sarà la manna, e di certo la trama di questo manga si fa seguire con immenso piacere. Volendo trovargli un difetto bisogna obbiettare che è un pò superficiale nelle caratterizzazione dei personaggi secondari, che vengono trattati con pressappochismo, e non approfonditi come dovrebbero; ma è un difetto su cui il lettore, rapito dalla bellezza del mondo e delle vicende che lo trascineranno fuori dalla realtà per vivere un'avventurosa fiaba, può passar sopra.
Un ulteriore difetto sta proprio nell'eccessiva serietà del tratto e della caratterizzazione di personaggi e vicende. Se tutto ciò è servito a creare un buon manga ricco di pathos, di certo si allontana dalle atmosfere giocose, allegre, simpatiche e fiabesche che caratterizzano il videogioco da cui è tratto. Ma questo è un problema che coglieranno solo i fans dei videogiochi come me (che anzi apprezzeranno i numerosissimi rimandi presenti nel manga) e che non intaccherà la godibilità della lettura per tutti gli altri.
Non è un manga impegnato, anzi è una lettura di puro svago, ma il suo sporco lavoro lo fa con estrema maestria. Ce ne fossero ancora di manga così appassionanti!
Consigliatissimo agli appassionati di romanzi fantasy e ai divoratori di shonen manga.
L'Emblema di Roto è stato uno dei miei primi manga, ero gasato nel leggerlo perché era uno stile fantasy "alla Dragon Ball" davvero intrigante. Il manga parte molto bene già dai primi numeri, una buona storia di base classica, ottimi personaggi. Col passare dei numeri forse manca dell'appiglio necessario per farlo volare. In sostanza per me queste saghe fantasy devono essere più lunghe, con l'Emblema di Roto tutto vola via in un baleno, troppo veloce. Non volevo ma devo paragonarlo a DAI la grande avventura e devo dire che purtroppo per l'Emblema, Dai è superiore in tutto fuorché i disegni. Ottimi e carismatici i protagonisti, buona trama, e disegni più che sufficienti ma non mi è entrato nel cuore come altri del suo genere.
Forse aver letto un solo volume è poco per giudicare un manga, ma alla prima lettura L'Emblema di Roto mi è sembrato davvero un buon manga. Niente di originale, niente di nuovo od eccelso, si tratta alla fine del classico shonen fantasy, sulla scia di Dai no Daiboken, in un'epoca in cui i canoni di questo genere non erano ancora stati rivoluzionati da One Piece, Rave e Bleach. Il disegno è semplice ma efficace (come quello di Dragon Ball) e le tematiche sono quelle solite del genere. Uno shonen carino, che appassionerà chi vuole provarlo.
L'Emblema di Roto, come Dai no Daibouken, è un manga ambientato nel mondo di Dragon Quest; a differenza di Dai questo manga è, secondo il mio parere, decisamente migliore perché più serio come trama e con personaggi più maturi, sia caratterialmente che sentimentalmente.
Il discendente del prode eroe Roto, il re di Kaamen, viene sostituito da una creatura demoniaca mentre era intento a debellare una tribù devota al male. Il compito del demone è quello di dare al figlio primogenito, destinato a diventare prode guerriero contro le forze maligne, un nome maledetto: Jagan, per renderlo succube di un dio malvagio.
Grazie ad una premonizione, un chierico, capisce che il bambino dovrà portare il nome sacro e alla sua nascita riescono a portarlo via ed a dargli il nome Arus.
Il destino di Arus sarà quello di diventare prode e, insieme ai tre leggendari kenou suoi alleati, sconfiggere il temibile Imajin capo delle forze demoniache.
La trama, rispecchia il classico stile fantasy-eroico dei gdr, inizialmente può sembrare scontata, ma dopo i primissimi volumi prende notevolmente spessore. Andando avanti si creerà un buon intreccio di personaggi ed ognuno avrà la sua importanza per la conclusione della storia.
Il disegno, che migliorerà con il proseguire dei volumi, è somigliante per certi versi a quello di Akira Toriyama che ha realizzato per questo manga, come per molte altre produzioni legate al marchio Dragon Quest, il design dei mostri.
Uno dei migliori fantasy che abbia letto, consigliato a tutti gli amanti dei GDR.
Il discendente del prode eroe Roto, il re di Kaamen, viene sostituito da una creatura demoniaca mentre era intento a debellare una tribù devota al male. Il compito del demone è quello di dare al figlio primogenito, destinato a diventare prode guerriero contro le forze maligne, un nome maledetto: Jagan, per renderlo succube di un dio malvagio.
Grazie ad una premonizione, un chierico, capisce che il bambino dovrà portare il nome sacro e alla sua nascita riescono a portarlo via ed a dargli il nome Arus.
Il destino di Arus sarà quello di diventare prode e, insieme ai tre leggendari kenou suoi alleati, sconfiggere il temibile Imajin capo delle forze demoniache.
La trama, rispecchia il classico stile fantasy-eroico dei gdr, inizialmente può sembrare scontata, ma dopo i primissimi volumi prende notevolmente spessore. Andando avanti si creerà un buon intreccio di personaggi ed ognuno avrà la sua importanza per la conclusione della storia.
Il disegno, che migliorerà con il proseguire dei volumi, è somigliante per certi versi a quello di Akira Toriyama che ha realizzato per questo manga, come per molte altre produzioni legate al marchio Dragon Quest, il design dei mostri.
Uno dei migliori fantasy che abbia letto, consigliato a tutti gli amanti dei GDR.
L'emblema di Roto è un manga che compravo praticamente insieme a Dai. A differenza di quest'ultimo è molto più fantasy(metteteli a confronto e capirete cosa intendo). Il disegno però, è già bello e curato sin dal primo numero. La cosa più bella di questo manga è che ha le caratteristiche di un romanzo fantasy a fumetti. Una cosa davvero magnifica! Siete amanti di fantasy o anche solo di tutti gli elementi favolosi di questo genere (draghi, fate, folletti, troll, nereidi, ecc...)? Allora tuffatevi in questo meraviglioso mondo (senza nome sigh), unitevi ad Arus e compagni e sconfiggete insieme a lui il potente (s'inchina con rispetto) Imajin.
Uno dei miei primi manga, quanti bei ricordi. L'emblema di Roto si può presenta come una classica storia fantasy, ma più ci si immerge nella lettura, più si scoprono gli elementi che contraddistinguono questa serie dalle altre. Disegno per me impeccabile, che migliora durante la storia. L'emblema di Roto è un manga che per me sarà sempre superiore, leggere per credere... per questo... voto 10!