L'attesa è finita. Da oggi Il ragazzo e l'airone di Hayao Miyazaki, dopo le chiacchieratissime anteprime al festival di Roma e a Lucca, sbarca nelle sale italiane grazie a Lucky Red. Un inizio anno da sogno per i fan del regista di La città incantata e Il mio vicino Totoro, che a 82 anni realizza, a mio avviso, il suo film più personale e autobiografico dai tempi di Si Alza il Vento del 2013.
Il film è uscito quest'estate (14 luglio) in Giappone con un audace piano di (non) marketing. Durante un'intervista infatti, quella volpe di Toshio Suzuki, storico produttore dello Studio Ghibli, dichiarava che il nuovo film non sarebbe stato supportato da trailer, pubblicità o immagini promozionali (a parte un solo poster con l'effige di un airone cenerino) sino alla proiezione nei cinema giapponesi. Nessun accenno, se non molto vago alla storia. Scelta piuttosto azzardata, poiché la trama era ispirata, e non direttamente adattata, ad un romanzo del 1937, e il pubblico aveva pochissima idea di cosa aspettarsi. Ghibli puntava tutto sul nome di Miyazaki come se questo fosse tutto il punto di forza di cui avevano bisogno. Un vero e proprio atto di fede che ha però dato i suoi frutti, visto che il film ha fatto staccare ben 2,3 milioni di biglietti nelle prime due settimane di presenza in sala, per un incasso complessivo di 3,6 miliardi di yen (circa 23 milioni di euro).
Oggi sappiamo che questo film non sarà l'ultimo del Maestro, che pare stia già al lavoro sulla sua prossima opera, eppure i temi trattati e il mood nostalgico che si respira guardandolo, mi farebbero davvero tendere a parlare di un romantico canto del cigno di Miyazaki, viene quasi naturale a chi lo segue da anni ma effettivamente questo film ha davvero tante frecce al suo arco e sarebbe ingiustamente riduttivo ridurlo al mero testamento di un artista per apprezzarlo e celebrarlo.
Il titolo originale del film è Kimitachi wa dō, ikiru ka?, ed è lo stesso dell'omonimo romanzo del 1937 di Genzaburo Yoshino (recensione qui) che il regista premio Oscar ebbe in dono da piccolo da sua madre e a cui si è ispirato per narrare la storia di Mahito Maki, il "ragazzo" del titolo. Il film inizia in maniera drammatica, a Tokyo, durante la seconda guerra mondiale, nei primi anni Quaranta e ci mostra Mahito perdere sua madre in un incendio in un ospedale dopo un bombardamento.
Miyazaki ci trascina nell'inferno che avvolge la città tra le fiamme: le inquadrature a rincorrere il ragazzo che cerca di raggiungere la madre sono una delle sequenze più tragiche e meravigliosamente animate della storia dello Studio Ghibli, dimostrando quanto ancora oggi l'arte visiva di Miyazaki abbia la capacità di sorprendere il suo pubblico con nuove tecniche e idee.
Un occhio che trasforma la realtà in qualcosa di spaventosamente onirico, come il ricordo straziante che il protagonista si porterà dietro per sempre, e che stride volutamente con lo stile realistico e pulito con cui dopo ci verrà mostrato il resto della storia.
Il ragazzo infatti rimane da solo con suo padre, il capo di una fabbrica che produce aerei da combattimento (come lo era quello di Miyazaki). Questi, dopo un anno dalla tragica perdita, si risposa con la sorella minore della sua defunta moglie, Natsuko. Mahito, ancora in lutto, è costretto quindi a trasferirsi da Tokyo nella tenuta di campagna dove sua madre e Natsuko sono cresciute e dove la neo sposa già aspetta un fratellino. Troppi cambiamenti, troppo veloci per un ragazzo così giovane che vive un dramma interiore che metterebbe a dura prova la stabilità di un adulto. Il luogo in cui sarà costretto a vivere, da quel momento in poi, è la tipica location bucolica di stampo ghibliano, magnificamente rappresentato dal tratto artistico miyazakiano. Un luogo tanto lussureggiante quanto misterioso e inquietante, dove è costante la presenza delle classiche vecchiette grinzose viste in tante altre pellicole, vere guardiane della tenuta stessa, come della sicurezza e del benessere dello stesso Mahito.
Quest'ultimo fa infine la conoscenza anche di un altro residente: un insolente airone cenerino che sembra nutrire un particolare interesse per il ragazzo. L'uccello parla e fa capire a Mahito che può incontrare la madre defunta, spingendolo a entrare in una torre che gli era stata già proibita più volte a causa della sua pericolosità.
Da questo momento in poi il protagonista si ritrova trascinato in un mondo sotterraneo dove le linee temporali si intrecciano, in un omaggio neanche tanto nascosto a Dante (qui espressamente citato) e al mito di Orfeo. Nel suo caratteristico stile, Miyazaki fonde meticolosamente il reale e riconoscibile con il surreale e l'inquietante, portandoci in questo mondo da fiaba. Guidati (non sempre) dallo scorbutico airone, che si dimostra essere un essere mutaforma dalle sembianze umane piuttosto grottesche, ci inerpichiamo con il protagonista attraverso strade tortuose incontrando una varietà di creature (parrocchetti mangiauomini, pellicani senza futuro e spiritelli tipicamente giapponesi) in un susseguirsi di citazioni e metafore non sempre di facile comprensione anche all'occhio più attento. Il regista ci regala molteplici piani di lettura portando lo spettatore in un'esperienza visiva basata molte volte quasi totalmente sulle emozioni suscitate dalle immagini piuttosto che sulle parole. Lunghi, infatti, sono i periodi di tempo senza dialoghi, in cui i personaggi si muovono lentamente, accompagnati da una splendida colonna sonora realizzata dallo storico compositore di quasi tutti i film Ghibli, quel Joe Hisaishi che si dimostra ancora una volta all'altezza della sfida a cui il suo vecchio amico Hayao lo sottopone ogni volta, regalandoci sonorità tanto giocose quanto devastanti e drammatiche.
Il film, dicevamo, è aperto a diverse letture, ma quella che ho sentito più vicino a me è il tema della "fuga dalla realtà", del rifugiarsi in un mondo di fantasia che in realtà è solo una illusoria panacea ai propri problemi. Una fuga che cerca disperatamente il protagonista, la cui vita sembra essere un inferno sia interiore che esteriore (con anche il bullismo dei nuovi compagni ad aggravare il tutto), ma che aveva già perpetrato chi era venuto prima di lui, costruendosi una realtà tanto magica quanto illusoria.
Ed è qui che Il ragazzo e l'airone costituisce il testamento finale di un regista leggendario che riguarda indietro al suo operato e cita in tutte le maniere possibili le sue opere e le persone che hanno fatto parte della sua vita (l'amicizia con Takahata era all'origine dell'idea del film). Le fantasie, le creature e le ambientazioni fiabesche sono fantastiche ma poi si deve fare sempre i conti con la realtà, per quanto brutta possa essere. Trasformando la battaglia contro il dolore in una lotta esterna, Miyazaki spinge il suo giovane protagonista in un mondo sfuggente di fantasia e orrore, in cui Mahito cerca per tutto il tempo di salvare sua madre dalla sua triste fine. Una sfida in un regno di fantasia a cui lui si sente molto più pronto, anche mettendo in gioco la propria vita, piuttosto che affrontare la realtà che lo attende a casa.
La vita va avanti e va vissuta anche con il dolore di non avere più accanto le persone amate, e questo il protagonista lo capisce attraverso un cammino difficile e visionario, in un finale non finale, dove l'accettazione non vuol dire rassegnazione ma la volontà di affrontare le proprie paure e dolori senza più rimpianti.
Il film è uscito quest'estate (14 luglio) in Giappone con un audace piano di (non) marketing. Durante un'intervista infatti, quella volpe di Toshio Suzuki, storico produttore dello Studio Ghibli, dichiarava che il nuovo film non sarebbe stato supportato da trailer, pubblicità o immagini promozionali (a parte un solo poster con l'effige di un airone cenerino) sino alla proiezione nei cinema giapponesi. Nessun accenno, se non molto vago alla storia. Scelta piuttosto azzardata, poiché la trama era ispirata, e non direttamente adattata, ad un romanzo del 1937, e il pubblico aveva pochissima idea di cosa aspettarsi. Ghibli puntava tutto sul nome di Miyazaki come se questo fosse tutto il punto di forza di cui avevano bisogno. Un vero e proprio atto di fede che ha però dato i suoi frutti, visto che il film ha fatto staccare ben 2,3 milioni di biglietti nelle prime due settimane di presenza in sala, per un incasso complessivo di 3,6 miliardi di yen (circa 23 milioni di euro).
L'unica immagine diffusa prima dell'uscita del film
Oggi sappiamo che questo film non sarà l'ultimo del Maestro, che pare stia già al lavoro sulla sua prossima opera, eppure i temi trattati e il mood nostalgico che si respira guardandolo, mi farebbero davvero tendere a parlare di un romantico canto del cigno di Miyazaki, viene quasi naturale a chi lo segue da anni ma effettivamente questo film ha davvero tante frecce al suo arco e sarebbe ingiustamente riduttivo ridurlo al mero testamento di un artista per apprezzarlo e celebrarlo.
Il titolo originale del film è Kimitachi wa dō, ikiru ka?, ed è lo stesso dell'omonimo romanzo del 1937 di Genzaburo Yoshino (recensione qui) che il regista premio Oscar ebbe in dono da piccolo da sua madre e a cui si è ispirato per narrare la storia di Mahito Maki, il "ragazzo" del titolo. Il film inizia in maniera drammatica, a Tokyo, durante la seconda guerra mondiale, nei primi anni Quaranta e ci mostra Mahito perdere sua madre in un incendio in un ospedale dopo un bombardamento.
Miyazaki ci trascina nell'inferno che avvolge la città tra le fiamme: le inquadrature a rincorrere il ragazzo che cerca di raggiungere la madre sono una delle sequenze più tragiche e meravigliosamente animate della storia dello Studio Ghibli, dimostrando quanto ancora oggi l'arte visiva di Miyazaki abbia la capacità di sorprendere il suo pubblico con nuove tecniche e idee.
Un occhio che trasforma la realtà in qualcosa di spaventosamente onirico, come il ricordo straziante che il protagonista si porterà dietro per sempre, e che stride volutamente con lo stile realistico e pulito con cui dopo ci verrà mostrato il resto della storia.
Il ragazzo infatti rimane da solo con suo padre, il capo di una fabbrica che produce aerei da combattimento (come lo era quello di Miyazaki). Questi, dopo un anno dalla tragica perdita, si risposa con la sorella minore della sua defunta moglie, Natsuko. Mahito, ancora in lutto, è costretto quindi a trasferirsi da Tokyo nella tenuta di campagna dove sua madre e Natsuko sono cresciute e dove la neo sposa già aspetta un fratellino. Troppi cambiamenti, troppo veloci per un ragazzo così giovane che vive un dramma interiore che metterebbe a dura prova la stabilità di un adulto. Il luogo in cui sarà costretto a vivere, da quel momento in poi, è la tipica location bucolica di stampo ghibliano, magnificamente rappresentato dal tratto artistico miyazakiano. Un luogo tanto lussureggiante quanto misterioso e inquietante, dove è costante la presenza delle classiche vecchiette grinzose viste in tante altre pellicole, vere guardiane della tenuta stessa, come della sicurezza e del benessere dello stesso Mahito.
Quest'ultimo fa infine la conoscenza anche di un altro residente: un insolente airone cenerino che sembra nutrire un particolare interesse per il ragazzo. L'uccello parla e fa capire a Mahito che può incontrare la madre defunta, spingendolo a entrare in una torre che gli era stata già proibita più volte a causa della sua pericolosità.
Da questo momento in poi il protagonista si ritrova trascinato in un mondo sotterraneo dove le linee temporali si intrecciano, in un omaggio neanche tanto nascosto a Dante (qui espressamente citato) e al mito di Orfeo. Nel suo caratteristico stile, Miyazaki fonde meticolosamente il reale e riconoscibile con il surreale e l'inquietante, portandoci in questo mondo da fiaba. Guidati (non sempre) dallo scorbutico airone, che si dimostra essere un essere mutaforma dalle sembianze umane piuttosto grottesche, ci inerpichiamo con il protagonista attraverso strade tortuose incontrando una varietà di creature (parrocchetti mangiauomini, pellicani senza futuro e spiritelli tipicamente giapponesi) in un susseguirsi di citazioni e metafore non sempre di facile comprensione anche all'occhio più attento. Il regista ci regala molteplici piani di lettura portando lo spettatore in un'esperienza visiva basata molte volte quasi totalmente sulle emozioni suscitate dalle immagini piuttosto che sulle parole. Lunghi, infatti, sono i periodi di tempo senza dialoghi, in cui i personaggi si muovono lentamente, accompagnati da una splendida colonna sonora realizzata dallo storico compositore di quasi tutti i film Ghibli, quel Joe Hisaishi che si dimostra ancora una volta all'altezza della sfida a cui il suo vecchio amico Hayao lo sottopone ogni volta, regalandoci sonorità tanto giocose quanto devastanti e drammatiche.
Il film, dicevamo, è aperto a diverse letture, ma quella che ho sentito più vicino a me è il tema della "fuga dalla realtà", del rifugiarsi in un mondo di fantasia che in realtà è solo una illusoria panacea ai propri problemi. Una fuga che cerca disperatamente il protagonista, la cui vita sembra essere un inferno sia interiore che esteriore (con anche il bullismo dei nuovi compagni ad aggravare il tutto), ma che aveva già perpetrato chi era venuto prima di lui, costruendosi una realtà tanto magica quanto illusoria.
Ed è qui che Il ragazzo e l'airone costituisce il testamento finale di un regista leggendario che riguarda indietro al suo operato e cita in tutte le maniere possibili le sue opere e le persone che hanno fatto parte della sua vita (l'amicizia con Takahata era all'origine dell'idea del film). Le fantasie, le creature e le ambientazioni fiabesche sono fantastiche ma poi si deve fare sempre i conti con la realtà, per quanto brutta possa essere. Trasformando la battaglia contro il dolore in una lotta esterna, Miyazaki spinge il suo giovane protagonista in un mondo sfuggente di fantasia e orrore, in cui Mahito cerca per tutto il tempo di salvare sua madre dalla sua triste fine. Una sfida in un regno di fantasia a cui lui si sente molto più pronto, anche mettendo in gioco la propria vita, piuttosto che affrontare la realtà che lo attende a casa.
La vita va avanti e va vissuta anche con il dolore di non avere più accanto le persone amate, e questo il protagonista lo capisce attraverso un cammino difficile e visionario, in un finale non finale, dove l'accettazione non vuol dire rassegnazione ma la volontà di affrontare le proprie paure e dolori senza più rimpianti.
Il ragazzo e l'airone è una storia delicata quanto sorprendente, un fantasy densamente dettagliato, aperto a molteplici chiavi di lettura che necessitano più di una visione, che rivisita temi e anche personaggi (alcuni ben nascosti a una prima visione) più che familiari a chi conosce la poetica del regista, lengandoli insieme a elementi indiscutibilmente autobiografici. Un sogno su grande schermo nato dall'immaginazione sfrenata di un uomo che ha superato l'ottantina e che sembra non voler proprio mollare, almeno finchè avrà fiato nei polmoni e una penna per poter disegnare altre magnifiche storie.
Pro
- Tante citazioni alle sue opere passate
- L'aspetto tecnico maestoso
- La colonna sonora di Joe Hisaishi
- Tante chiavi di lettura che spingono a nuove visioni
Contro
- Alcuni potrebbero trovarlo lento
Ho visto la versione sub ita curata da Nicodemo, che è anche quella usata per il doppiaggio. L' ho trovata più che discreta
Iniziando dai lati positivi, il film aveva una grafica e delle animazioni spettacolari, una musica eccellente e diverse buone idee, ma la trama e lo svolgimento sono stati molto confusionari e ad un certo punto credo si siano anche trascinati eccessivamente, per poi finire invece con un'ultima scena che sembra sia stata interrotta molto bruscamente
Nel complesso gli do comunque un 7, ma non mi è piaciuto minimamente quanto altri suoi film come La Principessa Monokoke o La Città Incantatà e mi auguro non rimanga questo il suo ultimo lavoro, e se è vero il rumor sul possibile sequel di Nausicaa lo aspetto molto volentieri
Innanzitutto devo dire che in IMAX, il film è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie, ci sono passaggi dove si vede che Miyazaki ha lasciato agli animatori molte libertà artistiche (si può già notare dalla prima scena).
Non posso dare troppi giudizi sulla storia, è un film pieno di significati e che si può leggere con tantissime chiave di lettura (dalla autobiografia al messaggio per le prossime generazioni), forse l’unica critica che muovo al film che però, è molto personale è che la prima parte è eccessivamente lenta (la prima ora di film), invece, non condivido le critiche sul finale, i film di Miyazaki si sono sempre chiusi così (in maniera molto giapponese) e ho trovato questo finale perfettamente equilibrato.
Ma sopratutto PARLANO IN ITALIANO E DICONO MAMMA E NON PIÙ MAMMINA GRAZIE A DIO.
Entrambi molto buoni, d'altronde i doppiatori bravi ci sono e Cannarsi se ne è rimasto a chilometri di distanza quindi non poteva essere altrimenti ; )
Molto buono, non posso giudicare la fedeltà, ma per quanto riguarda l'adattamento le frasi sembrano tutte di senso compiuto.
Per quanto riguarda il film penso anche io che la prima parte sia fin troppo lenta (si poteva accorciare il film anche di 15 minuti), cosa che a conti fatti non mi invoglia ad una seconda visione.
Risalta anche il fatto che verso la fine della seconda metà il film sia fin troppo pregno di chiavi di lettura (anche qua avrei preferito di un'asciugatura) che ha inevitabilmente appesantito la storia. Forse veramente Miyazaki pensava che questo potesse essere il suo ultimo film.
A conti fatti è un film che ho comunque apprezzato molto, ma lo trovo lontano dai lavori migliori che ha fatto Miyazaki.
Concordo che quando si parla di Miyazaki si corra troppo a tirar fuori sostantivi come capolavoro, dalle recensioni internazionale sembrava quasi la seconda venuta del messia...
Le mie impressioni: non è all'altezza de La Città Incantata o Il Castello Errante o Totoro e si, è un po' lento, bisogna ammetterlo però è comunque un gran bel film con un'animazione straordinaria, riconoscibile e magicamente familiare.
Complimenti anche all'adattamento ed ai doppiatori, c'era un po' di freschezza finalmente.
Vale assolutamente la pena di andarlo a vedere.
PS: Se decidete di andarlo a vedere con bambini, il mio personalissimo consiglio, non certo per i contenuti, è di portare bambini non troppo piccoli e, specialmente, bambini che non si annoino facilmente perché, come detto, è un po' lento (specialmente la prima ora) ed è, comunque, un film di 2 ore.
Al di là dei riferimenti personali, le tematiche e soprattutto il comparto tecnico sono veramente degne del termine di arte.
Sarà probabilmente anche una delle ultime volte in cui si potrà vedere animazione o approcci adulti ad essa applicati.
Quindi conviene vederlo al cinema per godersi questo momento.
Doppiaggio perfetto e degno dell'opera.
Finalmente i personaggi parlano italiano, e ciò indirettamente rende forse ancora più amaro il congedo(?) del maestro.
Forse troppe cose da decifrare e diversi strati, un po' lento all'inizio e si è prolungato un po troppo arrivando stanco al finale ma per me rimane comunque bellissimo per l'impatto visivo e musicale
Rivedo con piacere i pre 2000 come La Principessa Mononoke, Laputa o Porco Rosso...però i post 2000 come Ponyo, Arrietty e Alza il Vento non mi hanno dato nessuna sensazione, battuti da registi come Hosoda e recentemente da Yuasa.
Mia impressione che non si vuole accettare che un regista che ha già dato, che ormai va avanti di film autoreferenziali.
Ho adorato come attraverso le fantastiche animazioni ed i paesaggi,onirici e non, Miyazaki abbia portato sul grande schermo una storia accattivante e piena di metafore, chiavi di lettura e citazioni e soprattutto come si sia trattata la tematica principale ovvero l'elaborazione di un lutto familiare.
Per quanto riguarda il doppiaggio, è indiscutibile dire che non sia meritevole di complimenti ed elogi ( per me rimarrà sempre il migliore dopo quello giapponese).
C'è da dire, però che, a causa dei pochi dialoghi che intercorrono tra personaggi il film risulta lento a tratti,quasi noioso.
In ogni caso, ha catturato la mia curiosità anche se a mio parere,non si può dire che sia stato il suo miglior film.
Per fare esempi che conosciamo tutti, chi ha visto Inception, Tenet, Interstellar o qualsiasi altro film di Christopher Nolan non può dire di aver compreso tutto già alla prima visione. Mio padre, per dirvi, ancora oggi mette i DVD e se li riguarda ancora e ancora, e ogni volta trova dei dettagli in più, dei piccoli particolari che prima non aveva notato.
Avendolo visto all'anteprima di Roma con i sub ita, forse a maggior ragione non ho afferrato certi concetti e il mio occhio non è stato abbastanza veloce, per cui ho intenzione di rivederlo una seconda volta, come minimo, con il doppiaggio. Non mancherò certo dall'acquisto del BD quando uscirà.
Colonna sonora: capolavoro
Trama: delusione
Troppi lati oscuri, veramente troppi. Ci sta non comprendere tutto ad una prima visione, per carità. È anche bello poi rivederlo e scoprire quasi magicamente significati nuovi o nascosti.
Ma qui ha esagerato.
Ci si lamentava (giustamente) che i dialoghi degli ultimi film avessero l'effetto di "buttare" (metaforicamente) lo spettatore fuori dal film.
Spiace dirlo ma qui è lo stesso regista che ti butta fuori.
E non ti rimane molta voglia di rivederlo.
Onestamente mi sono sentito maltrattato dal Maestro (che rimane tale, ci mancherebbe)
La cosa stupenda per me é stata trovarmi dentro ad una sala piena di martedì sera, con spettatori di tutte le età, e nessuno ha abbandonato la visione a metà.
Ammetto che avevo ben chiaro il ruolo dei personaggi quasi da subito senza stupirmi su "rivelazioni" varie (penso che sia tutto voluto), il film mi sembra fin troppo chiaro, magari (tanto) ridondante in alcuni passaggi, ma cristallino! Forse mi faccio poche domande io, chi lo sa... A me è piaciuto, il prozio è palesemente Miyazaki (poi chissà, magari non lo è, e sono io a non aver capito il film XD). Come film "finale" sarebbe perfetto, ma ovviamente non lo sarà. (Benedetto Miyazaki! Ti smentirai pure a 100 anni!) Leggo molti pareri negativi e mi chiedo cosa non piaccia e il perché di tutta questa delusione. Ovviamente i miei preferiti restano Mononoke Hime e Porco Rosso, ma questo se la gioca con il mio personalissimo podio sul terzo posto con Totoro!
Aldilà dei molti significati e le citazioni che si possono attribuire al film in relazione alla carriera di Miyazaki (i parallelismi con il suo vissuto, ecc)... preso a se stante, mi sembra che questo film non si capisce cosa voglia fare.
Nella recensione si parla (giustamente) di "tante chiavi di lettura", io invece lo descriverei più come "non sa che strada prendere"... ci sta lasciare allo spettatore il dover interpretare l'opera, ma qui è troppo troppo astratto.
Non so d'accordo con chi critica i pochi dialoghi: se ci sono le immagini a parlare, è molto meglio... il problema è che Miyazaki si è auto-ingarbugliato in qualcosa vago e utopico.
Devo dire che è un film che non mi ha preso per niente (non una novità, l'ultimo Ghibli che c'era riuscito era Ponyo). Tecnicamente è il solito sublime film Ghibli, però le situazioni non sono granchè coinvolgenti e a pesare particolarmente è soprattutto la zero empatia che io ho provato per i personaggi.
Vi dirò, anche la colonna non mi è sembrata particolarmente ispirata: la definirei un lavoro piuttosto "normale" per il buon Hisaishi... fatta eccezione per il brano durante la fase finale del film, il resto mi è sembrata roba decisamente standard per lui.
Mi dispiace parecchio perchè quando vado a vedere questo genere di film lo faccio proprio perchè voglio commuovermi, tornare a casa con arricchito di qualcosa. Mi sembra che negli ultimi film Ghibli, la "magia" che erano in grado di mettere nelle loro opere è stata sacrificata fin troppo in favore del messaggio... e stavolta quello neanche si capisce bene quale è.
Totoro è su un altro pianeta rispetto a questo. Ti emoziona, ti fa ridere, ti fa piangere, ti cattura dal primo minuto. Questo no, manco minimamente. Tutti quelli che ho sentito sono rimasti chi più chi meno delusi da quest'ultimo film.
Il film in sè mi ha detto poco sarò onesto, ma mi dice tantissimo se lo collego al suo regista, questo è l'unico modo in cui riesco a ricavarne un giudizio (molto) positivo, questo film è inscindibile da Miyazaki e preso come testamento artistico, collegando quel personaggio a quella persona, quell'evento particolare a quell'evoluzione della carriera e dello studio del Maestro allora anche un film molto asettico nei suoi contenuti, con personaggi invero di poco spessore e dall'impatto emotivo quantomeno blando come questo assume tutta un'altra rilevanza e giudizio relativo, non so se Miyazaki lo prenderebbe come un complimento perchè francamente questo è uno dei film Ghibli che, preso a sè, mi è piaciuto meno del gruppo ma personalmente sono contentissimo che abbia fatto questo film e che io abbia avuto l'opportunità di vederlo.
Questo il giudizio se si resta nell'ottica dei 'contenuti' del film perchè per quanto riguarda l'aspetto tecnico che gli vuoi dire, poesia in movimento, disegni di una bellezza travolgente, colonna sonora puntuale, doppiaggio buono, convincente e viva Dio finalmente in italiano, da questo punto di vista non potevo chiedere di più e sono rimasto ampiamente soddisfatto, per viaggiare con la fantasia, appassionarmi alle vicende dei personaggi e immergermi nelle loro vicissitudini ho un ampio catalogo di film dello studio, fortunatamente, a cui prendere a piene mani. Solo in giapponese purtroppo.
Sono due film nettamente differenti per tematiche e pubblico a cui è destinato.
A me invece Totoro stava quasi riuscendo a farmi addormentare nonostante fosse il più breve dei suoi film, meno di un'ora a mezza...
Visivamente è uno spettacolo, una goduria per gli occhi, ma sul piano degli eventi l'ho trovato abbastanza un labirinto.
Penso che quello che mi abbia dato fastidio sia che a differenza di altri ghibli tanti luoghi sono utilizzati molto di passaggio, e questo non mi ha certo aiutato.
La seconda metà, quella che ho trovato più difficile, è un vero ingarbuglio di cose che succedono, non voglio dire senza motivo, ma forse in modo poco intuitivo.
Ho pensato che forse potesse essere un effetto voluto, anche la casa dove arriva il protagonista è un labirinto senza andare nel mondo della fantasia, ma non è un film che vuole creare solo confusione, quindi boh, non l'ho capita.
Non so, l'ho trovato eccessivo. Si alza il vento era pensate, ma abbastanza coeso e sensato. Per non parlare di altri capolavori precedenti come Totoro o Laputa, ma questo l'ho trovato dispersivo e ancora una volta labirintico.
D'accordo con la recensione nel tesserne le lodi per la grafica e per il racconto per immagini, ma è tutt'altro che un film perfetto per me.
Ho avuto gli stessi pensieri. Ho apprezzato molto il lato visivo, ma il turbine immaginifico a mio avviso finisce per sacrificare l'approfondimento dei personaggi e la chiarezza dello svolgimento. Bellissimo tornare a vedere il maestro Miyazaki la cinema, fantastico tornare ad ascoltare le colonne sonore di Hisaishi, ma la sensazione lasciata non è stata la stessa della prima visione di Mononoke, la Città incantata o Si alza il vento. Anzi, mi ha dato l'impressione di un'occasione in parte sprecata, perché il materiale di partenza era ottimo e abbondante e la messa in scena sublime. Voto 6,5.
Alcune scene sono eccezionali: Mahito che corre verso l'ospedale, le carpe e le rane che lo chiamano, i warawara con i pellicani e il fuoco di Himi.
Non ho trovato la prima parte lenta, anzi la reputo la parte più bella del film grazie agli scorci della villa, alle meravigliose vecchiette e soprattutto grazie all'alone di mistero intorno all'airone e alla torre.
L'onirica seconda parte l'ho trovata molto confusionaria. Faccio fatica a collegare le varie parti, seppur prese singolarmente le apprezzi tutte. Giusto qualche esempio: non capisco come collegare la scena della tomba e dei pellicani con la scena della stanza del parto, o il discorso del prozio sul governare il mondo, o l'ira del re parrocchetto. Se invece devo interpretarlo come un unico grande sogno diviso in sezioni allora è perfetto, i sogni non hanno per forza un nesso logico.
In ogni caso ho l'impressione che si sia voluta mettere troppa carne al fuoco e troppi livelli interpretativi. Ho visto il film due volte e credo che lo vedrò una terza, ma dubito che potrò risolvere i miei dubbi senza qualche video esplicativo.
Ho apprezzato i numerosi riferimenti a opere precedenti, ma di fatto questo film non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto in passato, se non qualche rimando alla vita personale di Miyazaki.
Comunque il giudizio finale è positivo e ne consiglio a tutti la visione.
In tal senso è interessante che entrambi i luoghi siano di fatto degli antri, come grotte o sale ipogee che sanno di interdetto e di sacrale, proprio come le sepolture o gli uteri materni (e gli shide della stanza del parto che reagiscono alla presenza di Mahito e all'umore della "nuova madre" sembrano indicare questo valore sacrale di interdizione).
Il prozio sembra la figura di un demiurgo, un architetto dell'universo che gioca con delle costruzioni, come un dio che ha creato il (suo) mondo. Anche nell'aspetto il prozio fa tanto dio/mago/grande saggio/vecchio della montagna che osserva e manipola dal suo "paradiso" il suo creato.
E in questo creato ci sono diverse creature, fra tutte i parrocchetti, che come tutti i creati (per tramite di un capo/re/duce che funge da intermediario eletto) si rivolgono al loro creatore, perché renda conto della sua creazione (un po' come la creatura di Frankenstein).
Davanti alla scena del creatore che decide di scegliere un successore, uno che "ricostruisca il mondo" e ne "riassetti gli squilibri", il re dei creati si indigna, perché ciò contraddice l'ordine costituito, la legge sacra, l'architettura cosmica che fino ad allora ha reso possibile lo status quo e il conseguente potere del dio e dello stesso re.
Nel tentativo di impedire o di sostituirsi a questa ridefinizione del mondo, il re cerca convulsamente di mettere mano lui stesso all'architettura del cosmo (e quindi di farsi anche lui creatore), ottenendo solo di farlo crollare e implodere definitivamente.
Grazie dell'esauriente e dettagliata risposta!
Per il resto dico solo che in certi punti la sola bellezza delle immagini e delle musiche di certe scene m'ha fatto sgorgare qualche lacrima senza che me ne accorgessi. Con gli anime e col cinema non sto vivendo un rapporto fortissimo come un tempo, ma questa è una di quelle opere che possono spingerti, anche se per poco, a rinnovare quella passione.
E se alla sua età Miyazaki ha tirato fuori un film del genere (dopo Si alza il vento che già avrebbe potuto chiudere in bellezza una carriera), credo che al cinema voglia dare e possa dare ancora tanto, quindi glielo auguro.
(Inoltre, ma questa è una sottigliezza, la vecchietta Kiriko da giovane ha quindi vissuto per un tempo indefinito in quel mondo, ma nessuno nella 'realtá' menziona che è scomparsa per un po', e l'airone non sembra riconoscerla da anziana.)
Però una cosa l'ho capita, che in questo film non lo devo analizzare come se avesse una narrazione "normale" (per esempio che abbia una separazione in Atti, una correlazione tra eventi) e ci fosse una naturale crescita e sviluppo dei personaggi, non se ne interessa e vuole comunicare qualcos'altro.
Il fatto che si rechi "spontaneamente" nell'altro mondo può essere un modo per fare "ammenda".
Una sorta di sacrificio? Una forma di suicidio? Un tentativo di aborto?
Possibile, ma non per forza un gesto dettato da ragionamento lucido. Magari si tratta proprio di un gesto autolesionista istintivo, dato che (si intuisce) probabilmente si sente in colpa per aver "rubato" il marito e il figlio di sua sorella. E quando la incontra non a caso è proprio quest'ultima a rassicurarla, cedendole simbolicamente il testimone.
Nella sala del parto urla di odiare Mahito proprio perché anche lei, inconsciamente o meno, si sente comunque a disagio per questo suo nuovo ruolo. Sta occupando il posto di un'altra (sua sorella per di più). Sa che dovrà essere alla sua altezza, e soprattutto all'altezza delle aspettative del figliastro, che fin da subito è palesemente freddo e scostante, tutt'altro che contento di avere una nuova madre, e anche solo di chiamarla tale.
Non meraviglia che odi tutto questo, come il fatto di dover cercare in continuazione di conquistarsi un affetto chiaramente non corrisposto (almeno all'inizio).
La vecchia Kiriko può aver vissuto "fuori dal nostro mondo" anche solo per pochi secondi per quanto se ne sa.
Nell'altro mondo è evidente che il tempo e lo spazio non scorrono come nel nostro, probabilmente non hanno proprio lo stesso significato.
La madre di Mahito lì è la stessa che scomparve da bambina, e la Kiriko di lì viene probabilmente dallo stesso periodo, visto che alla fine le si vede entrambe attraversare insieme la stessa porta.
Quella che le riporterà nel passato del nostro mondo? Si può sospettarlo, anche se non farebbe molta differenza se fosse invece un altro passaggio per chissà dove.
Che Kiriko sia scomparsa prima, dopo o durante la scomparsa della giovane madre di Mahito, non è detto che sia stata assente per lo stesso lasso di tempo della bambina.
Anche ammesso che riappaiano insieme, lei può essere sparita per anni o pochi minuti per quanto se ne sa.
Che la scomparsa di Kiriko non la ricordi nessuno può essere legato anche al fatto che lei stessa non ne parlò perché non ricordava più nulla.
L'airone (anche se mente per professione) alla fine dice a Mahito che dimenticherà prima o poi quel viaggio nell'altro mondo.
Probabilmente succede lo stesso a tutti.
O magari, più semplicemente, per l'epoca storica di cui si parla (e non solo), la scomparsa di una serva non turba certo come quella di una bambina, una giovane padrona di casa. E in sostanza non frega davvero a nessuno.
L'airone come detto è un bugiardo patentato per sua stessa ammissione. E dunque c'è sempre poco da fidarsi sulle cose o le persone che dice o non dice di conoscere.
E in ogni caso bisogna dire che Kiriko giovane e Kiriko anziana sembrerebbero due persone diverse a chiunque!
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