La stop-motion è una tecnica di animazione che ha pochi artisti davvero famosi e ha i suoi grandi estimatori, anche se spesso è polarizzante: amata da alcuni, odiata da altri. È anche vero che con la concretezza dei materiali è possibile raccontare delle storie estremamente dirette, crude, che riescono a stimolare lo spettatore richiamando tutti i sensi, non solo la vista.

Alain Ughetto, artista francese e figlio di immigrati italiani, fa di questa immediatezza e semplicità il filo conduttore della sua seconda opera autobiografica, Manodoperadistribuito in Italia da Lucky Red e vincitore del premio della giuria al Festival de l'animation d'Annecy 2022.
Il film è realizzato in maniera artigianale con i pupazzi, il cartone, gli ortaggi e gli oggetti comuni. Per il regista è tutta una questiona di manodopera: la sua e quella degli italiani che, come i suoi nonni, cercarono fortuna in Francia per sfuggire alla fame senza mai rassegnarsi alle avversità.
 
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Il regista ci trasporta gli inizi del '900 per ripercorrere la storia dei suoi nonni piemontesi, Cesira e Luigi Ughetto originari di Giaveno in provincia di Torino. La famiglia in cerca di lavoro emigra in Francia dove la manodopera italiana veniva ricercata per costruire infrastrutture o scavare nelle miniere e i bambini del Bel Pase venivano venduti al mercato per farli lavorare. Una gran richiesta di manovalanza italiana in un paese "vietato ai cani e agli italiani", perché è quello che Luigi Ughetto trovava scritto sulle porte delle strutture francesi. Ma con il duro lavoro gli Ughetto scavallano le Alpi e mettono nuove radici: costruiscono una casa a Paradis, un luogo che chiameranno così perché rappresenta le speranze per il futuro della famiglia. Finché non arriva la guerra, la seconda.

Il film inizia esattamente con il suo tema, con l'artigianato, con la forza delle mani che possono toccare, esplorare, creare: un tessuto, uno strumento, un futuro; ma anche un film fatto di oggetti pazientemente lavorati a mano. L'amore del regista per il suo mondo riscoperto è strabordante. Peccato per una pecca tecnica, ovvero la poca personalizzazione che dà ai volti e all'aspetto degli abitanti del suo Piemonte, ma la voce narrante che racconta pedissequamente le vicende fa in modo di sopperire alla confusione.
I primi a comparire sono appunto proprio le parole e gli arti di Alain Ughetto che entrano in dialogo con i protagonisti delle vite che sta per raccontare, quelle dei suoi nonni. Altrettanto importanti sono i loro oggetti, che accarezza, recupera, aggiusta, come se fosse lì con loro e potesse stabilire, toccandoli, un contatto intimo.
 
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Il viaggio di Luigi e Cesira viene mostrato senza lesinare momenti di gioia e di sconforto ed è lo stesso regista a raccontare le vicende di questi antenati non troppo lontani. In un film che fa della sua parola d'ordine "perseveranza", Ughetto inserisce momenti allegri e surreali ad alleggerire morti, violenze e rassegnazione. ma lo spettatore si trova a stupirsi per lo spettacolo del quotidiano che nel film viene rappresentato come mucche giocattolo, alberi che sono broccoli, sassi che sono castagne e mura di zucchero. Quello che per chi guarda è il gioco della stop-motion, per Ughetto sono gli oggetti che lo riconnettono alla terra madre, alle sue origini. Alain racconta infatti in un'intervista che il film nasce da un percorso di riscoperta delle proprie origini, da una scintilla accesa dal padre che a tavola gli parlava sempre della vita oltre le Alpi.
Il regista allora torna in Piemonte e ritrova i ruderi di quello che i suoi nonni avevano costruito, ma assieme ad essi vi trova anche oggetti e materiali tipici del Piemonte e dei racconti di famiglia: giocattoli, castagne, broccoli, carbonella. Ed ecco che decide di calare questi oggetti nelle ambientazioni del suo film.
 
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Nella sua breve durata, Manodopera è capace di essere estremamente diretto nella sua semplicità, nel raccontare con realtà, simpatia ed immenso amore la storia di una famiglia che s'intreccia con la storia dalla S maiuscola, con la quale hanno avuto a che fare molte altre famiglie come la sua. I silenzi delle esplosioni, il vociare del Tour de France, i sospiri della fame e della fatica si uniscono alle musiche preziose di Nicola Piovani, che già aveva raccontato con le sue note le storie degli ultimi e dei vinti collaborando con Fabrizio De Andrè a "Non al denaro non all'amore né al cielo".
 
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Il film ci racconta di un passato che è anche estremamente presente, un passato fatto di fame e immigrazione, di fame e di lavoro, ma anche di speranza, famiglia e buona volontà. I personaggi sono continuamente vessati dalle circostanze: la guerra, la fame, la violenza, i soprusi, la mortalità del lavoro e l'odio altrui, ma riescono a trovare la forza di andare avanti. Una forza impensabile che viene dalla famiglia, dal calore dei legami che Ughetto, porgendo ai nonni attrezzi, tenendoli per mano, cerca di rinsaldare. Anzi, quasi li volesse aiutare a superare quei momenti difficili e li spronasse ad andare avanti.

Manodopera racconta la volontà di riconnettere ciò che la guerra e le circostanze avevano separato ma che non ha mai smesso di essere unito.
A mente fredda ci ricorda chi eravamo e che la storia, ahimè, ama ripetersi.