Dopo il successo della prima stagione che ha fatto incetta di premi e riconoscimenti nel mondo dell’audiovisivo, eccoci a recensire la seconda (e ultima) stagione di Arcane, serie animata francese realizzata da Fortiche Production con la regia di Pascal Charrue, Arnaud Delord e Bart Maunoury. Arcane,  creato da Christian Linke e Alex Yee, non è un’opera originale in quanto riprende alcuni tra i più amati personaggi appartenenti al mondo videoludico di League of Legends della statunitense Riot Games. Si tratta, come è ormai uso comune, di una felice collaborazione internazionale dagli standard veramente elevati.
Si sapeva già che i nove episodi della seconda serie sbarcata su Netflix sarebbero stati gli ultimi e questi, aggiungendosi alle nove puntate della prima, per un totale di diciotto episodi da 40-50 minuti l’uno, vanno a chiudere il cerchio (forse?) delle diatribe tra Piltover e Zaun avanzando come un treno in corsa che talvolta vira in direzioni inaspettate, altre volte in luoghi decisamente più prevedibili.

La recensione che segue conterrà ovviamente spoiler sulla seconda stagione di Arcane, quindi proseguite consapevolmente.
 
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Partendo esattamente da dove si era interrotta l’ultima puntata, quindi dall’attentato di Jinx alla Consulta di Piltover, ci riallacciamo alla lotta tra i reietti di Zaun e la borghesia progressista Piltoveriana. La storia procede verso situazioni che avevamo avuto modo di immaginare, pronta a seguire i personaggi e i loro drammi. Il primo videoclip ne è la prova, una sequenza completamente animata in 2D con la tecnica del disegno a carboncino che ci porta dentro non solo la mente ma l’animo dei personaggi. D’altronde i clip musicali in Arcane, sin dalla prima stagione, sono sempre stati usati per parlare a fiume dei personaggi e dei loro sentimenti, che costituiscono il cuore pulsante delle scene. In questi brevi momenti caratterizzati da uno stile fuori dalle righe e musica d’autore, la narrazione emotiva accelera come un pezzo rap in un assolo di pianoforte. La seconda serie non fa eccezione, ma anzi, ne fa un uso marcato e consapevole, mostrandoci più soggetti, più storie, più anse narrative abbracciate dalle parole talvolta solidali, talvolta sferzanti della musica. Non manca, poi, la sperimentazione stilistica che in questi minuti diventa la chiave di volta per comprendere lo stato d’animo di chi vediamo in scena.

Carboncino, come si è visto, ma anche animazione dalle pesanti ombreggiature quasi fosse un fumetto americano, o impact frames artistici di un certo spessore che pongono l’accento sulle scene d’azione, sino alle rappresentazioni quasi a matita degli ultimi episodi. Un mix di stili, di artiste e artisti, e di generi musicali. Come Heimerdinger che suona con un banjo à la Bob Dylan in mezzo a una ridente Zaun che non hai mai visto la distruzione a catena generata dall’Hextech, mentre Jayce assiste alle ceneri della catastrofe, chissà dove, chissà quando, alla fine della Storia.
Fortunatamente il pattern di montaggio assunto nei primi episodi, cioè quello di mettere un videoclip a inizio puntata, nei primi minuti della storia, è stato lasciato da parte per vederli inseriti in momenti più vari dell’episodio. Fortunatamente, si potrebbe dire, perché oltre ad iniziare ad essere un po’ stucchevole e prevedibile, il loro posizionamento andava anche a cozzare con la sigla di apertura, rimasta fedele ad “Enemy” degli Imagine Dragons. A lungo andare rischiava di crearsi l’effetto “musical”, quello che ti fa dire “oh, no, cantano ancora!”.
 
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Al di là della musica che, dichiaratamente, serve da ansa narrativa in cui riversare molto di ciò che non si può dire a parole e in poco tempo, la narrazione della seconda stagione di Arcane ingrana come erede della prima presentandoci personaggi e situazioni note sotto punti di vista diversi: il dramma personale e cittadino scatenato dalla morte di molti membri della consulta, la presa di potere di Ambessa grazie all’intercessione poco cerimoniosa di forza bruta e bicipiti scintillanti, la ricerca spasmodica di Jayce di salvare l’amico fraterno Viktor, Caitlyn e il suo dover forzatamente ricoprire il vuoto emotivo e politico lasciato dalla madre, con le responsabilità enormi che ne consegue, Jinx che cerca di capire come vivere nell’insensatezza in balìa di una Zaun che richiama a gran voce un araldo, a Violet che invece si unisce alla polizia di Piltover per dimostrare ai borghesi altolocati, che di fatto hanno il veto di vita o morte sulla città di sotto, che non tutti gli Zauniti sono dei terroristi bombaroli.
Ogni personaggio ha le sue motivazioni, i suoi momenti di gioia e di sconforto, in una serie che ci vuole insegnare che c’è tanto bene nel male e che l’annichilimento più totale può scaturire dalla più pura delle intenzioni. Il che non è notizia d’oggi, chiaramente, ma i personaggi di Arcane hanno modo di raccontarcelo in maniera particolarmente efficace. Così come ci raccontano come l’unico modo di sopravvivere è trovare un proprio ordine nel caos, nel non aver motivo di non cambiare perché chi è inamovibile finirà sommerso dagli eventi. Infatti ci sono due livelli tematici nella seconda stagione di Arcane che vengono sintetizzati tramite gli scontri verbali e fisici tra i protagonisti. Da un lato c’è la “vecchia generazione”, personaggi tutto d’un pezzo con un piano e una visione ben definita che ad un certo punto vanno incontro al caos. Questo caos è per loro destabilizzante: Silco e lo Shimmer, Vander diventa letteralmente una bestia assetata di sangue che fa appello all’ultimo rimasuglio del suo cuore per rimanere sano, Heimerdinger realizza l’assurdità impettita della sua vita precedente quando scopre, grazie alla vicinanza di Ekko, che il caos della creazione e il brio della curiosità sono gli unici elementi in grado di dargli davvero la gioia (da buon archetipo dello scienziato pazzo), Ambessa e la sua smania di conquista la quale reagisce d’istinto quando i suoi piani non vanno secondo le sue precise previsioni.
Dall’altro, come visto, i personaggi della nuova generazione, figli dell’insensatezza, della precarietà, in un mondo che è sull’orlo del collasso economico, fisico e morale. Ma è la loro capacità di adattamento e i loro ideali che fanno appello alle piccole cose, e non ai grandi obiettivi di rivoluzione del mondo, che permettono loro di salvarsi dalla distruzione del caos. Lo stesso caos, ci insegna Arcane, necessario perché ciascuno continui a vivere una vita autentica, fatta di dolore ma anche gioia e amore.
 
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Tuttavia questa seconda stagione, dal punto di vista della trama, rimbalza su un ritmo tutto suo, lontano dalla struttura coesa, omogenea e chiusa che aveva caratterizzato la prima stagione. Se nella prima serie ogni pezzo del puzzle veniva prima mostrato, ruotato, analizzato e poi incasellato (o messo da parte facendo ben capire che si trattava di un “bordo”, uno di quei pezzi fondamentali che ci sarebbero serviti in un secondo momento), la seconda pigia il piede sull’acceleratore talvolta sacrificando i personaggi in nome del grande intreccio che si è sviluppato dall’intervento dell’Arcane come forza esterna, magica e narrativa. Una linea dell’intreccio, nei fatti, che si rivela sia innesco che motore; questo fa sì che per certi versi i personaggi vengano scansati dalla grande macro-narrativa che concentra a sé tutte le concatenazioni causali di ciò che è avvenuto tra la prima e la seconda stagione, rendendo alcuni protagonisti sostanzialmente non in grado di mettere mano alla storia.
Alla fine della fiera il destino e le scelte di Jinx o chi per lei sono poco influenti rispetto ai grandi piani. Tantomeno Jayce che pare essere il grande salvatore, colui che aveva la risposta in mano ancora prima di esserne consapevole (letteralmente), ha quest’informazione narrativamente caduta dall’alto. Eppure le due linee, quelle dell’Arcane e dei drammi personali dei personaggi, hanno modo di riunirsi, incrociarsi e mostrarci come si muovano i più piccoli in balìa dei grandi eventi inarrestabili. Topi in una gabbia di vetro drogati da una mano divina.
 

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In tutto questo assistiamo a sviluppi personali davvero interessanti e profondi, come quello di Mel e Caitlyn che imparano a stare sulle proprie gambe dopo un feroce scontro con Ambessa, che ricopre per entrambe il ruolo di figura materna nella seconda stagione. Ekko, il ragazzo salvatore che mette da parte la sua felicità (che noi spettatori vediamo all’opera in un videoclip d’eccezione con Stromae che ci canta in sottofondo), accetta il sacrificio altrui, il tutto per un bene superiore; Jinx, che nella sua ossessione di cercare di staccarsi da chi fu un tempo continua a perpetrare la ricerca ossessiva della famiglia che di fatto eredita dalla sorella. Vi, d’altro canto, si muove molto più stereotipicamente rispetto ai comprimari che la circondano perché sino alla fine continua a correre dietro le figure del suo passato e la sequenza pregna di rabbia per un cuore spezzato non è all’altezza degli sviluppi elaborati degli altri personaggi. Che sia la sorella o il padre, Vi rimane in qualche modo ancorata alla sé della prima stagione; ma forse è il perno del personaggio stesso quello di essere “la terra sotto le unghie”, quella colonna portante che teme il cambiamento come poche altre cose. Viktor e Jayce invece sono i veri fuorilegge, nel senso che si muovono al di fuori degli schemi concepiti dalle piccole trame degli altri personaggi, ininfluenti rispetto a cosa si muove oltre la loro concezione puramente locale. Tutti guardano il proprio giardino mentre negli occhi di Viktor e Jayce si dipana il cosmo.

Eppure Jayce, l’altro “ragazzo” salvatore, è un personaggio che purtroppo non subisce grandi cambiamenti e non muta perché la sua posizione era già stata stabilita sin dall’inizio. Era destino che lui portasse il fardello di fermare il piano di Viktor. I due poli che fanno ruotare l’hextech sono dunque un uomo di scienza e un uomo di magia, mostrandoci ciò che sin dalla prima stagione avremmo potuto iniziare a cogliere. I semi del loop temporale, della ricerca spasmodica di Viktor per la fine delle sofferenze e i suoi innumerevoli tentativi di salvare e condannare l’umanità tutta erano lì, sin dalle prime scene della serie, a dimostrare come la storia di Arcane non sia stata scritta con la testa dentro il sacco come gli struzzi, ma con dovizia di particolari. Forse troppi, visto che molte cose sono comprensibili soltanto ad una ennesima attenta visione, tramite frequenti fermo-immagine strategici che rivelano il più piccolo dettaglio, quel dettaglio che può nascondere una voragine di significato.
Questi significati però, per quanto possano far contento lo spettatore-detective o l’esperto del mondo di League of Legends, avrebbero potuto godere di più screen time o di una maggiore presenza nella storia, magari andando a limare l'ingombro di alcuni personaggi liminari come Isha, che oltre a concludere nel sangue e nel dramma il secondo cour di episodi, risulta abbastanza ininfluente. Certo, molto utile per la prima Jinx, a ricreare il rapporto di sorellanza che ha perduto con l’effettiva sorella, ma delle conseguenze della sua dipartita vediamo soltanto una lontana eco.

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Un cartone non è soltanto narrativa, tantomeno Arcane, sia prima che seconda stagione, perché se la storia è una fetta importante di cosa il pubblico vede danzare sullo schermo, il resto è coperto dal “come” questa storia muove i suoi passi. Si sta ovviamente parlando del comparto tecnico. Fortiche Production ha davvero dato il tutto per tutto in questi nuovi episodi. L’abilità degli artisti e delle artiste di Fortiche nel rappresentare i personaggi ormai, dopo una stagione che ha segnato uno dei momenti più alti dell’animazione degli ultimi decenni, non avrebbe dovuto stupire nessuno; nonostante ciò sotto la supervisione di Martial André, la forza con cui hanno implementato a stretto giro l’impatto dell’animazione specificamente 2D non può non essere notata. Non si è trattato soltanto di rappresentare in tecnica tradizionale gli effetti visivi delle esplosioni, i liquidi e questi elementi visivamente “voluttuosi”, ma anche inserire frame 2D in momenti chiave, fuori dal combattimento, utilizzando l’animazione 2D proprio come un mezzo espressivo a sé capace di donare determinate sensazioni o realizzare effetti scenici altrimenti irraggiungibili dall’animazione in 3D. Riguardo quest’ultimo punto sicuramente la precisione espressiva dei personaggi gode innegabilmente delle capacità di rigging degli animatori 3D di Fortiche: quando i personaggi sono il fulcro della storia, ogni elemento e micro-movimento deve essere perfettamente rappresentato per restituire le più insidiose sfumature di significato. Un labbro arricciato ma non troppo, una pupilla che per un momento smette di fissare un punto preciso, un leggero movimento del mento che potrebbe nascondere delle insicurezze: non possiamo pensare ad Arcane e ai suoi personaggi senza contemplare la precisione maniacale della raffigurazione del movimento umano.
La parte artistica più sperimentale è stata, come visto, pesantemente sfruttata per i videoclip musicali e alcuni di loro risultano davvero delle opere nell’opera; incomprensibili ovviamente se presi come clip a sé, ma stilisticamente autosufficienti se non generatori di un nuovo punto di vista artistico ma anche tematico e ritmico da quel momento in avanti. La via dell’ibridazione dell’animazione in Arcane ha preso davvero il largo mostrando come due tecniche che di solito sono contrapposte dal pubblico (pensiamo ai difensori a spada tratta del 2D e i fedelissimi del 3D) possano lavorare sinergicamente, dove una serie 3D può godere della precisione emotiva di un “rozzo” disegno in carboncino e dove il rendering delle singole pennellate degli sfondi e sui dettagli dei personaggi possa illuminare più di una luce inserita in post-produzione.
 

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Dal punto di vista della fotografia, Arcane spicca particolarmente in questa seconda stagione. Sforzandoci di sorvolare sui fondali dipinti con la massima cura, armonia e dovizia di particolari a cui anche la prima stagione ci aveva abituati, ogni fotogramma, a ben vedersi, risulta un quadro a sé stante e non soltanto da un punto di vista puramente autoriale. Ogni ripresa è ricreata a puntino, rispettando le leggi dei mezzi, dei terzi, della divisione in quadranti e della spirale aurea (uno dei più difficili da realizzare efficacemente) sfruttando personaggi, background ed elementi di scena al massimo delle proprie potenzialità espressive e prossemiche. Potremmo fermare un episodio in qualsiasi istante per ottenere uno sfondo per per il nostro device. Ma quando c’è da mettere in scena la colluttazione, quando il caos subentra, regnano il dinamismo, imprevedibilità e schiettezza visiva, senza mancare di intelligibilità. Per non parlare dell’uso dei colori: Piltover e Zaun, una anticamente brillante e l’altra cupa, ora ammantate entrambe dal rosso della conquista di Ambessa, al blu della ribellione fino al verde dei veleni dell’autorità. Entrambe, verso la fine, soccombono al delirio cromatico dell’Arcane, dai colori sgargianti dell’apocalisse che assorbe tutta l’individualità dal mondo lasciando dietro di sé corpi bianchi e asettici, candidi e perfetti come manichini.
 

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La seconda stagione di Arcane, tirando le somme, eredita la ricerca di profondità nei personaggi della prima ma si dipana su una trama che li lascia talvolta indietro in maniera frettolosa e quasi irrispettosa. I grandi piani della macro-narrativa che legherà i prossimi prodotti del franchise audiovisivo legato a League of Legends sono stati messi in moto e ciò significa dover sacrificare la forza narrativa dei singoli personaggi di Zaun e Piltover per spiegare le vele verso altri lidi, forse quelli di Noxus, come suggerisce il finale. Mostrandoci, poi, "cosa sarebbe potuto essere", la seconda stagione di Arcane ci mette dinnanzi a mondi alternativi che non possiamo che guardare con nostalgia come passeggeri su un treno che osservano dal finestrino i paesaggi fantastici che sanno che da lì a poco dovranno lasciare.
Ovviamente avendo un’ambientazione canonica e dei personaggi che devono sopravvivere alla serie perché presenti nel gioco, il finale in quanto bilancio di vite e morti non risulta particolarmente straniante, anche perché una scelta contraria avrebbe dovuto tenere da conto di un nutrito pubblico di videogiocatori. È una visione da deus ex machina, ma d’altronde nella seconda serie sono molteplici gli elementi che hanno avuto anche questa funzione, impoverendo un po’ la ricchezza narrativa ripiegando in risoluzioni fugaci e aprioristiche. Giocare con le linee temporali e i time loop è sempre comunque complesso, ma Arcane riesce ad arginare molte delle problematiche grazie ad un’attenta pianificazione narrativa di questi elementi che, come si diceva, possono essere tracciati sin dalla prima stagione e che sicuramente lo spettatore più attento e zelante ha avuto modo di intercettare e ipotizzare durante l’attesa tra la prima e la seconda serie.
Questo non scalfisce, tuttavia, la potenza della serie che, sebbene non posizionandosi alla stessa altezza della cassaforte narrativa che era la prima stagione, regala al pubblico di tutto il mondo 9 episodi conclusivi di puro spettacolo artistico ed emotivo, ricco di sperimentazioni visive, collaborazioni internazionali e la massima valorizzazione di ciò che l’animazione può darci.