Dalle Guerre di Secessione di quindici anni fa, l'Impero della Luna Scarlatta attraversa un periodo di pace, ma le aree periferiche alla capitale Gregminster sono afflitte da pesanti tasse e la corruzione è diffusa tra le alte cariche imperiali. Tra il popolo iniziano a diffondere le voci di un piccolo gruppo di resistenza noto come Esercito di Liberazione, ma non sembrano al momento essere una minaccia per l’esercito imperiale. L'Imperatore Barbarossa mantiene il potere sulle sue terre con l'aiuto di cinque Grandi Generali, uno dei quali è Teo McDohl. Mentre si trova nella sua residenza con suo figlio, Tir McDohl, il Generale Teo viene improvvisamente richiamato nelle terre del nord per occuparsi di una ribellione. Il giovane Tir entra al servizio delle Forze Imperiali insieme ai suoi servitori e compagni Gremio, Pahn e Cleo e al suo migliore amico Ted. Tuttavia, una serie di cospirazioni cambierà per sempre l’apparentemente tranquilla routine del gruppo, con l’incontro incontro fatale con la Runa della Vita e della Morte, anche nota come Soul Eater, Tir scopre di essere destinato a essere la "Tenkai Star", un eroe profetizzato add unire le 108 Stelle del Destino per dare inizio ad una nuova era di prosperità.



Sul finire della generazione 16-bit, ogni grande azienda di sviluppo di videogiochi giapponese poteva contare sul suo gioco di ruolo di punta. Enix aveva ovviamente Dragon Quest, portabandiera indiscusso del genere, Capcom aveva Breath of Fire, divenuto un successo immediato, Namco aveva da poco lanciato il primo Tales, mentre Squaresoft, Nintendo e Sega, potevano vantare su più di un franchise RPG tra le loro lineup. A questi nomi vanno aggiunti anche quelli delle più piccole ma consolidate Atlus e Falcom, rispettivamente con Shin Megami Tensei e The Legend of Heroes. E Konami? Pur non raggiungendo i livelli di Sega e Namco, Konami era un colosso dell’industria giapponese, nel ricco settore degli arcade possedeva intere sale giochi, gli Amusement Centers, che la vedranno coinvolta nello sviluppo di cabinati innovativi, su tutti quelli di genere musicale. Nel mercato delle home console non era da meno, con serie di successo come Castlevania, Contra e Tokimeki Memorial. Tra i suoi successi mancava però il gioco di ruolo, sul Super Nintendo si ricorda solo la trasposizione del manga Madara (1990), come effettiva incursione nel genere da parte di Konami; in un periodo in cui gli RPG in Giappone letteralmente stampavano soldi, per un’azienda dalla natura così competitiva (ricordiamo come nacquero, per citare due nomi, Metal Gear e Silent Hill, ossia come neanche tanto velate “risposte” rispettivamente a Commando e Resident Evil di Capcom), questa era una lacuna da colmare al più presto.



Il ciclo del Super Famicom però giungeva a conclusione, in quel momento, Konami era talmente sicura di sé che aveva in cantiere di produrre addirittura una sua console, basata sulla tecnologia M2, sviluppata da 3DO Company, progetto che però verrà accantonato abbastanza in fretta; tra le proposte per il lancio di questa fantomatica console, ci fu anche quello di un RPG sviluppato da un team di neoassunti, tra cui spiccavano lo scrittore Yoshitaka Murayama e l’artista Junko Kawano. Scartata la folle idea di entrare nel mercato hardware, per Konami rivolgersi alla successiva generazione di console fu l’opzione più ovvia, decidendo di indirizzare lo sviluppo del gioco di ruolo verso i nuovi hardware a 32-bit di prossima uscita. La scelta cadde sulla PlayStation di Sony, nonostante il Saturn, in quel primo scampolo di console war nipponica (siamo nel 1995), avesse un margine di vantaggio sulla macchina rivale. Mentre Squaresoft, Enix e le altre grandi case di sviluppo dei giochi di ruolo sparavano le loro ultime cartucce per il Super Famicom, su PlayStation l’ambiente era decisamente meno affollato di uscite e il compito di aprire le danze spettò ad Arc the Lad, gioco di ruolo tattico prodotto da Sony uscito nel giugno del 1995, ma che rimarrà inedito al di fuori del Giappone fino al 2002, quando verrà pubblicata negli Stati Uniti la raccolta Arc the Lad Collection. Di conseguenza, Gensō Suikoden, uscito il 15 dicembre 1995, rappresenta per molti il primo, importante RPG a turni per PlayStation, dimostrandosi come un progetto già molto ambizioso.



A prima vista, dal punto di vista estetico, Suikoden non si discosta poi molto dalle produzioni per Super Nintendo o PC Engine, rimanendo ancorato ad uno stile grafico 2D sia nei combattimenti, caratterizzati da un’inquadratura isometrica, vagamente simile a quella di Breath of Fire, sia nella fase esplorativa, avente una più tipica visuale dall’alto, in ambedue i casi con sprites dei personaggi meno caricaturali (super-deformed), rispetto al j-rpg che andava per la maggiore su 16-bit, forse per dare maggiore enfasi ad una narrazione “adulta” (Atlus adotterà un approccio simile, non a caso, così come Xenogears). Le peculiarità del gioco di ruolo Konami vanno da ricercarsi nel contenuto, a partire da quel “108 stelle per altrettanti personaggi” che ancora oggi ti fa domandare cosa passasse per la testa, a Murayama e soci, per ideare un gioco di ruolo con una così ampia scelta di figurine giocabili, rendendolo oltretutto un marchio distintivo della serie condannando di fatto ai lavori forzati chi ne vorrà in futuro raccogliere il testimone.

C’è da dire che, almeno in questo primo capitolo, i personaggi in battaglia sono per buona parte intercambiabili fra loro, non distinguendosi in quasi nulla al di fuori di alcune statistiche (come l’energia magica) e dell’equipaggiamento adottato con la relativa gittata, che andrà a determinare la formazione di sei figuri tra prima e seconda linea. Viene dunque da sé che per buona parte dell’avventura decideremo semplicemente di potenziare quelli che più ci aggradano dal punto di vista estetico, con particolare attenzione a quella manciata di personaggi che, fin dalle prime battute, palesano una certa rilevanza nella storia e la cui presenza nel party è obbligatoria in alcune fasi chiave. Questo non vuol dire che i restanti, tipo novanta reclutabili in giro per il mondo, stanno lì a far numero come diletto collezionistico, tutt’altro, il loro reclutamento (che passa da un semplice “unisciti a noi” al compimento di determinati requisiti) è essenziale non solo per sbloccare il vero finale, ma va a determinare anche lo sviluppo della nostra base e soprattutto la forza del nostro esercito, giacché in Suikoden, oltre al tradizionale combattimento con sei personaggi, vi sono altre due tipologie di schermaglie, le battaglie campali e i duelli, e la buona riuscita delle prime è in larga parte determinata dal numero di alleati uniti alla nostra causa in quel dato momento. Le battaglie campali, che si basano sostanzialmente su un principio di sasso, carta, fobici (le cariche battono gli archi, gli archi battono i maghi e i maghi battono le cariche), sono fasi particolarmente delicate perché se un personaggio muore durante una di esse, muore definitivamente, vanificando così il finale.



Ma perché proprio 108? La storia di Suikoden si ispira liberamente a quella del classico romanzo cinese Shui Hu Zhuan, "Storia in riva all'acqua", pubblicato in Italia con il titolo “I Briganti”, narrante le gesta di un gruppo di 108 ribelli, ognuno con abilità uniche, che si uniscono contro un governo corrotto. La scrittura del gioco Konami non va molto oltre questa premessa della “resistenza contro l’impero” e può risultare oggi abbastanza prevedibile, i personaggi tagliati con l’accetta e i dialoghi alle volte fin troppo striminziti per lasciare il segno sono caratteristiche decisamente figlie del loro tempo, nonostante si intraveda, sulla base di questo mondo, dei margini per creare qualcosa di veramente memorabile.



Suikoden II conferma nuovamente la passione per la storia cinese da parte di Yoshitaka Murayama, il quale prende spunto questa volta dalle figure di Xiang Yu e Liu Bang, la cui storia ruota attorno all’ascesa della dinastia Han. Xiang Yu e il suo luogotenente Liu Bang furono dapprima alleati con lo scopo di rovesciare i Qin, ma finirono per scontrarsi nella "Disputa Chu-Han" scaturita nella battaglia di Giaxia. Nonostante la superiorità militare del primo, fu il secondo ad avere la meglio, grazie ad una combinazione di alleanze strategiche, l’apporto di generali capaci come Zhang Liang e una carismatica leadership che gli valsero il sostegno politico da parte di funzionari e contadini. Il collegamento con i due protagonisti di Suikoden II viene quindi naturale, con Riou e Jowy intenti a raggiungere lo stesso obiettivo ma con metodi diversi. Tuttavia, Murayama afferma di aver diviso la personalità di Xiang Yu in due personaggi: la parte “forte” all’ambizioso e senza scrupoli Luca Blight, e la parte “compassionevole” a Jowy, ed è questo che rese la storia di Suikoden II così diversa, imprevedibile, intrigante.



Rispetto al 1995, molte cose sono cambiate tra l’uscita del primo e del secondo capitolo della saga Konami, la generazione era entrata nel vivo e l’uscita di giochi di ruolo come Final Fantasy VII, Grandia, Final Fantasy Tactics e Xenogears, in rigoroso ordine di uscita, alzarono non di poco l’asticella del genere, con trame più mature e dialoghi finalmente scritti con la cura che meritano certe storie. Suikoden II, nondimeno, non teme confronti al vertice che farebbero capitolare quasi chiunque, il sequel Konami abbandona la dicotomia del prototipo per mettere in scena una vicenda più profonda, in cui ogni personaggio, sia esso alleato o nemico, è mosso da sentimenti per nulla forzati, bensì umani, persino condivisibili, andando oltre le tipiche storie del gruppo di buoni che si contrappone all’impero malvagio. Il modo in cui la guerra incide sulle relazioni interpersonali tra Riou e Jowy, e la sorella maggiore del primo, Nanami (il cui ruolo è più centrale di qualsiasi personaggio femminile di Suikoden I), e il modo in cui viene gestita e raccontata la loro crescita, ha pochi eguali e sono i motivi per cui Suikoden II è ancora oggi molto amato.



Suikoden II compie notevoli passi avanti anche dal punto di vista tecnico, e non poteva essere diversamente; i fondali risultano molto più curati e ricchi di dettali, sia naturalistici che architettonici, mentre alla nuova character designer Fumi Ishikawa spetta il compito di dare un volto ad ognuna delle 108 Stelle del Destino, inclusi vecchi ritorni dal gioco precedente, tramite un tratto molto più dinamico, espressivo, in sostanza più piacevole rispetto a quanto visto nel 1995. Strutturalmente il gioco rimane simile al primo, in battaglia è ora possibile effettuare attacchi in combinazione tra più personaggi, similmente a Chrono Trigger, oltre a poter equipaggiare più rune per le magie. Sono inoltre presenti dei minigiochi, ma per il resto, Suikoden II segue la classica filosofia del sequel bigger and better, il che va benissimo considerati i margini di miglioramento del prototipo, da cui tra l’altro si può importare il salvataggio per avere i vecchi personaggi più forti e meglio equipaggiati.



Nel settembre 2022, una rediviva Konami annuncia Suikoden I&II HD Remaster: Gate Rune and Dunan Unification War, tra lo stupore generale dei fan della serie che in quel momento riponevano le loro speranze sul “successore spirituale” Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes, spiace dire in parte disattese. Forse sottovalutando l’enorme mole di lavoro che avrebbe richiesto tale restauro, il gioco, inizialmente previsto per il 2023, viene rinviato più volte fino a vedere la luce nel marzo 2025, dopo ben cinque anni di sviluppo. Come spiegano gli sviluppatori in un’intervista a Dengeki, le difficoltà di lavorare con vecchi dati e l'impegno del team nel creare un remaster davvero di alta qualità ma che fosse allo stesso tempo fedele agli originali, ha allungato i tempi.

"All'epoca, Murayama e gli altri game designer che sono venuti prima di me hanno riflettuto molto su come esprimere le storie di questi giochi in un numero limitato di bit", spiega Rui Naito, produttore del remaster. "Anche il numero di punti esclamativi nei loro dialoghi originali è un'espressione dei loro pensieri e sentimenti. Pertanto, sapevo che non dovevamo perdere questi aspetti dei giochi".[1]



Il risultato di questa “devozione” è un remaster che mostra un religioso rispetto per i giochi originali, la maggior parte delle modifiche apportate riguardano la grafica del gioco con il chiaro intento di essere il più fedeli possibile ai giochi originali, sotto alcuni punti di vista anche troppo, andando a creare un vistoso stacco visivo tra Suikoden I e Suikoden II, nonostante il primo abbia a conti fatti richiesto un lavoro maggiore, per esso Junko Kawano è stata richiamata per ridisegnare tutti i 108 ritratti dei personaggi sia per le schermate di combattimento che per i dialoghi. La discrepanza estetica tra i due giochi è data principalmente dai fondali, tutti ridisegnati, con quelli di Suikoden I che, sotto il nuovo lifting, appaiono però decisamente più spogli, con città apparentemente molto simili fra loro e interni degli edifici non sempre convincenti, mentre al contrario Suikoden II brilla letteralmente di nuova luce con splendide ambientazioni ricche di dettaglio e nuova effettistica su fiumi, cascate, nebbia e fonti di luce. È bene approcciarsi a Sukoden I&II con la prerogativa per cui, rispetto ai remake di casa Square Enix quali Dragon Quest III, Live a Live o Star Ocean The Second Story R, qui si è adottata una filosofia molto più conservativa, ciò non vuol dire che sia un lavoro meno impegnativo, tutt’altro, sono semplicemente due approcci diversi al restauro. La possibilità di scambiare gli equipaggiamenti tra i personaggi in maniera più rapida e di velocizzare gli incontri, l’aggiunta della mappa a richiamo, di un sistema di auto-salvataggio (in realtà un po' inutile, visto che si palesa solo in rari punti determinati) e un backlog per i dialoghi (che potrebbe tuttavia evitare di registrare anche quelli di locandieri e negozianti) fanno parte di quelle sacrosante implementazioni alla Quality of Life che vanno ad ammorbidire l’esperienza di gioco originale, e non certo a distorcerla, anzi si poteva mettere mano all'inventario degli oggetti, non proprio comodissimo, in maniera anche più incisiva. La difficoltà generale è rimasta pressoché intatta, a detta degli sviluppatori, e devo fidarmi perché dopo un quarto di secolo la memoria è quella che è, ma generalmente i Suikoden non sono considerati tra gli RPG più impegnativi della generazione 32-bit, nel primo si possono rimpinguare le finanze a piacimento andando a scommettere nel gioco dei dadi, per dirne una. In ogni caso, è disponibile fin da subito la difficoltà hard così come la funzione di trasferimento del salvataggio tra Suikoden I e II, motivo per cui è altamente consigliabile resistere al richiamo del secondo capitolo non prima di aver concluso la battaglia di liberazione di Tir McDohl. Entrambi i giochi sono tradotti in italiano, anche se non mancano refusi, per Suikoden I è la prima volta nel nostro idioma, ma si potrebbe dire lo stesso del II considerato quanto fosse scadente la traduzione del 2000.
Gioco testato su PS5.

Parlando di amicizie, di rapporti famigliari, di anime erranti, Murayama crea una Storia con la S maiuscola, fatta di grandi condottieri ma anche di persone comuni, perché anche di queste sono formate le 108 Stelle, e lo fa inseguendo la ricerca di uno sguardo più umano rispetto al gioco di ruolo sedicibittiano, più decentrato da parte dell’eroe in quanto tale e con naturale pluralismo tra le parti. Formalmente ineccepibile, Suikoden II, in particolare, rappresenta la continuità di un senso di consapevolezza del genere nel suo periodo di massima maturità, confermando suggestioni belliche già presenti nei migliori RPG Square (ossia quelli di Matsuno), che si uniscono alla narratologia cinese facendosi largo in una rappresentazione di un conflitto che da lotta contro un impero di decadenza, diviene uno scontro tra ideologie.


[1]『幻想水滸伝 I&II HDリマスター』で苦労した部分は? 開発陣インタビューではシリーズの今後に関する話も - 電撃オンライン