Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi esploriamo il mondo del fantastico con uno sguardo a titoli quali La rivoluzione di Utena, Magic Knight Rayearth (manga by CLAMP) e Hoshi O ou Kodomo (ultimo film di Makoto Shinkai).

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Verso il finire degli anni '90, in particolare tra il '95 e il '97, si è assistito a un fiorire di opere dalla grandissima caratura e dal valore artistico che ancora ad oggi non penso siano stati eguagliati in splendore. Immagino che ricordiate anche voi il ben noto "Neon Genesis Evangelion", considerato tra gli anime più innovativi e sperimentali della sua epoca, o anche "Ghost in the Shell" di Mamoru Oshii, che ha portato l'animazione a vette di incredibile lirismo visivo con il suo complesso e metafisico simbolismo. Ebbene, tra le varie opere magne di questo periodo va collocata, a pieno e meritato titolo, anche "La rivoluzione di Utena".

Difficile esprimere un giudizio su un'opera tanto complessa: si tratta di una serie che non ho certo la presunzione di aver compreso nella sua totalità, merita anzi di essere attentamente meditata e rivista con attenzione più di una volta. Fare altrimenti significherebbe ignorare deliberatamente l'incredibile portata allegorico-simbolica che costituisce "l'esprit", la "raison d'etre" della serie stessa, essendo Utena portatrice di temi che si connotano per una complessità e profondità notevoli. Questi devono per forza di cose essere desunti attraverso l'indagine ermeneutica dello spettatore; ovverosia non vi è altro possibile approccio a Utena se non l'interpretazione e la rielaborazione soggettiva. Non saranno certo la trama o l'evolversi delle vicende a reggere il lume chiarificatore nel mezzo dell'oscurità, anzi, più si procede più si farà forte la connotazione meramente simbolica del tutto fino alla completa astrazione da qualsivoglia punto di riferimento.
Qui sta la difficoltà nell'apprezzare tale titolo, il cui target si restringe inevitabilmente solo ai pochi che avranno l'ardire di mettere da parte lo scetticismo che il regime profondamente ermetico e bizzarro della serie potrebbe suscitare, e di avere il coraggio di vedere oltre il loro naso.

Ciò premesso, veniamo al dunque: cos'è Utena? Non penso sia possibile rispondere in modo univoco a questa domanda, ma ritengo che non si commetta peccato nel classificarla come una bellissima fiaba. Una fiaba dotata di una sensibilità decisamente post-moderna, in cui gli archetipi propri del genere vengono rivisitati e stravolti, capovolti e ribaltati, estraniati dal loro significato primigenio e riadattati per essere usati come potenti medium comunicativi. Il principe, la principessa, la strega, la rosa, la spada, il castello: sono tutti simboli, più o meno chiari, più o meno legati fra di loro, ad essi si aggiungono altri simboli archetipici, quali la macchina, la torre, l'ascensore, andando a comporre un intricato insieme di allegorie estremamente raffinato e complesso.

Le tematiche toccate nel corso dei trentanove episodi sono innumerevoli e si incentrano soprattutto attorno alla sfera sessuale e sentimentale, oltre che a quella gnoseologica. Pacifici gli elementi che accennano altresì alla virilità dell'uomo, come ad esempio la torre o la macchina, o anche al cuore e i sentimenti, spesso simboleggiati con la rosa. Si noti infatti che le scene e le frasi con le rose stanno sempre a indicare i momenti di forte tensione emotiva o batticuore dei personaggi, e non a caso i duellisti indossano le rose appuntate al petto in corrispondenza del loro cuore, la cui distruzione porta alla sconfitta. La spada invece assume più il significato di volontà, di spirito, essa è lo strumento con cui si combattono i duelli e si difendono il proprio orgoglio e desideri. Il tutto è condito con diversi siparietti o scene del tutto assurdi o molto simbolici, come ad esempio il teatrino delle ombre, le scene del consiglio studentesco o le puntate riguardo Nanami. Difficile ma non impossibile riconoscerne il valore allegorico e artistico, sebbene spesso risultino del tutto incomprensibili o autoreferenziali. In effetti, alle volte, il simbolismo di Utena sfocia nel nonsense più puro fino a prendersi apparentemente in giro da solo. Non fatico ad ammettere che molto probabilmente l'eccesso di questi elementi sia in molti casi fine a se stesso, anche se, avendo a che fare con il genio di Ikuhara, non si avrà mai la certezza di cosa abbia un senso e cosa invece no, come del resto vi sarà sempre il dubbio se l'intera serie sia un guscio vuoto o uno dei migliori anime mai creati. Io propendo per la seconda ipotesi. D'altronde l'autore stesso non ha mai lasciato dichiarazioni volte allo spiegare la sua opera, e alle domande ha sempre risposto con provocazioni venate di intelligente follia. Il fascino di Utena risiede proprio in questo suo ermetismo, funziona come uno specchio in cui ognuno si riflette in modo differente.

La cosa più interessante da considerare, tuttavia, è l'insieme di personaggi che danno vita alla serie. Essi sono definiti con sconvolgente profondità e ciascuno corrisponde, in ultima analisi, a un archetipo: ognuno si muove mirando a un proprio ideale, che alla fine è il medesimo per tutti, ma che ognuno percepisce in modo diverso, il "potere dei miracoli", il "potere di rivoluzionare il mondo", "L'eternità". Ognuno guarda alla propria esistenza e, trovandola miserabile, necessita di aspirare a qualcosa di elevato, l'ideale degli ideali, il principe, il castello, la felicità eterna. Ma la realtà è che non è mai esistito alcun principe, alcun castello, alcun ideale, essi sono pure illusioni che esistono soltanto all'interno della nostra mente e di cui ci autoconvinciamo. La realtà è un luogo desolato e privo di scopo, il sepolcro di ogni sogno e di ogni ideale, così come il mondo che ci costruiamo attorno è il sepolcro di noi stessi. L'amore, l'amicizia, ogni valore in cui crediamo sono solo valori in cui in realtà abbiamo bisogno di credere, poiché non possiamo accettare impotenti un'esistenza priva di scopo e colma di dolore.

Concetto che d'altronde traspare dalle parole stesse di Akio: "A marvelous planitarium, don't you think? With it, I can project fairytale illusions onto the walls and show the innocent their dreams. A shadow play for those who desperately wish for something eternal, for the power of miracles... but no place exists above this room."

La visione lascia così l'amaro in bocca: rivoluzionare il proprio mondo significa diventare consapevoli dello scarto che si presenta tra ideale e reale, accorgersi della caducità di ogni attribuzione di valore. Una consapevolezza che ci potrebbe distruggere e alla quale possiamo resistere solo con la nostra volontà, poiché non potremo più rinchiuderci in quel mondo dove siamo al sicuro, in cui noi siamo principi o principesse, "il mondo delle fiabe", che nello scontrarsi con la realtà si è costretti ad abbandonare per sempre.



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C'era una volta una bambina come tante altre che amava guardare i cartoni animati trasmessi al pomeriggio in tv: fra questi c'era "Una porta socchiusa ai confini del sole", storia di tre ragazze delle superiori, Luce, Marina e Anemone, dotate di poteri magici e armi per sconfiggere il male che affligge il mondo fantastico di Sefiro.

Passarono molti anni, la bambina divenne un'adulta e scoprì che la serie che le piaceva tanto aveva tutt'altro nome e raccontava tutt'altre vicende, complice la forbice censoria di quegli anni lontani. Decise così di rimediare alla mistificazione recuperando il manga da cui la storia aveva avuto inizio.

"Magic Knight Rayearth " racconta in realtà la storia di tre studentesse delle medie che si incontrano per la prima volta sulla Tokyo Tower, dove avvertono il richiamo di una bella principessa. Subito dopo Hikaru, Umi e Fuu - questi i loro veri nomi - vengono trasportate loro malgrado sul mondo magico di Cefiro dove "la volontà è la forza", e da lì dovranno destreggiarsi tra il desiderio di tornare a casa e quello di impersonare i Cavalieri Magici della leggenda. Quel che segue è un'avventura fantasy arricchita da trasformazioni in stile majokko e combattimenti su mecha, un azzardato ibrido di generi che a conti fatti funziona. Nonostante i numerosi siparietti comici tra personaggi "chibizzati" e i continui ammiccamenti ironici ai giochi di ruolo giapponesi, la storia si fa progressivamente più cupa e adulta fino allo spiazzante colpo di scena finale.

"MKR" è soprattutto il racconto di formazione di tre ragazzine qualunque strappate dal dolce conforto del loro rifugio domestico. La dolce e sensibile Hikaru, l'irruente e viziata Umi e la mite e ingenua Fuu impareranno durante l'avventuroso viaggio a conoscersi e a volersi bene in un processo del tutto naturale. Più che Cefiro - raccontato spesso, mostrato quasi mai - nel corso dei tre volumi il lettore si trova a esplorare il mondo interiore delle tre protagoniste, con attenzione particolare al loro processo di responsabilizzazione. La brevità dell'opera non tragga in inganno, la trama si svolge senza fastidiosi scossoni e si porta dietro solo pochi punti oscuri di scarsa rilevanza.

I disegni sono in puro stile CLAMP, con corpi estremamente slanciati e visi spigolosi ma molto femminili. Rispetto a "Card Captor Sakura" è stata adoperata una linea di confine più netta e forti campiture di nero, mentre è stato trascurato l'uso dei retini. Mokona, qui alla sua prima apparizione, è più morbido e "sofficioso" che mai.
In conclusione, l'adulta ex-girellara consiglia quest'opera a qualsiasi amante degli shoujo anni '90, delle CLAMP e dei fantasy capaci di suscitare meraviglia. Se non rientrate in queste categorie sfidate i vostri limiti e saggiate un'opera sempiterna, sarà difficile restarne delusi.



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Trama: Asuna, la piccola protagonista, ha l'abitudine di salire su una roccia e da lì, grazie a una strana radio che sfrutta una sorta di diodo/cristallo, captare vari suoni; un giorno capta una musica bellissima, che non si sa da dove provenga e che, nonostante i suoi successivi tentativi nel succedersi delle stagioni, non capterà più. A questo punto fa la comparsa un misterioso personaggio, un ragazzo di nome Shun che salva Asuna da un altrettanto misterioso mostro, e che dice di provenire da Agartha e di essere venuto sulla Terra per vedere le stelle e per incontrare una persona (presumibilmente Asuna); basta poco e Asuna si innamora di questo ragazzo. Purtroppo il ragazzo scomparirà, lasciando Asuna nello sconcerto. Nel frattempo, nella scuola della ragazza arriva un nuovo professore, Mr Morisaki, che, in una delle sue prime lezioni, narra il mito di Hizanami e Hizanagi - simile al nostro di Orfeo ed Euridice -, e in particolare narra di questo luogo mitologico conosciuto in tutto il mondo con diversi nomi: Ade, Agartha, Shambhala. Ovviamente Asuna rimane stupita nel sentire il nome di Agharta, e si avvicinerà al professore, che si dimostrerà essere un appartenente a una organizzazione militare il cui scopo è proprio quello di penetrare in Agartha, luogo che si dice sia pieno di ricchezze e in cui risiedono conoscenze sconosciute all'umanità, tra cui quella di riportare in vita i morti. Lo scopo personale di Mr Morisaki è infatti quello di riportare in vita l'amata moglie. Asuna e Mr Morisaki riusciranno a entrare in Agartha, intraprendendo un lungo viaggio fino a Finis Terra, luogo in cui si possono incontrare gli Dei per esprimere un desiderio: ovviamente il desiderio di Mr Morisaki è quello di riportare in vita la moglie... e quello di Asuna? Ritrovare Shun? La ragazza stessa non sa perché si sia addentrata in Agartha, e per lei questo sarà un viaggio di formazione. Lungo il cammino i due affronteranno varie peripezie, a volte aiutati e a volte osteggiati dal fratello di Shun, Shin.

Questa in breve la trama.
Il film di Shinkai è, per certi versi, una rivisitazione del mito di Orfeo e Euridice, e il tema ultimo è il rapporto dell'uomo con la morte, l'affrontare una perdita, l'elaborazione del lutto. E' questo che farà Asuna lungo il viaggio. Tema decisamente forte e per certi versi molto triste: infatti il film, anche nel finale, è intriso di questa tristezza. Memorabile la canzone finale: "Hello Goodbye & Hello", tristezza mista a speranza.

Lato tecnico
Shinkai non si smentisce. La cura dei fondali è maniacale, i colori sono vividi, la luce è intensa, e ogni cosa è dunque perfetta. Il limite forse di Shinkai è che a volte c'è una sorta di sfasamento tra la perfezione dei fondali e la semplicità dei personaggi (è un po' lo stesso effetto che mi fanno i film in CG: personaggi in due dimensioni, semplici, e tutto il resto troppo tecnico): i personaggi sono troppo "approssimativi", "semplici", stilisticamente parlando, rispetto a tutto ciò che gli sta attorno. Il character design infatti ricorda un po' la morbidezza dello studio Ghibli. E non solo il character design. E qui arriva il punto dolente: purtroppo lungo la visione del film ho avuto una serie di déjà-vu riguardanti lo studio Ghibli, su tutti "Mononoke Hime" e "Laputa".

Shinkai è considerato l'erede di Miyazaki - un grande onore, dunque - e non ho capito francamente se in questo film certe "visioni" Ghibli siano volute o meno: Shinkai, sentendosi definire l'erede di Miyazaki, ha voluto per certi versi onorare questo paragone facendo volutamente un film simile alle opere di Miyazaki, o è rimasto schiacciato da tale paragone tanto da sentirsi in obbligo di somigliare al maestro? Quanto la somiglianza con lo studio Ghibli è voluta (una sorta di omaggio, dunque) o quanto è inconscia/forzata? Nel primo caso, qualora si tratti di un omaggio a Miyazaki, è una cosa positiva, ma se invece Shinaki sente il paragone come un peso che lo spinge a fare opere stile Ghibli, allora è un male: non perché ci sia qualcosa di male a sfornare prodotti stile-Ghibli, che personalmente adoro, quanto perché spero che Shinkai non perda la sua peculiare identità, che ha dimostrato con il capolavoro che è "Byousoku 5 centimeters".

Un altro aspetto negativo è la sensazione che la trama si sia lasciata dietro qualcosa: non vengono approfonditi certi misteri, in particolare il personaggio di Shun e il suo legame con la ragazza rimane solo sullo sfondo, o così ha scelto il regista in quanto Shun è solo propedeutico al viaggio che Asuna deve compiere. Fatto sta che si sente un qualcosa che manca: certi aspetti fondamentali della storia, certe rilevazioni, vengono solo sfiorati.
Complessivamente il mio voto è 9 perché si tratta di un film notevole, sia dal punto di vista della tematica affrontata sia dal lato tecnico. Non mi sento di dare un 10 perché in alcuni punti la trama è un po' debole, e ho avuto troppi déjà-vu delle opere dello studio Ghibli. Ma magari è solo una mia sensazione, per cui sarò curiosa di leggere altre recensioni in merito.