Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo ad anime del 2013, con WataMote, Joujuu Senjin Mushibugyou e Koroshiya-san.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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6.0/10
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Dato che sono una sfigata, ho deciso di guardare anch'io questa serie.
È inutile che ci giri intorno: non ci ho capito niente. O per meglio dire non ho capito dove volesse andare a parare, giacché da "misantropa benintenzionata" alcuni dei pattern comportamentali della protagonista Tomoko mi erano dolorosamente familiari. "WataMote", portmanteau del ben più lungo "Watashi ga Motenai no wa Dou Kangaete mo Omaera ga Warui!", sa dove colpire senza lasciare segni, proprio come un bullo abbastanza scaltro da preferire il pugno allo stomaco al cazzotto in piena faccia; manca tuttavia di uno scopo e, di riflesso, di una chiara presa di posizione nei confronti di colei che passa più volte e senza soluzione di continuità da vittima a prima carnefice di sé stessa.

I dodici episodi tratti dall'omonimo manga di Nico Tanigawa, a tutt'oggi in corso, ruotano attorno ai tragicomici tentativi di Tomoko, otaku sfigatella che ha appena iniziato le superiori, di diventare finalmente una ragazza popolare. Anche la sua unica amica Yuu, un tempo altrettanto sfigata, è riuscita a fare il salto di qualità, perciò perché non lei? Peccato che la nostra eroina abbia un talento tutto suo nel prendere a esempio i modelli più sbagliati, come ad esempio i suoi adorati gal game, e nel travisare i segnali mandatile - o non - dalla gente...

Un'ipotetica traduzione del titolo reciterebbe pressappoco così: "Non importa come la pensate, è colpa vostra se sono impopolare!". E già qui parte il classico brivido lungo la schiena, perché chiunque si appresti cambiare radicalmente la propria personalità e/o immagine dovrebbe sapere che non c'è tempo da perdere in recriminazioni, fondate o meno che esse siano. "You better work, [parola-omofona-di-"spiaggia"-che-però-si-scrive-in-modo-diverso]": lo dice - canta - anche Britney Spears. E invece no. Non solo Tomoko non ha ponderato a dovere la questione, ma fa anche sfoggio di una formidabile refrattarietà a imparare dai suoi insuccessi.
D'accordo, abbiamo una protagonista allergica sia al rasoio di Occam che a quello di Hanlon. Ma ci sarà pure un motivo, no? Teoricamente sì, ma tutto quel che ci è dato sapere sulla sua inettitudine sociale è che non si tratta di qualcosa di connaturato in lei. Inutile dire che la mancanza di ulteriori informazioni a tale proposito mina e non poco il processo di empatizzazione - e perché no, anche di identificazione - a cui dovrebbe essere mosso lo spettatore nell'assistere alle sue disavventure. Disavventure che peraltro strappano ben pochi sorrisi, perché non c'è nulla di divertente nel modo in cui questa ragazza si umilia in nome di un effimero desiderio di piacere. Come se Tomoko non fosse già abbastanza restia a fare qualcosa di costruttivo per migliorare le propria vita, inoltre, ecco che ci si mette anche la natura autoconclusiva degli episodi, il cui poco ispirato canovaccio viene immediatamente a noia a dispetto delle citazioni di cui viene infarcito.

Cosa si aspetta "WataMote" dallo spettatore? È con Tomoko o di Tomoko che si dovrebbe ridere, sempre che sia questa la sua finalità? Se da una parte un suo repentino cambiamento sarebbe stato a dir poco irrealistico, dall'altra il colpevole immobilismo che la caratterizza urta altrettanto in profondità. Proviamo per un attimo a metterci nei panni di coloro che invano lei tenta di avvicinare: in base a cosa dovrebbero sentirsi incentivati a darle una possibilità? E per fortuna che non hanno idea di quanto sia scarsa, per non dire inesistente, la considerazione che lei ha di loro, altrimenti altro che "Another".

Da un punto di vista prettamente tecnico l'anime si lascia guardare senza offrire spunti o guizzi di sorta, eccettuato forse il sonoro (doppiaggio simpatico e puntuale, un buon utilizzo degli effetti, musiche calzanti e soprattutto una opening dal taglio deliziosamente shōnen); apprezzabili, comunque, i tentativi di adeguarsi agli stili sempre diversi delle fantasie di Tomoko, anche se vederla nei panni dell'inarrivabile Motoko Kusanagi nel terzo episodio è stato un colpo al cuore.

Persino mentre scrivo queste ultime righe sono ancora un po' combattuta tra il puerile desiderio di "punire" quella che aveva tutta l'aria di essere una delle serie più promettenti di questo 2013 con un'insufficienza e la necessità di dare a Cesare quel che è di Cesare, indipendentemente dal fatto che, per un motivo o per l'altro, la tanto agognata scintilla non sia scoccata. Parafrasando Jessica Rabbit, "WataMote" non sarà un anime cattivo, ma certamente lo si sarebbe potuto "disegnare" meglio. Un 6 stiracchiato, quindi, e che non se ne parli più.



8.0/10
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Nella prima epoca Edo dei grandi shōgun Tokugawa e dei samurai, in cui il credo del bushidō, fiorito già nel periodo Kamakura e Muromachi, ha raggiunto l'acme della sua applicazione, nasce un guerriero dal sorriso che gli va da un orecchio all'altro e dal cuore altruista e buono, caparbio, testardo, capace di infondere coraggio a chi gli sta accanto. Ha il codino lunghissimo, indossa un kimono semplice come il suo animo e non si separa mai dalla katana che fin da bambino porta legata ai fianchi, Tsukishima Jinbei impara l'arte di essere samurai nella scuola di famiglia e sul campo di battaglia permanente che un condottiero dell'Edo Jidai (1603-1868) sa di dover vivere. Subentrato al padre in un incarico alla capitale, si ritrova a dover combattere la più grande minaccia che la vecchia Tōkyō abbia mai dovuto subire: gli insetti. Assieme al Mushibugyo-sho, il commissariato per la lotta contro gli insetti creato su richiesta della popolazione stanca di vedere i propri cari spirare sotto l'attacco di quelle bestie fameliche, Jinbei darà fondo a tutta la sua forza per difendere la capitale dello shogunato Tokugawa, facendo ardere le strade di Edo del fuoco di un vero samurai, votato anima e corpo al suo padrone e alla protezione dei più deboli e emarginati.

La paura degli insetti è molto comune, nonché una delle più difficili da sconfiggere. Sembra quasi innaturale che un minuscolo essere che con una pantofola puoi schiacciare, stroncandogli l'esistenza, spaventi più di un gigantesco dinosauro. Il potere nascosto in quelle piccole e fragili ali delle farfalle, delle api, delle mantidi, nelle zampette dei ragni, in quelle degli scarafaggi, delle coccinelle, nelle antenne dei grilli, delle cavallette, delle cicale, riesce ad intimorire il più forte fra tutti gli esseri viventi. Figuriamoci poi se questi insetti sono più grandi di un grattacielo, più infami di uno sciame senza alveare, si cibano di uomini e distruggono città, ponti, alberi, vite: sarebbe l'apocalisse proprio! Eppure la base di Mushibugyō è esattamente questa: uno scenario inquietante in cui gli insetti vogliono dominare il mondo e scardinare l'uomo dalla sua posizione di superiorità. Dotati di un potere quasi invincibile, di una stazza elefantesca e di un desiderio di rivalsa pari solo alla grande sete di sangue e fame di carne umana che li contraddistingue, rappresenteranno per tutti e 26 gli episodi che compongono la serie una minaccia costante per l'incolumità dei sudditi di Tokugawa Yoshimune.

Mushibugyō ha un ottimo comparto grafico, chara design molto particolare e accattivante e un doppiaggio degno dei migliori anime. Come in una stampa antica, i paesaggi della vecchia Edo vengono fuori prepotenti con ciliegi, fiumi, quei caratteristici tetti giapponesi e quelle strade senza asfalto che carri di buoi e sandali di geisha hanno percorso. Fra kimono ben dipinti sfoggiati dalla formosa Oharu o assurdamente pompati come quello indossato dal cacciatore di insetti Mugai, maschere di teatro tipo quella che Nagatomimaru usa per nascondere la sua identità, fra la katana consumata di Koikawa, gli shikigami di Tenma Tsuchimikado e le bombe della ninja Hibachi, all'Edo Jidai viene resa pienamente giustizia, in un miscuglio di storia e fantasia, leggenda e realtà, riuscito in ogni piccolo dettaglio e funzionale. La forza principale dell'anime è però il variegato comparto personaggi, l'OST in stile anticheggiante ma che con le due opening dal sapore rock raggiunge il massimo della sua bellezza, e quel misto di tragedia e comicità, di scene smaliziate e di combattimenti da vivere fino all'ultima goccia di sangue.

Sottovalutato dal grande pubblico ed etichettato come uno "shōnen vecchio stampo", Mushibugyō è stato oggetto di una discriminazione che mi ha lasciata basita in molte occasioni. Trovandomi in disaccordo con chi diceva che era anacronistico, sbagliato per quest'epoca, che doveva nascere più di 20 anni fa, quando Dragonball spopolava e il mercato degli shōnen non era invaso da prodotti che hanno perso la scintilla di gloria delle opere di una volta, ho trovato quest'anime una ventata di aria fresca. Oggi mancano quei bei sentimenti sbandierati ai quattro venti con urla e sorrisi gratuiti, quei personaggi che non si piegano di fronte a nulla e che guardano dritto davanti a loro, quei combattimenti che ti trattengono il fiato in gola e spengono ogni pigrizia, quella spensieratezza che molti shōnen post secondo millennio hanno mandato a benedire chissà dove, e quella genuinità che i personaggi attuali scesi a compromessi con il denaro hanno nascosto chissà in quale valigetta. Non è nemmeno questione di essere nostalgici di un genere che lentamente sta decadendo e che raramente trova picchi di beltà negli ultimi anni, vivendo del successo di manga/anime nati quasi un ventennio fa, ma si tratta di provare a remare contro la corrente di un pubblico che ormai è assuefatto allo stato di cose e rifiuta anche di appassionarsi ad un anime come Mushibugyō.
Concludo con il migliore augurio per i giovani d'oggi, tra cui mi ci metto anch'io, di vivere la vita in pieno, aiutando il prossimo, senza lasciarsi scoraggiare dalle avversità e sognando un cielo da condividere con i proprio cari. Proprio come il protagonista di Mushibugyō.

- Tsukishima Jinbei: "Io non vacillerò. Se vacillassi, le persone dietro le mie spalle che aspettano io le protegga verrebbero inghiottite dal terrore."
- Sanada Yukimura: "Stupido! Tu non sai cos'è la paura, ma nemmeno qual è il tuo posto! Sei solo un idiota che va incontro alla propria morte!"
- Tsukishima Jinbei: "Potrò anche sembrare uno stupido, ma non permetterò che tu faccia tremare la gente d'ansia! Devo diventare una stella splendente! Anche se pare impossibile, me ne rendo conto, continuerò a sognarlo e a provarci! Questo è il momento giusto per diventarlo!"



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Come da consuetudine ormai consolidata, ciascuna stagione offre una serie di corti. L'ottima stagione autunnale 2013 ha proposto un buon assortimento di corti. In questo caso il tema dell'umorismo è nientemeno che la morte, rappresentata da uno spietato assassino.

Koroshiya-san: The Hired Gun è un'opera della stagione autunnale 2013 composta da 10 episodi della durata di 2 minuti ciascuno. L'opera deriva dall'omonimo manga yonkoma del 2004.

Trama: Ryūichi Sasaki è un assassino, per la precisione è il migliore assassino del Giappone. Qualunque incarico decida d'accettare, è sicuro che lo porterà a termine con successo, uccidendo la vittima designata e "ripulendo" la scena del crimine (dal momento che è un maniaco dell'igiene e delle pulizie), lasciando brancolare nel buio la polizia. Egli tuttavia non è un insensibile, infatti adora gli animaletti carini e i ragazzini orfani, per cui si calerà nelle vesti di genitore improvvisato. Il corto narra dei folli incarichi a cui parteciperà e degli ancor più folli personaggi che incontrerà.

Grafica: piuttosto scarsa. Le ambientazioni spesso sono meri sfondi (spesso nemmeno tanto dettagliati), le animazioni sono inesistenti. I personaggi sembrano dei pezzetti di cartone mossi da dei burattinai nonostante il buon character design.

Sonoro: l'opening è piuttosto carino e coinvolgente, l'ending è assente. Gli OST sono abbastanza carini pur non risaltando. Gli effetti sonori sono nella media. Buon doppiaggio.

Personaggi: tremendamente simpatici e geniali. La caratterizzazione è piuttosto semplificata, ciononostante la resa caratteriale è buona. Il fattore introspettivo è volto alla comicità, non si può parlare di fattore evolutivo. L'interazione è ottima.

Sceneggiatura: tutto è volto alla massima semplicità. La gestione temporale è ultra lineare, tutto si svolge in micro episodi autoconclusivi. Il ritmo è piuttosto veloce. Sono presenti minuscole scene d'azione che mostrano le varie vittime dell'assassino. È presente un moderato quantitativo di fanservice. I dialoghi sono geniali.

Finale: tremendamente divertente nella sua "ambiguità", il finale dell'assassino non conclude e non risolve assolutamente niente, però è davvero spassoso. Chissà se nascerà una seconda serie.

In sintesi: con ogni probabilità l'assassino è il corto più divertente dell'intera stagione (nonostante non tutti gli episodi risultino divertenti da un pubblico occidentale), e al netto dei difetti si rivela essere un prodotto discreto. Consigliato a chiunque voglia farsi qualche sana risata in poco tempo.