Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).
I titoli al momento disponibili sono:
[MANGA] Soul Gadget Radiant (Scadenza: 21/1/2015)
[ANIME] Body Jack (Scadenza: 25/1/2015)
[ANIME] Mitsuwano (Scadenza: 28/1/2015)
[MANGA] Astroboy Remake (Scadenza: 1/2/2015)
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Ninja Kamui, One Piece 3D2Y e Barakamon.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
L'invincibile ninja Kamui
10.0/10
Recensione di AkiraSakura
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In un periodo Edo cupo, senza luce, pieno di povertà e ingiustizie, il Ninja disertore Kamui vaga senza meta, con il solo scopo di sopravvivere agli attacchi dei sicari inviati dal clan Iga, dal quale è stato allevato fin da bambino come killer professionista. La solitudine del guerriero è totale: egli può solamente continuare a fuggire, non può fidarsi di nessuno, pena la morte.
Salta subito all'occhio il fatto che questo anime sia uscito nel lontano 1969. All'epoca in Giappone erano in corso rivolte studentesche, agitazioni sociali di vario tipo, la povertà ed il caos derivanti dalla perdita della guerra, uniti al frenetico climax dell'industrializzazione, avevano temprato la generazione di giovani giapponesi del periodo, che richiedeva per il suo intrattenimento prodotti socialmente impegnati, nei quali fosse presente una ribellione contro la società e l'ordine costituito. Il gekiga di Sampei Shirato, autore del qui presente "Ninpuu Kamui gaiden ", nasce proprio per rispondere alle esigenze tipiche dei giovani dell'epoca: si tratta di storie adulte, impegnate, in cui la ribellione e la denuncia sociale fanno da padroni. Kamui è il giovane giapponese dell'epoca, che si ribella alla società di vecchio stampo tradizionalista legata al profitto - in questo caso rappresentata dal clan Iga, vero e proprio servo degli interessi dei ricchi proprietari terrieri - e che, nella sua fuga continua e senza speranza, incontra l'atroce indifferenza dei contadini, dei taglialegna, delle persone "non rivoluzionarie" che con la loro apatia e la loro cattiveria mantengono la società in stallo, privandola del cambiamento necessario ad una sua evoluzione.
Il periodo Edo di "Ninpuu Kamui gaiden" è un'evidente metafora del Giappone in crisi, appena uscito dalla guerra e travagliato dalle disparità sociali. Non ci sono regole, non ci sono valori, solamente frenesia, incomprensione, dolore e morte. Queste sono le cose che il giovane Ninja Kamui incontrerà lungo il suo cammino. La sua condizione ontologica di fuggitivo braccato ad eternum, in base alle numerose scene naturalistiche dell'anime - che raffigurano predatori e prede, mentre il sole si erge in alto come un disco monolitico ed impersonale, incurante del dramma umano - suggerisce il profondo pessimismo cosmico dell'opera: per Kamui la libertà è impossibile, in quanto la natura, con le sue leggi, ha decretato che ogni preda finirà immancabilmente nelle fauci del predatore. Non resta quindi che fuggire sottostando alle sue regole, uccidendo per sopravvivere e aspettando, nella più completa solitudine, la venuta della morte.
Valutata come anime Ninja in sé, la cupa epopea nichilista del Ninja Kamui eccelle sotto tutti i punti di vista: i combattimenti, nonostante siano stati animati più di quarant'anni fa, sono comunque spettacolari; il dramma è crudo, senza sconti per lo spettatore: l'umanizzazione di alcuni antagonisti - tra i quali sono presenti anche numerose donne - spesso renderà la loro dipartita un'evento tragico e drammatico; la storia d'amore presente nell'anime è anch'essa tragica, virile e senza speranza, ben lontana dal solito happy ending che va tanto di moda ai giorni nostri. La continuity degli episodi è serrata, anche se il solito canovaccio del Ninja che vuole ammazzare Kamui puntualmente fatto a pezzi - anche con l'ausilio di cavalli selvatici e tartarughe che spuntano fuori dal nulla al momento più opportuno (!) - in alcune puntate si dimostra leggermente ridondante. Quello che rimane comunque impresso è il messaggio di fondo dell'opera, la sua atmosfera scarna e cupa, la sua profonda "giapponesità"; infatti, " Ninpuu Kamui gaiden" è l'anime giapponese più "giapponese stricto sensu" che abbia mai visto. Siamo ben lontani dagli eroi perfetti ed immortali creati negli anni '80 prendendo ad esempio quelli dei comics americani: Kamui è un antieroe tragico che prova paura, smarrimento, che uccide donne e bambini innocenti temendo che siano sicari inviati dal clan Iga per ucciderlo. Non c'è alcun filtro inibitore nel mostrare personaggi che muiono, situazioni tragiche e nichilismo accompagnato da carneficine varie - il tutto senza musiche epiche, solamente con il rumore del vento che squarcia la quiete della notte sinistra e silenziosa; oppure il fruscio inquietante di un serpente che stritola la sua preda; gli angoscianti latrati dei cani selvatici. Si respira quella situazione di "annullamento" tipica della cultura orientale, in cui, a differenza del pensiero occidentale, la morte non è concepita come una cosa negativa, ma sfocia in un nulla che in questo caso ha valenza positiva e liberatoria. Anche il character design è tipicamente giapponese: i tratti dei personaggi, sopratutto quelli feminili, sono estremamente fedeli all'antica cultura artistica del sol levante, allo stesso modo del mare, che sembra appena uscito da un dipinto di Hokusai.
In conclusione, prendendo la maggiorparte degli anime shonen da combattimento odierni, pieni di fanservice otaku ed ipocrite ruffianate allo spettatore, e confrontandoli con opere come il suddetto "Ninpuu Kamui gaiden", personalmente ho notato l'abisso tra i giapponesi di adesso e i giapponesi di allora. Sembra quasi che essi abbiano perso la loro identità, le loro radici, oppure che non sappiano più trasmettere la loro cultura in modo soddisfacente attraverso gli anime (a parte poche eccezioni, sia inteso). Il continuo processo di occidentalizzazione in qualche modo ha snaturato l'antico carisma del paese del sol levante, che emerge senza eccessive contaminazioni dalle opere di animazione degli anni '60 e '70. Il ragazzo giapponese del dopoguerra che consumava opere gekiga era esattamente l'opposto dell'otaku rintanato in casa ad ammirare le capziosità degli interminabili shonen commerciali "alla Naruto", dove la patologica assenza di contenuti, di spessore delle vicende trattate, l'alienazione dai problemi dell'esistenza e della vita hanno avuto la meglio sul triste passato di un popolo orientale fiero, affascinante, segnato indelebilmente dalla tragedia del dopoguerra e dalla durezza della sua stessa tradizione. Evidentemente i tempi sono cambiati.
Salta subito all'occhio il fatto che questo anime sia uscito nel lontano 1969. All'epoca in Giappone erano in corso rivolte studentesche, agitazioni sociali di vario tipo, la povertà ed il caos derivanti dalla perdita della guerra, uniti al frenetico climax dell'industrializzazione, avevano temprato la generazione di giovani giapponesi del periodo, che richiedeva per il suo intrattenimento prodotti socialmente impegnati, nei quali fosse presente una ribellione contro la società e l'ordine costituito. Il gekiga di Sampei Shirato, autore del qui presente "Ninpuu Kamui gaiden ", nasce proprio per rispondere alle esigenze tipiche dei giovani dell'epoca: si tratta di storie adulte, impegnate, in cui la ribellione e la denuncia sociale fanno da padroni. Kamui è il giovane giapponese dell'epoca, che si ribella alla società di vecchio stampo tradizionalista legata al profitto - in questo caso rappresentata dal clan Iga, vero e proprio servo degli interessi dei ricchi proprietari terrieri - e che, nella sua fuga continua e senza speranza, incontra l'atroce indifferenza dei contadini, dei taglialegna, delle persone "non rivoluzionarie" che con la loro apatia e la loro cattiveria mantengono la società in stallo, privandola del cambiamento necessario ad una sua evoluzione.
Il periodo Edo di "Ninpuu Kamui gaiden" è un'evidente metafora del Giappone in crisi, appena uscito dalla guerra e travagliato dalle disparità sociali. Non ci sono regole, non ci sono valori, solamente frenesia, incomprensione, dolore e morte. Queste sono le cose che il giovane Ninja Kamui incontrerà lungo il suo cammino. La sua condizione ontologica di fuggitivo braccato ad eternum, in base alle numerose scene naturalistiche dell'anime - che raffigurano predatori e prede, mentre il sole si erge in alto come un disco monolitico ed impersonale, incurante del dramma umano - suggerisce il profondo pessimismo cosmico dell'opera: per Kamui la libertà è impossibile, in quanto la natura, con le sue leggi, ha decretato che ogni preda finirà immancabilmente nelle fauci del predatore. Non resta quindi che fuggire sottostando alle sue regole, uccidendo per sopravvivere e aspettando, nella più completa solitudine, la venuta della morte.
Valutata come anime Ninja in sé, la cupa epopea nichilista del Ninja Kamui eccelle sotto tutti i punti di vista: i combattimenti, nonostante siano stati animati più di quarant'anni fa, sono comunque spettacolari; il dramma è crudo, senza sconti per lo spettatore: l'umanizzazione di alcuni antagonisti - tra i quali sono presenti anche numerose donne - spesso renderà la loro dipartita un'evento tragico e drammatico; la storia d'amore presente nell'anime è anch'essa tragica, virile e senza speranza, ben lontana dal solito happy ending che va tanto di moda ai giorni nostri. La continuity degli episodi è serrata, anche se il solito canovaccio del Ninja che vuole ammazzare Kamui puntualmente fatto a pezzi - anche con l'ausilio di cavalli selvatici e tartarughe che spuntano fuori dal nulla al momento più opportuno (!) - in alcune puntate si dimostra leggermente ridondante. Quello che rimane comunque impresso è il messaggio di fondo dell'opera, la sua atmosfera scarna e cupa, la sua profonda "giapponesità"; infatti, " Ninpuu Kamui gaiden" è l'anime giapponese più "giapponese stricto sensu" che abbia mai visto. Siamo ben lontani dagli eroi perfetti ed immortali creati negli anni '80 prendendo ad esempio quelli dei comics americani: Kamui è un antieroe tragico che prova paura, smarrimento, che uccide donne e bambini innocenti temendo che siano sicari inviati dal clan Iga per ucciderlo. Non c'è alcun filtro inibitore nel mostrare personaggi che muiono, situazioni tragiche e nichilismo accompagnato da carneficine varie - il tutto senza musiche epiche, solamente con il rumore del vento che squarcia la quiete della notte sinistra e silenziosa; oppure il fruscio inquietante di un serpente che stritola la sua preda; gli angoscianti latrati dei cani selvatici. Si respira quella situazione di "annullamento" tipica della cultura orientale, in cui, a differenza del pensiero occidentale, la morte non è concepita come una cosa negativa, ma sfocia in un nulla che in questo caso ha valenza positiva e liberatoria. Anche il character design è tipicamente giapponese: i tratti dei personaggi, sopratutto quelli feminili, sono estremamente fedeli all'antica cultura artistica del sol levante, allo stesso modo del mare, che sembra appena uscito da un dipinto di Hokusai.
In conclusione, prendendo la maggiorparte degli anime shonen da combattimento odierni, pieni di fanservice otaku ed ipocrite ruffianate allo spettatore, e confrontandoli con opere come il suddetto "Ninpuu Kamui gaiden", personalmente ho notato l'abisso tra i giapponesi di adesso e i giapponesi di allora. Sembra quasi che essi abbiano perso la loro identità, le loro radici, oppure che non sappiano più trasmettere la loro cultura in modo soddisfacente attraverso gli anime (a parte poche eccezioni, sia inteso). Il continuo processo di occidentalizzazione in qualche modo ha snaturato l'antico carisma del paese del sol levante, che emerge senza eccessive contaminazioni dalle opere di animazione degli anni '60 e '70. Il ragazzo giapponese del dopoguerra che consumava opere gekiga era esattamente l'opposto dell'otaku rintanato in casa ad ammirare le capziosità degli interminabili shonen commerciali "alla Naruto", dove la patologica assenza di contenuti, di spessore delle vicende trattate, l'alienazione dai problemi dell'esistenza e della vita hanno avuto la meglio sul triste passato di un popolo orientale fiero, affascinante, segnato indelebilmente dalla tragedia del dopoguerra e dalla durezza della sua stessa tradizione. Evidentemente i tempi sono cambiati.
Recensione di GianniGreed
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Iniziamo subito con il dire che, visto il titolo del film in questione, è difficile non fare spoiler su una parte della storia, ma credo anche che chi lo guarderà e leggerà questa recensione sia a conoscenza delle premesse, perciò non mi farò problemi.
"One Piece - 3D2Y: Superare la morte di Ace! La promessa di Luffy ai suoi amici", è uno special televisivo di quasi due ore che ha per protagonista Luffy, ed è incentrato su un'avventura vissuta dal nostro capitano dal cappello di paglia accaduta durante i due anni di vuoto narrativo nel manga e nell'anime originale.
Non sto a spiegare tutta la trama di "One Piece" perché sarebbe inutile, ma ad un certo punto della storia, in uno dei momenti più intensi del manga, Luffy si ritrova a dover combattere per salvare suo fratello Ace dall'esecuzione. Purtroppo non ci riesce, e quando si ritrova con il fratello morto tra le braccia, Luffy, un personaggio incredibile, ha per la prima volta una reazione credibile, umana. Ferito nel fisico e mentalmente distrutto, crede di non avere più uno scopo nella vita, ma Jinbe gli ricorda che ci sono ancora i suoi otto compagni: Zoro, Nami, Sanji, Usopp, Chopper, Robin, Franky e Brook. A loro Luffy aveva fatto una promessa, quella di rivedersi dopo tre giorni e partire insieme verso il Nuovo Mondo. A causa però dell'attacco di Kuma Bartholomew, i suoi compagni sono dispersi e Luffy ha capito che non sono ancora pronti per la nuova avventura. Per questo decide di allenarsi sotto la guida di Rayleigh, e l'appuntamento con i compagni è posticipato: il luogo è lo stesso, la data però è tra due anni.
Ciò che succede dopo, ormai è noto, i personaggi si ritrovano, più forti ma cambiati. Luffy ha anche una grande cicatrice sul petto. Cosa è successo in questi due anni non è noto, Oda, l'autore del manga, ha solo realizzato piccole vignette, ma per il resto è tutto avvolto nel mistero.
Ed è qui che inizia il film. Luffy si sta allenando sotto la guida di Rayleigh a controllare il potere dell'Haki, o Ambizione, come è stata chiamata nel manga in Italia. Mente però si allena, si ritrova faccia a faccia con Byrnndi World, un pirata evaso da Impel Down nella grande fuga causata proprio da Luffy. World decide di attaccare il Governo Mondiale, cominciando dalla Flotta dei Sette, e visto che la più a portata di mano è Hancock, decide di iniziare da lei. Ovviamente Luffy non può stare a guardare e decide di combattere.
Ora, a me il film è piaciuto abbastanza, non è un capolavoro ma è nella media dei film di "One Piece". Sono un po' deluso dal fatto che la storia è incentrata solo ed esclusivamente su Luffy, e invece degli altri Mugiwara non c'è nessuna traccia. Luffy da solo, per quanto sia un bel personaggio, non rende al meglio e ha bisogno dei suoi compagni per risaltare. Ad accompagnarlo in questo film c'è Hancock e in parte Baggy, che riescono a fare pesare meno la cosa, ma si sente la mancanza ad esempio di Zoro o di Nami.
Il nemico del film, tale Byrnndi World, è abbastanza ben caratterizzato e ha i poteri di un Frutto del Diavolo che, pur non essendo molto originale, risulta essere molto versatile e soprattutto potente. E' interessante il confronto tra lui, che ormai è disilluso, non ha più un sogno e ha perso la fiducia nei suoi compagni, e Luffy, che invece per gli amici sarebbe pronto a sacrificare la vita. Non c'è chissà quale confronto psicologico tra i due, ma un paio di dialoghi non sono niente male.
Risaltano meno i comprimari di Byrnndi World, ma in combattimento si fanno valere grazie a tecniche e poteri decisamente interessanti.
Molto bello vedere in azione Baggy, un personaggio simpaticissimo e che purtroppo si vede troppo poco nella storia, ma anche Hancock, che è semplicemente divina, anche in combattimento.
Sul versante tecnico, il film si presenta curato quanto basta. I disegni e le animazioni risultano più curate rispetto alla media degli episodi TV, ma lontani da quanto visto nei film per il cinema. Ci sono un paio di scene animate un po' male e con qualche imprecisione, ma nulla che si noti troppo, e nel complesso i disegni sono ben fatti.
Doppiaggio e musiche rimangono quelle della serie anime, tutto molto bello e d'effetto.
Da segnalare infine che nel finale del film l'ultima scena presenta uno spoiler abbastanza importante per chi segue solo l'edizione italiana del manga.
In conclusione, se siete fan di "One Piece" la visione è d'obbligo. Questo special non aggiunge poi molto alla storia e alla fine risulta tutto sommato inutile, ma resta comunque gradevole da guardare.
"One Piece - 3D2Y: Superare la morte di Ace! La promessa di Luffy ai suoi amici", è uno special televisivo di quasi due ore che ha per protagonista Luffy, ed è incentrato su un'avventura vissuta dal nostro capitano dal cappello di paglia accaduta durante i due anni di vuoto narrativo nel manga e nell'anime originale.
Non sto a spiegare tutta la trama di "One Piece" perché sarebbe inutile, ma ad un certo punto della storia, in uno dei momenti più intensi del manga, Luffy si ritrova a dover combattere per salvare suo fratello Ace dall'esecuzione. Purtroppo non ci riesce, e quando si ritrova con il fratello morto tra le braccia, Luffy, un personaggio incredibile, ha per la prima volta una reazione credibile, umana. Ferito nel fisico e mentalmente distrutto, crede di non avere più uno scopo nella vita, ma Jinbe gli ricorda che ci sono ancora i suoi otto compagni: Zoro, Nami, Sanji, Usopp, Chopper, Robin, Franky e Brook. A loro Luffy aveva fatto una promessa, quella di rivedersi dopo tre giorni e partire insieme verso il Nuovo Mondo. A causa però dell'attacco di Kuma Bartholomew, i suoi compagni sono dispersi e Luffy ha capito che non sono ancora pronti per la nuova avventura. Per questo decide di allenarsi sotto la guida di Rayleigh, e l'appuntamento con i compagni è posticipato: il luogo è lo stesso, la data però è tra due anni.
Ciò che succede dopo, ormai è noto, i personaggi si ritrovano, più forti ma cambiati. Luffy ha anche una grande cicatrice sul petto. Cosa è successo in questi due anni non è noto, Oda, l'autore del manga, ha solo realizzato piccole vignette, ma per il resto è tutto avvolto nel mistero.
Ed è qui che inizia il film. Luffy si sta allenando sotto la guida di Rayleigh a controllare il potere dell'Haki, o Ambizione, come è stata chiamata nel manga in Italia. Mente però si allena, si ritrova faccia a faccia con Byrnndi World, un pirata evaso da Impel Down nella grande fuga causata proprio da Luffy. World decide di attaccare il Governo Mondiale, cominciando dalla Flotta dei Sette, e visto che la più a portata di mano è Hancock, decide di iniziare da lei. Ovviamente Luffy non può stare a guardare e decide di combattere.
Ora, a me il film è piaciuto abbastanza, non è un capolavoro ma è nella media dei film di "One Piece". Sono un po' deluso dal fatto che la storia è incentrata solo ed esclusivamente su Luffy, e invece degli altri Mugiwara non c'è nessuna traccia. Luffy da solo, per quanto sia un bel personaggio, non rende al meglio e ha bisogno dei suoi compagni per risaltare. Ad accompagnarlo in questo film c'è Hancock e in parte Baggy, che riescono a fare pesare meno la cosa, ma si sente la mancanza ad esempio di Zoro o di Nami.
Il nemico del film, tale Byrnndi World, è abbastanza ben caratterizzato e ha i poteri di un Frutto del Diavolo che, pur non essendo molto originale, risulta essere molto versatile e soprattutto potente. E' interessante il confronto tra lui, che ormai è disilluso, non ha più un sogno e ha perso la fiducia nei suoi compagni, e Luffy, che invece per gli amici sarebbe pronto a sacrificare la vita. Non c'è chissà quale confronto psicologico tra i due, ma un paio di dialoghi non sono niente male.
Risaltano meno i comprimari di Byrnndi World, ma in combattimento si fanno valere grazie a tecniche e poteri decisamente interessanti.
Molto bello vedere in azione Baggy, un personaggio simpaticissimo e che purtroppo si vede troppo poco nella storia, ma anche Hancock, che è semplicemente divina, anche in combattimento.
Sul versante tecnico, il film si presenta curato quanto basta. I disegni e le animazioni risultano più curate rispetto alla media degli episodi TV, ma lontani da quanto visto nei film per il cinema. Ci sono un paio di scene animate un po' male e con qualche imprecisione, ma nulla che si noti troppo, e nel complesso i disegni sono ben fatti.
Doppiaggio e musiche rimangono quelle della serie anime, tutto molto bello e d'effetto.
Da segnalare infine che nel finale del film l'ultima scena presenta uno spoiler abbastanza importante per chi segue solo l'edizione italiana del manga.
In conclusione, se siete fan di "One Piece" la visione è d'obbligo. Questo special non aggiunge poi molto alla storia e alla fine risulta tutto sommato inutile, ma resta comunque gradevole da guardare.
Barakamon
9.0/10
La vita è come la scia d'inchiostro lasciata da un pennello. Alcune volte sei tu in prima persona a tracciare con mano ferma il percorso da seguire. Altre volte è qualcun altro a disegnare per te la strada sulla quale camminare. Fino al suo trasferimento nelle isole Gotō, Handa Seishū, un ventitreenne genio della calligrafia, non aveva fatto altro che intingere i piedi nel calamaio di suo padre e zampettare freneticamente qua e là, senza comprendere fino in fondo l'importanza della sua arte. Il tutto si rifletteva in uno stile calligrafico scolastico ed impersonale. Quando un illustre critico lo pone di fronte alla realtà dei fatti, dà in escandescenze e mena il povero anziano creando malcontento nell'opinione pubblica. Di rimando viene espulso dalla civiltà, spedito su quest'arcipelago nell'estremo sud del Giappone in mezzo a pescatori e contadini, con la caldaia a manovella e mocciosi che entrano e escono da casa sua eletta quasi a "covo malavitoso", senza dargli un po' di serenità per dedicarsi al perfezionamento della scrittura. Sballottato in lungo e in largo, fra mare e montagna, insetti, pesci e felini, festival e ricorrenze, in questo putiferio immerso nella natura e imbevuto di tradizioni, Handa scopre forse per la prima volta il calore umano, la meraviglia, il sapore del preparato in casa, il preoccuparsi per i familiari... E tanti altri sentimenti che arricchiscono piano piano il suo pennello, finché questo non inizia ad esprimersi in uno stile tutto nuovo. Stavolta a disegnargli davanti ai piedi è una bambina di 7 anni dall'accento spiccatamente meridionale, Kotoishi Naru, che sorridente e curiosa, sbatte il pennello a destra e a manca macchiando tutta la tela del malcapitato Handa. E voltandosi verso il nuovo arrivato con aria di sfida, come se volesse dirgli che ha capito il senso dell'esistere prima di lui, si diverte a scombussolarne la tranquillità assieme ai suoi amici e compaesani, trascinando il sensei in una spirale imprevedibile di irregolarità. Bambino fra i bambini, Handa insegue la sua infanzia negata, imparando dalle piccole cose lo splendore dello stare al mondo. Discontinuo e innovativo, creativo e sperimentale, in continua evoluzione: il nuovo stile calligrafico di Handa riflette la sua crescita, che è un po' la crescita di tutti, in questo ciclo di esperienze e fallimenti che è la vita umana, la quale va presa col sorriso, proprio come fa Naru.
La calligrafia è una vera arte per i paesi dell'Estremo Oriente che utilizzano come sistema di scrittura gli ideogrammi. La sua essenza non risiede nel significato letterale del carattere ma nell'emozione trasmessa attraverso la pittura di esso. Porre lo shodō (書道, la via della scrittura) al centro di una storia qual è Barakamon, manga di Yoshino Satsuki animato dallo studio Kinema Citrus, se da un lato può essere un riferimento immediato per un giapponese che ha nella sua quotidianità gli ideogrammi, per un occidentale diventa complesso riuscire ad assorbire il concetto di calligrafia in tutti i suoi livelli di strutturazione. In realtà, dubito che anche la generazione di oggi del Sol Levante sia capace di comprenderne fino in fondo la portata, poiché diventa sempre più esiguo il numero di giovani che si interessa all'arte, e così come è successo per il teatro kabuki, per la cerimonia del tè, per l'ikebana, per la ceramica, col tempo alcune branche in cui il Giappone eccelle sono diventate appannaggio di pochi. D'altre parte, l'arte calligrafica richiede anni e anni di preparazione, ore di esercitazioni, sessioni di studi filologici, e una grande conoscenza del sostrato culturale dal quale si vuole attingere. Iniziare fin dalla tenera età alla via della scrittura significa sottrarre il bambino a tanti piaceri dell'infanzia, che se hai la fortuna come Handa di vivere da adulto, allora puoi ancora ampliare il tuo bagaglio, ma per quelli che quest'esperienze non potranno più farle, sarà dura riuscire a trovare una strada con la quale riaccendere il proprio estro creativo.
Tuttavia, Barakamon non si ferma solo a parlare di questo. L'idea paterna di spedire Handa nelle isole Gotō, nella prefettura di Nagasaki nell'estremo sud del Kyūshū, dove il tempo sembra aver cristallizzato gli abitanti durante il periodo feudale, è come fargli fare un bagno nelle tradizioni e in quello spirito genuino che caratterizzava il Giappone di qualche secolo fa. Accompagnando al loro stile di vita da pescatori e contadini la scoperta della modernità, gli isolani dell'arcipelago Gotō conservano l'umiltà che ad un vinto come Handa serve imparare. Per disseppellire il proprio io da quell'accozzaglia di carte, pennelli, macchie d'inchiostro, stampi, mescolati alla presunzione di aver già raggiunto dei traguardi con uno stile pulito ma altresì scolastico, Handa prende per mano quella dispettosa bambina bionda dal dialetto marcato, appassionata di insetti, curiosa, innamorata della vita, e da lei acquisisce la conoscenza che mancava alla sua scrittura. E così sarà anche per lo spettatore. Naru ha uno dei sorrisi più belli della storia dell'animazione ed è la dimostrazione lampante di quanto un bambino ha da insegnare ad un adulto. La spensieratezza che possiede l'aiuta ad affrontare il presente con leggerezza, scherzosamente, prendendo il negativo come fa con gli scarafaggi e mostrando la preda al mondo con gli occhi di chi ce l'ha fatta. Ad un topo di laboratorio come Handa, che ha passato l'intera esistenza rinchiuso a scrivere, concentrandosi su come migliorare il proprio tocco, senza nemmeno accorgersene, in maniera del tutto naturale, proprio come solo ai bambini riesce, Naru mostra la natura e i suoi figli, la freschezza delle sere d'estate, la meraviglia dei fuochi d'artificio, il sapore della famiglia, la purezza di un pianto, il dolore di una ferita, il divertimento dietro la fatica, il calore di un bagno a casa propria, la gioia della conquista di un nuovo tesoro, l'importanza dei legami e delle gerarchie, la lezione al di là della storia, l'affetto dietro un'attesa, l'autenticità dell'esistenza umana in ogni sua forma.
Il rapporto unilaterale sensei-gakusei viene invertito, in un'eco che risuona de "Il cuore delle cose" di Natsume Sōseki. In Barakamon è Handa ad imparare da Naru, è il maestro ad abbassarsi verso la piccola studentessa per guardarla negli occhi, prendere le sue mani e lasciarsi guidare. Handa prova ad insegnarle l'unica cosa che sa fare, seguire la via della scrittura, ma è Naru a penetrare negli angoli del suo cuore, facendolo riecheggiare di suoni che originano un effetto domino sul suo vissuto, concatenando eventi, emozioni, scelte, fino a donargli quello che cercava e che su quell'isola sperduta non immaginava di trovare. Il senso del vivere lì si abbatte prepotente sul futuro del sensei, smuovendo il desiderio di non abbandonare quel posto che lo ha accolto come un neonato, lo ha cullato, nutrito, educato, amato, facendolo sentire a casa. La dimensione di familiarità che si crea fra i personaggi e fra lo spettatore e quest'ultimi è infatti un'altra meraviglia di Barakamon. Nella sua misura di slice of life, fa scoprire la vita giorno per giorno, emergendo come una serie che intrattiene con situazioni normali, pur se affrontate da personaggi piuttosto eccentrici. Oltre Handa e Naru, che con i loro siparietti potrebbero reggere da soli l'anime sulle spalle, c'è un contorno di comprimari degno di una commedia goldoniana.
Molto curato dal punto di vista tecnico, Barakamon ha un chara design che valorizza in pieno la bellezza dei soggetti e un deformed design che velocizza la comicità. In particolare, i bambini sono la cosa più pucciosa che esista! Il punto forte dell'anime è l'ambientazione nelle isole Gotō, che appaiono agli occhi di uno straniero come la rappresentazione genuina del Giappone di un po' di tempo fa, quella nazione che ancora non era stata intaccata nei sentimenti dalla guerra e che tanto affascinava i paesi esteri. Ottima la prova al doppiaggio della giovanissima Hara Suzuko, che riesce a rendere bene la parlata dialettale di Naru, sicuramente difficile per una ragazzina di 9 anni nata nella prefettura di Kanagawa. Altrettanto valido è stato il lavoro con Handa di Ono Daisuke, ritrovatosi a collaborare assieme ad una partner alle prime armi, con la quale, come emerge da alcuni photoset, sembra aver instaurato un rapporto quasi "paterno". In generale, doppiaggio più che buono, ma sotto questo punto di vista il made in Japan si smentisce raramente. Anche l'OST è gradevole e i testi delle canzoni d'apertura e chiusura sono l'immagine specchiata della serie. Alcuni versi dell'opening theme cantata dalla rock band Super Beaver, infatti, potrebbero riassumere il significato della storia: "Mi domando: cosa significa "essere se stessi"? Il tempo potrà pure passare, ma non riuscirà mai a cancellare ciò che è veramente importante. Quindi la strada da percorrere è una vita in continuo cambiamento." Attraverso l'immedesimazione nel protagonista, lo spettatore riesce ad imparare in maniera divertente, senza troppo impegno, tante piccole lezioni, che spesso nel viavai del tempo della vita di città si dimenticano. Soprattutto la semplicità, che i giovani d'oggi decantano di possedere, ma che a conti fatti nascondono sotto pesanti strati di trucco e dietro aggeggi tecnologici. Solo quelli che hanno un cuore disilluso potrebbero non riuscire ad apprezzare gli insegnamenti di Barakamon. Come una mamma quando accarezza quel birbante di suo figlio in lacrime dopo essere caduto, questa tela sapientemente dipinta a più mani coccola la "persona molta vivace" (ばらかもん, barakamon vuol dire proprio questo in dialetto) che eravamo un tempo, la quale, nonostante la ferita gli pizzichi ancora, non ha paura di svegliarsi, vivere e amare.
La calligrafia è una vera arte per i paesi dell'Estremo Oriente che utilizzano come sistema di scrittura gli ideogrammi. La sua essenza non risiede nel significato letterale del carattere ma nell'emozione trasmessa attraverso la pittura di esso. Porre lo shodō (書道, la via della scrittura) al centro di una storia qual è Barakamon, manga di Yoshino Satsuki animato dallo studio Kinema Citrus, se da un lato può essere un riferimento immediato per un giapponese che ha nella sua quotidianità gli ideogrammi, per un occidentale diventa complesso riuscire ad assorbire il concetto di calligrafia in tutti i suoi livelli di strutturazione. In realtà, dubito che anche la generazione di oggi del Sol Levante sia capace di comprenderne fino in fondo la portata, poiché diventa sempre più esiguo il numero di giovani che si interessa all'arte, e così come è successo per il teatro kabuki, per la cerimonia del tè, per l'ikebana, per la ceramica, col tempo alcune branche in cui il Giappone eccelle sono diventate appannaggio di pochi. D'altre parte, l'arte calligrafica richiede anni e anni di preparazione, ore di esercitazioni, sessioni di studi filologici, e una grande conoscenza del sostrato culturale dal quale si vuole attingere. Iniziare fin dalla tenera età alla via della scrittura significa sottrarre il bambino a tanti piaceri dell'infanzia, che se hai la fortuna come Handa di vivere da adulto, allora puoi ancora ampliare il tuo bagaglio, ma per quelli che quest'esperienze non potranno più farle, sarà dura riuscire a trovare una strada con la quale riaccendere il proprio estro creativo.
Tuttavia, Barakamon non si ferma solo a parlare di questo. L'idea paterna di spedire Handa nelle isole Gotō, nella prefettura di Nagasaki nell'estremo sud del Kyūshū, dove il tempo sembra aver cristallizzato gli abitanti durante il periodo feudale, è come fargli fare un bagno nelle tradizioni e in quello spirito genuino che caratterizzava il Giappone di qualche secolo fa. Accompagnando al loro stile di vita da pescatori e contadini la scoperta della modernità, gli isolani dell'arcipelago Gotō conservano l'umiltà che ad un vinto come Handa serve imparare. Per disseppellire il proprio io da quell'accozzaglia di carte, pennelli, macchie d'inchiostro, stampi, mescolati alla presunzione di aver già raggiunto dei traguardi con uno stile pulito ma altresì scolastico, Handa prende per mano quella dispettosa bambina bionda dal dialetto marcato, appassionata di insetti, curiosa, innamorata della vita, e da lei acquisisce la conoscenza che mancava alla sua scrittura. E così sarà anche per lo spettatore. Naru ha uno dei sorrisi più belli della storia dell'animazione ed è la dimostrazione lampante di quanto un bambino ha da insegnare ad un adulto. La spensieratezza che possiede l'aiuta ad affrontare il presente con leggerezza, scherzosamente, prendendo il negativo come fa con gli scarafaggi e mostrando la preda al mondo con gli occhi di chi ce l'ha fatta. Ad un topo di laboratorio come Handa, che ha passato l'intera esistenza rinchiuso a scrivere, concentrandosi su come migliorare il proprio tocco, senza nemmeno accorgersene, in maniera del tutto naturale, proprio come solo ai bambini riesce, Naru mostra la natura e i suoi figli, la freschezza delle sere d'estate, la meraviglia dei fuochi d'artificio, il sapore della famiglia, la purezza di un pianto, il dolore di una ferita, il divertimento dietro la fatica, il calore di un bagno a casa propria, la gioia della conquista di un nuovo tesoro, l'importanza dei legami e delle gerarchie, la lezione al di là della storia, l'affetto dietro un'attesa, l'autenticità dell'esistenza umana in ogni sua forma.
Il rapporto unilaterale sensei-gakusei viene invertito, in un'eco che risuona de "Il cuore delle cose" di Natsume Sōseki. In Barakamon è Handa ad imparare da Naru, è il maestro ad abbassarsi verso la piccola studentessa per guardarla negli occhi, prendere le sue mani e lasciarsi guidare. Handa prova ad insegnarle l'unica cosa che sa fare, seguire la via della scrittura, ma è Naru a penetrare negli angoli del suo cuore, facendolo riecheggiare di suoni che originano un effetto domino sul suo vissuto, concatenando eventi, emozioni, scelte, fino a donargli quello che cercava e che su quell'isola sperduta non immaginava di trovare. Il senso del vivere lì si abbatte prepotente sul futuro del sensei, smuovendo il desiderio di non abbandonare quel posto che lo ha accolto come un neonato, lo ha cullato, nutrito, educato, amato, facendolo sentire a casa. La dimensione di familiarità che si crea fra i personaggi e fra lo spettatore e quest'ultimi è infatti un'altra meraviglia di Barakamon. Nella sua misura di slice of life, fa scoprire la vita giorno per giorno, emergendo come una serie che intrattiene con situazioni normali, pur se affrontate da personaggi piuttosto eccentrici. Oltre Handa e Naru, che con i loro siparietti potrebbero reggere da soli l'anime sulle spalle, c'è un contorno di comprimari degno di una commedia goldoniana.
Molto curato dal punto di vista tecnico, Barakamon ha un chara design che valorizza in pieno la bellezza dei soggetti e un deformed design che velocizza la comicità. In particolare, i bambini sono la cosa più pucciosa che esista! Il punto forte dell'anime è l'ambientazione nelle isole Gotō, che appaiono agli occhi di uno straniero come la rappresentazione genuina del Giappone di un po' di tempo fa, quella nazione che ancora non era stata intaccata nei sentimenti dalla guerra e che tanto affascinava i paesi esteri. Ottima la prova al doppiaggio della giovanissima Hara Suzuko, che riesce a rendere bene la parlata dialettale di Naru, sicuramente difficile per una ragazzina di 9 anni nata nella prefettura di Kanagawa. Altrettanto valido è stato il lavoro con Handa di Ono Daisuke, ritrovatosi a collaborare assieme ad una partner alle prime armi, con la quale, come emerge da alcuni photoset, sembra aver instaurato un rapporto quasi "paterno". In generale, doppiaggio più che buono, ma sotto questo punto di vista il made in Japan si smentisce raramente. Anche l'OST è gradevole e i testi delle canzoni d'apertura e chiusura sono l'immagine specchiata della serie. Alcuni versi dell'opening theme cantata dalla rock band Super Beaver, infatti, potrebbero riassumere il significato della storia: "Mi domando: cosa significa "essere se stessi"? Il tempo potrà pure passare, ma non riuscirà mai a cancellare ciò che è veramente importante. Quindi la strada da percorrere è una vita in continuo cambiamento." Attraverso l'immedesimazione nel protagonista, lo spettatore riesce ad imparare in maniera divertente, senza troppo impegno, tante piccole lezioni, che spesso nel viavai del tempo della vita di città si dimenticano. Soprattutto la semplicità, che i giovani d'oggi decantano di possedere, ma che a conti fatti nascondono sotto pesanti strati di trucco e dietro aggeggi tecnologici. Solo quelli che hanno un cuore disilluso potrebbero non riuscire ad apprezzare gli insegnamenti di Barakamon. Come una mamma quando accarezza quel birbante di suo figlio in lacrime dopo essere caduto, questa tela sapientemente dipinta a più mani coccola la "persona molta vivace" (ばらかもん, barakamon vuol dire proprio questo in dialetto) che eravamo un tempo, la quale, nonostante la ferita gli pizzichi ancora, non ha paura di svegliarsi, vivere e amare.
È forse la prima volta che condivido dalla prima all'ultima parola una recensione, non aggiungerei altro tanto descrive bene la vicenda e l'atmosfera in cui avviene. Anche sulle conclusioni concordo al 100%, si tratta davvero di un anime di un altro tempo, un gioiello che continua a brillare ancora dopo ben 46 anni dalla sua uscita sui teleschermi giapponesi. E con i tempi che corrono credo proprio che nulla di ciò che viene prodotto oggi possa paragonarsi a livello di intensità e coinvolgimento emozionale con Kamui gaiden. Consiglio caldamente a tutti di vedere questa serie, e di farlo togliendosi il pregiudizio dell'antichità del prodotto. Quel design può spiazzare, è vero, l'animazione, che per quell'epoca era più che buona, oggi è sorpassata, però la trama è davvero inossidabile e la caratterizzazione del protagonista è sublime. Se volete avere uno spaccato senza gli ipocriti veli della retorica della società giapponese della seconda metà del diciassettesimo secolo Ninpuu Kamui gaiden rimane un titolo imprescindibile!
Ho visto Ninja Kamui e mi è piaciuto, ma forse il 10 in pagella è un po' troppo. Il contesto, la caratterizzazione del personaggio principale e le ambientazioni vengono descritte molto bene, ma dieci significa perfezione e questo prodotto non lo è. La colonna sonora è monotematica (anche se molto apprezzabile) e il chara design spesso lascia a desiderare (tutti i bambini/adolescenti incrociati da Kamui sembrano praticamente gemelli). Certi incontri sono surreali, con tecniche che assomigliano al teletrasporto. Verso la fine addirittura vediamo un cane cavalcare un cavallo e sconfiggere tre ninja assassini (pensando una strategia di combattimento meglio di un essere umano in carne ed ossa). L'episodio conclusivo mi ha lasciato un pochino l'amaro in bocca, mi aspettavo un regolamento di conti e invece tutto viene lasciato così com'è, e la storia pare quasi "tronca". Forse gli autori volevano lasciare allo spettatore la sensazione di tormento e sofferenza eterna (facendo in modo che Kamui, anche dopo la fine della serie, continuasse imperterrito a patire le sue pene), ma così facendo hanno lasciato automaticamente in sospeso una grossa fetta della storia.
In definitiva l'ho apperezzato molto per la cura riservata al personaggio protagonista, alle sue paure e alle sue angosce, e per aver descritto in modo molto crudo la realtà di quell'epoca, ma l'opera possiede molti difetti (piccoli o grandi che siano), quindi, da parte mia, il massimo dei voti non glielo posso dare.
Il finale dice tutto quello che doveva dire, e' palese che l'opera sia allegorica.
Noto che le piace ricevere solo complimenti, appena qualcuno le muove qualche critica, sempre con rispetto ed educazione e senza nulla togliere alla sua recensione, si inalbera immediatamente, scrivendo in modo velatamente acido e snob. Beh, peggio per lei se la prende così, un recensore, di norma, dovrebbe saper accettare anche pareri contrari (per modo di dire, dato che ho semplicemente scritto che il 10 mi sembra esagerato, ma che l'opera ha un valore).
La tua critica e' fuori luogo, siccome criticare la mancanza di realismo nelle opere di Ninja e' abbastanza ridicolo. Forse ne hai viste poche. Cosi' come il chara, che puo' piacere o non piacere. Non posso scrivere nella recensione "il chara non piace all'utente X, quindi e' un difetto". Perche' potrebbe anche piacere ad altri (e in generale e' piaciuto, siccome Ninja Kamui e' un titolo storico di grande rilievo).
Gradirei critiche costruttive sulle quali fare un discorso sensato, di roba come "il voto e' troppo alto", "il chara fa schifo" e compagnia bella ne posso anche fare a meno. Grazie.
In una tua recensione hai criticato il realismo di Samurai Champloo, solo per qualche colpo di spada e qualche acrobazia superiore alla media in un anime espressamente "cazzaro", come tu setesso giustamente lo hai definito.
Comunque non ho mai scritto che "il chara fa schifo", ma che il chara è ripetitivo e sembra quasi fatto con lo stampino, in molte occasioni. Quindi la critica è motivata. Poi che per te non faccia alcuna differenza è un altro discorso.
Nella mia recensione a proposito ho scritto:
si parte alla grande, con un primo episodio dai combattimenti spettacolari, e si arriva a delle puntate finali sceneggiate malissimo, con dei power up eccessivi e spropositati, dosati male, ridicoli anche per un anime in cui si gioca a baseball nel periodo Edo. L'apparato action/coreografico nella prima parte della serie era molto più curato, e i power up venivano opportunamente dosati grazie a un utilizzo realistico della motion capture, basata, come detto in precedenza, sulla spettacolarità della capoeira. I combattimenti degli ultimi episodi, invece, non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli dei primi; l'invincibilità dei protagonisti è troppo ridicola, contando anche le pretese di semiserietà del finale
Quindi critico il dosaggio dei power up e la caduta stile del combattimento finale, non parlo di acrobazie, ne' colpi di spada.
Ti ricordo inoltre che nel tuo primo post hai scritto:
ma dieci significa perfezione e questo prodotto non lo è
La perfezione e' un cosa oggettiva, una cosa perfetta lo e' per tutti. Non sono l'unico acido snob qui dentro, a quanto pare.
Comunque non ho mai scritto che "il chara fa schifo", ma che il chara è ripetitivo e sembra quasi fatto con lo stampino, in molte occasioni. Quindi la critica è motivata. Poi che per te non faccia alcuna differenza è un altro discorso.
Anche nelle pitture antiche giapponesi i personaggi sono tutti uguali. E allora? Non sara' forse perche' i tratti somatici degli orientali sono molto simili e meno differenziati rispetto a quelli degli occidentali?
Barakamon è un anime a cui tengo molto, quindi nella recensione mi sono impegnata al massimo per tirare fuori le migliori parole che potevo usare per descriverlo. Spero sia arrivato il messaggio, nonostante la mia inettitudine...
Mi accodo, infine, a chi consiglia di vederlo. Non ve ne pentirete assolutamente!
@Ekros
Per me il voto è giusto, perché mi ha saputo emozionare, fa riflettere, non maltratta il tema della calligrafia, è un perla nel suo genere, i personaggi sono degnamente caratterizzati, ha un'OST valida, le animazioni sono buone... cosa gli manca per prendere 9?
Mah, non ho capito dove vuoi arrivare, mi pare di essere sempre stato abbastanza chiaro e cristallino nei miei commenti.
Comunque i Power Up di SC sono, appunto, i colpi di spada e le acrobazie esagerate. Il finale a me non è sembrato così fuori dalle righe, abbiamo visto di peggio durante gli altri episodi.
In ogni caso in un commento avevi manifestato la tua insofferenza nei confronti dell'autore (Watanabe), è per questo che ho citato SC, per farti capire che non eri stato obiettivo nel commentare i combattimenti di Kamui.
Stringendo: Mi sembra che ormai la coversazione sia arrivata alla deriva, e pian piano si sta trasformando in una sorta di arrampicamento sugli specchi per vedere chi ha diritto all'ultima parola. La sostanza non cambia, quello che avevo da dirti te l'ho detto molti commenti sopra e penso che per te sia lo stesso. Le opinioni evidentemente sono inconciliabili e a me va bene anche così.
In ogni caso in un commento avevi manifestato la tua insofferenza nei confronti dell'autore (Watanabe), è per qusto che ho citato SC, per farti capire che non eri stato obiettivo nel commentare i combattimenti di Kamui.
Vedi, io non vado in giro a dire che cosa e' perfetto e cosa non lo e'. A dire il vero, mi sembra un po' pretenzioso anche lo stesso concetto di "perfezione".
I power up sono anche quando i due si prendono un sacco di legnate, esplosioni, si fanno nuotate chilometriche e non si fanno un graffio. Poi, per quanto fossero assurde, anche io ammetto che nei primi episodi le coleografie erano ben fatte, ma poi ho visto un calo di stile. Tutto qui.
E se vuoi parlare di Samurai Champloo o aprire una campagna sulla scarsa obbiettivita' del sottoscritto fallo in altra sede, qui ormai a mio avviso siamo un po' off topic.
Spero comunque di aver detto le cose fondamentali che ci sono da dire su Ninja Kamui, che riguardano il contesto, i contenuti, l'importanza storica et similia, piu' che il votino della pagellina, il fatto che in due puntate compaiono cani sui cavalli o tartarughe, e che i giapponesi sono tutti uguali.
"Barakamon" è stato ben descritto la LaMelina: ho appena finito di vederlo e devo dire che mi ha lasciato proprio un'ottima impressione. Bello il rapporto Handa-Naru e ben sviluppata la crescita emotiva del protagonista. Tra l'altro ci sono alcune scene che mi hanno fatto ridere come da tempo non mi succedeva con un anime.
Complimenti ai recensori!
Verissimo, se l'avessi visto da bambino mi sarebbero venuti gli incubi la notte.
Ringrazio micheles, che me l'ha fatto conoscere e che da sempre mi consiglia opere cupe, nichiliste, drammatiche e piene di angoscia che immancabilmente soddisfano quella parte del mio animo piu' "dark" e pessimista.
Vero, ma questo non e' nichilismo. Gli anime nichilisti sono pochi, tanto per essere chiaro quello che a me viene in mente in primo luogo e' Narutaru. Kamui o anche Ideon non sono nichilisti, sono anime di denuncia, cosa che di per se' stessa significa che l'autore non e' nichilista, non crede nel nulla ma anzi vuoie risvegliare le coscienze.
potrebbe essere altresi' un messaggio di denuncia nei confronti della cattiveria umana.
Su Ideon concordo, l'anime e' pessimista e di denuncia, non saprei se definirlo nichilista, conoscendo bene il pensiero dell'autore e il contesto (guerra fredda, paura dell'atomo) in cui l'opera e' nata.
Grazie all'appassionata recensione di LaMelina (brava!) mi sa che dovrò mettermi a cercarla al più presto...
La differenza sostanziale imho è che Barakamon, come hanno già detto molti, basa anche buona parte del suo apprezzamento nella sua natura comica in quanto alcune gag sono delle trovate geniali che volente o nolente il sorriso te lo strappano e che quasi mai risultano ripetitive e/o noiose, caratteristica che a volte è presente in molte opere del genere per cui viene consigliata la visione discontinua degli episodi. Usagi Drop è invece (imho) un anime dai toni lenti e dettato da una riflessione molto più fine dei rapporti ed il suo stile grafico (eccezionale per certi versi) crea un'immedesimazione tale che difficilmente non lascia interdetti anche se si sta visionando scene di vita quotidiana.
Ti consiglio al di là della mia opinione personale di visionartelo per farti un'idea più chiara, la recensione di LaMelina è per certi versi un ottimo spunto per recuperare un'opera che merita assolutamente di essere visionata.
Leggendo la recensione di LaMelina, ottima per altro, mi sta venendo davvero una gran voglia di visionare Barakamon! Appena trovo un po' di tempo mi riprometto di farlo!
Giusto. A fianco di questi citerei anche il romanzo "Kouga Ninpocho" di Futato Yamada (1958), precedente Kamui. La differenza e' che Yamada e' privo di ogni impegno politico e che indugia di piu' sugli aspetti fantastici (diciamo gli "effetti speciali" dei ninja) piuttosto che sulla situazione dei contadini. Se pero' si parla di livello di tragicita' assoluta ed estrema, di assurde regole sociali che prevalgono sulla vita del singolo, di completa ineluttabilita' di un destino crudele, di amori inevitabilmente tragici, allora li' siamo sullo stesso livello di Kamui.
"Kouga Ninpocho" e' stato trasposto in manga e poi in anime solo negli anni duemila, sotto il nome di Basilisk.
Complimenti per la tua analisi introspettiva su Kamui. Detto questo dissento sulla parte iniziale del tuo commento dove parli di soggettività ed oggettività. E' senza alcun dubbio difficile quando si commenta o si parla scindere il proprio pensiero dal punto di vista personale, ma nonostante ciò l'oggettività sta indicare valori concreti e reali di cui non si può negare di certo l'ineluttabilità. Basterebbe solamente una parolina che molti tendono a dimenticare quando commentano o scrivono infervorati dopo aver subito una critica o vedono un'opinione totalmente opposta alla propria, il buon senso. Poi se vogliamo tirare in ballo la cultura classica: "Irritarsi per una critica vuol dire riconoscere di averla meritata"
@Ekros
Ho capito il tuo punto di vista. Scusa, ho reagito d'istinto, ma non era mia intenzione polemizzare. Sai cos'è, c'è che non sopporto l'usanza di una parte dell'utenza di contestare solo il voto per evitare la discussione, quando nel corpo della recensione viene spiegato il motivo della valutazione. Ho però compreso che non è questo il tuo caso, perciò ancora scusa.
Figurati. Il tuo scopo è stato più che raggiunto, visto che molti sono interessati a visionarlo.
Capisco anche il tuo discorso per quanto riguarda soggettività e oggettività, e sostanzialmente concordo. Ciò che intendevo io per il fatto che l'oggettività completa di fatto non è mai possibile è dovuto ad una riflessione, che coinvolge pure me, sul fatto che quando si da un giudizio alla fine si è sempre e comunque un po' soggettivi, anche inconsapevolmente. Spogliarsi della propria sensibilità, retaggio ed abitudini quando si deve esprimere un giudizio è una cosa che io per primo trovo difficile. Se per serie vecchie come Kamui, ma anche di più famose come Conan di Miyazaki, Cyborg 009, Capitan Harlock, etc., io sento grande sintonia, anche perché hanno accompagnato un periodo assai importante della mia vita come infanzia ed adolescenza, altre che vidi in età più avanzata come Captain Tsubasa, Dragon ball, One piece, pur popolarissime tra gli appassionati, a me non trasmettono praticamente nulla e per questo tendo ad ignorarle! C'è poi il caso di Hokuto no Ken, che visto per la prima volta, se la memoria non m'inganna quando avevo 16 anni, ho provato per quel titolo un forte disgusto, a causa della violenza esagerata e dello splatter, quindi dopo pochissimi episodi ho interrotto la visione; se non che qualche anno dopo invece ho cominciato a seguirlo vincendo certi miei pregiudizi, trovandolo alla fine molto meglio di quanto non avessi pensato sino a quel momento. E non dico di considerarlo un capolavoro, ma senz'altro una serie comunque meritevole della visione, pur con qualche brutto difetto nella sceneggiatura, e dei filler esasperanti! Al contrario invece per Evangelion ero partito con pregiudizi estremamente positivi, dovuti in gran parte anche dai commenti entusiasti che leggevo praticamente ovunque sui newsgroup dedicati all'animazione, oltre che sulle riviste; ed invece dopo aver terminato la visione, e verso la fine facendo lo sforzo di autoimpormela, l'ho trovato tremendamente pretenzioso e deludentissimo! Non sono riuscito ad entrare in sintonia con la narrazione di Anno, e forse non ci riuscirò mai. Ma visto anche le esperienze brutte che ho avuto anni fa, specialmente con fan o antifan viscerali, e spesso molto maleducati, di quella ed altre serie su IT Arti e Cartoni, ho deciso di non alimentare mai le flame, e di concentrarmi più sulle cose che effettivamente trovo interessanti evitando di commentare titoli che trovo effettivamente irritanti come Nabari, Wolf's rain e Naruto; questo soprattutto per rispetto degli altri che invece apprezzano tali serie, anche perché sicuramente hanno i loro motivi per farlo e io non ho alcun diritto di giudicarli con il mio metro personale. Anche per questo poi tendo a dare troppa importanza al voto che si da a questo o a quell'anime/manga. Tutto sommato, come tu stesso sottolinei, basta un po' di buon senso e di umiltà e si evitano spiacevoli, oltre che sgradevoli, guerre di post insultanti. Ma tornando sull'argomento, forse può sembrare incoerente, specialmente per quanto avevo detto prima su Hokuto no Ken, la mia ammirazione incondizionata per Kamui e le altre opere di Shirato giunte in formato TV e cartaceo nel nostro paese, visto che si tratta di storie assai violente, drammatiche e cruente. Invece io sono riuscito a percepire aspetti più profondi di quelle narrazioni, oltre che la pura e semplice azione, e ad entrare in sintonia con il pensiero e il messaggio che traspare da quelle opere. Innanzitutto l'ambientazione storica molto curata ha spinto in me la curiosità di sapere di più riguardo a questo aspetto e alla cultura da cui erano stati generati quegli anime e manga, e questo sin da quando vidi per la prima volta Sauske e Kamui a 12 anni. Da allora praticamente non si è mai affievolito in me il desiderio di conoscere e capire meglio la cultura giapponese, seppur nella mia vita e nel mio lavoro non ho mai avuto a che fare praticamente con essa. E poi è anche il messaggio che traspare dalla narrazione di quelle vicende, e che Shirato invia al pubblico che mi trova particolarmente d'accordo. In pratica l'autore con quelle storie così dense di eventi tragici e dolorosi, ed intrise di violenza, non vuole affatto esaltare questi aspetti, ma al contrario indurre il lettore a rifiutare quella mentalità, soprattutto non rassegnarsi alle sopraffazioni rifiutando però la logica della pura risposta di forza bruta. Così pure non manca mai di sottolineare quanto sia inutile e stupido il desiderio di vendetta, sentimento genuinamente umano, ma che crea solo una soddisfazione effimera e falsa, che ben presto lascia lo spazio all'amarezza ed al vuoto, e mai deve considerarsi come vera giustizia. In Kamui questo più che evidente quando lo stesso protagonista, dopo aver appagato tale desiderio in alcune occasioni, dopo non riesce comunque a ritrovare alcuna serenità ed il suo animo rimane sempre inquieto e tormentato. La cosa appare in tutta la sua evidenza, persino pedagogica, pure in Sasuke, e qui invece il protagonista stesso rinuncia a portare a termine la vendetta proprio perché capisce che questo non riuscirà mai e comunque a lenire le ferite del suo cuore. E tutti gli altri personaggi che in tale serie si troveranno a perseguire questo scopo alla fine vanno incontro solo a sconfitte, se non addirittura ad un tragico destino. In Akame questa dura verità viene addirittura sbattuta in faccia al lettore, come fosse un sonoro ceffone, nello sconvolgente finale! Se consideriamo che nella storia della società giapponese "occhio per occhio e dente per dente" sono stati sempre una regola costante, addirittura un obbligo morale per la casta dei guerrieri, questo non fa altro che far risaltare il pensiero di Shirato, e di come sia totalmente all'opposto dei valori tradizionali; cosa ancor più notevole se pensiamo che lui non solo non è cristiano, ma pure dichiaratamente ateo! Per questo è assolutamente sbagliato considerarlo nichilista, anzi propugna valori altissimi e nobili, e con grandissima forza, da un punto di vista squisitamente laico; e scusate se è poco!
@micheles: Hai ragione, ci stiamo allontanando troppo dall'argomento che stavamo dibattendo. Vedro se mi riesce di recuperare l'anime di Basilisk e poi al limite ne discuteremo.
@LaMelina: Lo scopo lo stai raggiungendo alla grande, hai convinto anche me a scaricare i fansub di Barakamon!
Ciò che si evidenzia dai tuoi commenti, che al di là del parere personale che come ben dici viene fuori quando si fa la media mentale per dare un voto a qualcosa che si apprezza, è che hai saputo cogliere a mio modo di vedere ciò che l'autore voleva che venisse trasmesso. Tralasciando comunque il fatto che molte opere di quel periodo hanno come tema principale una certa forma di "protesta" per scuotere la società giapponese in netta contrapposizione alla loro cultura piena di contraddizioni, Kamui dalla tua recensione e dalle tue analisi rappresenta come altre produzioni l'apice in questo dato contesto, visto come al di là dell'aspetto tecnico/grafico figlio del suo tempo, vuole "criticare" ciò che formalmente un tempo veniva considerata normalità.
Trovo fondamentalmente geniale voler criticare la propria società creando un'opera che parli della società stessa in maniera moralmente inaccettabile con scene che possano creare disgusto e raccapriccio, perché è solamente scuotendo l'animo delle persone che la maggior parte delle volte si riesce a far capire ciò che si vuole trasmettere. Detto questo, trovo essenzialmente doveroso prima di darsi all'aspra critica, cercare di capire di un'opera il punto di vista dell'autore e di ciò che vuole realmente trasmettere. Se si critica prima di non aver capito ciò che l'autore vuole dire, è solamente sinonimo di superficialità ben distinta. Ed il messaggio dell'autore è sempre lì presente, non si può né negare la sua esistenza né dire che non lo si abbia percepito visto che comporterebbe solamente una superficialità intrinseca durante la visione. Ovviamente può piacere così come non può piacere, questo è chiaro come la notte ed il giorno, ma se il messaggio che l'autore vuole trasmettere definisce i canoni della sua opera rappresentando le fondamenta stessa, può essere mai oggetto di critica ? Si certo, possiamo criticare il suo punto di vista in base alla nostra percezione e sensibilità, ma il suo voler arrivare a trasmettere ciò che vuole dire non può essere oggetto di critica. Imho rappresenta un dato prettamente oggettivo su cui ci si dovrebbe basare prima di attuare una "critica" sia essa positiva o negativa. Infine trovo davvero ammirevole la tua passione che trasuda dai tuoi post per la cultura giapponese. Io sono principalmente critico in certi suoi aspetti, ma apprezzo opere come Kamui (che prima o poi dovrò recuperare) così come apprezzo chi la ammira anche con le sue migliaia di difetti e contraddizioni, perché mi fa capire che ci sono motivi per cui apprezzarla. Infine concludo consigliandoti la visione di Basilisk, la reputo una delle opere migliori che abbia visionato.
Sì, la perfezione non esiste, ma ci sono troppi difetti per assegnarli il top dei voti.
Evangelion racchiude in sè un grande messaggio di critica sociale, non credo sia pretenzioso.
@Ekros: Il tema della critica alla società del momento e dei suoi aspetti più deteriori è senz'altro l'aspetto che emerge dalle grandi personalità che emergono nei vari campi artistici. Così si può dire di Shirato, ma anche di Osamu Tezuka, Hayao Miyazaki e Isao Takahata, per non citarne altri. Come tu stesso osservi Shirato ci va giù con mano ancora più pesante proprio per risvegliare i suoi lettori dal quel torpore indotto dalla corsa sfrenata alla crescita economica di quel tempo, ma anche perché crede ancora che sia possibile in Giappone in quel momento la costruzione di una società socialista e rivoluzionaria. Basta leggere opere precedenti a Kamui come Ninja bugeichou Kagemaru den per accorgersi di questo. Tra l'altro se parliamo di scene raccapriccianti in quel manga, come pure in Akame ne troverai di numero e di forza ancor maggiore di quanto non ne si vedano nell'anime di Kamui. Ma va comunque detto che, seppur calcando la mano talvolta, queste terribili scene non sono un esercizio di fantasia, ma eventi registrati nelle cronache dell'epoca. Man mano che il tempo passava ovviamente si rendeva conto che quell'utopia si allontanava sempre di più dalla realizzazione, e quindi in Kamui gaiden cresce di pari passo anche il suo pessimismo, pur non cedendo di un millimetro dai propri principî. Solo se si va nel profondo e ci si documenta un minimo si riesce davvero a capire e ad apprezzare la grandezza narrativa di questo grande mangaka. Purtroppo questo è anche il motivo per il quale fuori dal Giappone non è certo tra gli autori più conosciuti ed apprezzati dalla massa che segue fumetti e cinema d'animazione, mentre in patria è considerato una specie di mostro sacro. Continuo a sperare che la Hazard faccia uscire presto altri titoli di Shirato, solo che è una casa editrice molto piccola e quindi lavora molto più lentamente di altre.
Per quanto sia curioso del Giappone e della sua cultura, specialmente dei tempi andati (quella di oggi, in particolar modo ciò che è legato a subculture giovanili degli ultimi 20 anni, decisamente meno) non vado a cercare solo gli aspetti più luminosi e positivi, ma anche quelli meno edificanti, proprio per avere una visione più equilibrata possibile. Ultimamente, vedendo proprio quella splendida conferenza fatta da Mari Yamazaki e Keiko Ichiguchi al Kappa festival (che consiglio caldamente chiunque di vedere, anche a chi non apprezza lo stile e le opere di queste due autrici di manga, propri perché il dibattito non verteva solo su animazione e fumetti, ma anche su molti altri aspetti della realtà culturale e di costume della società nipponica), mi sono fatto un idea non proprio positiva dell'educazione scolastica del paese del Sol Levante.
@Tunonsainiete: Io non considero il finale non finale di Kamui come un difetto, piuttosto è un limite che però non è dovuto alla volontà dell'autore, quanto penso a problemi di produzione, e forse anche di collocazione nel palinsesto del canale TV che lo doveva trasmettere all'epoca. E' probabile che la pausa in cui fu messa per un certo tempo la prosecuzione del manga abbia in qualche modo impedito la realizzazione di una seconda stagione, e quando fu ripresa la realizzazione della storia cartacea è possibile che il mutamento dei gusti della massa del pubblico abbiano scoraggiato i produttori televisivi di finanziare il proseguimento anche sotto forma di anime.
Il film live prodotto 4 anni fa, seppur con grandi mezzi e l'uso delle più moderne tecniche di ripresa, purtroppo riesce solo in minima parte a rendere lo spirito dell'opera originale. So che non sarai d'accordo, ma le esagerazioni e le iperbole, come quelle dei cani ninja super intelligenti, alla fine, secondo me, sono licenze poetiche che l'autore infila nella narrazione per ravvivare un po' il contesto rispetto ad un eccessivo pessimismo e drammatico realismo che alberga in tutto il resto della storia. E poi, come già detto, sono parte dell'immaginario dei popoli orientali queste capacità sovrumane degli eroi guerrieri (nei film cinesi di genere wuxia si va anche ben oltre a quel che si vede in Kamui). Tutto sommato ritengo che queste siano comunque ancora più che accettabili nell'economia della narrazione.
Su Evangelion potrei dire molte altre cose, ma rischierei di andare troppo fuori dell'argomento, perciò preferisco evitare.
Ho cominciato proprio oggi a visionare il primo episodio di Barakamon, e la prima impressione è che si tratta di una storia carina e divertente!
Solo se si va nel profondo e ci si documenta un minimo si riesce davvero a capire e ad apprezzare la grandezza narrativa di questo grande mangaka.
Non e' vero, e tu in fondo sei d'accordo con me, perche' noi abbiamo visto Kamui (e Sasuke) che eravamo ancora alle medie, senza nessuna conoscenza del Giappone medioevale eppure abbiamo immediatamente riconosciuto la grandezza di Shirato. La comprensione non ha nulla a che vedere con la cultura e prepazione dello spettatore/lettore ma tutto con la sua sensibilita'. Motivo per cui io e te abbiamo capito tutto di Kamui fin da bambini e niente di Evangelion, pur avendolo visto da adulti
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