Pale Cocoon è un corto d'animazione giapponese del 2006, diretto da Yasuhiro Yoshiura.
La Terra, sconvolta e sfruttata oltre ogni capacità di recupero, è diventata invivibile, costringendo l'umanità a rifugiarsi in profondità nella crosta terrestre per sfuggire all'inquinamento, spingendosi sempre più in basso, lontani dal cielo e dalla luce naturale, abbandonando quel mondo straordinario e vivacemente colorato che un tempo l'aveva accolta e nutrita con affetto materno. Adesso gli uomini sono costretti in una dimensione claustrofobica e opprimente, perennemente soffocati da un'atmosfera buia, oscura, ferocemente contrapposta al biancore abbacinante dell'illuminazione artificiale e dei monitor dei computer. In quest'ambiente lavora Ura, addetto al ripristino dei file contenenti i ricordi delle epoche passate, memorie delle persone che vivevano sulla superficie. Ma cosa ha spinto gli esseri umani di un altro tempo a lasciare delle testimonianze ai loro successori? Ed è davvero importante o utile o piacevole venire a conoscenza di ciò che essi hanno fatto al proprio pianeta, distruggendolo e condannandolo?
Qui nasce il conflitto tra Ura, affascinato dalla superficie, dalla sua gamma vastissima di colori diversi, dalla natura ormai scomparsa, da tutte quelle immagini che colleziona avidamente dopo averle ripristinate, e Riko, una sua collega, che invece non riesce a sopportare il peso della storia, della consapevolezza che i loro antenati abbiano ridotto la Terra a una landa sterile e spoglia, da cui, però, alcuni abitanti non sono riusciti a separarsi, troppo legati a quel bozzolo azzurrino da cui è nata la vita.
Dunque, oltre alla durissima critica ambientalista, emerge anche la questione più intima e personale del rapporto con il passato: c'è chi vi si approccia con passione, nonostante le sconvolgenti scoperte, e chi realizza che portare alla luce i trascorsi autodistruttivi dell'umanità possano solo provocare ulteriore tristezza, sofferenza e abbattimento. A dimostrazione di tutto ciò, c'è la desolazione dell'Ufficio Riesumazione Memorie, un tempo affollato da tecnici e dipendenti entusiasti, ora deserto, mentre gli impiegati degli altri dipartimenti sono visibili alla fine del turno di lavoro mentre si trascinano apatici e alienati lungo stretti corridoi.
Si configura così un'opera che vive di opposti: l'intraprendente curiosità di Ura e lo sconforto disperato di Riko, l'esplosione cromatica e l'amenità dei luoghi immortalati nelle foto restaurate dal protagonista e la cupa e fredda artificialità della postazione di quest'ultimo, oltre che di tutto il mondo in cui l'umanità è ormai costretta a condurre la propria esistenza, in cui impera spietata la scala di grigi.
Si tratta di un'opera di una bellezza e di una delicatezza poetiche e quasi sconcertanti: la regia è impeccabile e si sofferma spesso sui primi piani dei visi dei due protagonisti, ricorre a visuali in prima persona e a inquadrature che esplorano le asettiche strutture in cui lavorano e si muovono Ura e Riko; le animazioni sono semplici ma fluide; i dialoghi sono brevi e incisivi, ma, allo stesso tempo, spenti, come se le parole fossero pronunciate sottovoce, quasi controvoglia. Solo avvicinandosi alla conclusione, si può assistere a uno sfogo di emotività da parte della coprotagonista. La colonna sonora gode di brani emozionanti e poco invadenti, che accompagnano lo sviluppo della trama, senza sovrastarlo. A spiccare è indubbiamente quello finale, quel Aoi tamago (letteralmente "uovo blu") perno centrale di tutta la vicenda.
A colpire, più delle musiche, sono però i silenzi, interrotti unicamente dal rumore di passi sulle superfici metalliche e dallo sfrigolio delle lampade, i quali rafforzano l'impressione di una dimensione temporale sospesa e indefinita.
Graficamente, i personaggi non brillano per avvenenza, per segni peculiari o per attenzione ai dettagli: sono volutamente anonimi, quasi banali. A raccontare ciò che sono, le loro emozioni e i loro pensieri sono le loro parole, ciò che fanno, le cose su cui posano lo sguardo. Nonostante il pochissimo spazio a disposizione e le brevi interazioni reciproche, I due personaggi principali risultano quindi incredibilmente umani e completi.
Le ambientazioni, al contrario, sono estremamente particolareggiate e curate, annegate in un'onnipresente tecnologia e realizzate con un'abbondante CG.
La Terra, sconvolta e sfruttata oltre ogni capacità di recupero, è diventata invivibile, costringendo l'umanità a rifugiarsi in profondità nella crosta terrestre per sfuggire all'inquinamento, spingendosi sempre più in basso, lontani dal cielo e dalla luce naturale, abbandonando quel mondo straordinario e vivacemente colorato che un tempo l'aveva accolta e nutrita con affetto materno. Adesso gli uomini sono costretti in una dimensione claustrofobica e opprimente, perennemente soffocati da un'atmosfera buia, oscura, ferocemente contrapposta al biancore abbacinante dell'illuminazione artificiale e dei monitor dei computer. In quest'ambiente lavora Ura, addetto al ripristino dei file contenenti i ricordi delle epoche passate, memorie delle persone che vivevano sulla superficie. Ma cosa ha spinto gli esseri umani di un altro tempo a lasciare delle testimonianze ai loro successori? Ed è davvero importante o utile o piacevole venire a conoscenza di ciò che essi hanno fatto al proprio pianeta, distruggendolo e condannandolo?
Qui nasce il conflitto tra Ura, affascinato dalla superficie, dalla sua gamma vastissima di colori diversi, dalla natura ormai scomparsa, da tutte quelle immagini che colleziona avidamente dopo averle ripristinate, e Riko, una sua collega, che invece non riesce a sopportare il peso della storia, della consapevolezza che i loro antenati abbiano ridotto la Terra a una landa sterile e spoglia, da cui, però, alcuni abitanti non sono riusciti a separarsi, troppo legati a quel bozzolo azzurrino da cui è nata la vita.
Dunque, oltre alla durissima critica ambientalista, emerge anche la questione più intima e personale del rapporto con il passato: c'è chi vi si approccia con passione, nonostante le sconvolgenti scoperte, e chi realizza che portare alla luce i trascorsi autodistruttivi dell'umanità possano solo provocare ulteriore tristezza, sofferenza e abbattimento. A dimostrazione di tutto ciò, c'è la desolazione dell'Ufficio Riesumazione Memorie, un tempo affollato da tecnici e dipendenti entusiasti, ora deserto, mentre gli impiegati degli altri dipartimenti sono visibili alla fine del turno di lavoro mentre si trascinano apatici e alienati lungo stretti corridoi.
Si configura così un'opera che vive di opposti: l'intraprendente curiosità di Ura e lo sconforto disperato di Riko, l'esplosione cromatica e l'amenità dei luoghi immortalati nelle foto restaurate dal protagonista e la cupa e fredda artificialità della postazione di quest'ultimo, oltre che di tutto il mondo in cui l'umanità è ormai costretta a condurre la propria esistenza, in cui impera spietata la scala di grigi.
Si tratta di un'opera di una bellezza e di una delicatezza poetiche e quasi sconcertanti: la regia è impeccabile e si sofferma spesso sui primi piani dei visi dei due protagonisti, ricorre a visuali in prima persona e a inquadrature che esplorano le asettiche strutture in cui lavorano e si muovono Ura e Riko; le animazioni sono semplici ma fluide; i dialoghi sono brevi e incisivi, ma, allo stesso tempo, spenti, come se le parole fossero pronunciate sottovoce, quasi controvoglia. Solo avvicinandosi alla conclusione, si può assistere a uno sfogo di emotività da parte della coprotagonista. La colonna sonora gode di brani emozionanti e poco invadenti, che accompagnano lo sviluppo della trama, senza sovrastarlo. A spiccare è indubbiamente quello finale, quel Aoi tamago (letteralmente "uovo blu") perno centrale di tutta la vicenda.
A colpire, più delle musiche, sono però i silenzi, interrotti unicamente dal rumore di passi sulle superfici metalliche e dallo sfrigolio delle lampade, i quali rafforzano l'impressione di una dimensione temporale sospesa e indefinita.
Graficamente, i personaggi non brillano per avvenenza, per segni peculiari o per attenzione ai dettagli: sono volutamente anonimi, quasi banali. A raccontare ciò che sono, le loro emozioni e i loro pensieri sono le loro parole, ciò che fanno, le cose su cui posano lo sguardo. Nonostante il pochissimo spazio a disposizione e le brevi interazioni reciproche, I due personaggi principali risultano quindi incredibilmente umani e completi.
Le ambientazioni, al contrario, sono estremamente particolareggiate e curate, annegate in un'onnipresente tecnologia e realizzate con un'abbondante CG.
Al termine di Pale Cocoon, tra il senso di sconfitta, il pessimismo e il finalismo facilmente percepibili, si affacciano anche la presa di coscienza collettiva, la consapevolezza dell'importanza delle memorie, indispensabili per evitare di commettere gli stessi errori di coloro che ci hanno preceduti, ma soprattutto la speranza per un futuro più felice, per un ritorno all'amata Terra, quando essa sarà pronta a ri-ospitare la vita, quando non sarà più "arrugginita", ma nuovamente di uno splendido blu.
  | Titolo | Durata | Valutazioni | |
---|---|---|---|---|
OVA | Pale Cocoon | 25' |
|
Ho ancora un brivido ogni volta che ascolto le note della canzone finale, Aoi Tamago, climax assoluto del corto, come ha ben sottolineato Eoin.
Quoto appieno e consiglio a mia volta, davvero meritevole.
Nella sua brevità riesce a esprimere un messaggio forte con dei mezzi delicati, senza privarlo, tuttavia, della sua capacità di fare presa sullo spettatore. Il brano finale, poi, è la straordinaria esplosione di tutte quelle emozioni sopite e represse per buona parte dell'episodio.
"Pale Cocoon" è un autentico gioiello.
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