In occasione dell’inserimento di tutti i fim di Yasujirō Ozu nel database live action/drama di Animeclick.it, (compresi i primi film dell’anteguerra, molti dei quali irrimediabilmente perduti sotto i bombardamenti), al fine di fornire ai nostri utenti un utile strumento di consultazione, riportiamo la lista completa dei film con i relativi link alle schede, analizziamo brevemente il suo stile registico e ripercorriamo la filmografia essenziale con un excursus sui titoli che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
Per molto tempo è stata opinione comune che Yasujirō Ozu girasse film che solo i giapponesi potevano apprezzare fino in fondo. Gli stessi dirigenti del suo studio, la Shochiku, evitavano di vendere all’estero le sue pellicole, convinti che il pubblico straniero aspirasse solo all'esotismo dei samurai e delle geisha, sull’onda del successo internazionale di Rashomon (1950) di Akira Kurosawa, piuttosto che ai pacati drammi realistici di Ozu, incentrati sulle famiglie della media borghesia contemporanea.
Ed è per questo che i suoi classici del dopoguerra hanno cominciato a circolare all’estero solo negli anni '60. Oggi, a più di 50 anni dalla sua morte, diverse generazioni di studiosi, cineasti e semplici fan hanno ormai visionato, celebrato e canonizzato i suoi film. In un sondaggio fra registi e critici lanciato dalla famosa rivista Sight and Sound, Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953) è stato eletto al primo posto dai registi e al terzo posto dai critici (dopo La donna che visse due volte e Quarto potere) nella classifica dei migliori film di tutti i tempi.
Dopo aver diretto il suo primo film, ormai perduto, all'età di 24 anni, Ozu dirige commedie, melodrammi e persino film di gangster (La donna della retata, 1933) fino all’età di 30 anni, quando inizia a sviluppare e perfezionare un suo stile. Dopo la parentesi della guerra che lo vede arruolato nell'esercito imperiale sul fronte cinese, dirige i suoi lavori più rappresentativi che lo renderanno famoso a livello internazionale. Questi in genere ruotano intorno alla famiglia, in preda alla dissoluzione o alla disaffezione (il padre che pianifica di far sposare sua figlia in Tarda primavera, o i figli che trattano come un peso i genitori in Viaggio a Tokyo), tuttavia in questi film mancano le urla, le scenate e altri acuti melodrammatici che ci si aspetterebbe da un dramma familiare. Le emozioni increspano solo per pochi attimi la calma superficie della vita quotidiana, con una parola, uno sguardo o un gesto accennato ma carico di significato.
Nelle riprese delle sue famiglie, Ozu preferisce gli interni delle case in stile giapponese, con la cinepresa posizionata in basso, all'altezza dei personaggi seduti sul tatami, per dare un'impressione di intimità. Il suo uso anti convenzionale della cinepresa va oltre i canoni importati da Hollywood, come le sue particolari riprese ad altezza spalla, che danno la sensazione di guardare direttamente al cuore dei personaggi, oltre la maschera dell’espressività dei volti. Un’altra prassi di uso comune abbattuta da Ozu è la dissolvenza in entrata/uscita, da lui considerata "nient'altro che una funzione meccanica della cinepresa, inserirla nei film, è come incollare fogli di carta bianchi in più all’inizio di un libro prima di cominciare a leggerlo". Invece preferisce i tagli netti nelle transizioni, con inquadrature da cartolina di edifici, vicoli e altri soggetti comuni che davano al pubblico un'idea ben precisa e stratificata dell'ambientazione.
Contrariamente alla normale pratica cinematografica, Ozu si astiene del tutto dall’enfatizzare in modo patetico le emozioni, evita quindi i primi piani drammatici e l’uso invasivo della colonna sonora. La musica è limitata ai cambi di scena, spesso usata per compensare o spiazzare l'umore dei personaggi, magari usando una melodia vivace su una scena triste.
Allo stesso modo, Ozu lascia sullo sfondo i momenti salienti come matrimoni e funerali, e queste sottrazioni non solo non svuotano la storia del dramma, ma piuttosto stimolano l'immaginazione e mantengono alta l'attenzione dello spettatore su ciò che Ozu considera veramente importante. Nel suo cinema non sono tanto i fatti a contare, ma i sentimenti che essi suscitano in coloro che li vivono (e di riflesso negli spettatori). Ad esempio in Tardo autunno si concentra non tanto sulla cerimonia nuziale di Noriko (Setsuko Hara), che non viene mai mostrata, quanto piuttosto sulla solitudine del suo vecchio padre (Ryū Chishū), e sulla recitazione sussurrata in cui a volte il non detto è più importante del detto.
A proposito dell'ellissi scrive: "ha un ruolo fondamentale per far concentrare nel dettaglio l'attenzione degli spettatori su un elemento, omettendone altri. Non è perciò una questione solo di apparenza ma di sostanza. La stessa cosa avviene nella pittura: se dipingo una parte poco definita, attrarrò ancor più l'attenzione nei dettagli su un'altra parte del dipinto. Si può proprio dire che il problema dell'ellissi nel cinema sia la chiave essenziale della costruzione drammatica del film stesso".
L'ellissi, la recitazione "trattenuta" degli attori, il parsimonioso uso del primo piano, fanno parte di quell'economia formale tanto cara al cinema di Ozu, che preferisce l'implicito all'esplicito, le sfumature di grigio al contrasto tra bianco e nero, l'allusione al perentorio. Come scrive lo stesso cineasta:
"Il problema è quello di ridurre le componenti drammatiche e far sì che scena dopo scena, in maniera impercettibile, si crei una sorta di suggestione che tocchi le corde profonde della sensibilità estetica. Non si tratta di raccontare in modo esaustivo qualcosa, ma piuttosto mostrarne soltanto il settanta/ottanta per cento, lasciando quel che non si vede alla sensibilità estetica dello spettatore (...). Detto in altre parole, in un romanzo sarebbe una sfumatura tra le righe, in un'opera di pittura giapponese sarebbe l'uso estetico dello spazio vuoto; in ogni modo si tratta di non mostrare l'interazione tra i sentimenti nudi ma di far percepire le cose solo per vaghi accenni".
Parlando del primo piano e del suo uso fatto da Griffith, Ozu vi intravede una sorta di “regola grammaticale”, atta a “mostrare i sentimenti nel loro culmine”. A più riprese nei suoi scritti ricorre l’idea di una grammatica del cinema, intesa come un insieme di norme espressive cui il regista può ricorrere per rappresentare una certa situazione. Nel 1947 scriveva:
“Anche nel cinema ci si comporta dando per scontato che esistano delle regole come nella scrittura. Per comodità chiameremo queste regole grammatica del cinema, ma io non credo che nel cinema esista una grammatica. Ciò che viene chiamata grammatica in realtà non lo è in senso stretto e mi sento di dire che non ci si deve preoccupare di attenersi ad essa”.
Conoscenza del cinema e ricerca espressiva sono due attitudini fondamentali del lavoro di Ozu, come dimostrano ampiamente sia i suoi film che i suoi scritti. Si vedano ad esempio le osservazioni sull'uso delle inquadrature in una scena di conversazione. Normalmente, il cinema classico occidentale è sempre attento nel posizionare le cineprese per far sì che i due personaggi, parlandosi, guardino l’uno verso destra e l’altro verso sinistra, dando l’impressione agli occhi dello spettatore di osservarsi reciprocamente.
Ozu decide di ignorare deliberatamente questa consuetudine. Molte delle sue scene di conversazione sono costruite in modo che gli sguardi dei due interlocutori siano diretti entrambi nella medesima direzione: in questo modo "gli spettatori, naturalmente incluso me stesso, istintivamente capiscono senza problemi che i due stanno faccia a faccia". Secondo il suo storico direttore della fotografia, Atsuta Yuharu, questa scelta è dovuta al principio armonico su cui si basa tutto il cinema di Ozu, secondo il quale i personaggi che conversano non guardano più l’uno contro l’altro e a sottolineare che ciò che conta non è il conflitto ma la ricerca di un punto in comune. Questo rifiuto di seguire la grammatica del cinema spinge il regista verso modalità espressive nuove e sperimentali che rendono il suo lavoro del tutto unico e particolare.
Ignorando quelle che considerava inutili "regole grammaticali" della regia, Ozu è oltremodo restio nell'adottare nuove tecnologie. Gira il suo primo film sonoro solo nel 1936 (Figlio unico), e il suo primo film a colori solo nel 1958 (Fiori d’equinozio) e resiste fino all’ultimo alle pressioni dello studio per girare nel formato wide screen, continuando a girare in 4:3. "Dato il poco tempo che mi resta su questa Terra", scrive nel 1963, "non voglio girare un film come se stessi sbirciando fuori dalla cassetta della posta".
Questa tendenza iconoclasta di Ozu e la sua ardita sperimentazione espressiva, ne modifica in qualche modo l'immagine di mitezza che spesso gli viene attribuita e lo spinge anche verso un atteggiamento critico nei confronti delle major. Convinto che più della grammatica del cinema sia importante una sensibilità, Ozu deplora la pratica diffusa degli studi giapponesi (compreso il suo, la Shochiku) di costringere i propri giovani registi al ruolo di assistenti per un periodo molto lungo di apprendistato:
"I giovani che hanno finito gli studi (...) hanno una sensibilità cinematografica molto viva, poi entrano negli studi di produzione, continuano a fare la vita da assistenti alla regia per molti anni e finiscono per logorare questa sensibilità. Quando poi riescono finalmente a diventare registi veri e propri, sono ormai assimilati all'ambiente circostante, hanno perso la fiducia nella propria sensibilità e cercano il sostegno in qualche regola della messa in scena. Seguire la teoria della grammatica come regola aurea diventa così una forma di sicurezza."
Ozu è sempre aperto alle nuove idee: "Quando mi capita di vedere un film di un nuovo arrivato dal Messico o dall'Italia o di un regista dilettante, sento una sorprendente freschezza nei loro metodi", scrive nel 1958, ed è anche "felice delle notizie dalla Francia che parlano di un nuovo gruppo di cineasti ventenni che girano film controversi (...) Forza, nuovi registi, venite fuori!”.
Sono i registi della Nuberu bagu (Nouvelle Vague francese) che, a cavallo tra i '50 e i '60, avrebbero avuto la loro controparte nipponica in una nuova generazione di giovani leve (molte sponsorizzate dalla stessa Shochiku), come Masahiro Shinoda, Yoshishige Yoshida e Nagisa Oshima, che rifiuteranno il marchio di Ozu e i suoi film umanistici incentrati sulla media borghesia. Lo stesso ex assistente di Ozu, Shohei Imamura esplorerà i margini della società in film patologicamente violenti e politicamente radicali.
“Molti identificano il dramma con un incidente sensazionale, come qualcuno che viene ucciso. Ma questo non è un dramma, è solo un evento bizzarro. Invece penso che il dramma sia qualcosa di non sensazionale, qualcosa che non puoi esprimere facilmente a parole, con i personaggi che dicono cose normali del tipo: ‘Ah sì?’, ‘Eh già, sì è proprio così”.
Ozu ha continuato a produrre i suoi film con uno spirito da umile artigiano, per usare un'espressione da lui spesso utilizzata. Il suo genio consiste nel trasformare le cose quotidiane in verità eterne, in un modo immediatamente riconoscibile come assolutamente suo.
"Sono un piccolo produttore di tofu. Se si chiede a un piccolo produttore di tofu di preparare un piatto di curry o una cotoletta di maiale impanata, lui non riuscirà mai a farli bene."
Per un regista, la direzione degli attori è essenziale. Normalmente si giudica la performance di un attore in base alle sue qualità intrinseche, ma se teniamo presente la mediazione del regista la prova attoriale arriva allo spettatore filtrata dalle scelte di regia (messinscena, inquadrature, montaggio…) che ne esaltano (o deprimono) la prestazione. La maniera di Ozu di dirigere gli attori, così come sostiene nei suoi scritti, rientra in una idea ben precisa di “economia della forma” che è propria del suo cinema votato alla sottrazione e alla riduzione del lessico filmico, all’essenzialità dello stile. Un cinema che cerca di raccontare di più, di andare al cuore delle cose, con meno mezzi possibili.
Setsuko Hara, l’attrice preferita di Ozu, scomparsa all’età di novant’anni nel 2015, e che si era ritirata dal set nel 1963 (anno della morte di Ozu), è citata più volte negli scritti del regista - per inciso è l'attrice che ha ispirato il film Chiyoko - Millennium Actress di Satoshi Kon. Se confrontiamo l’interpretazione dell’attrice in Non rimpiango la mia giovinezza (1946) di Kurosawa con quella in Tarda primavera di Ozu, abbiamo un’idea della diversità delle due performance: tanto è sovraccarica e sopra le righe la prima, quanto è trattenuta e minimale la seconda. Ozu afferma di aver sempre seguito il lavoro di Kurosawa ma riferendosi a Non rimpiango la mia giovinezza scrive che “se si utilizza Setsuko Hara come ha fatto Kurosawa, penso che non venga fuori il suo lato migliore”. In un altro articolo riprende il discorso sull’attrice scrivendo:
“Secondo me, è una persona che non riesce a esprimere gioia e rabbia con una recitazione carica, ma piuttosto sa trasmettere superbamente le stesse emozioni con gesti minimi. In altre parole, si dovrebbe poter esprimere un’esplosione di rabbia anche senza alzare la voce. Se chiedo a Hara di recitare in questo modo, lei riesce a farlo senza alcuna difficoltà sin nelle minime sfumature.”
Un altro esempio di minimalismo espressivo dell’attore è dato dallo stile di recitazione di Ryu Chishu, l’attore più presente nella filmografia di Ozu. Il regista, considerato il più giapponese dei registi giapponesi, collega questa maniera di recitare a una realtà antropologica del suo paese quando scrive: “I giapponesi non manifestano le proprie emozioni con espressioni del volto accentuate o con grandi gesti. Se si accentuasse la recitazione in quel modo, il risultato sarebbe spesso innaturale e stridente”.
Ozu fa anche il nome di due maestri del cinema americano classico in cui avrebbe trovato echi di quel tipo di recitazione minimale. Cita John Ford di Sfida infernale (1946), come esempio di recitazione che sa trattenere, la scena in cui Henry Fonda, “dopo essere andato dal barbiere, sta lì in piedi senza fare nulla, poi si siede e appoggia i piedi sul palo e si dondola inclinando la sedia all’indietro tutto divertito". Di Piccole volpi (1941) di William Wyler cita la scena in cui Bette Davis, vicino al marito morente, “prepara una tazza di tè, con l’aria indifferente, come se niente fosse, mentre si sentono solo i rumori della teiera e delle tazze”.
Risale al 1947 il primo film di Ozu dopo la guerra, Il chi è di un inquilino, a cui segue a distanza di un anno Una gallina nel vento (Kaze no naka no mendori). Ma il film che inaugura lo stile e le tematiche distintive di Ozu, quelli per cui oggi viene ricordato come uno dei registi più influenti della scena internazionale, è Tarda primavera (Banshun, 1949), che segna anche l'incontro con la sua musa d’elezione, Setsuko Hara. La purezza incontaminata del volto della Hara e la visuale al livello dei tatami rappresentano la quintessenza dell'estetica di Ozu. Il film conquisterà il pubblico giapponese e il regista ripeterà lo stesso stile e gli stessi temi (con poche varianti) anche negli anni a venire, in un manifesto poetico che fa di questo autore una delle voci più alte tra quanti raccontano l’universo familiare al cinema.
Dal 1949 al 1963 (anno della sua morte) Ozu realizza tredici film, tutti sceneggiati dallo stesso regista e dal suo fedele collaboratore Kogo Noda, con una formula stilistica quasi immutata nel tempo e con tutti quei codici che rendono universali i suoi film: i dialoghi asciutti ed essenziali tratti dalla vita quotidiana, la semplicità degli ambienti, le rigorose geometrie delle inquadrature, un insieme di “quadri” che si succedono ordinatamente. I suoi personaggi non mirano a chissà quali chimeriche aspirazioni, cercano solo di conservare il delicato equilibrio del proprio nucleo familiare contro gli attacchi del tempo e le vicissitudini della vita.
Tarda primavera narra di una giovane donna (Setsuko Hara) decisa a non sposarsi per non lasciare solo suo padre, (Ryū Chishū, attore ricorrente nei ruoli di padre). Pur di convincerla a intraprendere la propria strada, il padre finge di volersi a sua volta risposare. Ozu applica tutte le componenti della sua regia con una tale sicurezza da evitare di mettere in scena i momenti salienti: per esempio non vediamo mai il futuro sposo, non assistiamo né alla richiesta di matrimonio né alla cerimonia nuziale, situazioni centrali che restano relegate ai margini del racconto, tutto concentrato sul rapporto padre/figlia. In questo caso il conflitto tra modernità e tradizione è bilanciato in modo inusuale tra i due protagonisti: la modernità è rappresentata dall’apertura mentale che induce il padre a rinunciare alla figlia purché sia felice; tradizione è l'ottusa ostinazione della figlia nel ruolo atavico di chi deve accudire al genitore rinunciando alla propria felicità.
Ne Il tempo del raccolto del grano (Bakushu, 1951) si avverte ancor di più la mancanza di un centro drammatico: abbiamo una famiglia numerosa (i due nonni, il loro figlio con moglie e bambini, la loro figlia nubile Noriko) che vive la routine della propria quotidianità. L'unica ombra che offusca la tranquilla vita della famiglia è il timore che Noriko non riesca a trovare marito. Ma ecco la variabile che devia il naturale corso degli eventi: un giorno Noriko si lega a un giovane vedovo e padre di una bambina con una promessa di matrimonio fatta alla madre di lui. Così come in Tarda primavera, anche qui Ozu lascia che siano gli anziani ad accettare di buon grado la scelta anticonformista di Noriko, mentre il fratello vi si oppone con motivazioni retrograde, lamentandosi ad esempio del fatto che sposi un vedovo. Sarà la stessa Noriko a palesare di non essere mossa tanto dall'amore, quanto da una sorta di istinto di conservazione di un nucleo già esistente.
Dopo Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji, 1952) opera su una crisi coniugale, di cui aveva scritto una prima sceneggiatura già nel 1939, gira il film da molti considerato il suo capolavoro: Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 1953), ritenuto tra i più alti esempi di cinema a livello mondiale. Una coppia di anziani vive a Onomichi, paese di provincia nel sud del Giappone. Un giorno intraprende un viaggio verso Tokyo per andare a trovare due figli che vivono lì con le rispettive famiglie, ma il loro entusiasmo è smorzato dalla frenetica vita dei figli, troppo presi dal lavoro per potersi occupare di loro. La più disponibile è Noriko, vedova del loro terzo figlio. Di ritorno a casa, la vecchia madre si ammala e muore. La storia ha un incedere calmo e riflessivo, lascia affiorare in modo del tutto naturale, quasi spontaneo e senza la minima forzatura, il gap generazionale tra i personaggi. Alla base vi è un’apparente semplicità, in cui emerge il certosino lavoro intellettuale del regista/sceneggiatore: le sfumature, i gesti, i paesaggi, tutto viene dosato sapientemente da Ozu per far immedesimare il suo pubblico. Da questo punto di vista è forse vero che Ozu era il più giapponese tra i registi giapponesi, e si può temere che un pubblico occidentale possa trascurare alcuni particolari che invece a quello nipponico svelano interi immaginari. Mancano quasi del tutto i movimenti di macchina e l'omogeneità visiva aiuta a cogliere l'armonia interna del racconto, il contrasto tra l'antico e il moderno, e le sfumature psicologiche dei personaggi. Lucida e distaccata la descrizione di come la struttura familiare tipica giapponese vada disgregandosi, senza dimostrare alcuna empatia né per il vecchio né per il nuovo.
Nel 2013, Yōji Yamada, già assistente di Ozu, dirigerà Tokyo Family (Tōkyō kazoku), remake ambientato nel Giappone contemporaneo, mentre il regista tedesco Wim Wenders esplorerà il mondo di Ozu nel film documentario Tokyo-Ga, con le testimonianze di Ryū Chishū e Atsu Yuharu.
Nel 1956 realizza Inizio di primavera (Soshun), che torna all'ambiente impiegatizio e sul tema della crisi coniugale già proposto ne Il sapore del riso al tè verde. Il successo di Ozu sembra attenuarsi in questo periodo, anche se il film entra nell’annuale lista dei migliori dieci di Kinema Jumpo. L’industria del cinema sta cambiando rapidamente con l'introduzione di una nuova energia giovanile (quella dei taiyozoku eiga e di quella generazione di registi di cui si è già accennato) pronta ad affacciarsi sulla scena produttiva per andare incontro al pubblico vorace di novità.
Forse per questo, il successivo Crepuscolo di Tokyo (Tokyo boshoku, 1957), ultima pellicola in bianco e nero da parte di Ozu, si rivolge alla stessa generazione di giovani giapponesi proponendo un intreccio più cupo e melodrammatico: due sorelle reagiscono al trauma dell'abbandono della madre, fuggita con un altro uomo, in modi diametralmente opposti nella sfera sentimentale/sessuale. La prima si aggrappa ai retaggi della tradizione, accettando di vivere con il marito che non ama pur di sottrarre sua figlia al suo stesso destino; la seconda si lascia trascinare dall’onda della modernità decidendo di abortire, ma le sue vicende si concluderanno in un tragico suicidio.
Dopo questa parentesi velata di pessimismo, nel cinema di Ozu torna a splendere il sole con Fiori d'equinozio (Higanbana, 1958), prima opera a colori, incentrata sul conflitto generazionale padre/figlia. Hirayama si dimostra aperto e di larghe vedute nei confronti delle figlie dei suoi amici, ma è rigido e intransigente con sua figlia Setsuko, e non ammette che possa sposare l'uomo che ama solo perché non viene da una famiglia facoltosa. Alla fine accetta comunque la scelta della ragazza. Il potere patriarcale di Hirayama viene sconfitto dalla decisione della figlia e dal consenso di tutti quelli che le sono intorno. La stessa sorte è condivisa dal padre del successivo Buon giorno (Ohayo, 1959), per molti versi un remake del film Sono nato, ma... del 1932, in cui due bambini intraprendono uno sciopero del silenzio (nel precedente film era della fame) per un capriccio contro il rifiuto del padre di comprare un televisore.
Erbe fluttuanti (Ukigusa, 1959) è il remake di Storia di erbe fluttuanti del 1934, mentre Tardo autunno (Akibiyori, 1960) è la rivisitazione in chiave femminile del soggetto di Tarda primavera: non più un padre, ma una madre vedova (qui interpretata da Setsuko Hara che nel precedente film ricopriva il ruolo della figlia), finge di volersi risposare per convincere sua figlia a unirsi a sua volta in matrimonio. Se si escludono l'uso del colore, gli interpreti e il ruolo della genitrice, l’intero film è ricalcato sul modello originale, il cui nodo tematico è sempre il matrimonio, inteso come tappa irrinunciabile nella vita di un individuo rispetto alla società in cui vive.
L'autunno della famiglia Kohayagawa (Kohayagawa ke no aki, 1961) e Il gusto del sakè (Sanma no aji, 1962) sono gli ultimi due film del regista. In entrambi il protagonista è un uomo di mezza età, forse alter ego dello stesso autore ormai sessantenne. Nel primo il protagonista, già sposato e con tre figlie, si riunisce a una vecchia fiamma da cui aveva avuto in passato un'altra figlia, ma proprio quando riscopre una nuova vita in questa relazione, muore. Nel secondo, la trama è ancora una volta quella di un uomo vedovo che deve separarsi dalla figlia perché questa si sposi e si crei una nuova vita. Rimasto solo nel pieno dell'autunno della propria vita, trova conforto nel sakè. Immagine ricorrente è l’autunno, infatti anche la costardella (sanma) del titolo originale è un pesce che si mangia in autunno. Nei due racconti traspare una velata meditazione sulla morte, ma il declino non è presentato a tinte fosche, casomai entrambi i film presentano scene briose e umoristiche, una leggerezza di toni in cui la solitudine e la morte appaiono meno tragiche.
Mentre sta girando Il gusto del sakè Ozu assiste alla morte della madre. Rimasto scapolo per tutta la vita e profondamente attaccato alla sua anziana genitrice, in molti hanno pensato che questa perdita fosse stata in qualche modo un cupo presagio, dato che lo stesso Ozu, dopo appena un anno, avrebbe perso la vita stroncato da un cancro alla gola, nel giorno del suo sessantesimo compleanno.
"Anche oggi il sergente Ozu non cerca di distinguersi con gesta eroiche ma vive con le lacrime agli occhi"
Yasujirō Ozu
1927 - La spada della penitenza (Zange no yaiba, 懺悔 の 刃) - Perduto
1928 - Sogni di gioventù (Wakōdo no yume, 若 人 の 夢) - Perduto
1928 - Una moglie smarrita (Nyōbō funshitsu, 女 房 紛 失) - Perduto
1928 - Zucca (Kabocha, カボチャ) - Perduto
1928 - Una coppia in movimento (Hikkoshi fūfu, 引越し夫婦) - Perduto
1928 - Un bel fisico (Nikutaibi, 肉体美) - Perduto
1929 - Il tesoro della montagna (Takara no yama, 宝の山) - Perduto
1929 - Giorni di gioventù (Gakusei romansu: wakaki hi, 学生ロマンス 若き日) – Primo film di Ozu esistente
1929 - Rissa fra amici in stile giapponese (Wasei kenka tomodachi, 和製喧嘩友達) – Sussistono 14 minuti
1929 - Mi sono laureato, ma... (Daigaku wa detakeredo, 大学は出たけれど) – Sussistono 10 minuti
1929 - La vita di un impiegato (Kaishain seikatsu, 会社員生活) – Perduto
1929 - Bambino che non si ferma mai (Tokkan kozō, 突貫小僧) – Cortometraggio
1930 - Introduzione al matrimonio (Kekkongaku nyūmon, 結婚学入門) - Perduto
1930 - Passeggiate allegramente! (Hogaraka ni ayume, 朗かに歩め)
1930 - Sono stato bocciato, ma... (Rakudai wa shitakeredo, 落第はしたけれど)
1930 - La moglie di quella notte (Sono yo no tsuma, 朗かにその夜の妻)
1930 - La vendetta dello spirito di Eros (Erogami no onryō, エ ロ 神 の 怨 霊) – Perduto
1930 - La fortuna è ai miei piedi (Ashi ni sawatta kōun, 足 に 触 っ た 幸運) – Perduto
1930 - Signorina (Ojōsan, お 嬢 さ ん) – Perduto
1931 - La signorina e la barba (Shukujo to hige, 淑女 と 髯)
1931 - I travagli della bellezza (Bijin aishu, 美人 哀愁) – Perduto
1931 - Il coro di Tokyo (Tōkyō no kōrasu, 東京 の 合唱)
1932 - La primavera proviene dalle donne (Haru wa gofujin kara, 春 は 御 婦人 か ら) – Perduto
1932 - Sono nato, ma... (Umarete wa mita keredo, 大人 の 見 る 繪本 生 れ て は み た け れ ど)
1932 - Dove sono finiti i sogni di gioventù? (Seishun no yume ima izuko, 靑 春 の 夢 い ま い づ こ)
1932 – Fino al nostro prossimo incontro (Mata au hi made, ま た 逢 ふ 日 ま で) – Perduto
1933 - Una donna di Tokyo (Tokyo no onna, 東京 の 女)
1933 - La donna della retata (Hijōsen no onna, 非常 線 の 女)
1933 - Capriccio passeggero (Dekigokoro, 出来 ご こ ろ)
1934 - Una madre dovrebbe essere amata (Haha wo kowazuya, 母 を 恋 は ず や)
1934 - Storia di erbe fluttuanti (Ukigusa monogatari, 浮 草 物語)
1935 - Una ragazza innocente (Hakoiri musume, 箱 入 娘) – Perduto
1935 – Una locanda di Tokyo (Tokyo no yado, 東京 の 宿)
1936 – L’università è un bel posto (Daigaku yoitoko, 大学 よ い と こ) – Perduto
1936 - Figlio unico (Hitori musuko, 一 人 息 子) – Primo film sonoro
1936 – Kagamijishi (Kagamijishi, 菊 五郎 の 鏡 獅子)- Documentario
1937 - Che cosa ha dimenticato la ragazza? (Shukujo wa nani wo wasureta ka, 淑女 は 何 を 忘 れ た か)
1941 - Fratelli e sorelle della famiglia Toda (Todake no kyodai, 戸 田家 の 兄妹)
1942 - C'era un padre (Chichi ariki, 父 あ り き)
1947 - Il chi è di un inquilino (Nagaya Shinshiroku, 長 屋 紳士 録)
1948 - Una gallina nel vento (Kaze no naka no mendori, 風 の 中 の 牝 鶏)
1949 - Tarda primavera (Banshun, 晩 春)- Primo film con Setsuko Hara
1950 - Le sorelle Munekata (Munekata kyōdai, 宗 方 姉妹)
1951 - Il tempo del raccolto del grano/Inizio d’estate (Bakushu, 麥秋)
1952 - Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji, お 茶 漬 の 味) Adattato dalla censura del 1939
1953 - Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 東京 物語)
1956 - Inizio di primavera (Soshun, 早春)
1957 - Crepuscolo di Tokyo (Tōkyō boshoku, 東京 暮色)
1958 - Fiori d'equinozio (Higanbana, 彼岸花) – Primo film di Ozu a colori
1959 - Buon giorno (Ohayo, お 早 よ う) – Remake di Sono nato, ma...
1959 - Erbe fluttuanti (Ukigusa, 浮 草) – Remake di Storia di erbe fluttuanti
1960 - Tardo autunno (Akibiyori, 秋日 和)
1961 - L'autunno della famiglia Kohayagawa (Kohayagawa-ke no aki, 小早川 家 の 秋)
1962 - Il gusto del sakè (Sanma no aji, 秋刀魚 の 味)
Fonti bibliografiche consultate:
Yasujirō Ozu, Scritti sul cinema, Donzelli, 2016
Maria Roberta Novielli, Storia del cinema giapponese, Marsilio, 2001
Yasujirō Ozu sul set di Viaggio a Tokyo. "Sono uno dalle preferenze molto marcate, per cui è inevitabile che anche i miei film abbiano qualche vezzo. Uno di questi è il fatto di posizionare la macchina da presa in basso".
Una grammatica non convenzionale
Per molto tempo è stata opinione comune che Yasujirō Ozu girasse film che solo i giapponesi potevano apprezzare fino in fondo. Gli stessi dirigenti del suo studio, la Shochiku, evitavano di vendere all’estero le sue pellicole, convinti che il pubblico straniero aspirasse solo all'esotismo dei samurai e delle geisha, sull’onda del successo internazionale di Rashomon (1950) di Akira Kurosawa, piuttosto che ai pacati drammi realistici di Ozu, incentrati sulle famiglie della media borghesia contemporanea.
Ed è per questo che i suoi classici del dopoguerra hanno cominciato a circolare all’estero solo negli anni '60. Oggi, a più di 50 anni dalla sua morte, diverse generazioni di studiosi, cineasti e semplici fan hanno ormai visionato, celebrato e canonizzato i suoi film. In un sondaggio fra registi e critici lanciato dalla famosa rivista Sight and Sound, Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953) è stato eletto al primo posto dai registi e al terzo posto dai critici (dopo La donna che visse due volte e Quarto potere) nella classifica dei migliori film di tutti i tempi.
Dopo aver diretto il suo primo film, ormai perduto, all'età di 24 anni, Ozu dirige commedie, melodrammi e persino film di gangster (La donna della retata, 1933) fino all’età di 30 anni, quando inizia a sviluppare e perfezionare un suo stile. Dopo la parentesi della guerra che lo vede arruolato nell'esercito imperiale sul fronte cinese, dirige i suoi lavori più rappresentativi che lo renderanno famoso a livello internazionale. Questi in genere ruotano intorno alla famiglia, in preda alla dissoluzione o alla disaffezione (il padre che pianifica di far sposare sua figlia in Tarda primavera, o i figli che trattano come un peso i genitori in Viaggio a Tokyo), tuttavia in questi film mancano le urla, le scenate e altri acuti melodrammatici che ci si aspetterebbe da un dramma familiare. Le emozioni increspano solo per pochi attimi la calma superficie della vita quotidiana, con una parola, uno sguardo o un gesto accennato ma carico di significato.
Nelle riprese delle sue famiglie, Ozu preferisce gli interni delle case in stile giapponese, con la cinepresa posizionata in basso, all'altezza dei personaggi seduti sul tatami, per dare un'impressione di intimità. Il suo uso anti convenzionale della cinepresa va oltre i canoni importati da Hollywood, come le sue particolari riprese ad altezza spalla, che danno la sensazione di guardare direttamente al cuore dei personaggi, oltre la maschera dell’espressività dei volti. Un’altra prassi di uso comune abbattuta da Ozu è la dissolvenza in entrata/uscita, da lui considerata "nient'altro che una funzione meccanica della cinepresa, inserirla nei film, è come incollare fogli di carta bianchi in più all’inizio di un libro prima di cominciare a leggerlo". Invece preferisce i tagli netti nelle transizioni, con inquadrature da cartolina di edifici, vicoli e altri soggetti comuni che davano al pubblico un'idea ben precisa e stratificata dell'ambientazione.
Tanaka Kinuyo e Oka Joji in La donna della retata (Hojiosen no onna,1933). "É la storia di un giovane delinquente, non ne facevo dai tempi di Hogoraka ni ayume, un melodramma".
Contrariamente alla normale pratica cinematografica, Ozu si astiene del tutto dall’enfatizzare in modo patetico le emozioni, evita quindi i primi piani drammatici e l’uso invasivo della colonna sonora. La musica è limitata ai cambi di scena, spesso usata per compensare o spiazzare l'umore dei personaggi, magari usando una melodia vivace su una scena triste.
Allo stesso modo, Ozu lascia sullo sfondo i momenti salienti come matrimoni e funerali, e queste sottrazioni non solo non svuotano la storia del dramma, ma piuttosto stimolano l'immaginazione e mantengono alta l'attenzione dello spettatore su ciò che Ozu considera veramente importante. Nel suo cinema non sono tanto i fatti a contare, ma i sentimenti che essi suscitano in coloro che li vivono (e di riflesso negli spettatori). Ad esempio in Tardo autunno si concentra non tanto sulla cerimonia nuziale di Noriko (Setsuko Hara), che non viene mai mostrata, quanto piuttosto sulla solitudine del suo vecchio padre (Ryū Chishū), e sulla recitazione sussurrata in cui a volte il non detto è più importante del detto.
A proposito dell'ellissi scrive: "ha un ruolo fondamentale per far concentrare nel dettaglio l'attenzione degli spettatori su un elemento, omettendone altri. Non è perciò una questione solo di apparenza ma di sostanza. La stessa cosa avviene nella pittura: se dipingo una parte poco definita, attrarrò ancor più l'attenzione nei dettagli su un'altra parte del dipinto. Si può proprio dire che il problema dell'ellissi nel cinema sia la chiave essenziale della costruzione drammatica del film stesso".
L'ellissi, la recitazione "trattenuta" degli attori, il parsimonioso uso del primo piano, fanno parte di quell'economia formale tanto cara al cinema di Ozu, che preferisce l'implicito all'esplicito, le sfumature di grigio al contrasto tra bianco e nero, l'allusione al perentorio. Come scrive lo stesso cineasta:
"Il problema è quello di ridurre le componenti drammatiche e far sì che scena dopo scena, in maniera impercettibile, si crei una sorta di suggestione che tocchi le corde profonde della sensibilità estetica. Non si tratta di raccontare in modo esaustivo qualcosa, ma piuttosto mostrarne soltanto il settanta/ottanta per cento, lasciando quel che non si vede alla sensibilità estetica dello spettatore (...). Detto in altre parole, in un romanzo sarebbe una sfumatura tra le righe, in un'opera di pittura giapponese sarebbe l'uso estetico dello spazio vuoto; in ogni modo si tratta di non mostrare l'interazione tra i sentimenti nudi ma di far percepire le cose solo per vaghi accenni".
Ozu sul set di Sono nato, ma... con Sugawara Hideo e Aoki Tomio. A destra: Ozu e Yamanaka Sadao sul fronte cinese, Jurong, 12 gennaio 1938: "Era il primissimo mattino. Yamanaka morì poi al fronte".
Parlando del primo piano e del suo uso fatto da Griffith, Ozu vi intravede una sorta di “regola grammaticale”, atta a “mostrare i sentimenti nel loro culmine”. A più riprese nei suoi scritti ricorre l’idea di una grammatica del cinema, intesa come un insieme di norme espressive cui il regista può ricorrere per rappresentare una certa situazione. Nel 1947 scriveva:
“Anche nel cinema ci si comporta dando per scontato che esistano delle regole come nella scrittura. Per comodità chiameremo queste regole grammatica del cinema, ma io non credo che nel cinema esista una grammatica. Ciò che viene chiamata grammatica in realtà non lo è in senso stretto e mi sento di dire che non ci si deve preoccupare di attenersi ad essa”.
Conoscenza del cinema e ricerca espressiva sono due attitudini fondamentali del lavoro di Ozu, come dimostrano ampiamente sia i suoi film che i suoi scritti. Si vedano ad esempio le osservazioni sull'uso delle inquadrature in una scena di conversazione. Normalmente, il cinema classico occidentale è sempre attento nel posizionare le cineprese per far sì che i due personaggi, parlandosi, guardino l’uno verso destra e l’altro verso sinistra, dando l’impressione agli occhi dello spettatore di osservarsi reciprocamente.
Ozu decide di ignorare deliberatamente questa consuetudine. Molte delle sue scene di conversazione sono costruite in modo che gli sguardi dei due interlocutori siano diretti entrambi nella medesima direzione: in questo modo "gli spettatori, naturalmente incluso me stesso, istintivamente capiscono senza problemi che i due stanno faccia a faccia". Secondo il suo storico direttore della fotografia, Atsuta Yuharu, questa scelta è dovuta al principio armonico su cui si basa tutto il cinema di Ozu, secondo il quale i personaggi che conversano non guardano più l’uno contro l’altro e a sottolineare che ciò che conta non è il conflitto ma la ricerca di un punto in comune. Questo rifiuto di seguire la grammatica del cinema spinge il regista verso modalità espressive nuove e sperimentali che rendono il suo lavoro del tutto unico e particolare.
Ozu infrange la "linea dello sguardo" che unisce il dialogo gli attori: “Prima si riprende l’uomo dal punto 1. Poi si riprende la donna dal punto 2. Entrambi perciò guardano verso sinistra e la macchina da presa oltrepassa la linea che li unisce da destra a sinistra. Questo modo di riprendere contravviene chiaramente alle regole di cui stiamo parlando”.
Ignorando quelle che considerava inutili "regole grammaticali" della regia, Ozu è oltremodo restio nell'adottare nuove tecnologie. Gira il suo primo film sonoro solo nel 1936 (Figlio unico), e il suo primo film a colori solo nel 1958 (Fiori d’equinozio) e resiste fino all’ultimo alle pressioni dello studio per girare nel formato wide screen, continuando a girare in 4:3. "Dato il poco tempo che mi resta su questa Terra", scrive nel 1963, "non voglio girare un film come se stessi sbirciando fuori dalla cassetta della posta".
Questa tendenza iconoclasta di Ozu e la sua ardita sperimentazione espressiva, ne modifica in qualche modo l'immagine di mitezza che spesso gli viene attribuita e lo spinge anche verso un atteggiamento critico nei confronti delle major. Convinto che più della grammatica del cinema sia importante una sensibilità, Ozu deplora la pratica diffusa degli studi giapponesi (compreso il suo, la Shochiku) di costringere i propri giovani registi al ruolo di assistenti per un periodo molto lungo di apprendistato:
"I giovani che hanno finito gli studi (...) hanno una sensibilità cinematografica molto viva, poi entrano negli studi di produzione, continuano a fare la vita da assistenti alla regia per molti anni e finiscono per logorare questa sensibilità. Quando poi riescono finalmente a diventare registi veri e propri, sono ormai assimilati all'ambiente circostante, hanno perso la fiducia nella propria sensibilità e cercano il sostegno in qualche regola della messa in scena. Seguire la teoria della grammatica come regola aurea diventa così una forma di sicurezza."
Ozu è sempre aperto alle nuove idee: "Quando mi capita di vedere un film di un nuovo arrivato dal Messico o dall'Italia o di un regista dilettante, sento una sorprendente freschezza nei loro metodi", scrive nel 1958, ed è anche "felice delle notizie dalla Francia che parlano di un nuovo gruppo di cineasti ventenni che girano film controversi (...) Forza, nuovi registi, venite fuori!”.
Sono i registi della Nuberu bagu (Nouvelle Vague francese) che, a cavallo tra i '50 e i '60, avrebbero avuto la loro controparte nipponica in una nuova generazione di giovani leve (molte sponsorizzate dalla stessa Shochiku), come Masahiro Shinoda, Yoshishige Yoshida e Nagisa Oshima, che rifiuteranno il marchio di Ozu e i suoi film umanistici incentrati sulla media borghesia. Lo stesso ex assistente di Ozu, Shohei Imamura esplorerà i margini della società in film patologicamente violenti e politicamente radicali.
“Molti identificano il dramma con un incidente sensazionale, come qualcuno che viene ucciso. Ma questo non è un dramma, è solo un evento bizzarro. Invece penso che il dramma sia qualcosa di non sensazionale, qualcosa che non puoi esprimere facilmente a parole, con i personaggi che dicono cose normali del tipo: ‘Ah sì?’, ‘Eh già, sì è proprio così”.
Ozu ha continuato a produrre i suoi film con uno spirito da umile artigiano, per usare un'espressione da lui spesso utilizzata. Il suo genio consiste nel trasformare le cose quotidiane in verità eterne, in un modo immediatamente riconoscibile come assolutamente suo.
"Sono un piccolo produttore di tofu. Se si chiede a un piccolo produttore di tofu di preparare un piatto di curry o una cotoletta di maiale impanata, lui non riuscirà mai a farli bene."
Ryū Chishū, Setsuko Hara e Yumeji Tsukioka in Tarda primavera (Banshun, 1949): "Faccio film da più di vent'anni, ma è raro che un'attrice capisca in profondità ciò che intendo e reciti in maniera superba come Hara Setsuko (...) Vorrei averne quattro o cinque di attrici così".
Gli attori di Ozu
Per un regista, la direzione degli attori è essenziale. Normalmente si giudica la performance di un attore in base alle sue qualità intrinseche, ma se teniamo presente la mediazione del regista la prova attoriale arriva allo spettatore filtrata dalle scelte di regia (messinscena, inquadrature, montaggio…) che ne esaltano (o deprimono) la prestazione. La maniera di Ozu di dirigere gli attori, così come sostiene nei suoi scritti, rientra in una idea ben precisa di “economia della forma” che è propria del suo cinema votato alla sottrazione e alla riduzione del lessico filmico, all’essenzialità dello stile. Un cinema che cerca di raccontare di più, di andare al cuore delle cose, con meno mezzi possibili.
Setsuko Hara, l’attrice preferita di Ozu, scomparsa all’età di novant’anni nel 2015, e che si era ritirata dal set nel 1963 (anno della morte di Ozu), è citata più volte negli scritti del regista - per inciso è l'attrice che ha ispirato il film Chiyoko - Millennium Actress di Satoshi Kon. Se confrontiamo l’interpretazione dell’attrice in Non rimpiango la mia giovinezza (1946) di Kurosawa con quella in Tarda primavera di Ozu, abbiamo un’idea della diversità delle due performance: tanto è sovraccarica e sopra le righe la prima, quanto è trattenuta e minimale la seconda. Ozu afferma di aver sempre seguito il lavoro di Kurosawa ma riferendosi a Non rimpiango la mia giovinezza scrive che “se si utilizza Setsuko Hara come ha fatto Kurosawa, penso che non venga fuori il suo lato migliore”. In un altro articolo riprende il discorso sull’attrice scrivendo:
“Secondo me, è una persona che non riesce a esprimere gioia e rabbia con una recitazione carica, ma piuttosto sa trasmettere superbamente le stesse emozioni con gesti minimi. In altre parole, si dovrebbe poter esprimere un’esplosione di rabbia anche senza alzare la voce. Se chiedo a Hara di recitare in questo modo, lei riesce a farlo senza alcuna difficoltà sin nelle minime sfumature.”
Un altro esempio di minimalismo espressivo dell’attore è dato dallo stile di recitazione di Ryu Chishu, l’attore più presente nella filmografia di Ozu. Il regista, considerato il più giapponese dei registi giapponesi, collega questa maniera di recitare a una realtà antropologica del suo paese quando scrive: “I giapponesi non manifestano le proprie emozioni con espressioni del volto accentuate o con grandi gesti. Se si accentuasse la recitazione in quel modo, il risultato sarebbe spesso innaturale e stridente”.
Ozu fa anche il nome di due maestri del cinema americano classico in cui avrebbe trovato echi di quel tipo di recitazione minimale. Cita John Ford di Sfida infernale (1946), come esempio di recitazione che sa trattenere, la scena in cui Henry Fonda, “dopo essere andato dal barbiere, sta lì in piedi senza fare nulla, poi si siede e appoggia i piedi sul palo e si dondola inclinando la sedia all’indietro tutto divertito". Di Piccole volpi (1941) di William Wyler cita la scena in cui Bette Davis, vicino al marito morente, “prepara una tazza di tè, con l’aria indifferente, come se niente fosse, mentre si sentono solo i rumori della teiera e delle tazze”.
I poster di Signorina (Ojōsan, film perduto del 1930) e Storia di erbe fluttuanti (Ukigusa monogatari, 1934).
La produzione postbellica
Risale al 1947 il primo film di Ozu dopo la guerra, Il chi è di un inquilino, a cui segue a distanza di un anno Una gallina nel vento (Kaze no naka no mendori). Ma il film che inaugura lo stile e le tematiche distintive di Ozu, quelli per cui oggi viene ricordato come uno dei registi più influenti della scena internazionale, è Tarda primavera (Banshun, 1949), che segna anche l'incontro con la sua musa d’elezione, Setsuko Hara. La purezza incontaminata del volto della Hara e la visuale al livello dei tatami rappresentano la quintessenza dell'estetica di Ozu. Il film conquisterà il pubblico giapponese e il regista ripeterà lo stesso stile e gli stessi temi (con poche varianti) anche negli anni a venire, in un manifesto poetico che fa di questo autore una delle voci più alte tra quanti raccontano l’universo familiare al cinema.
Dal 1949 al 1963 (anno della sua morte) Ozu realizza tredici film, tutti sceneggiati dallo stesso regista e dal suo fedele collaboratore Kogo Noda, con una formula stilistica quasi immutata nel tempo e con tutti quei codici che rendono universali i suoi film: i dialoghi asciutti ed essenziali tratti dalla vita quotidiana, la semplicità degli ambienti, le rigorose geometrie delle inquadrature, un insieme di “quadri” che si succedono ordinatamente. I suoi personaggi non mirano a chissà quali chimeriche aspirazioni, cercano solo di conservare il delicato equilibrio del proprio nucleo familiare contro gli attacchi del tempo e le vicissitudini della vita.
Tarda primavera narra di una giovane donna (Setsuko Hara) decisa a non sposarsi per non lasciare solo suo padre, (Ryū Chishū, attore ricorrente nei ruoli di padre). Pur di convincerla a intraprendere la propria strada, il padre finge di volersi a sua volta risposare. Ozu applica tutte le componenti della sua regia con una tale sicurezza da evitare di mettere in scena i momenti salienti: per esempio non vediamo mai il futuro sposo, non assistiamo né alla richiesta di matrimonio né alla cerimonia nuziale, situazioni centrali che restano relegate ai margini del racconto, tutto concentrato sul rapporto padre/figlia. In questo caso il conflitto tra modernità e tradizione è bilanciato in modo inusuale tra i due protagonisti: la modernità è rappresentata dall’apertura mentale che induce il padre a rinunciare alla figlia purché sia felice; tradizione è l'ottusa ostinazione della figlia nel ruolo atavico di chi deve accudire al genitore rinunciando alla propria felicità.
Chieko Higashiyama e Setsuko Hara in Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 1953): "Ho provato a dipingere la disgregazione del sistema famigliare in Giappone attraverso l'evoluzione dei rapporti tra genitori e figli nel corso del tempo".
Ne Il tempo del raccolto del grano (Bakushu, 1951) si avverte ancor di più la mancanza di un centro drammatico: abbiamo una famiglia numerosa (i due nonni, il loro figlio con moglie e bambini, la loro figlia nubile Noriko) che vive la routine della propria quotidianità. L'unica ombra che offusca la tranquilla vita della famiglia è il timore che Noriko non riesca a trovare marito. Ma ecco la variabile che devia il naturale corso degli eventi: un giorno Noriko si lega a un giovane vedovo e padre di una bambina con una promessa di matrimonio fatta alla madre di lui. Così come in Tarda primavera, anche qui Ozu lascia che siano gli anziani ad accettare di buon grado la scelta anticonformista di Noriko, mentre il fratello vi si oppone con motivazioni retrograde, lamentandosi ad esempio del fatto che sposi un vedovo. Sarà la stessa Noriko a palesare di non essere mossa tanto dall'amore, quanto da una sorta di istinto di conservazione di un nucleo già esistente.
Dopo Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji, 1952) opera su una crisi coniugale, di cui aveva scritto una prima sceneggiatura già nel 1939, gira il film da molti considerato il suo capolavoro: Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 1953), ritenuto tra i più alti esempi di cinema a livello mondiale. Una coppia di anziani vive a Onomichi, paese di provincia nel sud del Giappone. Un giorno intraprende un viaggio verso Tokyo per andare a trovare due figli che vivono lì con le rispettive famiglie, ma il loro entusiasmo è smorzato dalla frenetica vita dei figli, troppo presi dal lavoro per potersi occupare di loro. La più disponibile è Noriko, vedova del loro terzo figlio. Di ritorno a casa, la vecchia madre si ammala e muore. La storia ha un incedere calmo e riflessivo, lascia affiorare in modo del tutto naturale, quasi spontaneo e senza la minima forzatura, il gap generazionale tra i personaggi. Alla base vi è un’apparente semplicità, in cui emerge il certosino lavoro intellettuale del regista/sceneggiatore: le sfumature, i gesti, i paesaggi, tutto viene dosato sapientemente da Ozu per far immedesimare il suo pubblico. Da questo punto di vista è forse vero che Ozu era il più giapponese tra i registi giapponesi, e si può temere che un pubblico occidentale possa trascurare alcuni particolari che invece a quello nipponico svelano interi immaginari. Mancano quasi del tutto i movimenti di macchina e l'omogeneità visiva aiuta a cogliere l'armonia interna del racconto, il contrasto tra l'antico e il moderno, e le sfumature psicologiche dei personaggi. Lucida e distaccata la descrizione di come la struttura familiare tipica giapponese vada disgregandosi, senza dimostrare alcuna empatia né per il vecchio né per il nuovo.
Nel 2013, Yōji Yamada, già assistente di Ozu, dirigerà Tokyo Family (Tōkyō kazoku), remake ambientato nel Giappone contemporaneo, mentre il regista tedesco Wim Wenders esplorerà il mondo di Ozu nel film documentario Tokyo-Ga, con le testimonianze di Ryū Chishū e Atsu Yuharu.
I poster di Tarda primavera (Banshun, 1949) e Inizio di primavera (Soshun, 1956).
Nel 1956 realizza Inizio di primavera (Soshun), che torna all'ambiente impiegatizio e sul tema della crisi coniugale già proposto ne Il sapore del riso al tè verde. Il successo di Ozu sembra attenuarsi in questo periodo, anche se il film entra nell’annuale lista dei migliori dieci di Kinema Jumpo. L’industria del cinema sta cambiando rapidamente con l'introduzione di una nuova energia giovanile (quella dei taiyozoku eiga e di quella generazione di registi di cui si è già accennato) pronta ad affacciarsi sulla scena produttiva per andare incontro al pubblico vorace di novità.
Forse per questo, il successivo Crepuscolo di Tokyo (Tokyo boshoku, 1957), ultima pellicola in bianco e nero da parte di Ozu, si rivolge alla stessa generazione di giovani giapponesi proponendo un intreccio più cupo e melodrammatico: due sorelle reagiscono al trauma dell'abbandono della madre, fuggita con un altro uomo, in modi diametralmente opposti nella sfera sentimentale/sessuale. La prima si aggrappa ai retaggi della tradizione, accettando di vivere con il marito che non ama pur di sottrarre sua figlia al suo stesso destino; la seconda si lascia trascinare dall’onda della modernità decidendo di abortire, ma le sue vicende si concluderanno in un tragico suicidio.
Dopo questa parentesi velata di pessimismo, nel cinema di Ozu torna a splendere il sole con Fiori d'equinozio (Higanbana, 1958), prima opera a colori, incentrata sul conflitto generazionale padre/figlia. Hirayama si dimostra aperto e di larghe vedute nei confronti delle figlie dei suoi amici, ma è rigido e intransigente con sua figlia Setsuko, e non ammette che possa sposare l'uomo che ama solo perché non viene da una famiglia facoltosa. Alla fine accetta comunque la scelta della ragazza. Il potere patriarcale di Hirayama viene sconfitto dalla decisione della figlia e dal consenso di tutti quelli che le sono intorno. La stessa sorte è condivisa dal padre del successivo Buon giorno (Ohayo, 1959), per molti versi un remake del film Sono nato, ma... del 1932, in cui due bambini intraprendono uno sciopero del silenzio (nel precedente film era della fame) per un capriccio contro il rifiuto del padre di comprare un televisore.
Erbe fluttuanti (Ukigusa, 1959) è il remake di Storia di erbe fluttuanti del 1934, mentre Tardo autunno (Akibiyori, 1960) è la rivisitazione in chiave femminile del soggetto di Tarda primavera: non più un padre, ma una madre vedova (qui interpretata da Setsuko Hara che nel precedente film ricopriva il ruolo della figlia), finge di volersi risposare per convincere sua figlia a unirsi a sua volta in matrimonio. Se si escludono l'uso del colore, gli interpreti e il ruolo della genitrice, l’intero film è ricalcato sul modello originale, il cui nodo tematico è sempre il matrimonio, inteso come tappa irrinunciabile nella vita di un individuo rispetto alla società in cui vive.
L'autunno della famiglia Kohayagawa (Kohayagawa ke no aki, 1961) e Il gusto del sakè (Sanma no aji, 1962) sono gli ultimi due film del regista. In entrambi il protagonista è un uomo di mezza età, forse alter ego dello stesso autore ormai sessantenne. Nel primo il protagonista, già sposato e con tre figlie, si riunisce a una vecchia fiamma da cui aveva avuto in passato un'altra figlia, ma proprio quando riscopre una nuova vita in questa relazione, muore. Nel secondo, la trama è ancora una volta quella di un uomo vedovo che deve separarsi dalla figlia perché questa si sposi e si crei una nuova vita. Rimasto solo nel pieno dell'autunno della propria vita, trova conforto nel sakè. Immagine ricorrente è l’autunno, infatti anche la costardella (sanma) del titolo originale è un pesce che si mangia in autunno. Nei due racconti traspare una velata meditazione sulla morte, ma il declino non è presentato a tinte fosche, casomai entrambi i film presentano scene briose e umoristiche, una leggerezza di toni in cui la solitudine e la morte appaiono meno tragiche.
Mentre sta girando Il gusto del sakè Ozu assiste alla morte della madre. Rimasto scapolo per tutta la vita e profondamente attaccato alla sua anziana genitrice, in molti hanno pensato che questa perdita fosse stata in qualche modo un cupo presagio, dato che lo stesso Ozu, dopo appena un anno, avrebbe perso la vita stroncato da un cancro alla gola, nel giorno del suo sessantesimo compleanno.
"Anche oggi il sergente Ozu non cerca di distinguersi con gesta eroiche ma vive con le lacrime agli occhi"
Yasujirō Ozu
Nel 2014 il Far East Film Festival di Udine ha presentato Buon giorno, uno dei primi film a colori di Ozu, grazie all’attività di distribuzione nazionale della Tucker Film (formata dal C.E.C. - Centro Espressioni Cinematografiche di Udine e da Cinemazero di Pordenone) che ha acquistato i diritti per l’Italia di sei capolavori del maestro (Tarda primavera, Viaggio a Tokyo, Fiori d’equinozio, Buon giorno, Tardo autunno, Il gusto del sake), restaurati digitalmente dalla major nipponica Shochiku. I film – in formato 2K – sono stati distribuiti nelle migliori sale italiane all’inizio del 2015 e successivamente pubblicati in edizione home video.
Shima Iwashita e Ryū Chishū ne Il gusto del sakè (Sanma no aji, 1962): "Anche per quanto riguarda gli attori, dopo che li ho impiegati una volta, voglio impiegarli di nuovo anche la volta dopo. (...) Forse è a causa di questa mia preferenza sempre per le stesse persone con cui mi sento a mio agio che i miei film danno l'impressione di essere sempre gli stessi".
Filmografia completa (1927 – 1962)
1927 - La spada della penitenza (Zange no yaiba, 懺悔 の 刃) - Perduto
1928 - Sogni di gioventù (Wakōdo no yume, 若 人 の 夢) - Perduto
1928 - Una moglie smarrita (Nyōbō funshitsu, 女 房 紛 失) - Perduto
1928 - Zucca (Kabocha, カボチャ) - Perduto
1928 - Una coppia in movimento (Hikkoshi fūfu, 引越し夫婦) - Perduto
1928 - Un bel fisico (Nikutaibi, 肉体美) - Perduto
1929 - Il tesoro della montagna (Takara no yama, 宝の山) - Perduto
1929 - Giorni di gioventù (Gakusei romansu: wakaki hi, 学生ロマンス 若き日) – Primo film di Ozu esistente
1929 - Rissa fra amici in stile giapponese (Wasei kenka tomodachi, 和製喧嘩友達) – Sussistono 14 minuti
1929 - Mi sono laureato, ma... (Daigaku wa detakeredo, 大学は出たけれど) – Sussistono 10 minuti
1929 - La vita di un impiegato (Kaishain seikatsu, 会社員生活) – Perduto
1929 - Bambino che non si ferma mai (Tokkan kozō, 突貫小僧) – Cortometraggio
1930 - Introduzione al matrimonio (Kekkongaku nyūmon, 結婚学入門) - Perduto
1930 - Passeggiate allegramente! (Hogaraka ni ayume, 朗かに歩め)
1930 - Sono stato bocciato, ma... (Rakudai wa shitakeredo, 落第はしたけれど)
1930 - La moglie di quella notte (Sono yo no tsuma, 朗かにその夜の妻)
1930 - La vendetta dello spirito di Eros (Erogami no onryō, エ ロ 神 の 怨 霊) – Perduto
1930 - La fortuna è ai miei piedi (Ashi ni sawatta kōun, 足 に 触 っ た 幸運) – Perduto
1930 - Signorina (Ojōsan, お 嬢 さ ん) – Perduto
1931 - La signorina e la barba (Shukujo to hige, 淑女 と 髯)
1931 - I travagli della bellezza (Bijin aishu, 美人 哀愁) – Perduto
1931 - Il coro di Tokyo (Tōkyō no kōrasu, 東京 の 合唱)
1932 - La primavera proviene dalle donne (Haru wa gofujin kara, 春 は 御 婦人 か ら) – Perduto
1932 - Sono nato, ma... (Umarete wa mita keredo, 大人 の 見 る 繪本 生 れ て は み た け れ ど)
1932 - Dove sono finiti i sogni di gioventù? (Seishun no yume ima izuko, 靑 春 の 夢 い ま い づ こ)
1932 – Fino al nostro prossimo incontro (Mata au hi made, ま た 逢 ふ 日 ま で) – Perduto
1933 - Una donna di Tokyo (Tokyo no onna, 東京 の 女)
1933 - La donna della retata (Hijōsen no onna, 非常 線 の 女)
1933 - Capriccio passeggero (Dekigokoro, 出来 ご こ ろ)
1934 - Una madre dovrebbe essere amata (Haha wo kowazuya, 母 を 恋 は ず や)
1934 - Storia di erbe fluttuanti (Ukigusa monogatari, 浮 草 物語)
1935 - Una ragazza innocente (Hakoiri musume, 箱 入 娘) – Perduto
1935 – Una locanda di Tokyo (Tokyo no yado, 東京 の 宿)
1936 – L’università è un bel posto (Daigaku yoitoko, 大学 よ い と こ) – Perduto
1936 - Figlio unico (Hitori musuko, 一 人 息 子) – Primo film sonoro
1936 – Kagamijishi (Kagamijishi, 菊 五郎 の 鏡 獅子)- Documentario
1937 - Che cosa ha dimenticato la ragazza? (Shukujo wa nani wo wasureta ka, 淑女 は 何 を 忘 れ た か)
1941 - Fratelli e sorelle della famiglia Toda (Todake no kyodai, 戸 田家 の 兄妹)
1942 - C'era un padre (Chichi ariki, 父 あ り き)
1947 - Il chi è di un inquilino (Nagaya Shinshiroku, 長 屋 紳士 録)
1948 - Una gallina nel vento (Kaze no naka no mendori, 風 の 中 の 牝 鶏)
1949 - Tarda primavera (Banshun, 晩 春)- Primo film con Setsuko Hara
1950 - Le sorelle Munekata (Munekata kyōdai, 宗 方 姉妹)
1951 - Il tempo del raccolto del grano/Inizio d’estate (Bakushu, 麥秋)
1952 - Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji, お 茶 漬 の 味) Adattato dalla censura del 1939
1953 - Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 東京 物語)
1956 - Inizio di primavera (Soshun, 早春)
1957 - Crepuscolo di Tokyo (Tōkyō boshoku, 東京 暮色)
1958 - Fiori d'equinozio (Higanbana, 彼岸花) – Primo film di Ozu a colori
1959 - Buon giorno (Ohayo, お 早 よ う) – Remake di Sono nato, ma...
1959 - Erbe fluttuanti (Ukigusa, 浮 草) – Remake di Storia di erbe fluttuanti
1960 - Tardo autunno (Akibiyori, 秋日 和)
1961 - L'autunno della famiglia Kohayagawa (Kohayagawa-ke no aki, 小早川 家 の 秋)
1962 - Il gusto del sakè (Sanma no aji, 秋刀魚 の 味)
I poster de Il tempo del raccolto del grano (Bakushu, 1951) e Tardo autunno (Akibiyori, 1960).
Fonti bibliografiche consultate:
Yasujirō Ozu, Scritti sul cinema, Donzelli, 2016
Maria Roberta Novielli, Storia del cinema giapponese, Marsilio, 2001
Splendido excursus su un mostro sacro della cinematografia mondiale.
Ricordo la visione di alcuni suoi film nel contenitore "Fuori orario".
Regista importante per i cinefili.
Sarebbe bello avere un articolo su Kenji Mizoguchi, ma anche su Koji Wakamatsu.
Esistono film di Ozu doppiati. Qualche mese fa ho recuperato Tarda Primavera preso da Fuori orario in versione doppiata.
Mi piace parecchio Ozu, non avevo però fatto caso a quanto fosse corposa la filmografia, messa così tutta di seguito fa il suo effetto!
Mi è tornato in mente leggendo di aver ascoltato tempo fa una puntata di wikiradio proprio su Ozu, dovrebbe essere disponibile il podcast sul sito di Radio tre.
Non lo sapevo, quello è uno dei film di Ozu che devo ancora vedere. Ho letto il cast e c'era Pino Locchi, quindi non è nemmeno un doppiaggio recente, forse sarà l'unico che all'epoca uscì in italiano. Ho visto anche Crepuscolo di Tokyo, Buon giorno e Il gusto del sakè, tutti successivi a Tarda Primavera, e sono sottotitolati.
Detto questo ringrazio Bob per questo magnifico approfondimento degno di uno dei più grandi registi di sempre
Grazie a Bob per il bellissimo e interessante articolo. Impeccabile come sempre!
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