Il tema della maternità è stato trattato raramente nella storia della letteratura al maschile, mentre se ne occupano un gran numero di opere scritte da donne. Particolarmente interessante è la prospettiva delle scrittrici di fantascienza, che hanno spesso rappresentato il concepimento decostruendolo da un punto di vista tutto femminile. Uno dei primi esempi di fantascienza femminile risale al 1915 con la pubblicazione di Herland, romanzo utopistico della proto femminista Charlotte Perkins Gilman, in cui si descrive un mondo popolato unicamente da donne che si riproducono per partenogenesi (riproduzione asessuata) allo scopo di creare una società ideale priva di guerre e conflitti. Ma sono gli anni '70 il periodo d'oro della fantascienza femminile, con autrici del calibro di Ursula K. le Guin (La mano sinistra delle tenebre, 1969) e Joanna Russ (The Female Man, 1975), che sfidano apertamente il predominio maschile proponendo nei loro scritti una visione rivoluzionaria sul ruolo delle donne nella società.
In Giappone la narrativa di fantascienza degli anni ‘70 è ancora una prerogativa degli scrittori maschi (sebbene fra i lettori vi si annoverano sia donne che uomini) ma in questo periodo un agguerrito gruppo di autrici, i cosiddetti Fiori dell’anno 24, si conquista un proprio spazio nel mercato del manga, ed è proprio attraverso questo medium che le prime opere di fantascienza al femminile fanno la loro comparsa. I manga del Gruppo 24, oltre a vantare un livello grafico e narrativo di qualità altissima, diventano un terreno di sperimentazione che esplora a 360° le idee delle donne giapponesi sotto ogni punto di vista, dallo stile di vita alla moda, dal lavoro alla famiglia, fino all'amore e alla sessualità. Vengono introdotti nuovi generi (yuri, boys love) e nuovi tipi di personaggi androgini incarnano un maschile/femminile ambivalente, non tanto reale quanto ideale, filtrato dalla sensibilità femminile. La fervida immaginazione di queste artiste ci offre una finestra attraverso la quale osservare la realtà giapponese ed è così che si passa senza soluzione di continuità dalle storie d'amore dolci e innocenti per ragazze romantiche alle più ardite speculazioni fantascientifiche.
Moto Hagio è la prima mangaka a sondare il terreno della sci-fi in ambito shojo. Appassionata lettrice di fantascienza statunitense, uno dei suoi primi racconti spaziali è Siamo in 11! (1975) che tende a smontare gli stereotipi di genere presentando un cast di "alieni" fra cui un personaggio il cui sesso viene definito in età adulta. Adatta anche diverse storie brevi di Ray Bradbury fra le quali: Muteki (1977), U wa Uchūsen no U (1978) e Bikkuri Hako nel (1978) per la rivista Margaret. Dopo di che inizia a maturare un proprio stile futuristico in opere di più largo respiro come Star Red (1978-79), omaggio alle Cronache Marziane di Bradbury che torna sul tema dell’identità sessuale, e Marginal (1985) in cui sviluppa le sue tesi su una questione fondamentale a livello di specie: la riproduzione. Nel racconto viene ripreso il concetto di partenogenesi per criticare e scardinare l’idea di una società patriarcale che si fonda su un sistema oppressivo, sia esso il capitalismo (la Compagnia) o il monoteismo basato sul peccato originale (la Santa Madre).
“La mia generazione è cresciuta con il sistema educativo del dopoguerra, ci hanno insegnato che uomini e donne sono uguali, ma i nostri genitori davano per scontata un’immagine socialmente limitata della donna. Il nostro problema andava oltre la loro capacità di comprenderci. Più cercavamo di colmare il divario, più eravamo isolate" Moto Hagio
Marginal viene pubblicato per la prima volta a partire dal 1985 a puntate su Petit Flower di Shogakukan, rivista dedicata a lettori giovani e adulti, ed è interessante notare che nello stesso anno viene pubblicata un’altra famosa distopia femminista incentrata sulla maternità: Il racconto dell’ancella della scrittrice canadese Margaret Atwood. Il manga ottiene un buon successo e viene adattato in dramma radiofonico e in spettacolo teatrale, messo in scena nel 2008 dallo Studio Life, una compagnia teatrale di soli uomini (una sorta di versione maschile del Takarazuka) che in precedenza aveva messo in scena anche Il cuore di Thomas della stessa autrice.
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Il mondo post apocalittico di Marginal si può dividere in tre livelli: la maggior parte della popolazione vive in villaggi del deserto costruiti attorno a pozzi, in uno stadio paragonabile a quello delle antiche civiltà mesopotamiche; le città cupola ricalcano a grandi linee i comuni di età medievale, amministrati da un sindaco e da un delegato della Compagnia che viene chiamato per l’appunto Markgraf, dal titolare delle terre di confine dell'Impero Carolingio; i sotterranei di Monodole (così come Marte e la Luna) hanno un grado di sviluppo tecnologico avveniristico che si rifà all’immaginario della fantascienza classica. In questo scenario eterogeneo e minuziosamente ricostruito si muove una nutrita schiera di personaggi, tutti più o meno tridimensionali, alcuni dei quali particolarmente complessi e sfaccettati.
Al centro dell’intreccio c'è la creatura angelica Kira, ermafrodita geneticamente modificato con geni XXY e in grado di concepire. Il bambino smarrito ha una personalità neutra e indefinita (tanto più che si scoprirà che di lui ce ne sono altri tre!) ed è predestinato a diventare la prossima Santa Madre. Appare sulla Terra letteralmente scendendo dal cielo (giacché i suoi genitori provengono da Marte) e comincia un viaggio iniziatico alla ricerca del segreto della maternità, un mistero al di là della comprensione degli abitanti di Marginal, che lo considerano solo un bellissimo efebo. Con il suo ruolo messianico e il suo potere salvifico e rigenerante, Kira rappresenta l'universo femminile primordiale e la sua figura potrebbe essere letta in chiave psicanalitica sotto la definizione di “invidia della vagina”, un inconscio desiderio dei maschi di appropriarsi del potere femminile di donare la vita.
Meyard è il Markgraf inviato per gestire gli investimenti della Compagnia nella colonia terrestre. Soffre di una malattia congenita e gli vengono somministrati ormoni femminili che lo rendono fisicamente di genere ambiguo. Inconsapevolmente manipolato, quando si rende conto che il progetto Marginal sta per essere interrotto, afferma con arroganza: "sono l'ultimo guardiano di questa mia terra infeconda!”. Avrebbe potuto essere l’anello di congiunzione tra i due mondi, ma prova una vergogna insopportabile per il fatto che una parte del suo corpo sia diventata femminile. Emarginato dal centro di potere della Compagnia, Meyard sfoga la sua frustrazione agendo come un despota privo di compassione. In un certo senso rappresenta la fredda razionalità, in alcune scene viene tratteggiato in modo quasi patetico e sembra incarnare la crisi del maschilismo dominante, anche se il finale tragico in qualche modo lo redime con un insospettato movente romantico.
Ashijin è forse l’unico personaggio che si potrebbe definire “positivo” in questa saga dalle atmosfere desolanti. Figlio del capo Villaggio del Melograno Fiorito, all’età di otto anni cade da una rupe rimanendo gravemente ferito alla testa. Rintracciato da un velivolo della Compagnia, viene curato nel centro medico sotterraneo di Monodole, dove incontra per la prima volta il Markgraf appena insediatosi. Le parole di quest’ultimo “tutti maschi, eh? Che mondo disgraziato!” rimangono impresse nella memoria di Ashijin che, grazie alla sua mentalità aperta e priva di pregiudizi, intuisce subito che c'è qualcosa di strano sulla Terra e scoprirà sgomento la verità dietro il “velo di Maya” della Compagnia. Il suo personaggio incarna l’istintualità e la fisicità maschile, è violento e impulsivo, un po’ ingenuo ma anche passionale, pieno di vitalità e con una visione ottimistica del futuro.
Grinja è il seguace di una setta religiosa che mira a smascherare l’inganno della Santa Madre attentando alla sua vita. Ha un tatuaggio sulle tempie come tutti gli uomini del suo villaggio e rappresenta la sfera spirituale e ascetica, ma è anche una specie di integralista che non esita a trasformarsi in spietato assassino. D’altro canto sa essere gentile e comprensivo, si macera nel senso di colpa dei crimini commessi e subisce stoicamente il supplizio che lo rende cieco. È lui a salvare Kira quando lo ritrova esanime nel deserto, lo vende ad Ashijin al solo scopo di evitare al ragazzo l’espiazione delle sue stesse colpe e rimarrà comunque al suo fianco per proteggerlo.
Ivan è lo scienziato proveniente da Marte, ideatore del progetto da cui nasce Kira. Brillante ma anche un po’ folle e visionario, non ha mai superato il trauma edipico subito da piccolo che sente come un'umiliazione. La sua idea di utero come “mondo marginale”, contenitore che può esistere indipendentemente dalla personalità di una donna lo porta a credere che possa avere una memoria. Decide quindi di creare dei "bambini felici", liberi dall'odio, dall'amarezza e dalla quella paura che ha rovinato la sua vita e quella di sua madre. Questa visione materialistica della procreazione verrà respinta nel racconto, che proporrà una prospettiva più naturale su scala globale secondo cui la maternità – intesa come fonte di vita - è l’intima essenza che rende la Terra un pianeta vivente. La storia di questo personaggio controverso ci ammonisce sulla deriva eugenetica della scienza.
Il finale consolatorio e ammantato da un'aura mistica contrappone il mondo tecnologico e artificiale di Meyard all’esistenza primitiva ma in armonia con la natura di Ashijin, e l’autrice evidenzia deliberatamente questo contrasto, evitando però il semplicistico conflitto tecnologia/natura e non dimostrando particolare empatia per nessuno dei due. La sterilità dovuta al virus “D” si spiega come il risultato di un non ben definito tipo di inquinamento ambientale, forse una velata critica all'industrializzazione selvaggia e allo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, ma con un approccio che si distingue dalla "fantascienza verde" del femminismo ecologico. L'autrice comunque tornerà a occuparsi di temi ambientali in seguito al disastro nucleare di Fukushima del 2011.
A differenza di Herland, Moto Hagio opta per una società di soli uomini invece di una società di sole donne, evitando la scontata equazione: uomini = malvagi contro donne = vittime. Le poche donne presenti nel racconto sono dei personaggi abbastanza neutri, se non negativi: Nastase è una spietata donna d'affari che non esita a sacrificare il suo innamorato per interessi; la Santa Madre venerata dai terrestri è un fantoccio privo di volontà e qualsiasi giovane uomo trasformato chirurgicamente potrebbe impersonarla.
Il cuore di Thomas (1974) aveva aperto la strada ai boys love narrando una storia d'amore tra ragazzi in un collegio tedesco. Un tentativo di affrontare il tema della sessualità femminile (argomento tabù) trasponendo la questione nel mondo più lontano e accomodante dei ragazzi della vecchia Europa, con l’espediente narrativo che si limita a sostituire i turbamenti erotici delle ragazze con quelli dei ragazzi che “recitano” la parte femminile. Non diversamente da quanto avviene in Marginal, ma trasposto su scala interstellare e in un mondo più adulto, cupo e disperante. Qui i rapporti sessuali fra uomini (più allusivi ma mai esposti platealmente) sono la normale conseguenza in una società priva di donne e si inseriscono in un sistema sociale retrogrado e oppressivo (modellato sul Giappone del periodo Edo) dove i ragazzi sono venduti come merce e ridotti a una condizione di schiavitù, una visione che tende ancora una volta a sfumare i confini non più netti fra i tradizionali ruoli di genere.
Parlando dell'aspetto grafico, la linea elegante e sinuosa del tratto che avevamo ammirato ne Il Cuore di Thomas con le sue delicate fioriture liberty, in Marginal si fa più dura e spigolosa, gli adolescenti eterei e preraffaelliti lasciano il posto a uomini aitanti, belli e impossibili come statue greche. Le tavole si distinguono sempre per l’originalità delle composizioni, con la griglia fluida e dinamica che tende a mutare continuamente forma addolcendo le rigide geometrie delle vignette con bordi labili ed evanescenti. Pur mantenendo sempre una certa organicità della messinscena e una perfetta leggibilità, i disegni dilagano liberamente sulla tavola debordando da una vignetta all’altra, oppure mixando soggetti in primo piano e sfondi con gusto surrealista. Una libertà espressiva che si nota anche negli scenari, che passano disinvoltamente dai paesaggi esotici mediorientali, alle città medievali, agli ambienti futuribili ispirati all’immaginario della fantascienza classica; nonché nei costumi, che denotano un eclettismo kitsch forse un po’ fuori moda, soprattutto alla luce dell’estetica cyberpunk, ma non meno affascinante.
Oltre le avventure rocambolesche e le speculazioni pseudoscientifiche, Marginal cela una riflessione profonda sul significato della maternità come risultato di secoli di oppressione delle donne da parte di una società fortemente maschilista.
“Abbiamo dovuto abbattere il muro di mattoni della società patriarcale. Marginal è stato un esperimento, volevo ricreare una società matriarcale e riesaminarla.” Moto Hagio
Nelle nostre società in cui le donne sono abbastanza emancipate ed economicamente autonome per rivendicare più che mai un’affermazione di uguaglianza la crisi demografica mette ancor più in evidenza il loro ruolo. Le donne single non sono più stigmatizzate, sebbene spesso resiste l'idea che una donna non possa realizzarsi veramente fino a quando non abbia partorito e cresciuto dei figli. Lo stesso atto sessuale viene spesso percepito come fonte di dolore, di disuguaglianza e sopraffazione maschile, ed è naturale che certe donne inizino a pensare a come potrebbero essere diverse le cose se solo potessero avere figli senza uomini. Le femministe marxiste lottano contro l’idea che le donne siano “cittadini di seconda classe” in quanto ridotte a mera funzione riproduttiva. Marginal in un certo senso parte da questa posizione estrema ribaltando provocatoriamente i termini della questione: e se la società fosse improvvisamente privata delle donne? Ai fini della procreazione gli uomini sono proprio necessari? Non potrebbero ridursi a loro volta in meri produttori di seme?
In Giappone la narrativa di fantascienza degli anni ‘70 è ancora una prerogativa degli scrittori maschi (sebbene fra i lettori vi si annoverano sia donne che uomini) ma in questo periodo un agguerrito gruppo di autrici, i cosiddetti Fiori dell’anno 24, si conquista un proprio spazio nel mercato del manga, ed è proprio attraverso questo medium che le prime opere di fantascienza al femminile fanno la loro comparsa. I manga del Gruppo 24, oltre a vantare un livello grafico e narrativo di qualità altissima, diventano un terreno di sperimentazione che esplora a 360° le idee delle donne giapponesi sotto ogni punto di vista, dallo stile di vita alla moda, dal lavoro alla famiglia, fino all'amore e alla sessualità. Vengono introdotti nuovi generi (yuri, boys love) e nuovi tipi di personaggi androgini incarnano un maschile/femminile ambivalente, non tanto reale quanto ideale, filtrato dalla sensibilità femminile. La fervida immaginazione di queste artiste ci offre una finestra attraverso la quale osservare la realtà giapponese ed è così che si passa senza soluzione di continuità dalle storie d'amore dolci e innocenti per ragazze romantiche alle più ardite speculazioni fantascientifiche.
Moto Hagio è la prima mangaka a sondare il terreno della sci-fi in ambito shojo. Appassionata lettrice di fantascienza statunitense, uno dei suoi primi racconti spaziali è Siamo in 11! (1975) che tende a smontare gli stereotipi di genere presentando un cast di "alieni" fra cui un personaggio il cui sesso viene definito in età adulta. Adatta anche diverse storie brevi di Ray Bradbury fra le quali: Muteki (1977), U wa Uchūsen no U (1978) e Bikkuri Hako nel (1978) per la rivista Margaret. Dopo di che inizia a maturare un proprio stile futuristico in opere di più largo respiro come Star Red (1978-79), omaggio alle Cronache Marziane di Bradbury che torna sul tema dell’identità sessuale, e Marginal (1985) in cui sviluppa le sue tesi su una questione fondamentale a livello di specie: la riproduzione. Nel racconto viene ripreso il concetto di partenogenesi per criticare e scardinare l’idea di una società patriarcale che si fonda su un sistema oppressivo, sia esso il capitalismo (la Compagnia) o il monoteismo basato sul peccato originale (la Santa Madre).
“La mia generazione è cresciuta con il sistema educativo del dopoguerra, ci hanno insegnato che uomini e donne sono uguali, ma i nostri genitori davano per scontata un’immagine socialmente limitata della donna. Il nostro problema andava oltre la loro capacità di comprenderci. Più cercavamo di colmare il divario, più eravamo isolate" Moto Hagio
Marginal viene pubblicato per la prima volta a partire dal 1985 a puntate su Petit Flower di Shogakukan, rivista dedicata a lettori giovani e adulti, ed è interessante notare che nello stesso anno viene pubblicata un’altra famosa distopia femminista incentrata sulla maternità: Il racconto dell’ancella della scrittrice canadese Margaret Atwood. Il manga ottiene un buon successo e viene adattato in dramma radiofonico e in spettacolo teatrale, messo in scena nel 2008 dallo Studio Life, una compagnia teatrale di soli uomini (una sorta di versione maschile del Takarazuka) che in precedenza aveva messo in scena anche Il cuore di Thomas della stessa autrice.
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Nel 2999 d.C. la Terra è un pianeta agonizzante. Secoli di inquinamento chimico hanno reso l’ambiente arido e inospitale, le aspettative di vita non vanno oltre i trent’anni e un’epidemia di virus “D” ha fatto estinguere tutte le donne. La società, strutturata in clan di soli uomini, non ha neanche più memoria del “sesso debole”, le relazioni omosessuali sono la norma e i giovinetti vengono assoggettati e sottomessi agli anziani. Per sopravvivere, la popolazione maschile dipende da una semi divinità, la Santa Madre, che risiede a Monodole, città protetta da un’enorme cupola. Quando raggiungono l'età adulta gli uomini depositano il loro sangue e il loro seme nel sacro tempio secondo un rito di passaggio, dopodiché nei sotterranei della città si creano i bambini geneticamente modificati. A presiedere quest’operazione è il team medico di una fantomatica Compagnia, una zaibatsu a conduzione familiare che gestisce un impero economico esteso a tutto il Sistema Solare e sfrutta la Terra come una colonia sterile dove gli uomini sono ridotti a cavie da laboratorio per esperimenti di fecondazione artificiale.
Il mondo post apocalittico di Marginal si può dividere in tre livelli: la maggior parte della popolazione vive in villaggi del deserto costruiti attorno a pozzi, in uno stadio paragonabile a quello delle antiche civiltà mesopotamiche; le città cupola ricalcano a grandi linee i comuni di età medievale, amministrati da un sindaco e da un delegato della Compagnia che viene chiamato per l’appunto Markgraf, dal titolare delle terre di confine dell'Impero Carolingio; i sotterranei di Monodole (così come Marte e la Luna) hanno un grado di sviluppo tecnologico avveniristico che si rifà all’immaginario della fantascienza classica. In questo scenario eterogeneo e minuziosamente ricostruito si muove una nutrita schiera di personaggi, tutti più o meno tridimensionali, alcuni dei quali particolarmente complessi e sfaccettati.
Al centro dell’intreccio c'è la creatura angelica Kira, ermafrodita geneticamente modificato con geni XXY e in grado di concepire. Il bambino smarrito ha una personalità neutra e indefinita (tanto più che si scoprirà che di lui ce ne sono altri tre!) ed è predestinato a diventare la prossima Santa Madre. Appare sulla Terra letteralmente scendendo dal cielo (giacché i suoi genitori provengono da Marte) e comincia un viaggio iniziatico alla ricerca del segreto della maternità, un mistero al di là della comprensione degli abitanti di Marginal, che lo considerano solo un bellissimo efebo. Con il suo ruolo messianico e il suo potere salvifico e rigenerante, Kira rappresenta l'universo femminile primordiale e la sua figura potrebbe essere letta in chiave psicanalitica sotto la definizione di “invidia della vagina”, un inconscio desiderio dei maschi di appropriarsi del potere femminile di donare la vita.
Meyard è il Markgraf inviato per gestire gli investimenti della Compagnia nella colonia terrestre. Soffre di una malattia congenita e gli vengono somministrati ormoni femminili che lo rendono fisicamente di genere ambiguo. Inconsapevolmente manipolato, quando si rende conto che il progetto Marginal sta per essere interrotto, afferma con arroganza: "sono l'ultimo guardiano di questa mia terra infeconda!”. Avrebbe potuto essere l’anello di congiunzione tra i due mondi, ma prova una vergogna insopportabile per il fatto che una parte del suo corpo sia diventata femminile. Emarginato dal centro di potere della Compagnia, Meyard sfoga la sua frustrazione agendo come un despota privo di compassione. In un certo senso rappresenta la fredda razionalità, in alcune scene viene tratteggiato in modo quasi patetico e sembra incarnare la crisi del maschilismo dominante, anche se il finale tragico in qualche modo lo redime con un insospettato movente romantico.
Ashijin è forse l’unico personaggio che si potrebbe definire “positivo” in questa saga dalle atmosfere desolanti. Figlio del capo Villaggio del Melograno Fiorito, all’età di otto anni cade da una rupe rimanendo gravemente ferito alla testa. Rintracciato da un velivolo della Compagnia, viene curato nel centro medico sotterraneo di Monodole, dove incontra per la prima volta il Markgraf appena insediatosi. Le parole di quest’ultimo “tutti maschi, eh? Che mondo disgraziato!” rimangono impresse nella memoria di Ashijin che, grazie alla sua mentalità aperta e priva di pregiudizi, intuisce subito che c'è qualcosa di strano sulla Terra e scoprirà sgomento la verità dietro il “velo di Maya” della Compagnia. Il suo personaggio incarna l’istintualità e la fisicità maschile, è violento e impulsivo, un po’ ingenuo ma anche passionale, pieno di vitalità e con una visione ottimistica del futuro.
Grinja è il seguace di una setta religiosa che mira a smascherare l’inganno della Santa Madre attentando alla sua vita. Ha un tatuaggio sulle tempie come tutti gli uomini del suo villaggio e rappresenta la sfera spirituale e ascetica, ma è anche una specie di integralista che non esita a trasformarsi in spietato assassino. D’altro canto sa essere gentile e comprensivo, si macera nel senso di colpa dei crimini commessi e subisce stoicamente il supplizio che lo rende cieco. È lui a salvare Kira quando lo ritrova esanime nel deserto, lo vende ad Ashijin al solo scopo di evitare al ragazzo l’espiazione delle sue stesse colpe e rimarrà comunque al suo fianco per proteggerlo.
Ivan è lo scienziato proveniente da Marte, ideatore del progetto da cui nasce Kira. Brillante ma anche un po’ folle e visionario, non ha mai superato il trauma edipico subito da piccolo che sente come un'umiliazione. La sua idea di utero come “mondo marginale”, contenitore che può esistere indipendentemente dalla personalità di una donna lo porta a credere che possa avere una memoria. Decide quindi di creare dei "bambini felici", liberi dall'odio, dall'amarezza e dalla quella paura che ha rovinato la sua vita e quella di sua madre. Questa visione materialistica della procreazione verrà respinta nel racconto, che proporrà una prospettiva più naturale su scala globale secondo cui la maternità – intesa come fonte di vita - è l’intima essenza che rende la Terra un pianeta vivente. La storia di questo personaggio controverso ci ammonisce sulla deriva eugenetica della scienza.
Il finale consolatorio e ammantato da un'aura mistica contrappone il mondo tecnologico e artificiale di Meyard all’esistenza primitiva ma in armonia con la natura di Ashijin, e l’autrice evidenzia deliberatamente questo contrasto, evitando però il semplicistico conflitto tecnologia/natura e non dimostrando particolare empatia per nessuno dei due. La sterilità dovuta al virus “D” si spiega come il risultato di un non ben definito tipo di inquinamento ambientale, forse una velata critica all'industrializzazione selvaggia e allo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, ma con un approccio che si distingue dalla "fantascienza verde" del femminismo ecologico. L'autrice comunque tornerà a occuparsi di temi ambientali in seguito al disastro nucleare di Fukushima del 2011.
A differenza di Herland, Moto Hagio opta per una società di soli uomini invece di una società di sole donne, evitando la scontata equazione: uomini = malvagi contro donne = vittime. Le poche donne presenti nel racconto sono dei personaggi abbastanza neutri, se non negativi: Nastase è una spietata donna d'affari che non esita a sacrificare il suo innamorato per interessi; la Santa Madre venerata dai terrestri è un fantoccio privo di volontà e qualsiasi giovane uomo trasformato chirurgicamente potrebbe impersonarla.
Il cuore di Thomas (1974) aveva aperto la strada ai boys love narrando una storia d'amore tra ragazzi in un collegio tedesco. Un tentativo di affrontare il tema della sessualità femminile (argomento tabù) trasponendo la questione nel mondo più lontano e accomodante dei ragazzi della vecchia Europa, con l’espediente narrativo che si limita a sostituire i turbamenti erotici delle ragazze con quelli dei ragazzi che “recitano” la parte femminile. Non diversamente da quanto avviene in Marginal, ma trasposto su scala interstellare e in un mondo più adulto, cupo e disperante. Qui i rapporti sessuali fra uomini (più allusivi ma mai esposti platealmente) sono la normale conseguenza in una società priva di donne e si inseriscono in un sistema sociale retrogrado e oppressivo (modellato sul Giappone del periodo Edo) dove i ragazzi sono venduti come merce e ridotti a una condizione di schiavitù, una visione che tende ancora una volta a sfumare i confini non più netti fra i tradizionali ruoli di genere.
Parlando dell'aspetto grafico, la linea elegante e sinuosa del tratto che avevamo ammirato ne Il Cuore di Thomas con le sue delicate fioriture liberty, in Marginal si fa più dura e spigolosa, gli adolescenti eterei e preraffaelliti lasciano il posto a uomini aitanti, belli e impossibili come statue greche. Le tavole si distinguono sempre per l’originalità delle composizioni, con la griglia fluida e dinamica che tende a mutare continuamente forma addolcendo le rigide geometrie delle vignette con bordi labili ed evanescenti. Pur mantenendo sempre una certa organicità della messinscena e una perfetta leggibilità, i disegni dilagano liberamente sulla tavola debordando da una vignetta all’altra, oppure mixando soggetti in primo piano e sfondi con gusto surrealista. Una libertà espressiva che si nota anche negli scenari, che passano disinvoltamente dai paesaggi esotici mediorientali, alle città medievali, agli ambienti futuribili ispirati all’immaginario della fantascienza classica; nonché nei costumi, che denotano un eclettismo kitsch forse un po’ fuori moda, soprattutto alla luce dell’estetica cyberpunk, ma non meno affascinante.
L’edizione J-Pop Manga si compone di tre volumi in un bel formato medio 15x21cm da 350 pagine l’uno, rilegati in brossura fresata con un elegante sovraccoperta a colori metallizzati, al prezzo di 12,50€. Ogni volume presenta 2 illustrazioni a colori come introduzione, ma le tavole originariamente a colori all’interno del manga sono lasciate in bianco e nero. La qualità di stampa delle copie prese in esame denota un’ottima resa dei neri, sempre belli carichi, perfettamente puliti e omogenei nelle cosiddette campiture beta, ma con qualche lieve trasparenza sui bianchi. La traduzione è affidata a Valentina Vignola.
Oltre le avventure rocambolesche e le speculazioni pseudoscientifiche, Marginal cela una riflessione profonda sul significato della maternità come risultato di secoli di oppressione delle donne da parte di una società fortemente maschilista.
“Abbiamo dovuto abbattere il muro di mattoni della società patriarcale. Marginal è stato un esperimento, volevo ricreare una società matriarcale e riesaminarla.” Moto Hagio
Nelle nostre società in cui le donne sono abbastanza emancipate ed economicamente autonome per rivendicare più che mai un’affermazione di uguaglianza la crisi demografica mette ancor più in evidenza il loro ruolo. Le donne single non sono più stigmatizzate, sebbene spesso resiste l'idea che una donna non possa realizzarsi veramente fino a quando non abbia partorito e cresciuto dei figli. Lo stesso atto sessuale viene spesso percepito come fonte di dolore, di disuguaglianza e sopraffazione maschile, ed è naturale che certe donne inizino a pensare a come potrebbero essere diverse le cose se solo potessero avere figli senza uomini. Le femministe marxiste lottano contro l’idea che le donne siano “cittadini di seconda classe” in quanto ridotte a mera funzione riproduttiva. Marginal in un certo senso parte da questa posizione estrema ribaltando provocatoriamente i termini della questione: e se la società fosse improvvisamente privata delle donne? Ai fini della procreazione gli uomini sono proprio necessari? Non potrebbero ridursi a loro volta in meri produttori di seme?
Titolo | Prezzo | Casa editrice |
---|---|---|
Marginal 1 | € 12.50 | JPOP |
Marginal 2 | € 12.50 | JPOP |
Marginal 3 | € 12.50 | JPOP |
Pro
- Personaggi tridimensionali e sfaccettati
- Scenario futuribile oppressivo e distopico
- Acconciature e costumi eclettici che sfiorano il gusto kitsch
- Trama complessa che fornisce spunti interessanti
- Ritmo avvincente e pieno di colpi di scena
- Disegni e composizioni di prim'ordine
E faccio i complimenti anche a J-Pop per aver dedicato particolare attenzione a questi classici. Spero che vengano premiati dal pubblico.
Ho questi tre volumi ma li devo ancora leggere...
La cosa pare ovvia (e in un certo senso lo è, chiaramente un maschio si sente meno incline a scrivere sulla riproduzione) ma c'è un rovescio della medaglia. Il fatto che gli uomini tendano a non scrivere di queste tematiche non vuol dire che non siano importanti, vuol dire invece che ci stiamo perdendo una grossa fetta di idee e concetti di grande potenzialità per la fantascienza e in generale per la cultura.
Per fortuna che ci sono le scrittrici!
Lato maschile l'unica opera rilevante che mi viene in mente è il racconto di John Windham "Consider Her Ways", un classico del 1956, anmbientato in una societa' futura in cui un virus ha eliminato tutta la popolazione maschile (l'opposto di "Marginal") e le donne hanno organizzato una societa' basata su quella delle formiche, con le operaie che lavorano e basta e le regine che procreano e basta. E' una bellissima distopia che raccomando caldamente.
Questa frase mi ha fatto venire in mente un'altra opera di fantascienza degli anni ottanta, in Italia pubblicata nel 1984, l'anno prima di Marginal, a opera di Julian May. Il titolo e' "La Terra dei Molti-Colori", prima libro della saga dell'esilio nel Pliocene.
L'aspetto rilevante e' che esiste un personaggio, un genetista specializzato in tecniche di inseminazione artificiale che soffre per l'appunto di "invidia della vagina". E' nato maschio, ma vuole a tutti i costi essere una donna e a colpi di chirurgia e terapia ormonale ci riesce, ma non e' contento, perche' quello che lui veramente vuole e' essere in grado di partorire e quello non puo' farlo.
Mi ricordo che il personaggio mi aveva impressionato perche' ne avevo dedotto che l'autrice (e probabilmente non solo lei ma una parte del pubblico femminile) avesse un certo senso di pieta' per noi poveri uomini incapaci di partorire. "Marginal" e' sulla stessa linea di pensiero. A un uomo una cosa del genere non verrebbe mai in mente, ma evidentemente alle donne si'.
Detto questo, ammetto che ho sempre pensato che l'invidia del pene di Freud fosse una panzana (sono gli uomini che hanno l'invidia del pene nel confronto degli altri uomini, non le donne! ) e quindi neppure credo all'invidia della vagina (nello stesso senso che sono le donne che la provano, non gli uomini!)
Quante ne sapeva Hitchcock!
Lo leggerò sicuramente. Grazie Bob!
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