I cartoni animati giapponesi hanno una particolarità. Possono narrare di qualsiasi cosa, dal wrestling al golf, dalle panetterie ai giochi di carte, dalla pallavolo alla caccia, dalla mitologia greca alla vita scolastica, e riusciranno a creare comunque, nella maggior parte dei casi, una storia epica, sofferta, passionale o apocalittica, che terrà gli spettatori incollati allo schermo con gran passione.
 
I protagonisti di BeyBlade

Beyblade (Bakuten Shoot Beyblade, "Beyblade: Rotazione esplosiva, Lancio"), serie animata tratta dal manga omonimo di Takao Aoki trasmessa sulle tv giapponesi esattamente vent'anni fa (la prima puntata è dell'8 gennaio 2001), è un buon esempio di questa caratteristica dei cartoni animati giapponesi, perché anche lui parte da una base semplice, semplicissima, e ci costruisce sopra epici castelli.
I Beyblade, gli oggetti su cui ruota tutta la trama, altro non sono che delle semplici trottole composte da pezzi di metallo intercambiabili Mini 4WD-like, e la serie non inizia che da qui, da un gruppo di ragazzini che giocano a sfidarsi con queste trottole, che girano e si scontrano fra loro, finché una delle due non perde la carica e, dunque, la sfida.
Anche Takao Kinomiya, il protagonista della storia, non è che un ragazzino molto comune, nel quale però convivono due anime: quella dell'allegro ragazzino anni '90, con il berretto da baseball e un abbigliamento molto casual che segue il modello sdoganato dal Satoshi di Pocket Monsters, dal carattere aperto, semplice, simpatico e un po' sbruffone e dalle grandi qualità interiori; e quella del protagonista vecchio stampo, destinato a grandi eroismi e a duri addestramenti che faranno emergere il campione che è in lui. Takao è a metà fra queste due tipologie di personaggio: vive con il rigido nonno, proprietario di un dojo di arti marziali, che lo allena nel kendo ogni giorno, e vive a contatto con una spiritualità tutta giapponese di cui però il ragazzo non si rende conto, ribelle e rampante com'è, tutto preso solo dai suoi giochi e dalle sue trottole, a cui però si dedica con inaspettata serietà.
Colonna portante e simbolo dell'intera serie, Takao ci mostra immediatamente come Beyblade riesca a incarnare perfettamente tutte le caratteristiche proprie dell'animazione giapponese, pur calandole in un contesto moderno.
 

Ragazzini che giocano con le trottole, quindi. Sì, Beyblade, di base, è questo, ma i giochi di Takao e compagni si trasformano ben presto in spettacolari, pericolose e avvincenti battaglie (non mortali, ma quasi, negli ultimi episodi e nelle serie successive della saga ci si andrà molto vicino), che costeranno ai personaggi grandi sacrifici e rappresenteranno dure prove, sul lato emozionale e persino su quello fisico. Azzeccatissima intuizione, che ha contribuito in gran parte al successo della serie, è infatti quella di rappresentare gli scontri fra i Beyblade su due piani. Il primo è quello, appunto, delle due trottole che si muovono girando in uno scenario e si scontrano cozzando fra loro finché una delle due non cade, reso più vario e interessante dall'uso di scenari particolari come piste innevate, acquatiche o muraglie che generano scontri sempre differenti. Il secondo è quello dei cosiddetti "Bit Power", creature mitologiche rappresentate come una sorta di spiriti monocromatici che dimorano dentro la trottola donandole potere e che, all'occorrenza, ne vengono fuori per combattersi simbolicamente fra loro in scene di grande potenza visiva. Proprio queste leggendarie creature sono uno degli elementi di maggior fascino della serie: avvolti nella loro maestosa luce monocromatica, i Bit Power affascinano lo spettatore presentandosi ai suoi occhi come leoni, bufali, orsi, felini, balene, lupi, scorpioni, coccodrilli, aquile, serpenti, falchi, ma anche e soprattutto come creature mitologiche quali unicorni, grifoni, vampiri, lupi mannari o esseri delle credenze orientali.
 
Combattimento tra BayNlade

I quattro personaggi principali della storia, infatti, sono legati alle quattro bestie che nella mitologia cinese e giapponese sono a guardia dei punti cardinali: il dragone azzurro (Seiryu / Qing Long) che risiede nel Beyblade di Takao, Dragoon; la fenice rossa (Suzaku / Zhuqiao) che risiede nel Beyblade del tormentato rivale Kai, Dranzer; la tigre bianca (Byakko / Baihu) che risiede nel Beyblade del cinese Rei, Driger, e la tartaruga nera (Genbu / Xuan Wu) che risiede nel Beyblade del pacato sanguemisto Max, Draciel.
Dietro la facciata di una serie per ragazzini, dunque, si nasconde anche un'anima più profonda, che non manca di riferirsi di continuo a elementi culturali, come già accadeva in storie passate come Saint Seiya o Sailor Moon, o come negli stessi anni faceva la serie Digimon.
Non di solo trottole e bestie leggendarie vive, però, Beyblade, bensì gran parte del suo fascino risiede innanzitutto nei suoi personaggi, i ragazzini che si sfidano a colpi di trottole. Come da tradizione dei cartoni animati giapponesi, infatti, anche un gioco con le trottole riesce a diventare un palcoscenico dove fare salire personaggi dalle fisicità e dai caratteri più svariati. Non cercano di fuggire dagli archetipi della narrativa giapponese per ragazzi, ma ce li ripropongono tutti: il protagonista sbruffoncello ma indomito, buono e coraggioso; il rivale cool dal passato doloroso che persegue la forza e non disdegna un passaggio al male per ottenerla; il piccolo secchioncello con gli occhiali spessi; l'amico allegro e compagnone che compensa la sua debolezza nel combattimento con una grande forza interiore; il piccolo psicopatico; il gigante buono; il bambino prodigio; la ragazza innamorata e via dicendo.
 
Giappone VS Russia

La serie sarà idealmente divisa in quattro tronconi, corrispondenti a quattro tornei di Beyblade organizzati in quattro diverse parti del mondo: Giappone, Cina, America e Russia, con le ultime due inframezzate da un tour di vari paesi dell'Europa. Ognuna di queste quattro saghe è dedicata a uno dei quattro protagonisti Takao, Rei, Max e Kai, di cui verranno scandagliati il carattere, il passato, le motivazioni, i legami con la famiglia e con gli amici o nemici, e in ognuna di queste verranno presentati numerosi rivali per il quartetto, costruiti in modo da ricalcare i vari stereotipi e luoghi comuni delle popolazioni d'appartenenza. Ad esempio i cinesi dediti unicamente alle arti marziali, il francese fissato con la cucina di classe, gli americani smargiassi, l'italiano guascone ed eterno gladiatore dell'antica Roma, il tedesco nobile che vive in un castello alla Wolfgang Krauser, l'inglese tennista di Wimbledon, i russi rimasti ancorati alla Guerra Fredda che covano sogni di conquista. Cose che si rifletteranno anche nelle loro trottole, nelle loro bestie sacre o negli scenari in cui combattono. Personaggi magari non indimenticabili, magari non originalissimi, ma che svolgono il loro lavoro e riescono a farsi amare (e anche odiare, all'occorrenza) dallo spettatore.
 
Kai

Sul palcoscenico degli scontri fra trottole e bestie leggendarie, Beyblade mette in scena tutto ciò che serve ad una serie animata giapponese per ragazzi, e non si fa mancare proprio niente: sacrifici, duri allenamenti (i ragazzi frequentano palestre e centri specializzati, fanno ritiri, fanno arti marziali, ma il massimo sforzo che poi devono fare è tirare la cordicella per lanciare la trottola!), contrasti in famiglia, ragazzi dal carattere problematico, amori, vendette, fiducia in se stessi, slealtà, tradimenti, ingiustizie, cattivi che vogliono conquistare il mondo, flashback, crescite psicologiche, cambi di fronte, ma, soprattutto, gli amici. Ancora una volta, ritroviamo quell'amicizia esasperata, fortissima, calorosa, sofferta, affettuosa, potente che ammanta tutte le produzioni giapponesi per ragazzi. Ragazzini che in un primo momento se la tirano, si affrontano fra loro, hanno dei contrasti o delle antipatie reciproche, poi, affrontando numerose battaglie, diventano via via sempre più vicini, scoprendosi amici, in virtù di una passione che li accomuna e li diverte, facendogli dimenticare tutte le ostilità, al punto che in uno dei punti più belli ed emotivamente coinvolgenti della serie i protagonisti lottano con tutta l'anima per fare aprire gli occhi a un loro amico che ha abbandonato la retta via ma in cui loro non hanno mai smesso di avere fiducia. E nello stesso finale della storia il messaggio che viene lanciato allo spettatore è che non ci sono barriere geografiche, culturali o caratteriali che tengano, a Beyblade può giocare chiunque, e tramite il Beyblade chiunque può divertirsi e trovare degli amici con cui condividere un rapporto sincero, anche se magari un po' turbolento.
 
Takao

Beyblade racconta le sue sfide con un comparto tecnico molto ben realizzato. Il disegno, pur non essendo eccezionale e distinguendosi in parte da quello del manga d'origine, ha un tratto molto personale che rende unico ogni personaggio. La grafica, i colori e le animazioni sono molto buoni, riuscendo a generare momenti di grande impatto scenico nelle fasi più importanti della storia o nei combattimenti con i Bit Power, in cui i variopinti spiriti monocromatici delle bestie sacre formano un bellissimo arcobaleno. La seconda e la terza stagione della serie (rispettivamente del 2002 e del 2003) apporranno poi diversi cambiamenti nella grafica, che renderanno unico e mai imitato in seguito, e perciò dotato di un fascino tutto suo, questo primo approccio ai Beyblade.
 

Ottimo il comparto sonoro, ricco di musiche orchestrate molto varie e spesso epiche e coinvolgenti e con un'allegra e ritmata sigla d'apertura. Buono è anche il doppiaggio italiano, che schiera praticamente tutti i fuoriclasse della scuola milanese, ognuno perfettamente calato nel suo ruolo. In Italia, la prima serie è stata trasmessa nel 2003 su Italia 1, fortunatamente in una versione priva delle censure americane che hanno modificato totalmente i nomi dei personaggi e le musiche, con l'unica eccezione della sigla italiana (bruttina) di Giorgio Vanni a sostituire quelle originali. La seconda e terza serie sono arrivate in seguito, tra il 2003 e il 2004, mentre il manga, pubblicato dalla Play Press tra il 2003 e il 2004, non ha avuto molta fortuna ed è stato interrotto dopo nove numeri dei quattordici totali (la parte relativa alla terza serie è totalmente inedita). Più fortunati, i giocattoli della serie, che sono arrivati con successo anche in Italia, dando il via ad una breve ma intensa moda delle "trottole" anche nel nostro paese.
 
 
Ha dunque un fondo di verità la leggenda. I giapponesi riescono a prendere qualsiasi cosa - anche la storia di bambini che giocano con le trottole, in questo caso - e a trasformarla in battaglie furiose, allenamenti, sacrifici, urla, tradimenti, creature mistiche, spiritualità, amicizie epiche ed esagerate e/o linee di giocattoli da esportare con successo in tutto il mondo. Ne abbiamo qui la prova lampante, di come i giapponesi, queste loro caratteristiche, non le abbandonino mai, neppure agli albori del nuovo millennio, nel mondo dei videogiochi e del collezionismo. Beyblade è dunque una serie per ragazzi, dal chiaro intento commerciale, che vuole lanciare linee di trottole componibili da vendere ai bambini (e ci è riuscita), ma anche intrattenerli, quei bambini, e insegnare loro ancora una volta il valore dell'impegno, della giustizia, della correttezza, dell'amicizia. Anche se quei bambini non praticheranno le arti marziali che i loro genitori o i loro nonni tradizionalisti vorrebbero inculcargli come saggi insegnamenti di vita provenienti dal passato, non si preoccupino, perché i bambini mettono già tutto il loro cuore in quello che fanno, foss'anche giocare alle trottole con gli amichetti, e hanno già, dentro il loro piccolo cuore, lo spirito di un vero uomo giapponese del domani, anche se per il momento è ancora sopito e si manifesta solo a piccoli bagliori. Lo spettatore più grandicello potrà, comprensibilmente, storcere il naso alla vista di questi ragazzini che esasperano in maniera tragica delle semplici sfide con le trottole, di semplici trottole da cui escono fuori dragoni, tigri e fenici, e di scienziati pazzi che con queste trottole vogliono conquistare il mondo, ma Beyblade non è poi tanto diverso dalle storie "nekketsu" dei suoi tempi, dove la passione veniva veicolata con la pallavolo o con il calcio. Cambia il mezzo, ma non il messaggio, che è sempre positivo e degno di essere appreso dai bambini di ogni tempo e luogo.