Quando una storia d'amore finisce è sempre doloroso, ancora di più se si è costruito una famiglia. Purtroppo non sempre tutto fila liscio e a volte l'affidamento dei figli può diventare una vera e propria guerra. A volte invece si riesce a mantenere buoni rapporti con l'altra parte, e l'affidamento condiviso non è una chimera ma una realtà quotidiana e civile.
Ma se l'affidamento condiviso non fosse nemmeno previsto dalla legge? Se uno dei due genitori sparisce portando con sè la prole e la legge non prevede sanzioni per questo gesto o non le applica? Questo è quello che succede in Giappone, dove sono tantissimi i genitori, soprattutto padri, che da un giorno all'altro non vedono più i loro figli e a volte non sanno nemmeno dove siano finiti. E se i casi più eclatanti riguardano padri stranieri, non pensiate che quelli nipponici ne siano esenti.
 

Secondo la legge giapponese infatti nel momento in cui due persone decidono di divorziare, la famiglia così com'era non esiste più.
Considerando che il padre è da decenni considerato come colui che va a lavorare e sostenta la famiglia ma senza occuparsi fattivamente dell'educazione dei figli e che nel Sol Levante l'affidamento condiviso non è quasi mai contemplato perché si pensa che sia più opportuno per il bambino evitargli stress nella vita quotidiana (come ad esempio andare nel weekend a stare nella casa dell'altro genitore), questo si traduce nell'80% dei casi a vivere senza il padre accanto. Se poi il padre è straniero, le cose si fanno ancora più complicate.
 

Si parla ad esempio di centinaia di bambini americani rapiti e portati in Giappone in barba alle convenzioni internazionali, ma le cose non cambiano se entrambi i genitori vivono nell'arcipelago: centinaia di migliaia di bambini giapponesi subiscono di fatto rapimenti da parte dei genitori.
La sottrazione di minore è una gravissima violazione dei diritti umani. Il Giappone, nonostante abbia aderito alla convenzione dei diritti del fanciullo dal 1994 e sia membro del G7 e di una lunga lista di convenzioni e accordi internazionali, conta, secondo l’associazione giapponese Kizuna ("legame") per i diritti dei minori, circa 150.000 minori sottratti ogni anno dal padre o dalla madre.
 

Dall'entrata in vigore della Convenzione dell'Aia sui rapimenti nel 1983, che ha lo scopo di facilitare il rientro dei minori allontanati dalla loro "residenza abituale" in violazione degli accordi di affidamento, un totale di 98 paesi hanno aderito.
In base al trattato, quando si verifica una sottrazione di minori da parte di un genitore, le autorità dei paesi coinvolti sono tenute a tenere colloqui per risolvere il caso.
Se i colloqui non riescono a risolvere il caso, la questione viene portata in tribunale nel paese in cui il minore è stato portato.
Sotto la pressione degli Stati Uniti e di altri paesi, Tokyo ha finalmente aderito al trattato solo nel 2014, anche a causa del forte aumento dei matrimoni internazionali che di conseguenza ha anche aumentato le controversie sull'affidamento ponendo il Giappone in una posizione scomoda.
 

Le storie di questi genitori sono strazianti: Randy Collins di Santa Ana, in California, ha visto per l'ultima volta suo figlio, Keisuke Christian Collins, che allora aveva 5 anni, nel giugno 2008. Tre giorni dopo che un tribunale della California aveva stabilito per la terza volta che suo figlio "non doveva essere portato via dalla contea di Orange, dallo stato della California o dagli Stati Uniti", la sua ex moglie, Reiko Nakata Greenberg Collins, è fuggita con il figlio in Giappone.
Solo nel 2015 Collins è riuscito a scoprire dov'era suo figlio ed è volato in Giappone per cercare di vederlo. Purtroppo senza successo. Il governo giapponese infatti ha segnalato il passaporto di Collins all'ingresso nel paese e ha informato Reiko della presenza dell'ex marito. Ovviamente la donna si è dileguata.
 

Il dipartimento dello sceriffo della contea di Orange ha emesso un mandato di arresto per Reiko, inserita anche nelle liste dell'FBI per "rapimenti parentali" e in quelle dell'Interpol. Ma Tokyo tace.
"Anche se si nasconde in bella vista, il governo giapponese non farà nulla. Non vedo né sento Keisuke da oltre 10 anni e mezzo. Tutto quello che ho sempre voluto è poter avere una relazione ed essere un padre per il mio unico figlio" ha detto Collins. "Il Giappone deve essere ritenuto responsabile per il suo mancato rispetto dei diritti genitoriali fondamentali e per il suo continuo sostegno a questi rapimenti illegali".
 

Sostegno che Jeffery Morehouse, direttore esecutivo di "Bring Abducted Children Home", associazione fondata nel 2011, ha dimostrato con una registrazione audio ottenuta a Parigi nel 2018 durante un seminario pubblico organizzato dal Ministero degli Affari Esteri giapponese e dalla Federazione giapponese degli avvocati. In questo file si sente il relatore istruire i presenti su come rapire i loro figli in Giappone e su come impedire il loro ritorno.
"Organizzando un seminario che consigliava ai potenziali rapitori come aggirare un ordine di restituzione (conforme alle convenzioni), il governo del Giappone ha mostrato uno scioccante e palese disprezzo per questo accordo internazionale" ha detto Morehouse.
 

Jeffery Morehouse d'altronde parla perché toccato in prima persona: nel 2007 aveva ottenuto dallo Stato di Washington la custodia esclusiva del figlio "Mochi" Atomu Imoto Morehouse di 6 anni e mezzo. Nel giugno 2010 lo ha lasciato alla madre per quella che doveva essere una visita di una settimana. Quella è stata l'ultima volta che lo ha visto.
"Sei giorni dopo, ho ricevuto dalla polizia la telefonata che nessun genitore vorrebbe ricevere: mio figlio e la mia ex moglie erano scomparsi. Ho capito subito cosa era successo. Aveva rapito nostro figlio e lo aveva portato in Giappone. In quel momento, la mia vita è finita".
 

Ciò è stato possibile perché la donna, quando il Consolato giapponese di Seattle ha negato la sua richiesta di passaporto, si è semplicemente recata al consolato giapponese a Portland, che gliene ha rilasciato uno, violando tutte le restrizioni stabilite. Morehouse non riesce a darci pace, nonostante alcuni gli dicano che in fondo il bambino starà bene perché è comunque con la madre.
"Non può stare bene. Immagina di essere un bambino e tua madre ti porta via in un paese straniero e poi ti dice che tuo padre non ti vuole più, o che è morto. Tutta la tua vita sarà costruita sulle bugie. Questo non è ciò che fa un genitore sano e premuroso. È un abuso sui minori."
 

Morehouse ci tiene a sottolineare che non sono solo i genitori internazionali a soffrire. A causa delle leggi nazionali e dell'applicazione o della loro mancanza di applicazione, migliaia di giapponesi sono vittime di separazioni forzate. L'affidamento congiunto rimane illegale secondo le leggi giapponesi sul divorzio.
Anche quando a un genitore giapponese viene concessa la custodia di un figlio, l'altro genitore spesso si rifiuta di obbedire. E la polizia è impotente.
Quando un genitore prende con sè il figlio e si rifiuta poi di riportarlo all'ex partner le autorità giapponesi hanno mezzi molto limitati per far rispettare l'ordine.
 

Il problema è enorme. "Le statistiche del Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare indica che circa 150.000 bambini all'anno perdono i contatti con uno dei due genitori dopo che la coppia si è separata" ha dichiarato John Gomez, presidente dell'ONG Kizuna Child-Parent Reunion. "In 20 anni, sono un totale di circa tre milioni di bambini".
Nel luglio 2018, lo Yomiuri Shimbun, il più grande quotidiano giapponese, ha riportato in prima pagina un articolo in cui si riferiva che il governo stava valutando l'introduzione dell'affidamento congiunto per prevenire battaglie per la custodia e azioni equivalenti al rapimento di bambini da parte di un coniuge.
In tutto questo ciò che è palesemente assente dal dibattito sono le voci dei bambini colpiti. Jeffrey Morehouse ha raccontato che durante la sua battaglia legale in Giappone, al figlio, che all'epoca aveva 13 anni, è stato chiesto dagli avvocati se pensasse mai al padre. "Mentre le lacrime gli scorrevano sul viso, ha risposto: 'A volte lo sogno di notte'."
 

Il rapporto del Dipartimento di Stato americano sottolinea che molti di questi casi che coinvolgono genitori giapponesi rimangono irrisolti molto tempo dopo che i tribunali hanno emesso gli ordini di rimpatrio. Le inadeguatezze delle leggi nazionali giapponesi per far rispettare il trattato internazionale sono in parte la causa di ciò.
La legge giapponese vieta l'uso della forza per prelevare i bambini dai genitori rapitori, quindi eseguire gli ordini del tribunale è difficile se i genitori giapponesi o i figli coinvolti si rifiutano di collaborare.
L'attuale legge nazionale riflette le visioni tradizionali giapponesi dei ruoli familiari. In Giappone, l'opinione predominante è che quando una coppia divorzia, uno dei genitori, tipicamente la madre, dovrebbe essere l'unico ad occuparsi dei figli. Ma il Giappone non può spazzare via le critiche internazionali semplicemente adducendo la scusa delle differenze culturali.
 

N.d.A: Un doveroso ringraziamento va a Loris Usai per i consigli ricevuti e per il suo bell'articolo che vi invito a leggere. Per chi volesse approfondire maggiormente, consiglio il sito Japan Child Abduction (il link è fra le fonti) dove potrete trovare un'ampia rassegna stampa in diverse lingue.

Fonti consultate:
AsiaTimes
AsiaNikkei
JapanChildAbduction
RorisuInJapan