Con il recente arrivo nel catalogo di Netflix Italia della celebrata serie di lungometraggi live action dedicata a Rurouni Kenshin, finora inedita nel nostro Paese, ripercorriamo i passi che hanno condotto questo titolo a marcare un punto di svolta per la cinematografia nipponica.
2010 - Storiche premesse, il jidaigeki
Nell'ambito dei progetti cinematografici e televisivi che con sempre maggior frequenza vengono dedicati alle trasposizioni in "live action", ovvero di quelle opere tratte originariamente da manga, anime o romanzi, si può affermare che quello legato a Rurouni Kenshin sia stato un azzardo di un certo rilievo. E, nondimeno, una scommessa riuscita.
E' necessario andare un po' a ritroso nel tempo e risalire al mese di agosto 2010 per rinvenire le prime indiscrezioni sull'adattamento dal vivo della celeberrima opera di Nobuhiro Watsuki ambientata nel periodo Meiji, con protagonista un ex samurai assassino della Restaurazione che ricompare dieci anni più tardi a Tokyo recando con sé una katana a lama invertita e il giuramento di non uccidere mai più: l'opinione popolare, sia in Giappone ma soprattutto in Occidente, si divide tra il parere di chi ritiene che potrebbe uscirne qualcosa di degno e magari -perché no- addirittura di epico, e le riflessioni di chi invece permane da poco a fortemente scettico.
Non tutti sono poi convinti della bontà della scelta che avrebbe visto l'allora ventunenne attore Takeru Satō vestire i panni del samurai vagabondo Kenshin Himura, a dispetto del fatto che il promettente Satō si fosse frattanto già fatto conoscere in patria con le serie di Kamen Rider Den-O, Ryōmaden, i film Rookies e Beck. E' peraltro un giovane che può persino fare perno sui propri tratti fisici delicati la bassa statura, aspetti che lo accomunano proprio allo spadaccino dalla cicatrice a forma di croce.
Tutti sono in ogni caso concordi sulla difficoltà di realizzazione e di riuscita del progetto, benché vi siano coloro che sono persuasi della buona possibilità di investire su Rurouni Kenshin, anche nell'ottica ideale di non smarrire -rivisitandola in chiave moderna e popolare- quell'antica tradizione cinematografica samuraica che ha fatto conoscere e amare le pellicole nipponiche autoriali nel mondo.
Si suole dire che se c'è qualcosa che di norma ai giapponesi riesce meglio che a chiunque altro, sono proprio i film di cappa e spada all'orientale cosiddetti jidaigeki (letteralmente: 'storie d'epoca'), e nella mente il richiamo va subito al maestro Akira Kurosawa, ma anche alle sperimentazioni portate avanti dall'acclamato Takashi Miike: si tratta di un filone con il quale si sono cimentati tanti registi che hanno fatto la storia del cinema del Sol Levante, sia nel periodo precedente a quello bellico che nel dopoguerra.
Il jidaigeki si è così imposto nell'ambito sia della produzione di genere sia di quello d'autore, al punto che per lungo tempo in Giappone un film su due è stato girato in costume, ma soprattutto ha influenzato altri ambiti e se ne è fatto influenzare a sua volta, prima di cedere alla crisi cinematografica nipponica degli anni '70 e ai mutati gusti del pubblico. Per sopravvivere, le opere in costume approdano alla televisione giapponese ove trovano un nuovo, insperato successo grazie in particolare agli investimenti della rete pubblica NHK sui suoi colossali taiga drama storici.
2011 - Un progetto ambizioso: "I'll risk everything if it's for you"
Al di là delle tante speculazioni di ogni genere, serve comunque un altro anno prima che le voci di corridoio a riguardo di Rurouni Kenshin vengano confermate e le riprese del film avviate: esso deriva da un popolare manga battle shōnen per ragazzi edito dal 1994 al 1999 sulla rivista Shōnen Jump di Shūeisha, già oggetto di felici trasposizioni animate e pubblicato anche in Italia da Star Comics nel 2001 con il titolo Kenshin, samurai vagabondo. Si mormora che le ragioni che hanno costretto ad attendere a lungo prima di realizzarne un film dal vivo si rinvengono nei progressi compiuti nel corso del tempo con le tecniche di computer grafica contemporanea, in grado di supportare progetti di una certa ambizione e di rendere giustizia al denso tasso d'azione presente nell'opera cartacea di Watsuki.
Nella foto: il countdown apparso nel 2012 sul sito ufficiale dedicato al primo film di Rurouni Kenshin
A prendere le redini del film co-prodotto dallo Studio Swan (Paradise Kiss), C&I Entertainment, IMJ Entertainment, RoC Works Co. e supervisionato da Warner Bros è il regista Keishi Ōtomo (Platina Data, Un Marzo da Leoni, Million Dollar Man, Himitsu The Top Secret), tanto sconosciuto in Occidente quanto acclamato in Giappone, grazie soprattutto all'immensa popolarità raggiunta dal taiga drama storico Ryōmaden nel 2010 prodotto da NHK e da lui attentamente curato.
Proprio la rete nipponica nazionale aveva sponsorizzato la formazione registica e di sceneggiatura di Ōtomo negli Stati Uniti per alcuni anni, dopo la sua laurea in legge presso la prestigiosa Università Keio di Tokyo; si tratta di un investimento che mostra ben presto i suoi frutti, poiché sia Rurouni Kenshin che l'intero Paese del Sol Levante devono in effetti molto a Ryōmaden e a Ōtomo.
In termini turistici, l'impatto sui giapponesi dello sceneggiato che racconta le vicende di Ryōma Sakamoto e Yatarō Iwasaki è immenso, ed è proprio così che si assiste all'avvio del turismo interno, da lì e per molti taiga drama a venire, sulle tracce di figure storicamente esistite; ne beneficerà enormemente l'economia nazionale e quella di zone meno rinomate e poco accessibili come Kōchi e Nagasaki, che vedranno quasi triplicare i flussi di turisti e il conseguente indotto generato.
Ryōmaden è applaudito da più parti e fa incetta di premi e riconoscimenti della critica, tra cui l'Elan d'Or 2011 assegnato all'attore debuttante dell'anno: si tratta di nient'altri che Takeru Satō, che nel drama interpreta la peculiare figura dello sfuggente Izō Okada, guarda caso il ruolo di un assassino del periodo del Bakumatsu.
Non è tuttavia solo il prodigioso talento in boccio di Satō e la propria esperienza maturata, che Ōtomo conduce con sé in Rurouni Kenshin da Ryōmaden: non c'è quindi da stupirsi troppo quando i nomi degli attori Munetaka Aoki, Yū Aoi e Teruyuki Kagawa già visti nel taiga confluiscono nel cast del film, assieme a quello del compositore Naoki Satō (Parasyte, Pretty Cure, Eureka Seven) allo staff per musicare l'opera.
Investito così di un incarico assai più complesso di ogni suo precedente, il riservato Takeru Satō commenta con cautela che "Kenshin è un personaggio molto conosciuto, pertanto credo ci voglia un certo tipo di recitazione che sappia catturare il pubblico. Vorrei poter rendere la giusta immagine di Kenshin, valutandola assieme a tutto lo staff, mantenendomi al contempo fedele ai dettagli". Quando il giovane frequentava le scuole elementari, il manga era ancora in corso d'opera ed egli ne era un grande fan: "era il manga che tutti quelli della mia generazione conoscevano. Io e i miei amici giocavamo a darci battaglia fingendo di incrociare le lame".
Il mangaka Nobuhiro Watsuki, quando apprende della candidatura di Satō, soggiunge che "quando si iniziò a parlare di questo progetto, io e mia moglie Kaoru ci chiedevamo chi mai sarebbe potuto essere adatto per il ruolo di Kenshin, e Takeru Satō ci venne subito in mente. E pertanto, quando il tutto è stato confermato per davvero, sono rimasto sorpreso e al tempo stesso molto felice. Non vedo l'ora di assistere alla sua superba recitazione".
Intimamente, Satō scommette tutto sé stesso sul ruolo, fermamente deciso ad abbandonare la carriera di attore qualora il film di Rurouni Kenshin non riscontri il successo sperato e la sua interpretazione non venga reputata degna del carisma del personaggio.
Così non accade, e quando il film viene rilasciato il 25 agosto 2012 in Giappone e in altri paesi asiatici, fa ben presto registrare ottimi risultati ai botteghini con più di 51,2 milioni di euro incassati in tutto il mondo, a fronte di un budget impiegato di 16,4 milioni.
2012 - Rurouni Kenshin, "it finally begins"
La storia di Rurouni Kenshin - Samurai Vagabondo conserva integro il suo fascino anche a distanza di diversi anni dalla prima stesura dell'opera; il progetto live-action rientra in un più ampio ambito dei festeggiamenti per il quindicennale della serie animata, che al di là di questo film stand-alone del 2012 ri-comprende, tra le altre cose, una serie di OVA sul capitolo di Kyoto e un breve remake del manga denominato Cinema Version.
L’opera originale di Nobuhiro Watsuki è nient'altro che la rielaborazione in chiave shonen dei tragici avvenimenti storici che hanno condotto il Giappone alla Restaurazione Meiji prima, e alla trasmigrazione nell'era moderna poi: forzata, rapida e non priva di strascichi.
E' certo una rilettura avventurosa, indirizzata idealmente più a un target di lettori adolescenti, piuttosto che ad un pubblico più maturo; per questo, e per quella componente di violenza propria dei fatti accaduti, Rurouni Kenshin potrebbe non rientrare a rigor di logica tra quelle storie consone ai gusti di chiunque. Eppure essa è, al tempo stesso, la storia della coscienza di un uomo, con alle spalle un percorso di vita travagliato ma al tempo stesso affascinante e romantico.
Come si ricordava in precedenza, trasformare un manga in un lungometraggio, tanto più dal vivo, è spesso e volentieri un'operazione che genera più mormorii di scontento che soddisfazione, sia tra i fan che tra i semplici appassionati del genere: significa necessariamente introdurvi dei cambiamenti, intervenire su qualcosa che difficilmente si ritiene migliorabile, e non perché l'opera rasenti la perfezione, quanto piuttosto perché apprezzata così com'era stata pensata originariamente.
Rurouni Kenshin offre tuttavia degli elementi che si prestano con facilità allo scopo: un'appassionata storia di cappa e spada al limite della tragedia e uno sfondo storico di fascino, personaggi il cui carisma non risente dello scorrere del tempo ed infine la fulgida katana a lama invertita sakabatō, emblema di un giuramento che è perno di ogni cosa.
L'intreccio originale di Watsuki viene rielaborato e compresso per esigenze di minutaggio, e gli interventi indubbiamente non possono sfuggire a chi la storia già la conosce o la ricorda più o meno bene. E tuttavia, per quanto siano assenti le apprezzate figure degli Oniwabanshū -spesso sovrapposti ai ninja, con cui condividono tuttavia sono determinati tratti-, i fatti narrati di per sé non ne soffrono in maniera eccessiva. Le vicende dei primi quattro volumi del manga vengono così ben riassunte in un incastro ex novo, il cui sviluppo non risulta essere affrettato, né lascia la percezione di elementi irrisolti, abbandonati per strada, né di incoerenti buchi narrativi.
La sceneggiatura riesce nell'intento di includere nell'intreccio tutto ciò che era necessario inserirvi, sia a livello di trama che di caratterizzazione dei personaggi principali, per trovarsi di fronte a una storia incalzante raccontata in maniera appassionata: ogni tassello si colloca là dove deve andare, ogni cosa rinviene il proprio giusto spazio e tutto si sublima nell'attenzione riposta al particolare, finanche alla ripresa dei medesimi dialoghi del manga, recitati da voci limpide e stentoree, che si imprimono con fermezza nel ricordo dell'astante occasionale e ancor più nei fan dell'opera.
Tra il passato poco edificante di Battōsai e il presente di espiazione di Kenshin si rincorrono ricordi e duelli di spada, incontri e cambiamenti, freni inibitori, lacrime di impotenza e ruggiti di battaglia, in un'evoluzione serrata del ritmo d'azione che lascia senza fiato persino lo spettatore più distratto.
Il film risponde in maniera quanto mai egregia alle esigenze del pubblico popolare cui idealmente si rivolge, così come alle complesse implicazioni che la storia di fondo fa intuire: ecco perché le inquadrature del film, che diverranno nel tempo piena espressione della poetica registica di Ōtomo, sono costantemente pregne di significato.
Un occhio più attento potrà notare ad esempio il primo piano effettuato sul volto di Battōsai Himura nella sequenza di apertura della pellicola, ambientata nella tormentata battaglia di Toba Fushimi e caratterizzata da toni freddi e bluastri: è una maschera rigida, un viso dallo sguardo spietato ed assente, rigato da una peculiare cicatrice a forma di croce.
A fungere da perfetto contraltare giunge di lì a poco il focus effettuato dalla cinepresa sul viso rilassato del samurai vagabondo, presentato per la prima volta proprio per tramite di quella medesima cicatrice sulla guancia, ancor prima che in qualunque altro dettaglio, in un'inquadratura dai toni caldi e luminosi.
E' poi la sequenza di chiusura del film a regalare un'altra piccola chicca ai fan, attraverso il nastro blu tra i capelli della protagonista femminile Kaoru Kamiya, probabile rimando al celebre capitolo del manga in cui l'oggetto è simbolo di un'intera breve saga, toccante e romantica.
In Rurouni Kenshin proprio l'attenzione ad ogni più piccolo particolare è l'emblema della cura che viene rivolta alla produzione nel suo complesso, che ricomprende persino le locandine del film che giocano sul contrasto dei toni di bianco e nero per evocare la figura leggendaria e temuta di Battōsai e quelle degli altri personaggi dell'epoca Meiji: gli scatti sono state affidati al fotografo nipponico Kazumi Kurigami, già insignito di numerosi riconoscimenti per le sue opere.
La ricostruzione storica del periodo Meiji è fascinosa e accattivante, con quel piacevole tripudio di colori determinato dalla mescolanza di vestiario moderno occidentale e tradizionale orientale, che mai come in quell’era particolare vedeva i suoi albori.
Se la popolazione tendeva ad abbigliarsi ancora con gli abiti classici indossati da sempre, spicca particolarmente il contrasto con l'esercito, la polizia, gli alti funzionari politici e gli uomini d'affari in rigorose divise e vesti di foggia occidentale, icone di una transizione non sempre vista con favore, ma ormai inarrestabile.
Non manca, in effetti, una velata critica alla conflittuale condizione che marcava il Paese nell'epoca Meiji, ove moltissimi ex samurai si ritrovano privi di un riconoscimento sociale, oltre che di un'occupazione: dopo l'obbligo di abbandonare la spada, queste figure sono state spesso costrette ad accettare incarichi talora umilianti, pur di sopravvivere in un'era che dopo essere stata forgiata con il sangue sotto i loro molteplici sforzi, spesso ha voltato loro le spalle.
Le circostanze della Restaurazione Meiji fanno da sfondo agli eventi passati dello stesso protagonista Kenshin Himura, il cui segreto legato alla cicatrice a forma di croce viene accennato per tramite di un flashback struggente e malinconico, anticipando così una storia che nel manga originale giungerà solo con la saga conclusiva, ma che in questo primo film risulta nondimeno calzante.
Inevitabile soffermarsi poi ancora una volta sugli accostamenti cromatici di questo film, quando si realizza che le tinte dominanti dell'intera pellicola sono tutti i toni del mattone, del rossiccio, dell'indaco e dell'oltremare, colori che assai più spesso di altri sono associati alle illustrazioni di Kenshin e al suo inconfondibile kimono rosso o blu, oltre che alla sua versione assassina.
Proprio perché nel film nulla viene lasciato al caso, si può facilmente udire il linguaggio peculiare utilizzato da Kenshin, che più di ogni altra cosa ci rimanda a un'epoca ormai passata; il samurai vagabondo, in particolare, attraverso deferenti e desuete costruzioni delle frasi parla una lingua addirittura più antica dell'era cui egli appartiene, e si fa così retaggio vivo di un mondo già scomparso che solo dentro di lui persiste ancora ad esistere, come uomo di ora e di allora.
Così come 'cuore di spada' è la traduzione perfetta dei kanji di Kenshin e sua più intima incarnazione e ragione d'essere, è comprensibile come la sua figura nel film sia perlomeno essenziale per la riuscita dell'intera opera.
E Kenshin Himura è a dir poco impeccabile: Takeru Satō non fatica alcunché per restituire allo spadaccino i delicati lineamenti che lo connotano, ma grazie al suo impareggiabile talento il giovane riesce con straordinaria abilità a renderne tangibili anche le varie sfumature espressive, sia nel viso che nella voce, alternando il gentile ‘rurouni’ vagabondo dai toni pacati ed educati al freddo assassino Battōsai dalla voce roca, gelida e irriconoscibile.
L'indecifrabile samurai diviso tra il passato, il presente e il suo immancabile conflitto interiore è dotato, per stessa ammissione di Watsuki, di una bellezza neutra, non esattamente femminea, che si estende fino a travalicare i sessi. A ben vedere Satō conserva della ruvidezza nei tratti, ed è molto apprezzabile quanto della sua stessa statura ed esile corporatura trasmigrino in Kenshin.
E' un aspetto che sembra quasi paradossale, perché non c'è scena di lotta e spada che non lasci sbalorditi, nel vedere così tanta e sottile forza celata in un corpo così minuto.
I personaggi di Rurouni Kenshin sono una delle colonne portanti dell'opera originale, e la pellicola in tal senso ne offre una trasposizione felicissima e godibile, sia sui protagonisti che sui comprimari.
Splendida la resa dello sfrontato Sanosuke Sagara e della sua spiccata e ingenua irruenza da parte di Munetaka Aoki, parimenti ben fatta quella di Megumi Takani con le splendide fattezze di Yū Aoi: malgrado le variazioni apportate alla personale storia di Megumi, rimane invariato ed evidente il desiderio di questa figura femminile, così forte e moderna, di sfuggire al destino che l'ha intrappolata in una vita di indesiderate costrizioni.
Il piccolo Yahiko Myōjin di Taketo Tanaka non viene posto in particolare risalto, ma la sua figura ha il pregio di risultare tanto semplice quanto immediata; il profilo dell'imprenditore Kanryū Takeda di Teruyuki Kagawa viene modificato solo dal punto di vista della rappresentazione fisica, così che non si fatica a coglierne l’animo corrotto in tutte le sue sfumature. Ed infine il samurai decaduto Jinne Udō di Kōji Kikkawa, che spicca tra tutti con una preponderanza sibillina ma meritata: il suo arco narrativo regala momenti di altissima tensione, anche sentimentale, con il superlativo racconto che svela come l'animo di Battōsai continui a battere sotto mentite spoglie, acquietato soltanto dal grido accorato di Kaoru.
A questo proposito, va detto che la giovane Emi Takei svolge sulla protagonista femminile un compito visivamente buono ma caratterialmente non eccellente: la sua Kaoru Kamiya è forte e bella, ingenua e innamorata, ma l'attrice ne enfatizza anche la dolcezza e il lato materno, al punto che viene del tutto slavato il ruvido lato tsundere, e nondimeno comico, presente in misura non indifferente nella figura originale di Watsuki.
Lucida è la rappresentazione della figura storicamente esistita di Hajime Saitō, capo della terza squadra della Shinsengumi, interpretato da Yōsuke Eguchi: la sua caratterizzazione appare un po' troppo buonista, affascinante e filo-governativa, a scapito del ruolo di spia e del lugubre tormento interiore da contestatore sociale, che tanto hanno reso quest'uomo uno dei personaggi di Rurouni Kenshin tra i più amati di sempre.
Encomiabile anche il gradito cameo di brevi comparse di personaggi comprimari di minor rilievo, forse invisibili ad un pubblico neofita, ma che i fan della serie riconoscono a colpo d'occhio.
Un capitolo del tutto a parte meriterebbe il comparto musicale della pellicola. Le melodie di Naoki Satō richiamano arie di stampo tradizionale nipponico e investono lo spettatore d'atmosfera e di aspettativa; la colonna sonora strumentale si propone di accogliere con eleganza e solennità l'azione, il ritmo e le sequenze sia dinamiche che quelle più pacate del film, e ci riesce in maniera superba.
Decisa è anche l'impronta lasciata da "The Beginning", il tema principale cantato dalla band j-rock One OK Rock: si tratta di una scelta piuttosto azzeccata dal momento che il mix di lingua inglese e giapponese, tipico delle liriche di questo gruppo musicale, si pone qui come un evocativo ponte tra due mondi, ben rispecchiando la rappresentazione di un’epoca letteralmente spaccata a metà tra un passato di tradizioni e un futuro di stampo occidentale di foggia statunitense.
Accostare inoltre una band giovane e moderna a un titolo come Rurouni Kenshin conferma ancora una volta quanta freschezza ci sia in un'opera che ha già superato i venticinque anni di vita e non risente nemmeno di un acciacco.
Non è l'unico dettaglio a fare la differenza: "The Beginning" esordisce alla posizione #2 della classifica musicale Billboard Japan Hot 100 e ci rimane per 45 settimane, oltre alle 20 settimane della classifica Oricon; la canzone si aggiudica ben due riconoscimenti agli MTV Video Music Awards Japan del 2013 e segna il vero punto di svolta nella carriera dell'ex band indie, che da questo momento in avanti si vedrà proiettata sempre di più in ambito internazionale.
Quella tra Takahiro 'Taka' Moriuchi, vocalist, chitarrista e cantautore degli One OK Rock, e Takeru Satō, non è tanto o solo collaborazione d'affari bensì una storia quasi di famiglia, di affetto e stima, amicizia e profondo rispetto. I due fanno sì parte della medesima agenzia di talenti Amuse, ma non è questo ad avvicinarli per il progetto su Rurouni Kenshin: Satō è un silenzioso fan degli One OK Rock già da un po' quando stringe amicizia con il coetaneo Taka; tra le consonanti puntate nel titolo di "C.h.a.o.s.m.i.t.h.", melodia che Taka scrive come inno d'augurio ai suoi più cari amici, vi è anche la lettera "t" di Takeru.
Quando Satō viene appuntato per il ruolo di Kenshin e gli viene chiesto se serbi delle preferenze a riguardo della scelta della theme song, al giovane viene naturale proporre il nome degli One OK Rock, ed è precisamente così che nasce un'altra leggenda.
In Rurouni Kenshin la componente avventurosa viene sviscerata appieno: la teatralità degli svariati duelli di kenjutsu opera dell'esperto coreografo Kenji Tanigaki pone certo i combattenti al limite del sovrumano, ma le tante acrobatiche gesta non risultano comunque mai eccessive agli occhi dello spettatore, né fanno perdere di credibilità all'adrenalinica emozione suscitata dall'impatto del momento.
Rispetto all'opera originale cartacea, il film diluisce la componente di commedia e risulta più ombroso, ma non meno piacevole.
Grazie poi ad un ottimo bilanciamento tra scene introspettive e momenti d'azione ad alto tasso di incrocio di lame, il risultato è di perfetto equilibrio per un prodotto confezionato con un intento evidente di cura minuziosa, tale da soddisfare le esigenze di svariate tipologie di pubblico e compiacere su più livelli, ma non senza un'adeguata consistenza di fondo.
2014 - I film gemelli Kyoto Inferno e The Legend Ends
Kenshin Himura appare così incredibilmente reale e vivido, in ogni suo studiato movimento nella meravigliosa cornice Meiji, che non si fatica a credere alle voci che già nel 2012 ipotizzano che il film sia solo il primo di una serie.
E' fuor di dubbio che l'idea sia intrinsecamente legata al buon esito degli incassi al botteghino, e una volta assodato tale risultato, nell'estate 2013 giunge l'annuncio di un sequel cinematografico formato da due titoli gemelli: sono incentrati sulla celeberrima saga di Kyoto e ne è prevista l'uscita nell'estate successiva del 2014.
Con il regista e sceneggiatore Ōtomo a fungere nuovamente da guida, dal primo film vengono riconfermati il cast e lo staff pressoché per intero, e appare quasi superfluo aggiungere che per i nuovi personaggi legati agli Oniwabanshū si pesca ancora una volta dal già citato Ryōmaden, con l'ingresso della sedicenne Tao Tsuchiya sull'esuberante Misao Makimachi, Yūsuke Iseya per il freddo Aoshi Shinomori e Min Tanaka sul saggio Okina.
Il leggendario protagonista di Ryōmaden, l'attore e cantautore Masaharu Fukuyama, assolve al ruolo di una figura altrettanto leggendaria com'è quella del maestro di Kenshin Himura, Hiko Seijūrō.
I due nuovi film Kyoto Inferno (Rurouni Kenshin Kyoto Taika-hen) e The Legend ends (Rurouni Kenshin Densetsu Saigō-hen) mettono in luce il complesso ruolo del villain Makoto Shishio, carismaticamente interpretato dall'attore Tatsuya Fujiwara (Death Note, ERASED boku dake ga inai machi), mentre la scelta per l'apprezzato personaggio di Sōjirō Seta ricade quasi d'obbligo sul poliedrico Ryūnosuke Kamiki (Your Name., Un marzo da leoni).
Il giovane Kamiki, stella di Amuse in ascesa nel firmamento dello spettacolo nipponico, sotto i riflettori sin dalla tenera età di due anni, si proclama così avido fan del manga di Rurouni Kenshin da proporsi alle agenzie per il ruolo di Sōjirō già prima che venisse girato il primo film; con il suo tipico smagliante sorriso e una luce furba negli occhi chiede: "non vi pare che Sōjirō mi somigli? Perché non ne facciamo la versione live action?".
Collega di agenzia di Satō e suo caro amico, alla notizia delle riprese del primo film Kamiki si procura una spada di legno e inizia a far pratica intensiva, provando persino la peculiare tecnica shukuchi (tecnica di velocità di Seta nello sfrecciare abilmente da una parete all'altra), nella speranza che prima o poi del film venga girato un sequel.
"All'epoca Sato ha ghignato nel vedermi, ma ora non più," ricorda Kamiki; la sua determinazione e professionalità non sfuggono né agli attori Emi Takei e Munetaka Aoki, suoi colleghi nel taiga drama Taira no Kiyomori, impressionati dalla sua caparbietà, né tantomeno a Ōtomo: "lui mi ha mostrato quella spina dorsale di Sōjirō che non può essere messa per iscritto in nessuna sceneggiatura."
E' necessario attendere sei mesi di riprese fotografiche lungo l'intero Giappone; da Tokyo a Kyoto e nelle prefetture di Ibaraki, Yamagata, Kumamoto, Shiga, Hyogo, Nagano, Tochigi, Chiba e Kanagawa. Viene quindi il momento di una campagna mediatica a dir poco colossale con cui Warner Bros copre l'intera Asia, e i risultati al botteghino non si fanno attendere: dai 25 milioni di euro stanziati per il budget, la coppia di film ne frutta oltre 44 di ritorno, benché entrambe le pellicole prefigurino una storia decisamente più cupa, dai tratti persino cruenti, come mostra senza alcun riguardo la sibillina sequenza di apertura di Kyoto Inferno e il suo fiammeggiante proseguimento.
Come già accaduto nel primo film, anche nel secondo e terzo capitolo della trilogia le vicende del manga si fondono con porzioni di episodi inediti e alcune spettacolari variazioni sul tema, che nulla tolgono al senso ultimo del racconto: lo scontro di Shinomori con Okina potrebbe pertanto serbare un esito dissimile da come lo si ricorda, mentre il rocambolesco duello tra Kenshin e Shishio non avverrà nel segreto del lungo percorso di torii rossi sulla collina del Fushimi Inari a Kyoto, bensì all'interno di un vascello da guerra all'avanguardia, comunque caratterizzato da elevatissime temperature di battaglia.
Anche così, si ritrova ugualmente spazio per l'introspezione e per momenti che traboccano di sentimenti taciuti, o troppo vasti per poter essere adeguatamente descritti a parole: tra assassinii alla luce del giorno e addii strazianti, uomini d'arme ma non sempre d'onore e autentici sipari storici, nei due film si percorre assieme al protagonista il sentiero che gli dapprima fa smarrire ogni certezza sul futuro, per poi riconquistare pian piano sé stesso, il calore dell'esistenza e la preziosità della vita.
Emblematico in tal senso il capitolo relativo alla conquista della nuova sakabatō shinuchi, preceduto da un intenso duello ove a farla da padrone è il clangore delle lame e l'attaccamento alla nuova epoca costruita con tante difficoltà.
Risultano particolarmente toccanti le inquadrature che svelano i retroscena della fervente affezione di Kenshin alla sua katana: è il simbolo della sua vita di espiazione, ma allo stesso tempo lo spettatore ne trae un significativo approfondimento su quanto di religioso vi sia, dietro la creazione di una spada giapponese che comunque nasce e viene temprata espressamente con l'intento di fendere.
Quello tra Kenshin Himura e Makoto Shishio è d'altronde un confronto che frappone idealmente non soltanto due fazioni, bensì due modi di intendere la vita, i valori e la transizione dal violento passato al 'civilizzato' presente.
Partendo da un medesimo vissuto nel Bakumatsu, infatti, Shishio e la sua spada aguzza che trasuda di carni trafitte sono l'emblema di ciò che sarebbe potuto essere il futuro di Battōsai, qualora questi sulla sua strada non avesse rinvenuto la profonda umanità di chi lo ha indotto a proseguire il cammino da solitario vagabondo, munito solo di una katana che non può più uccidere.
Là dove Kenshin Himura si spende per una vita senza clamori né fama, Shishio inneggia precisamente alla gloria, al potere e al riconoscimento sociale che gli sono stati negati.
In un mondo 'nuovo' in cui la violenza non dovrebbe essere più all'ordine del giorno e viene invece perpetrata ancora da più parti, e non soltanto da quella dei 'cattivi' dunque, i due ex eroi di guerra paradossalmente condividono un pensiero simile: si tratta del distacco percepito nei confronti di un governo mellifluo, in passato servito senza colpo ferire da entrambi, ma che nel presente è ben lontano dal potersi considerare quell'ideale cui si aspirava.
Per quanto lo spettatore possa trarre da sé le debite conclusioni, la dimensione politica assume toni più sentiti in The Legends Ends, attribuendo all'epopea un ulteriore ambito di riflessione.
I dietro le quinte dei due film riconfermano la vocazione alla massima professionalità già sperimentata: né Satō né Fujiwara intendono avvalersi di controfigure per le riprese della violenta e ardente battaglia finale tra i loro personaggi, e lo sforzo raggiunge una tale intensità che nessuno dei due è in grado di muovere un singolo muscolo dopo che la cinepresa si spegne.
L'impegno di preparazione fisica richiesto per la trilogia dedicata a Rurouni Kenshin sposta l'asta su un livello tecnico sempre più alto, arrivando a chiedere al cast quasi l'impossibile, e trovando tuttavia sempre una disponibilità quasi disarmante in tal senso.
Musicalmente parlando, le arie orchestrali di Naoki Satō già udite nel primo film proseguono nel celebrare i momenti più intensi dei nuovi film gemelli, e non cessa nemmeno il fortunato sodalizio con gli One OK Rock che firmano rispettivamente le theme song "Mighty Long Fall" e la struggente "Heartache".
Poiché la terza pellicola si chiude con un inno alla vita e al futuro, da parte del protagonista Kenshin Himura, la trilogia sembra voler cogliere l'occasione per far calare degnamente il sipario su un progetto la cui ricezione è stata favorevole su più fronti.
I film targati Warner Bros cambiano del tutto gli orizzonti della cinematografia dei cosiddetti 'live action', prefigurando l'idea che sognare osando oltre l'immaginabile sia possibile, poiché in effetti ciò è precisamente quanto accade: se ad esempio la filmografia di Takeru Satō nel 2014 non può certo dirsi scevra da ruoli variegati, è altrettanto vero che la figura più importante della sua carriera sia proprio quella dello spadaccino vagabondo, che nell'immaginario collettivo a lui si sovrappone oramai in maniera quasi involontaria ma inevitabile, e nello stesso tempo senza che egli ne divenga prigioniero.
Rurouni Kenshin è per lui il trampolino di lancio che contribuisce a collocare l'attore in quel non così ampio circuito di star nipponiche capaci di interpretare con maestria ed eclettismo qualunque tipo di ruolo venga loro affidato. Dal 2012 in avanti la carriera di Satō è in continua ascesa, priva del benché minimo passo falso e ricca, semmai, di ripetuti elogi alle sue caleidoscopiche interpretazioni.
2017 - 2018 - L'annuncio di un nuovo sequel, "for saying I'll fight until there is no more"
Trascorrono alcuni anni, ma l'attenzione su Rurouni Kenshin non cessa del tutto: nel settembre 2017 viene annunciato il futuro arrivo di una quarta pellicola dedicata al capitolo finale della storia, ma sia le riprese che l'uscita del film slittano quasi subito dal 2018 a una data da destinarsi.
Il posticipo del film è legato in parte all'imprevisto stato di gravidanza e all'improvviso matrimonio con Takahiro della boy band Exile da parte dell'attrice Emi Takei che nelle pellicole interpreta il ruolo della co-protagonista femminile Kaoru, "importante al punto da non poter essere tagliato fuori," dichiara il regista Ōtomo.
Si potrebbe intendere che un fatto così privato, lieto e personale non dovrebbe a rigor di logica interferire con le riprese più di quanto lo stato interessante della Takei non preveda nell'ambito del congedo per maternità; in Giappone, tuttavia, a livello contrattuale i vincoli che esistono con gli sponsor in caso di maternità impreviste rimandano a condizioni oltremodo infelici per le donne, in una una situazione di maschilismo imperante e nondimeno quasi vessatorio.
Una volta risolti i nodi contrattuali, trascorre dunque un anno e mezzo prima di nuovi aggiornamenti sul progetto: è solo nel mese di aprile 2019 che si comunica come il capitolo finale di Rurouni Kenshin sarà ancora una volta composto da due pellicole, correlate l'una all'altra, in arrivo nell'estate del 2020.
Takeru Satō si esprime così in merito: "ogni volta che interpreto Kenshin ne ricavo una sensazione davvero speciale. Inoltre, questa parte della storia rappresenta il capitolo più cruciale e difficile per Kenshin, e sento che lo è anche per me durante le riprese, ogni giorno che passa. È un lavoro importante per me, e si tratta di un episodio che desideravo poter interpretare a tutti i costi."
Il regista Ōtomo gli fa eco: "È un capitolo assolutamente indispensabile all'intera serie, perché è la storia della ferita a forma di croce sulla guancia di Kenshin che instilla l'umanità nella sua persona."
Dopo gli struggenti cenni sui capitoli del passato narrati nella trilogia, essi vedono così il loro pieno compimento nel quinto episodio cinematografico della saga, cosa che nell'ormai lontano 2012 poteva dirsi lungi dall'essere certo.
Le riprese iniziano il 4 novembre 2018 e vengono ultimate il 28 giugno 2019: nel corso di oltre sette mesi la troupe gira in 43 location diverse, sparse per il Giappone perlopiù tra le prefetture di Kyoto, Nara, Shiga, Mie, Hyogo, Kumamoto, Hiroshima, Tochigi, Saitama, Shizuoka, Osaka e Nagano.
2019 - 2020 - I capitoli conclusivi Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e Saishūshō The Beginning
I due film, tuttavia, non vedono la luce alle date programmate di luglio e agosto 2020, poiché la pandemia legata alla diffusione del CoronaVirus esala frattanto i suoi effetti anche in Giappone ed impedisce che l'intero lavoro di post-produzione dei film venga condotto nei tempi previsti. E' necessario dunque un nuovo rimando, stavolta alla primavera dell'anno 2021.
Il nefasto 2020 non si conclude ad ogni modo sotto il migliore degli auspici, quando all'attenzione delle cronache esplode il caso di detenzione di cannabis in cui è coinvolto l'attore Yūsuke Iseya, interprete di Aoshi Shinomori: in una nazione in cui la gravità del possesso di droghe e oppiacei rimane elevatissima e non fa sconti a nessuno, indipendentemente dalla fama, l'uomo viene condannato a fine dicembre ad un anno di reclusione e il destino delle pellicole in cui è presente rimane incerto.
Quando nel 2021 inizia il consueto e massiccio battage pubblicitario su Rurouni Kenshin, che prevede un coinvolgimento da parte del pubblico di appassionati come mai prima, su Iseya si sorvola abilmente e il suo personaggio scompare dai poster e dalle clip promozionali pur rimanendo nella storia come da girato; non risulta così necessario un nuovo fermo di lavorazione, né per riscrivere parzialmente la sceneggiatura né per effettuare riprese integrative a sostituirne la presenza.
Tra il 2020 e il 2021 ricorrono anche gli anniversari rispettivamente dei 25 anni del manga e dell'avvio della popolare serie animata dedicata a Rurouni Kenshin: il tutto viene festeggiato attraverso un'ampia esposizione a tema a Tokyo che, dopo essere stata rimandata anch'essa dalla primavera 2020, unisce tavole del manga a materiali e costumi di scena del film, oltre ad esibire una perfetta creazione di finissima qualità della leggendaria sakabatō shinuchi, ad opera di un rinomato mastro spadaio.
Attraverso i social media Twitter e YouTube vengono diffusi una notevole serie di video inediti relativi al making-of dell'intera pentalogia cinematografica uniti dai tag 'Road to Kenshin', 'Thank you for your love over the last ten years' e 'Arigatou Kenshin', nell'ottica di una celebrazione dei dieci anni trascorsi dalla prima felice trasposizione del 2012.
A questo proposito viene anche istituito l'evento in live streaming Rurouni Kenshin Global Fan Session, legato a un concorso ad estrazione, cui un numero ristretto di fan selezionati da tutto il mondo può partecipare 'in presenza' via Zoom il 24 marzo 2021: il tutto accade proprio mentre il globo si ritrova ancora una volta ingabbiato in lockdown di varie modalità, nell'ottica di frenare la pandemia di un virus che continua a rialzare la testa.
Poiché 'lo spettacolo deve andare avanti' e cercare di strappare l'attenzione della gente anche e soprattutto nei momenti più bui, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e Rurouni Kenshin Saishūshō The Beginning approdano comunque nei cinema come previsto rispettivamente il 23 aprile e il 4 giugno 2021, a dispetto del fatto che nel Paese venga dichiarato lo stato di emergenza a fine aprile, in piena Golden Week. Lo stesso viene rinnovato nel mese di maggio, per essere infine sollevato solo a partire dal 20 giugno 2021.
In un Giappone ancora alle prese con il Covid-19, le due pellicole debuttano così al cinema mentre questi ultimi sono ancora chiusi nelle prefetture più popolose del Paese, quali ad esempio Tokyo, Osaka e Fukuoka. Ciononostante, per la prima volta nella storia delle trasposizioni live action, i due film si aggiudicano la prima e la seconda posizione al botteghino e resistono in classifica nelle settimane a venire, raggranellando insieme la non indifferente cifra di quasi 48 milioni di euro di incassi a dispetto di ogni difficoltà.
Forse proprio legato ai possibili mancati introiti derivanti dalle limitazioni alla pandemia, o forse per possibili precedenti accordi già in essere, giunge in parte a sorpresa l'annuncio della distribuzione streaming internazionale di The Final da parte di Netflix dal 18 giugno 2021, con l'inserimento a catalogo anche della precedente trilogia.
I quattro film risultano pertanto finalmente disponibili anche per l'Italia, dopo che l'unico passaggio ufficiale nel nostro Paese si era avuto nel 2013 con la proiezione del primo capitolo al Far East Film Festival di Udine.
Netflix Italia propone i primi tre film sottotitolati nella nostra lingua e offre il doppiaggio in lingua spagnola o inglese, mentre è assente l'italiano; del quarto film inedito cura invece anche l'adattamento e doppiaggio sia in italiano che in svariate altre lingue straniere, localizzando così globalmente e in rapidità la medesima pellicola tuttora presente nei cinema nipponici.
Nella foto: il cast da Rurouni Kenshin a Rurouni Kenshin The Final e The Beginning
2021 - Rurouni Kenshin Saishūshō The Final, "look how far we've made it"
Rurouni Kenshin Saishūshō The Final è, innanzitutto, un rispettoso tributo nei confronti dei tre capitoli precedenti, un atto d'amore rivolto ai fan e un audace inchino di fronte al cinema nipponico e internazionale nel suo complesso.
Da bravo blockbuster qual l'intero franchise evidentemente si connota, è palese che qui lo sforzo creativo e professionale da parte del regista Ōtomo e dell'intero staff tecnico e cast di attori cerca di raggiungere vette mai toccate prima, e ci riesce egregiamente: graficamente parlando il risultato è opulento nella fotografia, sontuoso nelle scenografie e nelle inquadrature dei dettagli, magistrale dal punto di vista delle spettacolari sequenze d'azione firmate ancora una volta da Kenji Tanigaki.
Se il suo lavoro svolto al coordinamento degli effetti speciali nei primi tre film gli era già valso il riconoscimento internazionale della critica, quanto si vede in The Final non fa che riconfermarne l'eccellenza, ponendo le basi al contempo di un lavoro sempre più certosino, sensibile e desideroso di oltrepassare persino gli esistenti limiti fisici degli attori stessi.
Tanto nella sua costruzione quanto nel suo impatto scenico, la sequenza di apertura del film evoca l'incipit del secondo film in più punti, attraverso un Hajime Saitō imperturbabile persino di fronte ai pesanti disordini che si registrano in un treno diretto da Yokohama a Tokyo. Allo stesso tempo, lo spettatore registra un crescente senso di turbamento e sbalordimento, grazie proprio alla rocambolesca introduzione del villain di turno: Enishi Yukishiro è un giovane dalla forza mostruosa, dotato di un ottimo fiuto per gli affari e di indiscutibile talento diplomatico. Si tratta, soprattutto, del cognato di Kenshin Himura, pronto a tutto per vendicare l'assassinio della compianta e amatissima sorella Tomoe: è il compiersi del Jinchū, il 'giudizio umano', come contrapposizione a quello del cielo, della volontà degli dei che, invece, sembrano voler rimanere solo a guardare.
Non è difficile intuire che l'attacco sul convoglio sarà solo il primo di molti, e che Kenshin e compagni si ritroveranno a brancolare nel buio di Tokyo tra un assalto a civili e l'altro, prima che Enishi si palesi apertamente ed enunci il suo piano di vendetta.
Il cuore della capitale che arde sotto i violenti colpi degli scagnozzi del giovane è il cuore stesso di Kenshin: le vittime sono persone che frequentano luoghi specificatamente cari a lui e ai suoi amici perché tale è il preciso intento di Enishi, e il tormento interiore dello spadaccino, gravato da un senso di colpa incancellabile ed imperdonabile, è personale tanto quanto lo sono le motivazioni private del giovane Yukishiro.
"Grazie," si ode mormorare con un filo di voce una ragazzina che Kenshin salva tra le braccia e riporta al volo alla sua famiglia, facendola scampare da morte certa nella Tokyo che brucia senza fine. E' però un ringraziamento che suona ironicamente beffardo alle orecchie dell'ex assassino Battōsai, i cui passati crimini Tokyo non conosce e tuttavia sperimenta ora sulla propria pelle, in una sorta di sardonica legge del contrappasso.
In The Final il nodo centrale del film viene sviscerato attraverso un duplice filo conduttore dagli effetti diametralmente opposti, così che il perfetto bilanciamento dei due impedisce allo spettatore la benché minima distrazione dal racconto: il primo aspetto è la roboante sovrabbondanza di momenti d'azione, tutti invariabilmente connotati da un ritmo e una tensione altissima e da un parimenti alto grado di spettacolarità, e tuttavia mai altalenanti nella resa né in questo eccessivamente pretenziosi.
Nell'intera quadrilogia di Rurouni Kenshin si è già da lungo tempo piacevolmente appreso come nei duelli -di spada e non- a combattere non sia solo l'arma, bensì il guerriero e lo spadaccino con tutto il suo essere, attraverso movimenti rapidissimi che amplificano la maestosa resa del colpo, il sapiente uso degli ambienti e quello altrettanto calibrato del 'wire fu'. Si tratta di una tecnica che nasce dall'unione dei termini 'cavo metallico' e 'kung fu', tipica del cinema d'azione di Hong Kong e in seguito abilmente mutuata anche da Hollywood, da Matrix a X-Men e da Kill Bill a Mulan: è proprio attraverso di essa che l'attore o la controfigura di turno riescono a suggerire l'illusione delle abilità sovrumane dei personaggi da loro caratterizzati. Kenji Tanigaki ne è ormai non casuale maestro: in qualità di allievo dell'attore, karateka e judoka Yasauki Kurata, ma anche apprendista della leggendaria star cinese Donnie Yen sin dagli anni '90, Tanigaki si specializza inevitabilmente in lavori su intensi film d'azione che includono persino la pellicola statunitense Snake Eyes: G.I. Joe, a breve nei cinema.
A fungere da equilibrato contraltare alla verve introdotta da Tanigaki vi sono la studiata regia e sceneggiatura di Ōtomo, attraverso la presenza di quelle significative inquadrature di silenziosa riflessione che vi si inframezzano, le quali per contrasto apportano un'intensità che riecheggia in una maniera quasi assordante e non meno d'effetto, anche nelle scelte dei toni di colore utilizzati.
Rimane davvero inevitabilmente impressa nella retina la bellezza della fotografia di cui è corredato il film, che in più punti peraltro volutamente richiama le pellicole precedenti, in un'estetica piacevole agli occhi come nel cuore: facile dunque sentire le proprie labbra incresparsi d'emozione nel ri-vedere un nuovo incontro tra Kenshin e Kaoru sotto la pioggia, gravido di significati che vanno al di là delle parole non dette e dell'intensità degli sguardi, così come la ripresa del ponte su cui sosta Enishi appena prima di rivelarsi, o il sentito raccoglimento di Kenshin in una palestra Kamiya deserta solo in apparenza.
Mentre Enishi si diverte ad azzoppare Kenshin un colpo alla volta, dolorosamente, arrivando a privarlo lentamente di ciò che di più caro ha al mondo, Kenshin appare fisicamente stanco e mentalmente provato come mai prima: il suo aspetto più segnato del consueto tradisce il fardello psicologico di cui si sente colpevole, i suoi toni educati recano un tono profondo ed inedito, mentre dalla sua minuta figura si sprigiona invariabilmente un'aura al contempo modesta e magnifica.
E' difficile non plaudire allo straordinario lavoro attoriale svolto ancora su di lui da Takeru Satō, il cui misurato talento induce lo spettatore a credere che l'esistenza di Kenshin sia quasi insita in lui stesso e non si limiti ai soli confini cinematografici; è parimenti arduo non rimanere impressionati dalla resa interpretativa del nippo-americano Mackenyu Arata, al secolo Makken'yū Maeda, su Enishi. Chi ricorda il giovane figlio della star Sonny Chiba da precedenti pellicole quali Chihayafuru o Jojo: Diamond is Unbreakable, faticherà non poco a sovrapporne i tratti delicati e l'espressione talora monocorde sull'Enishi da lui trasposto per il grande schermo.
Irriconoscibile tanto nel pompato aspetto fisico quanto nella voce aggressiva e violenta, Arata sa restituire un antagonista dal profilo composito così come delineato nel manga da Watsuki: esibizionista e delirante quanto basta ma anche emotivamente fragile, dietro la maschera del compassato giovanotto che basta a sé stesso, perché già ha perduto l'unico tesoro che per lui contava davvero.
Se già Tatsuya Fujiwara nei panni di Makoto Shishio era riuscito nella non facile impresa di rendere credibile una figura scomoda ed esteticamente complessa, Arata su Enishi s'impone con non meno carisma; al contempo va detto che i suoi tirapiedi risultano decisamente più macchiettistici, comodi ai fini della trama ma poveri di contenuto, con l'eccezione dell'ex samurai Kujiranami, così che un confronto con il gruppo delle Dieci Spade di Shishio risulta quasi impari.
La storia parzialmente riscritta dal regista Ōtomo per The Final che diverge dal manga originale non include particolari momenti di gloria nemmeno per figure come quella del piccolo Yahiko, in termini di sceneggiatura sacrificato in maniera tutto sommato comprensibile, ma forse eccessiva, in tutte e quattro le pellicole.
Al suo posto brilla tuttavia qualcun altro: tra i personaggi precedentemente relegati su un piano di piattezza v'era anche lo scontroso Aoshi Shinomori di Yūsuke Iseya, che a dispetto di uno screentime limitato qui ristabilisce ogni dignità, mentre al suo fianco l'esuberante Misao di Tao Tsuchiya sfoggia tutta la potenza fisica e la carica emotiva che le donne d'altri tempi solo di rado potevano esibire.
Fra i graditi e inattesi ritorni si ha anche quello di due vanagloriosi antagonisti derivanti dritti dritti dal secondo e dal terzo film; uno dei due in particolare, quel Sōjirō Seta che di sé ha sempre fatto molto parlare sia tra i fan del manga originale che nella sua versione 3D proposta dal camaleontico Ryūnosuke Kamiki, regala a The Final una delle sequenze d'azione più riuscite, sbalorditive e lusinghiere dell'intera quadrilogia.
Degli ammiccamenti all'opera di Watsuki, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final non si priva invero mai, desideroso com'è di porgere i dovuti ossequi al materiale d'origine: si ritroveranno così i dialoghi più significativi del manga trasposti con precisione ed efficacia, assieme ad un romantico finale che rispecchia contemporaneamente sia il manga che la conclusione della serie animata che ne è stata tratta, la quale a sua volta dopo la saga di Kyoto aveva intrapreso filoni narrativi autonomi.
Come il film possa fungere da calcolato trait d'union ad entrambi pur mantenendo una propria precisa identità sembra impossibile a dirsi, eppure è un risultato palese agli occhi di chiunque vi guardi con attenzione.
Per quanto concerne il breve e necessario inserto sui fatti relativi alla figura di Tomoe Yukishiro, avvolta in un velo di misterioso e malinconico fascino, il film cerca di offrire un discreto compromesso nel riassumere la storia che verrà narrata per intero nel film gemello di The Final, ovvero il quinto ed ultimo capitolo The Beginning. Di quest'ultimo, attualmente nei cinema giapponesi con il suo predecessore, è stata annunciata da Netflix la distribuzione streaming internazionale per il prossimo 30 luglio 2021.
A riguardo dell'algida Tomoe lo spettatore apprende quel tanto che serve per empatizzare con il dolore di Enishi, il cui shock ha mutato in ciocche candide i suoi capelli d'ebano, e il tormento di Kenshin. Di certo non è abbastanza per definire per bene i tratti di una tragedia che si prefigura come una delle storie d'amore più belle e drammatiche mai narrate, ma proprio a questo proposito viene in soccorso la quinta pellicola: con un'ambientazione precedente di dieci anni alle vicende raccontate nella quadrilogia di Rurouni Kenshin, essa vi si pone come suo naturale prequel e maestosa conclusione di un'epopea al tempo stesso, ma anche come ideale ricongiungimento degli inizi, di quando tutto ha avuto origine. Una fine per tornare all'inizio, ed un nuovo inizio che non è più quello della fine.
Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e The Beginning si strizzano l'occhio a vicenda, e la valutazione su quale sia la modalità cronologicamente più corretta per usufruire al meglio della visione di entrambi potrebbe essere in effetti piuttosto soggettiva, tra chi potrebbe preferire di vedere dapprima gli antefatti per poi giungere alla saga finale di The Final, e chi invece è soddisfatto con la medesima scelta operata dai produttori del franchise.
Entrambi i film, inoltre, pongono interessanti interrogativi sulle rispettive figure chiave ivi rappresentate, così che l'ipotetico triangolo sentimentale tra Kaoru Kamiya, Kenshin Himura e Tomoe Yukishiro trova esplicazione in alcune sequenze introspettive di The Final tanto quanto induce chi guarda a riflettervi ulteriormente.
Le due figure di donna vengono peraltro ritratte in maniera molto diversa nei due diversi film, ma si intuisce come sia Kasumi Arimura su Tomoe che Emi Takei su Kaoru abbiano infuso una profonda parte di sé stesse, sia come attrici che come donne, nei rispettivi ruoli.
Nei film precedenti la Kaoru della Takei era apparsa spesso sottotono, mentre in The Final l'attrice esprime finalmente una figura femminile più matura, più consapevole e più donna. Quanto alla Arimura, benché il suo personaggio appaia solo in brevi frammenti della quarta pellicola, la sua interpretazione di Tomoe riesce a cogliere già perfettamente il carattere schivo e per certi versi ambiguo che la contraddistingue.
In linea con l'elevatissima qualità del prodotto, il doppiaggio in lingua italiana offerto da Netflix si attesta su un livello piuttosto notevole, con un Manuel Meli a conferire un ottimo carisma su Enishi e in generale un buonissimo lavoro svolto dai colleghi, con la direzione di Monica Bertolotti per la Iyuno - SDI Group; i dialoghi curati da Nicoletta Landi riflettono la specificità di alcuni vocaboli come la katana sakabatō, gli Oniwabanshū e il Jinchū, che vengono invece tradotti nella nostra lingua nei sottotitoli a cura di Flavia Pugliese, non privi di qualche ingenuità e imprecisione.
Sul fronte musicale si odono gli echi di quella stessa colonna sonora di Naoki Satō che per ben tre film è stata capace di emozionare intensamente, e che in un non scontato segno di continuità persiste a farlo ancora una volta, in maniera sempre nuova.
La theme song "Renegades", invece, stavolta è firmata a quattro mani non soltanto da Taka degli One OK Rock, bensì anche dal caro amico e collega musicista Ed Sheeran: le loro liriche lasciano il segno, perché oltre a sposare per bene la causa di Rurouni Kenshin The Final sembrano volersi rivolgere alle giovani generazioni odierne figlie del momento contingente. Come se i tempi e le epoche passassero, ma per le questioni che segnano, in fondo, passare oltre non si possa e non si debba mai.
Dopo un progetto iniziato dieci anni fa sotto gli auspici più svariati, e tre apprezzate pellicole riconosciute a livello mondiale per il pregio nella fattura e l'ottima riuscita in termini di trasposizione live action di una celeberrima opera cartacea, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final chiude il cerchio sulle vicende di Kenshin Himura e della sua katana a lama invertita.
Lo spadaccino vagabondo rinviene in Tokyo e nella palestra Kamiya l'unico luogo in cui desidera davvero tornare, ma ciò non accade senza prima voltarsi indietro per fare necessariamente i conti con il proprio passato di assassino.
Nota conclusiva: il presente articolo è stato redatto senza dimenticare mai, nemmeno per un istante, il grave caso che ha coinvolto il mangaka Nobuhiro Watsuki tra la fine del 2017 e l'inizio dell'anno 2018 in merito al possesso di materiale pedo-pornografico. Per ulteriori dettagli al riguardo si rimanda alle nostre precedenti notizie correlate. Si ricorda altresì che la disamina del presente dossier verte specificamente sulla presentazione dei personaggi di finzione creati da Watsuki e alle relative trasposizioni live action, e per la medesima ragione non si è ritenuto necessario focalizzarsi ulteriormente sulle vicende personali del loro autore.
Cronologia dei film:
Rurouni Kenshin (2010)
Rurouni Kenshin II: Kyoto inferno (2014)
Rurouni Kenshin III: the legends ends (2014)
Rurouni Kenshin The Final (2021)
Rurouni Kenshin The Beginning (2021)
"For all of those times that you said it's impossible.
We're unstoppable now."
We're unstoppable now."
2010 - Storiche premesse, il jidaigeki
Nell'ambito dei progetti cinematografici e televisivi che con sempre maggior frequenza vengono dedicati alle trasposizioni in "live action", ovvero di quelle opere tratte originariamente da manga, anime o romanzi, si può affermare che quello legato a Rurouni Kenshin sia stato un azzardo di un certo rilievo. E, nondimeno, una scommessa riuscita.
E' necessario andare un po' a ritroso nel tempo e risalire al mese di agosto 2010 per rinvenire le prime indiscrezioni sull'adattamento dal vivo della celeberrima opera di Nobuhiro Watsuki ambientata nel periodo Meiji, con protagonista un ex samurai assassino della Restaurazione che ricompare dieci anni più tardi a Tokyo recando con sé una katana a lama invertita e il giuramento di non uccidere mai più: l'opinione popolare, sia in Giappone ma soprattutto in Occidente, si divide tra il parere di chi ritiene che potrebbe uscirne qualcosa di degno e magari -perché no- addirittura di epico, e le riflessioni di chi invece permane da poco a fortemente scettico.
Non tutti sono poi convinti della bontà della scelta che avrebbe visto l'allora ventunenne attore Takeru Satō vestire i panni del samurai vagabondo Kenshin Himura, a dispetto del fatto che il promettente Satō si fosse frattanto già fatto conoscere in patria con le serie di Kamen Rider Den-O, Ryōmaden, i film Rookies e Beck. E' peraltro un giovane che può persino fare perno sui propri tratti fisici delicati la bassa statura, aspetti che lo accomunano proprio allo spadaccino dalla cicatrice a forma di croce.
Tutti sono in ogni caso concordi sulla difficoltà di realizzazione e di riuscita del progetto, benché vi siano coloro che sono persuasi della buona possibilità di investire su Rurouni Kenshin, anche nell'ottica ideale di non smarrire -rivisitandola in chiave moderna e popolare- quell'antica tradizione cinematografica samuraica che ha fatto conoscere e amare le pellicole nipponiche autoriali nel mondo.
Si suole dire che se c'è qualcosa che di norma ai giapponesi riesce meglio che a chiunque altro, sono proprio i film di cappa e spada all'orientale cosiddetti jidaigeki (letteralmente: 'storie d'epoca'), e nella mente il richiamo va subito al maestro Akira Kurosawa, ma anche alle sperimentazioni portate avanti dall'acclamato Takashi Miike: si tratta di un filone con il quale si sono cimentati tanti registi che hanno fatto la storia del cinema del Sol Levante, sia nel periodo precedente a quello bellico che nel dopoguerra.
Il jidaigeki si è così imposto nell'ambito sia della produzione di genere sia di quello d'autore, al punto che per lungo tempo in Giappone un film su due è stato girato in costume, ma soprattutto ha influenzato altri ambiti e se ne è fatto influenzare a sua volta, prima di cedere alla crisi cinematografica nipponica degli anni '70 e ai mutati gusti del pubblico. Per sopravvivere, le opere in costume approdano alla televisione giapponese ove trovano un nuovo, insperato successo grazie in particolare agli investimenti della rete pubblica NHK sui suoi colossali taiga drama storici.
2011 - Un progetto ambizioso: "I'll risk everything if it's for you"
Al di là delle tante speculazioni di ogni genere, serve comunque un altro anno prima che le voci di corridoio a riguardo di Rurouni Kenshin vengano confermate e le riprese del film avviate: esso deriva da un popolare manga battle shōnen per ragazzi edito dal 1994 al 1999 sulla rivista Shōnen Jump di Shūeisha, già oggetto di felici trasposizioni animate e pubblicato anche in Italia da Star Comics nel 2001 con il titolo Kenshin, samurai vagabondo. Si mormora che le ragioni che hanno costretto ad attendere a lungo prima di realizzarne un film dal vivo si rinvengono nei progressi compiuti nel corso del tempo con le tecniche di computer grafica contemporanea, in grado di supportare progetti di una certa ambizione e di rendere giustizia al denso tasso d'azione presente nell'opera cartacea di Watsuki.
Nella foto: il countdown apparso nel 2012 sul sito ufficiale dedicato al primo film di Rurouni Kenshin
A prendere le redini del film co-prodotto dallo Studio Swan (Paradise Kiss), C&I Entertainment, IMJ Entertainment, RoC Works Co. e supervisionato da Warner Bros è il regista Keishi Ōtomo (Platina Data, Un Marzo da Leoni, Million Dollar Man, Himitsu The Top Secret), tanto sconosciuto in Occidente quanto acclamato in Giappone, grazie soprattutto all'immensa popolarità raggiunta dal taiga drama storico Ryōmaden nel 2010 prodotto da NHK e da lui attentamente curato.
Proprio la rete nipponica nazionale aveva sponsorizzato la formazione registica e di sceneggiatura di Ōtomo negli Stati Uniti per alcuni anni, dopo la sua laurea in legge presso la prestigiosa Università Keio di Tokyo; si tratta di un investimento che mostra ben presto i suoi frutti, poiché sia Rurouni Kenshin che l'intero Paese del Sol Levante devono in effetti molto a Ryōmaden e a Ōtomo.
In termini turistici, l'impatto sui giapponesi dello sceneggiato che racconta le vicende di Ryōma Sakamoto e Yatarō Iwasaki è immenso, ed è proprio così che si assiste all'avvio del turismo interno, da lì e per molti taiga drama a venire, sulle tracce di figure storicamente esistite; ne beneficerà enormemente l'economia nazionale e quella di zone meno rinomate e poco accessibili come Kōchi e Nagasaki, che vedranno quasi triplicare i flussi di turisti e il conseguente indotto generato.
Ryōmaden è applaudito da più parti e fa incetta di premi e riconoscimenti della critica, tra cui l'Elan d'Or 2011 assegnato all'attore debuttante dell'anno: si tratta di nient'altri che Takeru Satō, che nel drama interpreta la peculiare figura dello sfuggente Izō Okada, guarda caso il ruolo di un assassino del periodo del Bakumatsu.
Non è tuttavia solo il prodigioso talento in boccio di Satō e la propria esperienza maturata, che Ōtomo conduce con sé in Rurouni Kenshin da Ryōmaden: non c'è quindi da stupirsi troppo quando i nomi degli attori Munetaka Aoki, Yū Aoi e Teruyuki Kagawa già visti nel taiga confluiscono nel cast del film, assieme a quello del compositore Naoki Satō (Parasyte, Pretty Cure, Eureka Seven) allo staff per musicare l'opera.
Investito così di un incarico assai più complesso di ogni suo precedente, il riservato Takeru Satō commenta con cautela che "Kenshin è un personaggio molto conosciuto, pertanto credo ci voglia un certo tipo di recitazione che sappia catturare il pubblico. Vorrei poter rendere la giusta immagine di Kenshin, valutandola assieme a tutto lo staff, mantenendomi al contempo fedele ai dettagli". Quando il giovane frequentava le scuole elementari, il manga era ancora in corso d'opera ed egli ne era un grande fan: "era il manga che tutti quelli della mia generazione conoscevano. Io e i miei amici giocavamo a darci battaglia fingendo di incrociare le lame".
Il mangaka Nobuhiro Watsuki, quando apprende della candidatura di Satō, soggiunge che "quando si iniziò a parlare di questo progetto, io e mia moglie Kaoru ci chiedevamo chi mai sarebbe potuto essere adatto per il ruolo di Kenshin, e Takeru Satō ci venne subito in mente. E pertanto, quando il tutto è stato confermato per davvero, sono rimasto sorpreso e al tempo stesso molto felice. Non vedo l'ora di assistere alla sua superba recitazione".
Intimamente, Satō scommette tutto sé stesso sul ruolo, fermamente deciso ad abbandonare la carriera di attore qualora il film di Rurouni Kenshin non riscontri il successo sperato e la sua interpretazione non venga reputata degna del carisma del personaggio.
Così non accade, e quando il film viene rilasciato il 25 agosto 2012 in Giappone e in altri paesi asiatici, fa ben presto registrare ottimi risultati ai botteghini con più di 51,2 milioni di euro incassati in tutto il mondo, a fronte di un budget impiegato di 16,4 milioni.
2012 - Rurouni Kenshin, "it finally begins"
La storia di Rurouni Kenshin - Samurai Vagabondo conserva integro il suo fascino anche a distanza di diversi anni dalla prima stesura dell'opera; il progetto live-action rientra in un più ampio ambito dei festeggiamenti per il quindicennale della serie animata, che al di là di questo film stand-alone del 2012 ri-comprende, tra le altre cose, una serie di OVA sul capitolo di Kyoto e un breve remake del manga denominato Cinema Version.
L’opera originale di Nobuhiro Watsuki è nient'altro che la rielaborazione in chiave shonen dei tragici avvenimenti storici che hanno condotto il Giappone alla Restaurazione Meiji prima, e alla trasmigrazione nell'era moderna poi: forzata, rapida e non priva di strascichi.
E' certo una rilettura avventurosa, indirizzata idealmente più a un target di lettori adolescenti, piuttosto che ad un pubblico più maturo; per questo, e per quella componente di violenza propria dei fatti accaduti, Rurouni Kenshin potrebbe non rientrare a rigor di logica tra quelle storie consone ai gusti di chiunque. Eppure essa è, al tempo stesso, la storia della coscienza di un uomo, con alle spalle un percorso di vita travagliato ma al tempo stesso affascinante e romantico.
Come si ricordava in precedenza, trasformare un manga in un lungometraggio, tanto più dal vivo, è spesso e volentieri un'operazione che genera più mormorii di scontento che soddisfazione, sia tra i fan che tra i semplici appassionati del genere: significa necessariamente introdurvi dei cambiamenti, intervenire su qualcosa che difficilmente si ritiene migliorabile, e non perché l'opera rasenti la perfezione, quanto piuttosto perché apprezzata così com'era stata pensata originariamente.
Rurouni Kenshin offre tuttavia degli elementi che si prestano con facilità allo scopo: un'appassionata storia di cappa e spada al limite della tragedia e uno sfondo storico di fascino, personaggi il cui carisma non risente dello scorrere del tempo ed infine la fulgida katana a lama invertita sakabatō, emblema di un giuramento che è perno di ogni cosa.
L'intreccio originale di Watsuki viene rielaborato e compresso per esigenze di minutaggio, e gli interventi indubbiamente non possono sfuggire a chi la storia già la conosce o la ricorda più o meno bene. E tuttavia, per quanto siano assenti le apprezzate figure degli Oniwabanshū -spesso sovrapposti ai ninja, con cui condividono tuttavia sono determinati tratti-, i fatti narrati di per sé non ne soffrono in maniera eccessiva. Le vicende dei primi quattro volumi del manga vengono così ben riassunte in un incastro ex novo, il cui sviluppo non risulta essere affrettato, né lascia la percezione di elementi irrisolti, abbandonati per strada, né di incoerenti buchi narrativi.
La sceneggiatura riesce nell'intento di includere nell'intreccio tutto ciò che era necessario inserirvi, sia a livello di trama che di caratterizzazione dei personaggi principali, per trovarsi di fronte a una storia incalzante raccontata in maniera appassionata: ogni tassello si colloca là dove deve andare, ogni cosa rinviene il proprio giusto spazio e tutto si sublima nell'attenzione riposta al particolare, finanche alla ripresa dei medesimi dialoghi del manga, recitati da voci limpide e stentoree, che si imprimono con fermezza nel ricordo dell'astante occasionale e ancor più nei fan dell'opera.
"Indubbiamente, le parole della signorina Kaoru provengono da qualcuno che non si è mai sporcato le mani.
Un ideale utopistico.
La spada è un'arma.
L'arte della spada è l'arte di uccidere.
Si possono usare tante belle parole per spiegarla, ma questa è verità.
Eppure, se dovessi fare un paragone tra i due ideali, preferisco di gran lunga le parole della signorina Kaoru rispetto alla cruda verità."
Un ideale utopistico.
La spada è un'arma.
L'arte della spada è l'arte di uccidere.
Si possono usare tante belle parole per spiegarla, ma questa è verità.
Eppure, se dovessi fare un paragone tra i due ideali, preferisco di gran lunga le parole della signorina Kaoru rispetto alla cruda verità."
- Kenshin Himura -
Tra il passato poco edificante di Battōsai e il presente di espiazione di Kenshin si rincorrono ricordi e duelli di spada, incontri e cambiamenti, freni inibitori, lacrime di impotenza e ruggiti di battaglia, in un'evoluzione serrata del ritmo d'azione che lascia senza fiato persino lo spettatore più distratto.
Il film risponde in maniera quanto mai egregia alle esigenze del pubblico popolare cui idealmente si rivolge, così come alle complesse implicazioni che la storia di fondo fa intuire: ecco perché le inquadrature del film, che diverranno nel tempo piena espressione della poetica registica di Ōtomo, sono costantemente pregne di significato.
Un occhio più attento potrà notare ad esempio il primo piano effettuato sul volto di Battōsai Himura nella sequenza di apertura della pellicola, ambientata nella tormentata battaglia di Toba Fushimi e caratterizzata da toni freddi e bluastri: è una maschera rigida, un viso dallo sguardo spietato ed assente, rigato da una peculiare cicatrice a forma di croce.
A fungere da perfetto contraltare giunge di lì a poco il focus effettuato dalla cinepresa sul viso rilassato del samurai vagabondo, presentato per la prima volta proprio per tramite di quella medesima cicatrice sulla guancia, ancor prima che in qualunque altro dettaglio, in un'inquadratura dai toni caldi e luminosi.
E' poi la sequenza di chiusura del film a regalare un'altra piccola chicca ai fan, attraverso il nastro blu tra i capelli della protagonista femminile Kaoru Kamiya, probabile rimando al celebre capitolo del manga in cui l'oggetto è simbolo di un'intera breve saga, toccante e romantica.
In Rurouni Kenshin proprio l'attenzione ad ogni più piccolo particolare è l'emblema della cura che viene rivolta alla produzione nel suo complesso, che ricomprende persino le locandine del film che giocano sul contrasto dei toni di bianco e nero per evocare la figura leggendaria e temuta di Battōsai e quelle degli altri personaggi dell'epoca Meiji: gli scatti sono state affidati al fotografo nipponico Kazumi Kurigami, già insignito di numerosi riconoscimenti per le sue opere.
La ricostruzione storica del periodo Meiji è fascinosa e accattivante, con quel piacevole tripudio di colori determinato dalla mescolanza di vestiario moderno occidentale e tradizionale orientale, che mai come in quell’era particolare vedeva i suoi albori.
Se la popolazione tendeva ad abbigliarsi ancora con gli abiti classici indossati da sempre, spicca particolarmente il contrasto con l'esercito, la polizia, gli alti funzionari politici e gli uomini d'affari in rigorose divise e vesti di foggia occidentale, icone di una transizione non sempre vista con favore, ma ormai inarrestabile.
"Nell'era Meiji i soldi sono tutto"
- Kanryū Takeda -
- Kanryū Takeda -
Non manca, in effetti, una velata critica alla conflittuale condizione che marcava il Paese nell'epoca Meiji, ove moltissimi ex samurai si ritrovano privi di un riconoscimento sociale, oltre che di un'occupazione: dopo l'obbligo di abbandonare la spada, queste figure sono state spesso costrette ad accettare incarichi talora umilianti, pur di sopravvivere in un'era che dopo essere stata forgiata con il sangue sotto i loro molteplici sforzi, spesso ha voltato loro le spalle.
Le circostanze della Restaurazione Meiji fanno da sfondo agli eventi passati dello stesso protagonista Kenshin Himura, il cui segreto legato alla cicatrice a forma di croce viene accennato per tramite di un flashback struggente e malinconico, anticipando così una storia che nel manga originale giungerà solo con la saga conclusiva, ma che in questo primo film risulta nondimeno calzante.
Inevitabile soffermarsi poi ancora una volta sugli accostamenti cromatici di questo film, quando si realizza che le tinte dominanti dell'intera pellicola sono tutti i toni del mattone, del rossiccio, dell'indaco e dell'oltremare, colori che assai più spesso di altri sono associati alle illustrazioni di Kenshin e al suo inconfondibile kimono rosso o blu, oltre che alla sua versione assassina.
Proprio perché nel film nulla viene lasciato al caso, si può facilmente udire il linguaggio peculiare utilizzato da Kenshin, che più di ogni altra cosa ci rimanda a un'epoca ormai passata; il samurai vagabondo, in particolare, attraverso deferenti e desuete costruzioni delle frasi parla una lingua addirittura più antica dell'era cui egli appartiene, e si fa così retaggio vivo di un mondo già scomparso che solo dentro di lui persiste ancora ad esistere, come uomo di ora e di allora.
Così come 'cuore di spada' è la traduzione perfetta dei kanji di Kenshin e sua più intima incarnazione e ragione d'essere, è comprensibile come la sua figura nel film sia perlomeno essenziale per la riuscita dell'intera opera.
E Kenshin Himura è a dir poco impeccabile: Takeru Satō non fatica alcunché per restituire allo spadaccino i delicati lineamenti che lo connotano, ma grazie al suo impareggiabile talento il giovane riesce con straordinaria abilità a renderne tangibili anche le varie sfumature espressive, sia nel viso che nella voce, alternando il gentile ‘rurouni’ vagabondo dai toni pacati ed educati al freddo assassino Battōsai dalla voce roca, gelida e irriconoscibile.
L'indecifrabile samurai diviso tra il passato, il presente e il suo immancabile conflitto interiore è dotato, per stessa ammissione di Watsuki, di una bellezza neutra, non esattamente femminea, che si estende fino a travalicare i sessi. A ben vedere Satō conserva della ruvidezza nei tratti, ed è molto apprezzabile quanto della sua stessa statura ed esile corporatura trasmigrino in Kenshin.
E' un aspetto che sembra quasi paradossale, perché non c'è scena di lotta e spada che non lasci sbalorditi, nel vedere così tanta e sottile forza celata in un corpo così minuto.
I personaggi di Rurouni Kenshin sono una delle colonne portanti dell'opera originale, e la pellicola in tal senso ne offre una trasposizione felicissima e godibile, sia sui protagonisti che sui comprimari.
Splendida la resa dello sfrontato Sanosuke Sagara e della sua spiccata e ingenua irruenza da parte di Munetaka Aoki, parimenti ben fatta quella di Megumi Takani con le splendide fattezze di Yū Aoi: malgrado le variazioni apportate alla personale storia di Megumi, rimane invariato ed evidente il desiderio di questa figura femminile, così forte e moderna, di sfuggire al destino che l'ha intrappolata in una vita di indesiderate costrizioni.
Il piccolo Yahiko Myōjin di Taketo Tanaka non viene posto in particolare risalto, ma la sua figura ha il pregio di risultare tanto semplice quanto immediata; il profilo dell'imprenditore Kanryū Takeda di Teruyuki Kagawa viene modificato solo dal punto di vista della rappresentazione fisica, così che non si fatica a coglierne l’animo corrotto in tutte le sue sfumature. Ed infine il samurai decaduto Jinne Udō di Kōji Kikkawa, che spicca tra tutti con una preponderanza sibillina ma meritata: il suo arco narrativo regala momenti di altissima tensione, anche sentimentale, con il superlativo racconto che svela come l'animo di Battōsai continui a battere sotto mentite spoglie, acquietato soltanto dal grido accorato di Kaoru.
A questo proposito, va detto che la giovane Emi Takei svolge sulla protagonista femminile un compito visivamente buono ma caratterialmente non eccellente: la sua Kaoru Kamiya è forte e bella, ingenua e innamorata, ma l'attrice ne enfatizza anche la dolcezza e il lato materno, al punto che viene del tutto slavato il ruvido lato tsundere, e nondimeno comico, presente in misura non indifferente nella figura originale di Watsuki.
Lucida è la rappresentazione della figura storicamente esistita di Hajime Saitō, capo della terza squadra della Shinsengumi, interpretato da Yōsuke Eguchi: la sua caratterizzazione appare un po' troppo buonista, affascinante e filo-governativa, a scapito del ruolo di spia e del lugubre tormento interiore da contestatore sociale, che tanto hanno reso quest'uomo uno dei personaggi di Rurouni Kenshin tra i più amati di sempre.
Encomiabile anche il gradito cameo di brevi comparse di personaggi comprimari di minor rilievo, forse invisibili ad un pubblico neofita, ma che i fan della serie riconoscono a colpo d'occhio.
Un capitolo del tutto a parte meriterebbe il comparto musicale della pellicola. Le melodie di Naoki Satō richiamano arie di stampo tradizionale nipponico e investono lo spettatore d'atmosfera e di aspettativa; la colonna sonora strumentale si propone di accogliere con eleganza e solennità l'azione, il ritmo e le sequenze sia dinamiche che quelle più pacate del film, e ci riesce in maniera superba.
Decisa è anche l'impronta lasciata da "The Beginning", il tema principale cantato dalla band j-rock One OK Rock: si tratta di una scelta piuttosto azzeccata dal momento che il mix di lingua inglese e giapponese, tipico delle liriche di questo gruppo musicale, si pone qui come un evocativo ponte tra due mondi, ben rispecchiando la rappresentazione di un’epoca letteralmente spaccata a metà tra un passato di tradizioni e un futuro di stampo occidentale di foggia statunitense.
Accostare inoltre una band giovane e moderna a un titolo come Rurouni Kenshin conferma ancora una volta quanta freschezza ci sia in un'opera che ha già superato i venticinque anni di vita e non risente nemmeno di un acciacco.
Non è l'unico dettaglio a fare la differenza: "The Beginning" esordisce alla posizione #2 della classifica musicale Billboard Japan Hot 100 e ci rimane per 45 settimane, oltre alle 20 settimane della classifica Oricon; la canzone si aggiudica ben due riconoscimenti agli MTV Video Music Awards Japan del 2013 e segna il vero punto di svolta nella carriera dell'ex band indie, che da questo momento in avanti si vedrà proiettata sempre di più in ambito internazionale.
Quella tra Takahiro 'Taka' Moriuchi, vocalist, chitarrista e cantautore degli One OK Rock, e Takeru Satō, non è tanto o solo collaborazione d'affari bensì una storia quasi di famiglia, di affetto e stima, amicizia e profondo rispetto. I due fanno sì parte della medesima agenzia di talenti Amuse, ma non è questo ad avvicinarli per il progetto su Rurouni Kenshin: Satō è un silenzioso fan degli One OK Rock già da un po' quando stringe amicizia con il coetaneo Taka; tra le consonanti puntate nel titolo di "C.h.a.o.s.m.i.t.h.", melodia che Taka scrive come inno d'augurio ai suoi più cari amici, vi è anche la lettera "t" di Takeru.
Quando Satō viene appuntato per il ruolo di Kenshin e gli viene chiesto se serbi delle preferenze a riguardo della scelta della theme song, al giovane viene naturale proporre il nome degli One OK Rock, ed è precisamente così che nasce un'altra leggenda.
"Dammi solo una ragione
per far continuare a battere il mio cuore
Non temere, si è al sicuro qui tra le mie braccia
Mentre il mondo cade a pezzi attorno a noi
non possiamo che resistere, resistere.
Prendi la mia mano
e riportami indietro
rischierò ogni cosa se è per te.
Un sussurro nella notte
a dirmi che non è ancora la mia ora, che non devo arrendermi.
Non mi sono mai esposto così prima d'ora
e ora, finalmente, inizia tutto"
- Taka - "The Beginning"
per far continuare a battere il mio cuore
Non temere, si è al sicuro qui tra le mie braccia
Mentre il mondo cade a pezzi attorno a noi
non possiamo che resistere, resistere.
Prendi la mia mano
e riportami indietro
rischierò ogni cosa se è per te.
Un sussurro nella notte
a dirmi che non è ancora la mia ora, che non devo arrendermi.
Non mi sono mai esposto così prima d'ora
e ora, finalmente, inizia tutto"
- Taka - "The Beginning"
In Rurouni Kenshin la componente avventurosa viene sviscerata appieno: la teatralità degli svariati duelli di kenjutsu opera dell'esperto coreografo Kenji Tanigaki pone certo i combattenti al limite del sovrumano, ma le tante acrobatiche gesta non risultano comunque mai eccessive agli occhi dello spettatore, né fanno perdere di credibilità all'adrenalinica emozione suscitata dall'impatto del momento.
Rispetto all'opera originale cartacea, il film diluisce la componente di commedia e risulta più ombroso, ma non meno piacevole.
Grazie poi ad un ottimo bilanciamento tra scene introspettive e momenti d'azione ad alto tasso di incrocio di lame, il risultato è di perfetto equilibrio per un prodotto confezionato con un intento evidente di cura minuziosa, tale da soddisfare le esigenze di svariate tipologie di pubblico e compiacere su più livelli, ma non senza un'adeguata consistenza di fondo.
2014 - I film gemelli Kyoto Inferno e The Legend Ends
Kenshin Himura appare così incredibilmente reale e vivido, in ogni suo studiato movimento nella meravigliosa cornice Meiji, che non si fatica a credere alle voci che già nel 2012 ipotizzano che il film sia solo il primo di una serie.
E' fuor di dubbio che l'idea sia intrinsecamente legata al buon esito degli incassi al botteghino, e una volta assodato tale risultato, nell'estate 2013 giunge l'annuncio di un sequel cinematografico formato da due titoli gemelli: sono incentrati sulla celeberrima saga di Kyoto e ne è prevista l'uscita nell'estate successiva del 2014.
Con il regista e sceneggiatore Ōtomo a fungere nuovamente da guida, dal primo film vengono riconfermati il cast e lo staff pressoché per intero, e appare quasi superfluo aggiungere che per i nuovi personaggi legati agli Oniwabanshū si pesca ancora una volta dal già citato Ryōmaden, con l'ingresso della sedicenne Tao Tsuchiya sull'esuberante Misao Makimachi, Yūsuke Iseya per il freddo Aoshi Shinomori e Min Tanaka sul saggio Okina.
Il leggendario protagonista di Ryōmaden, l'attore e cantautore Masaharu Fukuyama, assolve al ruolo di una figura altrettanto leggendaria com'è quella del maestro di Kenshin Himura, Hiko Seijūrō.
I due nuovi film Kyoto Inferno (Rurouni Kenshin Kyoto Taika-hen) e The Legend ends (Rurouni Kenshin Densetsu Saigō-hen) mettono in luce il complesso ruolo del villain Makoto Shishio, carismaticamente interpretato dall'attore Tatsuya Fujiwara (Death Note, ERASED boku dake ga inai machi), mentre la scelta per l'apprezzato personaggio di Sōjirō Seta ricade quasi d'obbligo sul poliedrico Ryūnosuke Kamiki (Your Name., Un marzo da leoni).
Il giovane Kamiki, stella di Amuse in ascesa nel firmamento dello spettacolo nipponico, sotto i riflettori sin dalla tenera età di due anni, si proclama così avido fan del manga di Rurouni Kenshin da proporsi alle agenzie per il ruolo di Sōjirō già prima che venisse girato il primo film; con il suo tipico smagliante sorriso e una luce furba negli occhi chiede: "non vi pare che Sōjirō mi somigli? Perché non ne facciamo la versione live action?".
Collega di agenzia di Satō e suo caro amico, alla notizia delle riprese del primo film Kamiki si procura una spada di legno e inizia a far pratica intensiva, provando persino la peculiare tecnica shukuchi (tecnica di velocità di Seta nello sfrecciare abilmente da una parete all'altra), nella speranza che prima o poi del film venga girato un sequel.
"All'epoca Sato ha ghignato nel vedermi, ma ora non più," ricorda Kamiki; la sua determinazione e professionalità non sfuggono né agli attori Emi Takei e Munetaka Aoki, suoi colleghi nel taiga drama Taira no Kiyomori, impressionati dalla sua caparbietà, né tantomeno a Ōtomo: "lui mi ha mostrato quella spina dorsale di Sōjirō che non può essere messa per iscritto in nessuna sceneggiatura."
E' necessario attendere sei mesi di riprese fotografiche lungo l'intero Giappone; da Tokyo a Kyoto e nelle prefetture di Ibaraki, Yamagata, Kumamoto, Shiga, Hyogo, Nagano, Tochigi, Chiba e Kanagawa. Viene quindi il momento di una campagna mediatica a dir poco colossale con cui Warner Bros copre l'intera Asia, e i risultati al botteghino non si fanno attendere: dai 25 milioni di euro stanziati per il budget, la coppia di film ne frutta oltre 44 di ritorno, benché entrambe le pellicole prefigurino una storia decisamente più cupa, dai tratti persino cruenti, come mostra senza alcun riguardo la sibillina sequenza di apertura di Kyoto Inferno e il suo fiammeggiante proseguimento.
Come già accaduto nel primo film, anche nel secondo e terzo capitolo della trilogia le vicende del manga si fondono con porzioni di episodi inediti e alcune spettacolari variazioni sul tema, che nulla tolgono al senso ultimo del racconto: lo scontro di Shinomori con Okina potrebbe pertanto serbare un esito dissimile da come lo si ricorda, mentre il rocambolesco duello tra Kenshin e Shishio non avverrà nel segreto del lungo percorso di torii rossi sulla collina del Fushimi Inari a Kyoto, bensì all'interno di un vascello da guerra all'avanguardia, comunque caratterizzato da elevatissime temperature di battaglia.
Anche così, si ritrova ugualmente spazio per l'introspezione e per momenti che traboccano di sentimenti taciuti, o troppo vasti per poter essere adeguatamente descritti a parole: tra assassinii alla luce del giorno e addii strazianti, uomini d'arme ma non sempre d'onore e autentici sipari storici, nei due film si percorre assieme al protagonista il sentiero che gli dapprima fa smarrire ogni certezza sul futuro, per poi riconquistare pian piano sé stesso, il calore dell'esistenza e la preziosità della vita.
Emblematico in tal senso il capitolo relativo alla conquista della nuova sakabatō shinuchi, preceduto da un intenso duello ove a farla da padrone è il clangore delle lame e l'attaccamento alla nuova epoca costruita con tante difficoltà.
Risultano particolarmente toccanti le inquadrature che svelano i retroscena della fervente affezione di Kenshin alla sua katana: è il simbolo della sua vita di espiazione, ma allo stesso tempo lo spettatore ne trae un significativo approfondimento su quanto di religioso vi sia, dietro la creazione di una spada giapponese che comunque nasce e viene temprata espressamente con l'intento di fendere.
"Quando una persona uccide, nasce del risentimento.
Quel risentimento porterà solo ad altre uccisioni.
Fermare questo circolo vizioso è ciò che deve fare la mia spada."
Quel risentimento porterà solo ad altre uccisioni.
Fermare questo circolo vizioso è ciò che deve fare la mia spada."
- Kenshin Himura -
Quello tra Kenshin Himura e Makoto Shishio è d'altronde un confronto che frappone idealmente non soltanto due fazioni, bensì due modi di intendere la vita, i valori e la transizione dal violento passato al 'civilizzato' presente.
Partendo da un medesimo vissuto nel Bakumatsu, infatti, Shishio e la sua spada aguzza che trasuda di carni trafitte sono l'emblema di ciò che sarebbe potuto essere il futuro di Battōsai, qualora questi sulla sua strada non avesse rinvenuto la profonda umanità di chi lo ha indotto a proseguire il cammino da solitario vagabondo, munito solo di una katana che non può più uccidere.
Là dove Kenshin Himura si spende per una vita senza clamori né fama, Shishio inneggia precisamente alla gloria, al potere e al riconoscimento sociale che gli sono stati negati.
In un mondo 'nuovo' in cui la violenza non dovrebbe essere più all'ordine del giorno e viene invece perpetrata ancora da più parti, e non soltanto da quella dei 'cattivi' dunque, i due ex eroi di guerra paradossalmente condividono un pensiero simile: si tratta del distacco percepito nei confronti di un governo mellifluo, in passato servito senza colpo ferire da entrambi, ma che nel presente è ben lontano dal potersi considerare quell'ideale cui si aspirava.
Per quanto lo spettatore possa trarre da sé le debite conclusioni, la dimensione politica assume toni più sentiti in The Legends Ends, attribuendo all'epopea un ulteriore ambito di riflessione.
I dietro le quinte dei due film riconfermano la vocazione alla massima professionalità già sperimentata: né Satō né Fujiwara intendono avvalersi di controfigure per le riprese della violenta e ardente battaglia finale tra i loro personaggi, e lo sforzo raggiunge una tale intensità che nessuno dei due è in grado di muovere un singolo muscolo dopo che la cinepresa si spegne.
L'impegno di preparazione fisica richiesto per la trilogia dedicata a Rurouni Kenshin sposta l'asta su un livello tecnico sempre più alto, arrivando a chiedere al cast quasi l'impossibile, e trovando tuttavia sempre una disponibilità quasi disarmante in tal senso.
Musicalmente parlando, le arie orchestrali di Naoki Satō già udite nel primo film proseguono nel celebrare i momenti più intensi dei nuovi film gemelli, e non cessa nemmeno il fortunato sodalizio con gli One OK Rock che firmano rispettivamente le theme song "Mighty Long Fall" e la struggente "Heartache".
Poiché la terza pellicola si chiude con un inno alla vita e al futuro, da parte del protagonista Kenshin Himura, la trilogia sembra voler cogliere l'occasione per far calare degnamente il sipario su un progetto la cui ricezione è stata favorevole su più fronti.
I film targati Warner Bros cambiano del tutto gli orizzonti della cinematografia dei cosiddetti 'live action', prefigurando l'idea che sognare osando oltre l'immaginabile sia possibile, poiché in effetti ciò è precisamente quanto accade: se ad esempio la filmografia di Takeru Satō nel 2014 non può certo dirsi scevra da ruoli variegati, è altrettanto vero che la figura più importante della sua carriera sia proprio quella dello spadaccino vagabondo, che nell'immaginario collettivo a lui si sovrappone oramai in maniera quasi involontaria ma inevitabile, e nello stesso tempo senza che egli ne divenga prigioniero.
Rurouni Kenshin è per lui il trampolino di lancio che contribuisce a collocare l'attore in quel non così ampio circuito di star nipponiche capaci di interpretare con maestria ed eclettismo qualunque tipo di ruolo venga loro affidato. Dal 2012 in avanti la carriera di Satō è in continua ascesa, priva del benché minimo passo falso e ricca, semmai, di ripetuti elogi alle sue caleidoscopiche interpretazioni.
2017 - 2018 - L'annuncio di un nuovo sequel, "for saying I'll fight until there is no more"
Trascorrono alcuni anni, ma l'attenzione su Rurouni Kenshin non cessa del tutto: nel settembre 2017 viene annunciato il futuro arrivo di una quarta pellicola dedicata al capitolo finale della storia, ma sia le riprese che l'uscita del film slittano quasi subito dal 2018 a una data da destinarsi.
Il posticipo del film è legato in parte all'imprevisto stato di gravidanza e all'improvviso matrimonio con Takahiro della boy band Exile da parte dell'attrice Emi Takei che nelle pellicole interpreta il ruolo della co-protagonista femminile Kaoru, "importante al punto da non poter essere tagliato fuori," dichiara il regista Ōtomo.
Si potrebbe intendere che un fatto così privato, lieto e personale non dovrebbe a rigor di logica interferire con le riprese più di quanto lo stato interessante della Takei non preveda nell'ambito del congedo per maternità; in Giappone, tuttavia, a livello contrattuale i vincoli che esistono con gli sponsor in caso di maternità impreviste rimandano a condizioni oltremodo infelici per le donne, in una una situazione di maschilismo imperante e nondimeno quasi vessatorio.
Una volta risolti i nodi contrattuali, trascorre dunque un anno e mezzo prima di nuovi aggiornamenti sul progetto: è solo nel mese di aprile 2019 che si comunica come il capitolo finale di Rurouni Kenshin sarà ancora una volta composto da due pellicole, correlate l'una all'altra, in arrivo nell'estate del 2020.
Takeru Satō si esprime così in merito: "ogni volta che interpreto Kenshin ne ricavo una sensazione davvero speciale. Inoltre, questa parte della storia rappresenta il capitolo più cruciale e difficile per Kenshin, e sento che lo è anche per me durante le riprese, ogni giorno che passa. È un lavoro importante per me, e si tratta di un episodio che desideravo poter interpretare a tutti i costi."
Il regista Ōtomo gli fa eco: "È un capitolo assolutamente indispensabile all'intera serie, perché è la storia della ferita a forma di croce sulla guancia di Kenshin che instilla l'umanità nella sua persona."
Dopo gli struggenti cenni sui capitoli del passato narrati nella trilogia, essi vedono così il loro pieno compimento nel quinto episodio cinematografico della saga, cosa che nell'ormai lontano 2012 poteva dirsi lungi dall'essere certo.
Le riprese iniziano il 4 novembre 2018 e vengono ultimate il 28 giugno 2019: nel corso di oltre sette mesi la troupe gira in 43 location diverse, sparse per il Giappone perlopiù tra le prefetture di Kyoto, Nara, Shiga, Mie, Hyogo, Kumamoto, Hiroshima, Tochigi, Saitama, Shizuoka, Osaka e Nagano.
2019 - 2020 - I capitoli conclusivi Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e Saishūshō The Beginning
I due film, tuttavia, non vedono la luce alle date programmate di luglio e agosto 2020, poiché la pandemia legata alla diffusione del CoronaVirus esala frattanto i suoi effetti anche in Giappone ed impedisce che l'intero lavoro di post-produzione dei film venga condotto nei tempi previsti. E' necessario dunque un nuovo rimando, stavolta alla primavera dell'anno 2021.
Il nefasto 2020 non si conclude ad ogni modo sotto il migliore degli auspici, quando all'attenzione delle cronache esplode il caso di detenzione di cannabis in cui è coinvolto l'attore Yūsuke Iseya, interprete di Aoshi Shinomori: in una nazione in cui la gravità del possesso di droghe e oppiacei rimane elevatissima e non fa sconti a nessuno, indipendentemente dalla fama, l'uomo viene condannato a fine dicembre ad un anno di reclusione e il destino delle pellicole in cui è presente rimane incerto.
Quando nel 2021 inizia il consueto e massiccio battage pubblicitario su Rurouni Kenshin, che prevede un coinvolgimento da parte del pubblico di appassionati come mai prima, su Iseya si sorvola abilmente e il suo personaggio scompare dai poster e dalle clip promozionali pur rimanendo nella storia come da girato; non risulta così necessario un nuovo fermo di lavorazione, né per riscrivere parzialmente la sceneggiatura né per effettuare riprese integrative a sostituirne la presenza.
Tra il 2020 e il 2021 ricorrono anche gli anniversari rispettivamente dei 25 anni del manga e dell'avvio della popolare serie animata dedicata a Rurouni Kenshin: il tutto viene festeggiato attraverso un'ampia esposizione a tema a Tokyo che, dopo essere stata rimandata anch'essa dalla primavera 2020, unisce tavole del manga a materiali e costumi di scena del film, oltre ad esibire una perfetta creazione di finissima qualità della leggendaria sakabatō shinuchi, ad opera di un rinomato mastro spadaio.
Attraverso i social media Twitter e YouTube vengono diffusi una notevole serie di video inediti relativi al making-of dell'intera pentalogia cinematografica uniti dai tag 'Road to Kenshin', 'Thank you for your love over the last ten years' e 'Arigatou Kenshin', nell'ottica di una celebrazione dei dieci anni trascorsi dalla prima felice trasposizione del 2012.
A questo proposito viene anche istituito l'evento in live streaming Rurouni Kenshin Global Fan Session, legato a un concorso ad estrazione, cui un numero ristretto di fan selezionati da tutto il mondo può partecipare 'in presenza' via Zoom il 24 marzo 2021: il tutto accade proprio mentre il globo si ritrova ancora una volta ingabbiato in lockdown di varie modalità, nell'ottica di frenare la pandemia di un virus che continua a rialzare la testa.
Poiché 'lo spettacolo deve andare avanti' e cercare di strappare l'attenzione della gente anche e soprattutto nei momenti più bui, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e Rurouni Kenshin Saishūshō The Beginning approdano comunque nei cinema come previsto rispettivamente il 23 aprile e il 4 giugno 2021, a dispetto del fatto che nel Paese venga dichiarato lo stato di emergenza a fine aprile, in piena Golden Week. Lo stesso viene rinnovato nel mese di maggio, per essere infine sollevato solo a partire dal 20 giugno 2021.
In un Giappone ancora alle prese con il Covid-19, le due pellicole debuttano così al cinema mentre questi ultimi sono ancora chiusi nelle prefetture più popolose del Paese, quali ad esempio Tokyo, Osaka e Fukuoka. Ciononostante, per la prima volta nella storia delle trasposizioni live action, i due film si aggiudicano la prima e la seconda posizione al botteghino e resistono in classifica nelle settimane a venire, raggranellando insieme la non indifferente cifra di quasi 48 milioni di euro di incassi a dispetto di ogni difficoltà.
Forse proprio legato ai possibili mancati introiti derivanti dalle limitazioni alla pandemia, o forse per possibili precedenti accordi già in essere, giunge in parte a sorpresa l'annuncio della distribuzione streaming internazionale di The Final da parte di Netflix dal 18 giugno 2021, con l'inserimento a catalogo anche della precedente trilogia.
I quattro film risultano pertanto finalmente disponibili anche per l'Italia, dopo che l'unico passaggio ufficiale nel nostro Paese si era avuto nel 2013 con la proiezione del primo capitolo al Far East Film Festival di Udine.
Netflix Italia propone i primi tre film sottotitolati nella nostra lingua e offre il doppiaggio in lingua spagnola o inglese, mentre è assente l'italiano; del quarto film inedito cura invece anche l'adattamento e doppiaggio sia in italiano che in svariate altre lingue straniere, localizzando così globalmente e in rapidità la medesima pellicola tuttora presente nei cinema nipponici.
Nella foto: il cast da Rurouni Kenshin a Rurouni Kenshin The Final e The Beginning
2021 - Rurouni Kenshin Saishūshō The Final, "look how far we've made it"
Rurouni Kenshin Saishūshō The Final è, innanzitutto, un rispettoso tributo nei confronti dei tre capitoli precedenti, un atto d'amore rivolto ai fan e un audace inchino di fronte al cinema nipponico e internazionale nel suo complesso.
Da bravo blockbuster qual l'intero franchise evidentemente si connota, è palese che qui lo sforzo creativo e professionale da parte del regista Ōtomo e dell'intero staff tecnico e cast di attori cerca di raggiungere vette mai toccate prima, e ci riesce egregiamente: graficamente parlando il risultato è opulento nella fotografia, sontuoso nelle scenografie e nelle inquadrature dei dettagli, magistrale dal punto di vista delle spettacolari sequenze d'azione firmate ancora una volta da Kenji Tanigaki.
Se il suo lavoro svolto al coordinamento degli effetti speciali nei primi tre film gli era già valso il riconoscimento internazionale della critica, quanto si vede in The Final non fa che riconfermarne l'eccellenza, ponendo le basi al contempo di un lavoro sempre più certosino, sensibile e desideroso di oltrepassare persino gli esistenti limiti fisici degli attori stessi.
Tanto nella sua costruzione quanto nel suo impatto scenico, la sequenza di apertura del film evoca l'incipit del secondo film in più punti, attraverso un Hajime Saitō imperturbabile persino di fronte ai pesanti disordini che si registrano in un treno diretto da Yokohama a Tokyo. Allo stesso tempo, lo spettatore registra un crescente senso di turbamento e sbalordimento, grazie proprio alla rocambolesca introduzione del villain di turno: Enishi Yukishiro è un giovane dalla forza mostruosa, dotato di un ottimo fiuto per gli affari e di indiscutibile talento diplomatico. Si tratta, soprattutto, del cognato di Kenshin Himura, pronto a tutto per vendicare l'assassinio della compianta e amatissima sorella Tomoe: è il compiersi del Jinchū, il 'giudizio umano', come contrapposizione a quello del cielo, della volontà degli dei che, invece, sembrano voler rimanere solo a guardare.
Non è difficile intuire che l'attacco sul convoglio sarà solo il primo di molti, e che Kenshin e compagni si ritroveranno a brancolare nel buio di Tokyo tra un assalto a civili e l'altro, prima che Enishi si palesi apertamente ed enunci il suo piano di vendetta.
Il cuore della capitale che arde sotto i violenti colpi degli scagnozzi del giovane è il cuore stesso di Kenshin: le vittime sono persone che frequentano luoghi specificatamente cari a lui e ai suoi amici perché tale è il preciso intento di Enishi, e il tormento interiore dello spadaccino, gravato da un senso di colpa incancellabile ed imperdonabile, è personale tanto quanto lo sono le motivazioni private del giovane Yukishiro.
"Grazie," si ode mormorare con un filo di voce una ragazzina che Kenshin salva tra le braccia e riporta al volo alla sua famiglia, facendola scampare da morte certa nella Tokyo che brucia senza fine. E' però un ringraziamento che suona ironicamente beffardo alle orecchie dell'ex assassino Battōsai, i cui passati crimini Tokyo non conosce e tuttavia sperimenta ora sulla propria pelle, in una sorta di sardonica legge del contrappasso.
In The Final il nodo centrale del film viene sviscerato attraverso un duplice filo conduttore dagli effetti diametralmente opposti, così che il perfetto bilanciamento dei due impedisce allo spettatore la benché minima distrazione dal racconto: il primo aspetto è la roboante sovrabbondanza di momenti d'azione, tutti invariabilmente connotati da un ritmo e una tensione altissima e da un parimenti alto grado di spettacolarità, e tuttavia mai altalenanti nella resa né in questo eccessivamente pretenziosi.
Nell'intera quadrilogia di Rurouni Kenshin si è già da lungo tempo piacevolmente appreso come nei duelli -di spada e non- a combattere non sia solo l'arma, bensì il guerriero e lo spadaccino con tutto il suo essere, attraverso movimenti rapidissimi che amplificano la maestosa resa del colpo, il sapiente uso degli ambienti e quello altrettanto calibrato del 'wire fu'. Si tratta di una tecnica che nasce dall'unione dei termini 'cavo metallico' e 'kung fu', tipica del cinema d'azione di Hong Kong e in seguito abilmente mutuata anche da Hollywood, da Matrix a X-Men e da Kill Bill a Mulan: è proprio attraverso di essa che l'attore o la controfigura di turno riescono a suggerire l'illusione delle abilità sovrumane dei personaggi da loro caratterizzati. Kenji Tanigaki ne è ormai non casuale maestro: in qualità di allievo dell'attore, karateka e judoka Yasauki Kurata, ma anche apprendista della leggendaria star cinese Donnie Yen sin dagli anni '90, Tanigaki si specializza inevitabilmente in lavori su intensi film d'azione che includono persino la pellicola statunitense Snake Eyes: G.I. Joe, a breve nei cinema.
A fungere da equilibrato contraltare alla verve introdotta da Tanigaki vi sono la studiata regia e sceneggiatura di Ōtomo, attraverso la presenza di quelle significative inquadrature di silenziosa riflessione che vi si inframezzano, le quali per contrasto apportano un'intensità che riecheggia in una maniera quasi assordante e non meno d'effetto, anche nelle scelte dei toni di colore utilizzati.
Rimane davvero inevitabilmente impressa nella retina la bellezza della fotografia di cui è corredato il film, che in più punti peraltro volutamente richiama le pellicole precedenti, in un'estetica piacevole agli occhi come nel cuore: facile dunque sentire le proprie labbra incresparsi d'emozione nel ri-vedere un nuovo incontro tra Kenshin e Kaoru sotto la pioggia, gravido di significati che vanno al di là delle parole non dette e dell'intensità degli sguardi, così come la ripresa del ponte su cui sosta Enishi appena prima di rivelarsi, o il sentito raccoglimento di Kenshin in una palestra Kamiya deserta solo in apparenza.
Mentre Enishi si diverte ad azzoppare Kenshin un colpo alla volta, dolorosamente, arrivando a privarlo lentamente di ciò che di più caro ha al mondo, Kenshin appare fisicamente stanco e mentalmente provato come mai prima: il suo aspetto più segnato del consueto tradisce il fardello psicologico di cui si sente colpevole, i suoi toni educati recano un tono profondo ed inedito, mentre dalla sua minuta figura si sprigiona invariabilmente un'aura al contempo modesta e magnifica.
E' difficile non plaudire allo straordinario lavoro attoriale svolto ancora su di lui da Takeru Satō, il cui misurato talento induce lo spettatore a credere che l'esistenza di Kenshin sia quasi insita in lui stesso e non si limiti ai soli confini cinematografici; è parimenti arduo non rimanere impressionati dalla resa interpretativa del nippo-americano Mackenyu Arata, al secolo Makken'yū Maeda, su Enishi. Chi ricorda il giovane figlio della star Sonny Chiba da precedenti pellicole quali Chihayafuru o Jojo: Diamond is Unbreakable, faticherà non poco a sovrapporne i tratti delicati e l'espressione talora monocorde sull'Enishi da lui trasposto per il grande schermo.
Irriconoscibile tanto nel pompato aspetto fisico quanto nella voce aggressiva e violenta, Arata sa restituire un antagonista dal profilo composito così come delineato nel manga da Watsuki: esibizionista e delirante quanto basta ma anche emotivamente fragile, dietro la maschera del compassato giovanotto che basta a sé stesso, perché già ha perduto l'unico tesoro che per lui contava davvero.
Se già Tatsuya Fujiwara nei panni di Makoto Shishio era riuscito nella non facile impresa di rendere credibile una figura scomoda ed esteticamente complessa, Arata su Enishi s'impone con non meno carisma; al contempo va detto che i suoi tirapiedi risultano decisamente più macchiettistici, comodi ai fini della trama ma poveri di contenuto, con l'eccezione dell'ex samurai Kujiranami, così che un confronto con il gruppo delle Dieci Spade di Shishio risulta quasi impari.
La storia parzialmente riscritta dal regista Ōtomo per The Final che diverge dal manga originale non include particolari momenti di gloria nemmeno per figure come quella del piccolo Yahiko, in termini di sceneggiatura sacrificato in maniera tutto sommato comprensibile, ma forse eccessiva, in tutte e quattro le pellicole.
Al suo posto brilla tuttavia qualcun altro: tra i personaggi precedentemente relegati su un piano di piattezza v'era anche lo scontroso Aoshi Shinomori di Yūsuke Iseya, che a dispetto di uno screentime limitato qui ristabilisce ogni dignità, mentre al suo fianco l'esuberante Misao di Tao Tsuchiya sfoggia tutta la potenza fisica e la carica emotiva che le donne d'altri tempi solo di rado potevano esibire.
Fra i graditi e inattesi ritorni si ha anche quello di due vanagloriosi antagonisti derivanti dritti dritti dal secondo e dal terzo film; uno dei due in particolare, quel Sōjirō Seta che di sé ha sempre fatto molto parlare sia tra i fan del manga originale che nella sua versione 3D proposta dal camaleontico Ryūnosuke Kamiki, regala a The Final una delle sequenze d'azione più riuscite, sbalorditive e lusinghiere dell'intera quadrilogia.
Degli ammiccamenti all'opera di Watsuki, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final non si priva invero mai, desideroso com'è di porgere i dovuti ossequi al materiale d'origine: si ritroveranno così i dialoghi più significativi del manga trasposti con precisione ed efficacia, assieme ad un romantico finale che rispecchia contemporaneamente sia il manga che la conclusione della serie animata che ne è stata tratta, la quale a sua volta dopo la saga di Kyoto aveva intrapreso filoni narrativi autonomi.
Come il film possa fungere da calcolato trait d'union ad entrambi pur mantenendo una propria precisa identità sembra impossibile a dirsi, eppure è un risultato palese agli occhi di chiunque vi guardi con attenzione.
Per quanto concerne il breve e necessario inserto sui fatti relativi alla figura di Tomoe Yukishiro, avvolta in un velo di misterioso e malinconico fascino, il film cerca di offrire un discreto compromesso nel riassumere la storia che verrà narrata per intero nel film gemello di The Final, ovvero il quinto ed ultimo capitolo The Beginning. Di quest'ultimo, attualmente nei cinema giapponesi con il suo predecessore, è stata annunciata da Netflix la distribuzione streaming internazionale per il prossimo 30 luglio 2021.
A riguardo dell'algida Tomoe lo spettatore apprende quel tanto che serve per empatizzare con il dolore di Enishi, il cui shock ha mutato in ciocche candide i suoi capelli d'ebano, e il tormento di Kenshin. Di certo non è abbastanza per definire per bene i tratti di una tragedia che si prefigura come una delle storie d'amore più belle e drammatiche mai narrate, ma proprio a questo proposito viene in soccorso la quinta pellicola: con un'ambientazione precedente di dieci anni alle vicende raccontate nella quadrilogia di Rurouni Kenshin, essa vi si pone come suo naturale prequel e maestosa conclusione di un'epopea al tempo stesso, ma anche come ideale ricongiungimento degli inizi, di quando tutto ha avuto origine. Una fine per tornare all'inizio, ed un nuovo inizio che non è più quello della fine.
Rurouni Kenshin Saishūshō The Final e The Beginning si strizzano l'occhio a vicenda, e la valutazione su quale sia la modalità cronologicamente più corretta per usufruire al meglio della visione di entrambi potrebbe essere in effetti piuttosto soggettiva, tra chi potrebbe preferire di vedere dapprima gli antefatti per poi giungere alla saga finale di The Final, e chi invece è soddisfatto con la medesima scelta operata dai produttori del franchise.
Entrambi i film, inoltre, pongono interessanti interrogativi sulle rispettive figure chiave ivi rappresentate, così che l'ipotetico triangolo sentimentale tra Kaoru Kamiya, Kenshin Himura e Tomoe Yukishiro trova esplicazione in alcune sequenze introspettive di The Final tanto quanto induce chi guarda a riflettervi ulteriormente.
Le due figure di donna vengono peraltro ritratte in maniera molto diversa nei due diversi film, ma si intuisce come sia Kasumi Arimura su Tomoe che Emi Takei su Kaoru abbiano infuso una profonda parte di sé stesse, sia come attrici che come donne, nei rispettivi ruoli.
Nei film precedenti la Kaoru della Takei era apparsa spesso sottotono, mentre in The Final l'attrice esprime finalmente una figura femminile più matura, più consapevole e più donna. Quanto alla Arimura, benché il suo personaggio appaia solo in brevi frammenti della quarta pellicola, la sua interpretazione di Tomoe riesce a cogliere già perfettamente il carattere schivo e per certi versi ambiguo che la contraddistingue.
In linea con l'elevatissima qualità del prodotto, il doppiaggio in lingua italiana offerto da Netflix si attesta su un livello piuttosto notevole, con un Manuel Meli a conferire un ottimo carisma su Enishi e in generale un buonissimo lavoro svolto dai colleghi, con la direzione di Monica Bertolotti per la Iyuno - SDI Group; i dialoghi curati da Nicoletta Landi riflettono la specificità di alcuni vocaboli come la katana sakabatō, gli Oniwabanshū e il Jinchū, che vengono invece tradotti nella nostra lingua nei sottotitoli a cura di Flavia Pugliese, non privi di qualche ingenuità e imprecisione.
Sul fronte musicale si odono gli echi di quella stessa colonna sonora di Naoki Satō che per ben tre film è stata capace di emozionare intensamente, e che in un non scontato segno di continuità persiste a farlo ancora una volta, in maniera sempre nuova.
La theme song "Renegades", invece, stavolta è firmata a quattro mani non soltanto da Taka degli One OK Rock, bensì anche dal caro amico e collega musicista Ed Sheeran: le loro liriche lasciano il segno, perché oltre a sposare per bene la causa di Rurouni Kenshin The Final sembrano volersi rivolgere alle giovani generazioni odierne figlie del momento contingente. Come se i tempi e le epoche passassero, ma per le questioni che segnano, in fondo, passare oltre non si possa e non si debba mai.
"Un fuoco mi arde nell'anima
Ho perso la fiducia in questo sistema che non va
Ma se urliamo, c'è qualcuno che ci ascolterà?
Siamo la generazione dimenticata
e vorremmo una conversazione faccia a faccia
per tutte quelle volte in cui ci hanno detto che era impossibile
e ci hanno costruito transenne, mura ed ostacoli.
Quando siamo insieme, lo sai, non ci possono fermare più.
Non ho paura di buttar giù tutto e ricostruirlo da capo.
Ricominciamo da capo, potremmo essere noi i rinnegati."
- Taka & Ed Sheeran - "Renegades"
Ho perso la fiducia in questo sistema che non va
Ma se urliamo, c'è qualcuno che ci ascolterà?
Siamo la generazione dimenticata
e vorremmo una conversazione faccia a faccia
per tutte quelle volte in cui ci hanno detto che era impossibile
e ci hanno costruito transenne, mura ed ostacoli.
Quando siamo insieme, lo sai, non ci possono fermare più.
Non ho paura di buttar giù tutto e ricostruirlo da capo.
Ricominciamo da capo, potremmo essere noi i rinnegati."
- Taka & Ed Sheeran - "Renegades"
Dopo un progetto iniziato dieci anni fa sotto gli auspici più svariati, e tre apprezzate pellicole riconosciute a livello mondiale per il pregio nella fattura e l'ottima riuscita in termini di trasposizione live action di una celeberrima opera cartacea, Rurouni Kenshin Saishūshō The Final chiude il cerchio sulle vicende di Kenshin Himura e della sua katana a lama invertita.
Lo spadaccino vagabondo rinviene in Tokyo e nella palestra Kamiya l'unico luogo in cui desidera davvero tornare, ma ciò non accade senza prima voltarsi indietro per fare necessariamente i conti con il proprio passato di assassino.
Attraverso il racconto della vendetta personale ricercata dal cognato Enishi Yukishiro, Kenshin compie anche l'ultimo dei passaggi necessari per guardare in pienezza al futuro, ricordandoci come il semplice fatto di essere umani implichi per forza di cose di sbagliare strada, di cadere ma anche di rialzarsi, senza negare i propri errori né nasconderli, bensì affrontandoli a testa alta con responsabilità.
Anche dal punto di vista tecnico The Final raccoglie l'eredità delle pellicole che lo hanno preceduto, proponendo persino di meglio: stilisticamente parlando il risultato è quello di un film sontuoso ed opulento, piacevole agli occhi e godibile nel ritmo, che impegna il cuore così come le emozioni.
Forse non si tratterà di un film che possa ridefinire in toto il cinema nipponico moderno, ma che ridisegna senz'altro il livello artistico cui si può e si deve ambire quando si giudica quelle che di norma si definiscono 'trasposizioni live action'.
Rurouni Kenshin ne offre un modello ineccepibile: indubbiamente non sempre facile da imitare, ma a cui sarebbe raccomandabile guardare e rifarsi sempre, con rispetto, orgoglio e, perché no, un dolcissimo sorriso sulle labbra.
Anche dal punto di vista tecnico The Final raccoglie l'eredità delle pellicole che lo hanno preceduto, proponendo persino di meglio: stilisticamente parlando il risultato è quello di un film sontuoso ed opulento, piacevole agli occhi e godibile nel ritmo, che impegna il cuore così come le emozioni.
Forse non si tratterà di un film che possa ridefinire in toto il cinema nipponico moderno, ma che ridisegna senz'altro il livello artistico cui si può e si deve ambire quando si giudica quelle che di norma si definiscono 'trasposizioni live action'.
Rurouni Kenshin ne offre un modello ineccepibile: indubbiamente non sempre facile da imitare, ma a cui sarebbe raccomandabile guardare e rifarsi sempre, con rispetto, orgoglio e, perché no, un dolcissimo sorriso sulle labbra.
"Personalmente, ritengo che Rurouni Kenshin sia un'opera di cui il Giappone può andare orgoglioso, persino su scala globale; mi sento davvero fortunato ad aver potuto trovare un tale progetto sulla mia strada."
- Takeru Satō -
- Takeru Satō -
Nota conclusiva: il presente articolo è stato redatto senza dimenticare mai, nemmeno per un istante, il grave caso che ha coinvolto il mangaka Nobuhiro Watsuki tra la fine del 2017 e l'inizio dell'anno 2018 in merito al possesso di materiale pedo-pornografico. Per ulteriori dettagli al riguardo si rimanda alle nostre precedenti notizie correlate. Si ricorda altresì che la disamina del presente dossier verte specificamente sulla presentazione dei personaggi di finzione creati da Watsuki e alle relative trasposizioni live action, e per la medesima ragione non si è ritenuto necessario focalizzarsi ulteriormente sulle vicende personali del loro autore.
Cronologia dei film:
Rurouni Kenshin (2010)
Rurouni Kenshin II: Kyoto inferno (2014)
Rurouni Kenshin III: the legends ends (2014)
Rurouni Kenshin The Final (2021)
Rurouni Kenshin The Beginning (2021)
Pro
- Fedeltà e rispetto dell'opera originale
- Takeru Satō su Kenshin Himura / Battōsai
- Fotografia sontuosa
- Staff tecnico di prim'ordine
- Interpretazioni attoriali di elevato livello
- Colonna sonora magistrale e theme song evocative
- Spettacolari coreografie di duelli e spade
- Attenzione certosina al dettaglio
- Dialoghi del manga riprodotti in maniera identica
- Ricostruzione accurata dell'Era Meiji e sue figure storiche
Contro
- Alcuni personaggi eccessivamente sacrificati
- Le parziali rielaborazioni della storia possono non essere gradite a tutti
E non stò scherzando. A settembre, ottobre farò una full Immersion.
C'è sicuramente ispirazione ma vanno oltre il canone storico, basta che guardi le armi e come sono stati impostati i malavitosi cinesi.
Ti pare sia realtà storica? A momenti mi ricordavano quelli di Samura...
Secondo me è fin troppo esagerato come giudizio, forse dettato troppo dai gusti personali, anche se è sicuramente consigliabile darci un'occhiata essendo ben realizzato.
Complessivamente Live Action ben riuscito.
Ma veramente kenshin è uno shonen, anni '90 per giunta, non puoi aspettarti un gran realismo storico così come il film l'immortale.
L'immortale è un'opera di fantasia di esordio dell'autore che lui stesso non si fa problemi a criticare a distanza di anni perchè spesso inesatta su diversi aspetti lato storico.
Cosa che si trova tranquillamente scritta nell'ultimo numero della Perfect/Deluxe (quello che era).
Non ho parlato di realismo, anzi paragonavo proprio a Samura per il lato "romanzato"
quindi poco attinente ad una ricostruzione esatta.
Semplicemente facevo notare che tra i punti positivi della Recensione sopra trovi scritto questo...che io non condivido
Ricostruzione accurata dell'Era Meiji e sue figure storiche
Aggiungo che il Live Action dell'Immortale è fatto molto peggio.
Messi a confronto non varrebbe neanche la pena di essere preso in considerazione. La similitudine era sui personaggi che si spingono sempre più su modelli irreali, perchè chiaramente di fantasia.
Mi sembra che qui nessuno abbia mai negato la matrice shonen né che si tratti di una storia romanzata (che altro avrebbe dovuto essere?), anzi, la cosa è stata ribadita con fermezza.
A riguardo dello sfondo storico, si tratta appunto di uno sfondo, ma che non per questo è buttato lì. Anzi, la contestualizzazione di molti dettagli è piuttosto precisa, poi che li si possa/voglia cogliere o meno, questo è un altro discorso. Sottolineo che alcuni di questi aspetti sono stati approfonditi proprio nel testo qui presente.
Infine, la parte che interessa ad esempio figure storiche come quella di Okubo che compaiono (tanto nei film quanto nel manga e nell'anime) è riprodotta in maniera fedelissima ai fatti storici realmente accaduti.
Per quello che mi riguarda si tratta della migliore trasposizione in film dal vivo di un fumetto shonen. Niente di più niente di meno.
Quindi è accuratamente storico o di fantasia?
Non li ho visti tutti (al momento), ricordo che il primo mi era piaciuto molto mentre da Makoto Shishio (il mio personaggio preferito insieme a Hajime Saitō) mi aspettavo di più nelle scene di lotta. In ogni caso da vedere sicuramente (e recupererò ciò che mi manca, anzi li vedrò tutti insieme).
Come scrivevo nel commento precedente, invito a leggere il dossier per intero per comprendere come si esplica per me la risposta alla tua domanda. Penso che dal testo sia chiaro cosa ho inteso descrivere.
Ti ringrazio.
Non so se il motivo della tua delusione sulla saga di Kyoto possa essere lo stesso mio, ma personalmente ti posso dire che anche per me, all'inizio, tra il primo film e la coppia del 2°+3° ci trovavo l'abisso. Tanto era per me emozionante, su più livelli, il primo film, tanto trovavo 'sconnessi' il secondo e il terzo; non sapevo nemmeno spiegarmi come, e non è che non mi fossero piaciuti, però c'era qualcosa che non andava, per me.
Ti posso dire che per me questo 'turbamento' è passato rivedendoli; più ne faccio un re-watch e più questi due film trovano finalmente il loro posto nella mia testa e nel mio cuore.
Sul terzo rimango ancora un po' perplessa (decisamente gli ho preferito gli altri tre film finora, persino il quarto che ho visto una volta sola, anche se nel terzo ci sono comunque dei momenti notevoli), però ad esempio il secondo l'ho rivisto da poco, proprio in virtù della maratona cui accenni anche tu, e mi son -inaspettatamente- commossa alle lacrime in più punti ^^
Io non ho letto il manga, né visto la serie animata. Ma ho sempre sentito parlare molto di Kenshin e ho approfittato di questa occasione per una full immersion. Ho amato molto tutti i film visti finora e attendo con impazienza l'ultimo per concludere questo ideale cerchio. Grazie mille
Combattimenti ben fatti e ottima fotografia. Personalmente nei live action trovo sempre sopra le righe la recitazione dei vari villain ma credo sia caratteristica del cinema giapponese (accetto sempre volentieri spiegazioni da qualcuno più esperto di me). Vivere il periodo Meiji, nella complicata convivenza tra tradizione e innovazione, deve essere stato qualcosa di unico...
Complimenti per la multirecensione!
Un giorno dovrò recuperarli, prima o poi.
Personalmente io li ho visti solo ora grazie a netflix, ed ho gradito moltissimo il primo film, veramente bello e rappresentativo, ed il quarto, una degna e solida conclusione. Quello che invece mi è piaciuto di meno è il secondo perchè in alcuni punti ha davvero poca cura nella resa credibile dei personaggi ed è tutto molto più finto e costruito (la stessa introduzione si Shishio non gli rende onore visto che messa così lui sembra fin dall'inizio un personaggio di un cartone) rendendolo da parte mia molto meno godibile, seguito a ruota dal terzo (che si salva per la figura del maestro e per il sontuoso combattimento finale). Davvero curioso di vedere a questo punto anche il quinto, che se segue la linea utilizzata dal quarto (e mantiene lo spirito dei vecchio oav) potrebbe essere il culmine della saga ed una piccola gemma.
PS: nota di demerito ai sottotitoli netflix dei primi tre film: davvero non molto curati... un po' come al solito per queste tipologie di produzioni orientali, da noi spesso bistrattate :°°
come ho tempo voglio vederli tutti e 4 insieme
ma aspetto l'inverno col brutto tempo viene sempre voglia di farsi una giornata sotto le coperte a guardare film
l'estate non mi porta a guardare film
Grazie, sinceramente, perché per me Kenshin è davvero tanto, tanto cuore ♥
Purtroppo almeno per quanto riguarda me, non saprei proprio aiutarti su questo perché sono veramente lungi da essere esperta in merito, e di film d'azione ne vedo pochissimi tra l'altro, mi spiace T__T
Ho fatto spesso questo pensiero anche io, è un'epoca che mi appassiona e sulla quale non smetto di scoprire peculiarità. Di certo di media sarà stato ben più 'semplice' sopravvivere rispetto al periodo Sengoku, ma credo anche che vivere all'epoca dovendo far coesistere "per forza" queste due anime di antico e nuovo così opposte tra loro, a volte potesse essere anche destabilizzante.
Posso capire, e anche condividere le votazioni. Come scrivevo in un post precedente, per me il secondo film guadagna punti con una seconda o terza visione, almeno per quanto riguarda le tante parti bellissime e struggenti che lo compongono, e che a una prima visione (almeno per me) un po' si perdono nell'insieme. Rivedendolo invece ne ho apprezzato davvero molto certe parti precise, per me di una finezza stupenda.
Il quinto film dovrebbe ricalcare perfettamente i vecchi OAV sia nella storia che nello stile 'cupo' dei toni, grafici e non. Non vedo l'ora di vederlo a mia volta ^^
Verissimo T__________T
Tutto ha inizio a gennaio di quest’anno, il 18 gennaio per la precisione, quando un’amica mi ha proposto una visione condivisa (a distanza) del primo film, a detta sua imperdibile. Bhe non è che io sia da sempre una amante della filmografia giapponese in generale, anche se, essendo una persona estremamente curiosa, non mi tiro mai indietro e nel mio passato ho già goduto di trasposizioni live action e visionato drama giapponesi.
Comunque sia mi sono approcciata al primo film con curiosità, sicuramente, ma senza nutrire particolari aspettative e ne sono rimasta semplicemente folgorata.
Cosa fa del primo film di Kenshin un prodotto così bello? A mio modesto parere un mix di ingredienti ben congeniati e un cast di attori di primordine, ma soprattutto la cura e l’amore con cui è stata realizzata questa opera e che si percepiscono a ogni frame. Il regista e sceneggiatore Otomo fa un gran lavoro di trasposizione, mantenendo le atmosfere il più possibili fedeli al manga, mentre Takeru Sato restituisce al personaggio la stessa dolcezza e gli stessi turbamenti della controparte cartacea. Le scene di combattimento, poi, sono talmente magistrali e fluide che si fa fatica a credere che non siano state usate controfigure: il lavoro dietro è impressionante e se ne ha una conferma grazie ai making of disponibili su Youtube. Inoltre due fattori per me risultano davvero importanti: il saggio utilizzo dello slow motion, che rallentando alcune scene dei combattimenti, vengono resi davvero epici; l’uso accurato della musica, con una ost in grado di caricare lo spettatore e preparalo al meglio alla visione di ogni secondo.
La ciliegina sulla torta è sicuramente la canzone di chiusura, curata dal gruppo rock One Ok Rock dal titolo The Beginning.
Per il secondo e terzo film, anche io alla prima visione ne sono rimasta un po’ così. Forse a deludermi di più è stato il ridotto uso dello slow motion che per me ha reso il tutto troppo frettoloso e un po’ confusionario, non rendendo grazia alle scene di combattimento così ben condotte dai disputanti. Tuttavia, con una seconda e una terza visione, si riescono comunque a cogliere tutte le sfumature e ad amare profondamente anche questa parte incentrata sull’arco di Shishio. Voglio solo citare l’attore su Sojiro, Kamiki, che svolge un lavoro encomiabile.
In fine il quarto; che dire del quarto? Non mi aspettavo un film così… mi sono commossa tanto, tantissimo. Troviamo un Takeru cresciuto a livello attoriale e devo dire che si nota, la sua bravura già rinomata, qui tocca corde elevatissime ed è in grado di rendere sullo schermo un Kenshin come non si era mai visto. Davvero un’interpretazione che dire lodevole è riduttivo. In generale tutti sono stati eccelsi e una nota di merito va anche ad Arata in Enishi, davvero azzeccato. Gradito il ritorno “inaspettato” di Sojiro il cui combattimento al fianco di Kenshin è uno dei momenti più alti della pellicola.
Dopo tanti anni di attesa, finalmente giunge su Netflix uno dei live action meglio riusciti della storia del cinema giapponese, curato in ogni dettaglio e fatto con estrema cura e amore. Peccato, davvero, per quell’approssimazione nella traduzione e nella resa generale dei sottotitoli, che alcune volte traducono troppo alla lettera e altre invece riassumono in modo svogliato un discorso molto più ricco, senza cogliere le sfumature dell’originale.
Buona invece la resa del doppiaggio del quarto (unico a ricevere l’adattamento in lingua nostrana), che per due motivi lo consiglio: 1. Alcune frasi rendono molto meglio in italiano e il significato è più limpido e meno arzigogolato; 2. La traduzione non letterale di alcuni nomi.
I doppiatori super azzeccati su tutti, in particolar modo come già detto Manuel Meli su Enishi e Lucrezia Marricchi su Kaoru. Su Kenshin la giovane voce di Ezzedine Ben Nekissa, tuttavia manca del tono graffiante che caratterizza la voce di Takeru su un Kenshin arrabbiato.
Ora non ci resta che attendere il quinto in uscita il 30 luglio il cui trailer in italiano è stato rilasciato su Netflix, nel silenzio più totale, lunedì 19 luglio. Le aspettative per questo arco del passato sono tante, ma so che Otomo non deluderà i fan.
Personalmente posso dire che questo film mi ha aperto un mondo; un mondo di emozioni e condivisione che mi reca tante soddisfazioni, sogni incommentabili e elucubrazioni mentali degna di nota.
Se già nel mio passato avevo incrociato la strada con Takeru nel film Kanouso, adesso non posso far a meno di cercare di recuperare ogni sua pellicola, grazie alla sua interpretazione su Kenshin infatti me ne sono totalmente e definitivamente innamorata. Così come penso che non tornerò mai più ad abbandonare il mondo della filmografia giapponese che sa regalare davvero tante, tantissime emozioni.
In fine voglio fare i complimenti a Lara per questa bellissima recensione/dossier così curata, amorevole e ricca di informazioni e curiosità.
E poi, grazie, GRAZIE infinitamente per tutto ^^
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