Aishite Knight ("Amami, mio cavaliere") di Kaoru Tada, pubblicato su Margaret della casa editrice Shueisha tra il 1981 e il 1984 e poi raccolto in sette volumi, è stato uno shoujo manga unico nel suo genere, importantissimo nel periodo della sua pubblicazione.
L'autrice, che aveva debuttato qualche anno prima e realizzato storie brevi o manga di uno o due volumi, si cimenta qui con un'opera molto più lunga e più matura. Lo stile di disegno si è ormai evoluto, rispetto ai suoi primi manga, in qualcosa di molto più personale, sgraziato, sporco, caricaturale. L'autrice, che già nei suoi primi lavori aveva scelto di rappresentare storie di ragazze giapponesi normali, lontane dai grandi feuilleton ambientati in occidente e dei grandi drammi a sfondo fantastico o fantascientifico di altre autrici shoujo del tempo, con Aishite Knight fa qualcosa di ancora diverso, spostandosi anche dalle storie ambientate tra i banchi di scuola. Nel farlo, si mette completamente a nudo, scegliendo di raccontare fondamentalmente se stessa, le sue passioni, il suo mondo.
Fondamentale è, infatti, il fatto che Aishite Knight non sia ambientato nella solita Tokyo, bensì a Osaka, città dove l'autrice è nata e cresciuta, e che nel manga viene descritta perciò in maniera assai realistica, ma anche molto personale.
Il mondo di Aishite knight è la Osaka dei primi anni ottanta, dove le radio dei ristoranti di okonomiyaki nei quali i lavoratori adulti si fermano a mangiare e bere nelle pause del lavoro passano "Sazanka no yado" di Eisaku Okawa, "Fuyu no riviera"; di Shinichi Mori e altre ballad enka amatissime dai frequentatori adulti dei locali in stile tradizionale e sempre presenti nelle classifiche musicali dell'epoca (basta guardare le classifica di Oricon dei primi anni ottanta per rendersene conto).
In una Osaka dove il puzzo di frittura si mescola a quello dell'alcol e del fumo e gli ojisan animano i locali con appassionate discussioni in dialetto, mentre sullo sfondo passano ballate che narrano di amori malinconici, del passare delle stagioni e di un Giappone che più tradizionale non si può, Kaoru Tada sceglie di raccontarci anche un'altra faccia della città, meno nota al grande pubblico perché osteggiata dagli adulti tradizionalisti di cui sopra: quella delle live house frequentate dai giovani, dove si esibiscono band indie non (ancora) coperte dalla tv e dalla radio, non ancora nelle classifiche di Oricon, perché il loro genere punk-rock non è ben visto e non ha (ancora) granché successo.
Aishite Knight fa incontrare questi due mondi, facendo innamorare la timida Yakko, figlia di un cuoco di okonomiyaki super tradizionalista, e Go, cantante rock emergente ribelle e spregiudicato. Nel narrare la loro storia, l'autrice ci mette dentro tutta se stessa, in quanto era appassionata di musica e aveva contatti diretti con diverse rockband emergenti di Osaka che ha usato come spunto per la creazione dei personaggi.
Il manga, a partire dal titolo stesso, è perciò una continua citazione alla scena musicale indie dell'epoca, con riferimenti e parodie nascosti ovunque nelle tavole, dove l'autrice nasconde anche messaggi che parlano dei fatti suoi, dei concerti che vede, degli album che compra, degli artisti che ringrazia per questa o quella collaborazione.
Diventa così un manga unico, irripetibile e mai più ripetuto, talmente legato alla sua Osaka da popolarla di irresistibili ojisan che parlano in dialetto, e talmente legato alla vita della sua autrice che lei stessa, qualche anno dopo, seguirà le orme della sua protagonista sposandosi uno dei tanti cantanti rock suoi amici.
Aishite Knight è un manga trasgressivo, di nicchia, che racconta l'universo giovanile dell'epoca in maniera del tutto nuova, scegliendo anche di utilizzare personaggi già grandi (Yakko e Go frequentano un'università serale invece delle solite medie o superiori) che quindi fumano, bevono, sono libertini nelle loro relazioni e giocano a più riprese con la sessualità in maniera unica. A fare il resto, ci pensano gli anni ottanta, periodo in cui il Giappone vive lo scontro (perfettamente esemplificato da Yakko, amante del rock, e da suo padre, amante degli enka) tra la vecchia generazione che aveva fatto o subito la guerra e odiava l'Occidente e l'America in particolare, e la nuova, composta di giovani che invece guardano all'Occidente con ammirazione e ne copiano le mode, l'abbigliamento, le acconciature, mangiano hamburger al fast food, tifano per Stan Hansen e Bruiser Brody piuttosto che per Antonio Inoki e Giant Baba, vanno al cinema a vedere Rocky III e vanno pazzi per "What a feeling" di Irene Cara (che ha campeggiato nelle classifiche di Oricon per buona parte dei primi anni Ottanta) invece che per le tristi ballad enka che percepiscono come musica da vecchi. Capelli cotonati e di colori improbabili, abiti di pelle con le borchie, i dischi in vinile, le creste da punk, l'ambiguità sessuale dei cantanti, in Aishite Knight c'è tutto questo e ancor di più, affiancato, in maniera estremamente personale, a una Osaka che rappresenta il cuore pulsante del Giappone Showa più tradizionale.
Troppo di nicchia per fare il botto (fra le opere di Kaoru Tada, in Giappone verrà ampiamente superato in popolarità dal meno sentito ma più longevo Itazura na kiss, venendo oggi ricordato solo da donne adulte che da ragazze erano appassionate di shoujo manga e musica rock), ma non così di nicchia da passare inosservato, Aishite Knight viene adattato da Toei in una serie a cartoni animati di 42 episodi, trasmessi su Tv Asahi tra il 1 marzo 1983 (esattamente quarant'anni fa) e il 24 gennaio 1984.
Tra i grandi nomi coinvolti nello staff ci sono il regista Osamu Kasai (che ha lavorato come regista a praticamente qualsiasi opera Toei precedente, dai robot di Go Nagai alle vecchie maghette, passando per Candy Candy o Galaxy Express 999), lo sceneggiatore Sukehiro Tomita (Wedding Peach, Yu Yu Hakusho), il character designer Shingo Araki (Lady Oscar, Saint Seiya), il musicista Joe Hisaishi (noto per le colonne sonore dei film Ghibli).
Anche il cast dei doppiatori presenta il fior fiore delle voci dell'epoca, a cominciare dai doppiatori dei due protagonisti Yakko e Go, per i quali sono stati scomodati addirittura due speciali mostri sacri. Yakko è Mitsuko Horie, la "principessa delle anison", cantante e doppiatrice che ha interpretato miliardi di sigle (da Candy Candy a Sandybell, da Dangaioh a Sailor Moon Crystal e personaggi iconici (Hilda in Saint Seiya, Upa in Dragon Ball, Galaxia in SailorStars, per dirne alcuni). Ovviamente, oltre a doppiare la protagonista, canta anche la sigla iniziale.
Go è Isao Sasaki, doppiatore (Joe il Condor in Gatchaman, ma anche voce giapponese di Sylvester Stallone, o Christopher Reeve), personaggio televisivo e divinità delle sigle anime (sue le sigle della Corazzata Yamato, di Kyashan, di Goldrake e di molto altro).
I due, che sono colleghi e amici da ormai più di quarant'anni, cantano insieme sin dal tempo di "Susume! Goranger", la celeberrima sigla di Himitsu Sentai Goranger, ed è curioso che si siano ritrovati qui, a doppiare una coppia di innamorati.
Ma a completare il cast ci sono anche Takeshi Aono (il padre di Yakko), Katsuji Mori (Satomi), Yuko Mita (Hashizo) e molti altri nomi famosi.
L'adattamento di una serie manga anni ottanta, giovanile e trasgressiva, affidato a uno staff composto da gente che aveva fatto la storia degli anime anni settanta fa sì che l'anime di Aishite Knight risulti essere diversissimo dal fumetto, da cui prende la storia di base e qualche avvenimento, ma ne cambia infiniti elementi, a cominciare dal colore di capelli della protagonista, che nel fumetto (e nella sigla originale giapponese, realizzata come prova prima della produzione degli episodi) è bionda mentre negli episodi animati è castana, probabilmente per renderla più realistica e per creare una maggior armonia cromatica nelle scene in cui interagisce col biondo Go o lo bacia.
L'anima del fumetto si perde completamente, in primis perché l'ambientazione viene spostata da Osaka a Tokyo, più consona allo staff Toei e al telespettatore giapponese medio. Si viene dunque a perdere la parlata nel dialetto del Kansai che caratterizzava in maniera irresistibile e reale diversi personaggi del fumetto, e nelle scene ambientate al locale del padre di Yakko, più che nella vivacissima Osaka sembra di stare nella Tokyo d'altri tempi e nel locale degli zii di Tora-san in Otoko wa tsurai yo. Meno importanza viene data agli okonomiyaki (che non sono tipici di Tokyo), ovviamente spariscono praticamente tutte le citazioni musicali ad artisti reali. Le canzoni, che nel manga erano cover di brani reali di rockband indie, sono sostituite nell'anime da brani composti ex novo, a loro modo diventati iconici ma molto meno graffianti di quelli presenti nel manga.
In generale, si sono persi o sono stati ammorbiditi parecchio tutti gli elementi più trasgressivi del manga, sostituendoli con altri più "tranquilli" e più vecchio stile. L'età dei personaggi è stata abbassata, Go è meno spregiudicato, meno sexy perché il vocione adulto, virile e vecchio stampo di Isao Sasaki poco gli si addice (infatti, nonostante Sasaki sia anche un cantante, è il più giovanile Ai Takano a interpretare i brani rockettari dei Beehive nelle scene cantate) e meno rispetto al manga si percepisce la vita scombinata che conduce e nella quale coinvolge anche il fratellino Hashizo. Quest'ultimo viene utilizzato come il classico "bambino Toei" (sia esso Kenta di Tiger Mask, Chibiusa di Sailor Moon, Bart e Lynn di Hokuto no Ken, Kiki di Saint Seiya, Nachiguron di Kinnikuman, il vicino di casa di Kenta in Wingman), lo specchio dello spettatore più piccolo, ottiene un ruolo importantissimo e con tantissimo screen time (nel primo episodio, è il primo personaggio che si vede, con Yakko che compare solo dopo più di cinque minuti dall'inizio; il secondo episodio è tutto dedicato a lui e Giuliano, quando ancora Yakko e Go devono formalmente incontrarsi; i suoi compagni d'asilo vengono introdotti subito mentre nel manga compaiono molto più avanti...), diventa protagonista di innumerevoli siparietti che stemperano la tensione e persino della sigla di chiusura, ma rispetto al manga risulta molto meno ribelle e simpatico, esattamente come il fratello, qui molto più rude.
Il target è stato abbassato, rendendo quella che era una storia irriverente per un pubblico più grandicello e smaliziato una storia più infantile per certi versi, modificando e togliendo molti elementi del manga scomodi per la tv (ad esempio, la situazione familiare di Hashizo e Go è totalmente diversa dal fumetto), e sono stati prodotti e inseriti a forza nella storia dei giocattoli, come il giochino elettronico per l'affinità di coppia realizzato dalla Bandai, che fa bella mostra di sé nelle puntate televisive.
Molti personaggi sono anche stati riscritti, o comunque gli è stato dato molto più spazio, come ad esempio Satomi, di cui viene esplorato maggiormente il background, continua ad essere presente anche dopo la risoluzione del triangolo amoroso e viene fatto fidanzare con Meiko, che nel manga aveva un ruolo molto risicato mentre nell'anime è molto più presente. Ovviamente, essendo vicini al target degli spettatori, anche gli amichetti di Hashizo, Kaoru e Gonta, hanno maggior spazio, così come il gatto Giuliano, mascotte della serie protagonista di innumerevoli gag. In generale, la storia di base resta la stessa, e diversi episodi del manga sono stati riproposti fedelmente, ma altri sono invece assenti, riscritti o sostituiti con altre vicende, dato che l'anime ha poi preso una strada tutta sua. A cambiare è tutto il contesto e il target, che modificano la storia e i personaggi scritti da Kaoru Tada rendendoli meno underground e meno problematici.
Diversissimo dal manga è anche il character design: si perde lo stile sgraziato, folle e sporco di Kaoru Tada in favore di uno stile molto più armonioso, più vintage, con gli episodi disegnati in prima persona da Shingo Araki che sono una gioia per gli occhi.
Probabilmente, a causa delle troppe differenze col manga che hanno allontanato i fan, probabilmente a causa del target femminile o dello slot in cui è stato trasmesso (il martedì sera alle sette e mezza su Tv Asahi, slot in cui non venivano programmati anime dal 1979 e dove in precedenza erano andati in onda Il piccolo principe e Calimero, di genere completaemente diverso), l'anime di Aishite Knight in Giappone non ottiene granché successo, finendo per essere cancellato dopo soli 42 episodi, con un finale che chiude più o meno le varie sottotrame romantiche ma non adatta l'ultima parte del manga né mostra chiaro e tondo Yakko e Go convolare a nozze. Tanto Toei e Tv Asahi vogliono prendere le distanze dal flop di Aishite Knight che l'anime che lo sostituisce, Wingman, ibrido tra commedia sentimentale e storia di supereroi tratto da un manga di Masakazu Katsura pubblicato su Shounen Jump, deve aggiungere al titolo originale il prefisso "Yume Senshi", "il guerriero dei sogni", a rimarcare che è un anime a target maschile, di combattimenti, a differenza di Aishite Knight, e che quindi il pubblico maschile, che all'epoca si vergonava tantissimo e si teneva ben alla larga dagli shoujo, ora può risintonizzarsi in tv senza il problema di doversi sorbire una storia per ragazze.
Diametralmente opposta, la situazione nei paesi europei, dove la serie animata è invece andata parecchio forte.
È il 1985 quando la serie animata di Aishite Knight giunge in Italia, trasmessa dalle reti Fininvest (l'odierna Mediaset). Le differenze con la versione originale saltano subito all’occhio a cominciare dal titolo stesso, che viene trasformato in Kiss me Licia. La maggior parte dei nomi dei personaggi, ad eccezione di Satomi, Sheller (il nome giapponese è trascrivibile in vari modi, Sheller è uno dei tanti) e ovviamente Giuliano, furono italianizzati come si usava in quel periodo, con risultati spesso azzeccati spesso di dubbio gusto. La protagonista Yakko fu trasformata in Luciana, detta Licia, mentre il protagonista maschile Go divenne Mirko, Hashizo divenne Andrea, mentre il padre di Yakko, da Shigemaro "Shige-san" Mitamura divenne Anacleto Marrabbio. Anche i personaggi secondari ottennero un similare trattamento, popolando l'universo narrativo della serie di nomi ora "normali" come Elisa, Marina, Katia, Manuela, Tony e Marika, ora più stravaganti come Steve, Matt, nonno Sam, Lauro, Yatas o Grinta.
La serie divenne così popolata da personaggi che portavano un pot-pourri di nomi ora italiani, ora inglesi, ora giapponesi, ma nonostante questo si disse chiaramente, cosa rara per quei tempi, che la storia era ambientata a Tokyo, si citarono nomi come Osaka, samurai, Kansai e nomi di feste tradizionali giapponesi e non si fecero tagli di alcun genere alle scene che mostravano ideogrammi, né tantomeno si tagliarono scene dove i personaggi (sia maschili che femminili) si facevano docce o bagni, cosa che invece fu effettuata ad altre serie di quel periodo. L'unico tipo di censura effettuata, oltre al cambiamento del nome della serie e dei personaggi e l’eliminazione delle sigle originali, fu un leggerissimo ammorbidimento dei dialoghi, in particolar modo quelli legati all’ambiguo cantante Sheller, ma fu davvero poca cosa al confronto di ciò che subirono, ad esempio, Orange Road, Marmalade Boy o Sailor Moon.
A Yakko/Licia diede voce Donatella Fanfani (Hilda in Saint Seiya, Yu/Creamy in L’incantevole Creamy, Sailor Jupiter in Sailor Moon), mentre Go/Mirko fu doppiato dalla voce decisa e professionale di Ivo De Palma (Seiya/Pegasus in Saint Seiya, Pop/Daniel in Dragon Quest), Satomi dal rassicurante Gabriele Calindri (Nettuno in Saint Seiya, Kazuya/Kim in Touch) e Hashizo/Andrea da Paolo Torrisi (Mowgli in Il libro della giungla, Goku adulto in Dragon Ball, Koby in One Piece). Anche molti altri doppiatori molto celebri dell’epoca come Alessandra Karpoff, Antonio Paiola, Riccardo Mantani, Federico Danti, Sergio Romanò e Franco Gamba parteciparono, interpretando personaggi secondari. Pietro Ubaldi (Tom in One Piece, Artemis in Sailor Moon, Senbei in Dr. Slump) diede la voce sia al burbero Shige-san/Marrabbio, sia al gatto Giuliano, mostrando un’incredibile versatilità.
Una scelta particolarmente azzeccata dei nostri adattatori, che determinò nel suo piccolo il gran successo della serie, fu infatti quella di dar voce a Giuliano, che in originale emetteva unicamente miagolii mentre nella versione italiana si lasciava spesso e volentieri andare a spassosissimi commenti parlati o ad occasionali esibizioni canore, in italiano, in inglese o in diversi dialetti nostrani.
Le sigle d’apertura e chiusura originali furono sostituite da un brano intonato, come di consueto, da Cristina D’Avena, che accompagnava un video creato mescolando spezzoni degli episodi e della opening originale. Questo, tuttavia, portò al curioso problema della "Licia bionda", fonte di una bizzarra leggenda metropolitana che si diffuse negli anni, ossia quella che "la Licia bionda"” della sigla non fosse Licia/Yakko, bensì una ragazza che compariva in appositi siparietti che in Giappone andavano in onda dopo gli episodi e che si prefiggevano il compito di impartire insegnamenti di educazione sessuale ai telespettatori. Naturalmente, non c'era nulla di tutto ciò, bensì i consueti siparietti degli episodi successivi e (ma solo nella trasmissione televisiva, non ve n'è traccia nelle edizioni home video) l'angolo delle predizioni amorose di Yakko, dove la doppiatrice Mitsuko Horie leggeva l'oroscopo ai telespettatori.
La sigla italiana di Kiss me Licia è probabilmente uno dei più celebri pezzi di Cristina D’Avena, che viene ricordato da tutti e sempre riproposto nelle esibizioni e negli album della cantante.
Tanto è il successo di questa canzone che l’LP singolo che la contiene si trova al ventiquattresimo posto dei 100 singoli più venduti in Italia a cavallo tra il 1985 e il 1986. Essendo una serie basata sulla musica, a Kiss me Licia venne affidata particolare cura per la colonna sonora. I numerosi pezzi dei Beehive e del gruppo rivale Kiss Relish furono adattati in italiano (salvo un paio che ci siamo persi per strada) mantenendo la base originale, eseguiti dalla magnetica voce di Vincenzo Draghi, che si occupò di cantare nel ruolo di Go/Mirko e di Sheller.
Alle canzoni della serie (i brani dei due gruppi coinvolti, la sigla italiana e un paio di pezzi cantanti sulle basi delle sigle originali giapponesi, più versioni strumentali varie) fu dedicato un altro album, Kiss me Licia e i Beehive, che risultò al settantesimo posto nella classifica dei 100 dischi più venduti nel nostro paese nell’anno 1986 con più di 80.000 copie vendute. Oltre a questi dischi, alla serie animata furono dedicati svariati oggetti di merchandising prodotti nel nostro paese, come album di figurine, un libro illustrato, fotoromanzi con i fotogrammi dell’anime “dialogati” pubblicati sul Corriere dei Piccoli e una collana di videocassette da edicola. Paradossalmente, non è mai uscita un'edizione home video in cofanetto della serie animata, probabilmente perché Mediaset, che ne detiene a vita i diritti, non li ha concessi ad altre aziende affinché li producano.
I responsabili della fascia ragazzi dell’allora Fininvest ci credevano poco, eppure, in quell’autunno del 1985, la love story tra la figlia del cuoco di okonom… pardon, polpette di maiale e la rockstar dal ciuffo rosso conquistò chiunque, tenendo incollati alla tv più di quattro milioni di telespettatori. La storia creata da Kaoru Tada incantò milioni di adolescenti, nel nostro paese, i quali si ritrovavano nell’universo giovanile dipinto dalla serie tv, perché con Licia e Mirko condividevano gli interessi, i gusti musicali, i problemi, i sentimenti. L'inaspettato successo della serie animata le valse ben cinque passaggi in tv consecutivi e persino una trasmissione in orario preserale, cosa oggi impensabile. È una serie che è entrata nella memoria collettiva di chi ha vissuto, anche solo di striscio, la storia della tv per ragazzi italiana negli anni ’80, e che viene spesso e volentieri tuttora replicata dalla Mediaset nonostante sia una storia troppo inscindibilmente legata agli anni ’80 e, quindi, poco appetibile per le nuove generazioni.
A fronte dell’insperato successo riscosso dalla serie animata, e dei moltissimi fans che ne richiedevano una continuazione, dato il finale poco soddisfacente dell’anime, la responsabile della fascia ragazzi di allora, Alessandra Valeri Manera, arrivò a richiedere alla Toei, in Giappone, la produzione di nuovi episodi. La risposta, naturalmente, fu negativa, dato che, in Toei, Aishite Knight era una serie già bella che conclusa da anni, archiviata e per giunta bollata come flop. Come fare, allora? Ci si era ritrovati nella paradossale situazione in cui la serie aveva riscosso più successo all’estero (in Italia e in altri paesi come Francia o Spagna dove era giunta col nostro adattamento) che in patria, e, nonostante tutto questo successo, non si poteva continuarla.
Per risolvere il problema, si prese una decisione rischiosa ma anche, a suo modo, geniale e bizzarra.
Aishite Knight aveva concluso il suo percorso, ma Kiss me Licia sarebbe continuato. Come è possibile, direte voi? Consci dell’impossibilità di convincere Toei a produrre ulteriori episodi per il solo mercato italiano, si decise di far continuare la storia in casa nostra, non sotto forma di cartone animato bensì in quella di sit-com con attori in carne ed ossa. Esordisce così nel 1986 Love me Licia, telefilm basato su Kiss me Licia, che ne offriva una prosecuzione delle vicende in versione live.
La regia è di Mario Cavazzuti e Francesco Vicario, la sceneggiatura e i testi sono di Stefano Vicario e Alessandra Valeri Manera.
La storia viene ripresa da dove la conclusione dell'anime l’aveva lasciata, ma prosegue con vicende tutte nuove introducendo persino nuovi personaggi e mostrando, finalmente, il tanto atteso matrimonio tra i due protagonisti. Nel produrlo, fu spesa una cura maniacale affinché si riproducessero alla perfezione gli ambienti, i costumi, le pettinature dei personaggi, che risultavano così assolutamente identici a quelli del cartone animato. Gli attori scelti per interpretare i personaggi furono esordienti oppure personalità più o meno note della tv per ragazzi del periodo. La protagonista Licia fu interpretata da Cristina D’Avena in persona, cosa che contribuì a rafforzarne la popolarità, Mirko era Pasquale Finicelli, Satomi l’americano Sebastian Harrison, Andrea il piccolo Luca Lecchi, Marrabbio il doppiatore Salvatore Landolina. Inoltre, parteciparono al telefilm, in ruoli più o meno rilevanti, molti personaggi importanti della tv per ragazzi di quel periodo, come Carlotta Pisoni Brambilla, Marco Bellavia, Debora Magnaghi, Emanuela Pacotto, Antonio Paiola, Federico Danti, Augusto Di Bono, Stefano Albertini, Sante Calogero, Mario Scarabelli, Manuel De Peppe, Luigi Rosa, Paola Tovaglia, e anche personaggi importanti della tv “adulta” come Emanuela Folliero, Corrado o Federica Panicucci.
Tutti gli attori, tuttavia, venivano doppiati, ottenendo le stesse voci che avevano nella versione animata (quindi Donatella Fanfani, Ivo De Palma, Pietro Ubaldi, Paolo Torrisi, ecc...), e ovviamente anche le canzoni venivano eseguite da Vincenzo Draghi, come nella serie a cartoni animati. L'ambientazione, sebbene fosse molto fedele all’anime, fu spostata in Italia (ovviamente non potevano creare okonomiyaki, torre di Tokyo o cose così specificatamente giapponesi dal vivo e in Italia) e le trame furono più semplificate rispetto alla storia originale, ma il telefilm si rivelò essere un successo.
Inizialmente pensato in 35 episodi, a fronte dei grandissimi ascolti (più di tre milioni di spettatori a puntata), fu proseguito per altre tre serie, una per anno. Nel 1987 è quindi la volta di Licia, dolce Licia. Seguono poi Teneramente Licia nel 1988 e Balliamo e cantiamo con Licia nel 1989, per un totale di oltre cento episodi. Per ogni serie vennero realizzate, oltre che le rispettive sigle sempre ad opera di Cristina D’Avena, molteplici nuove canzoni, spesso e volentieri eseguite dalla stessa Licia/Cristina D’Avena, che ad un certo punto della storia, con la scusa, fu fatta entrare nel gruppo dei Beehive come voce femminile.
Furono prodotti nuovi album, uno per ognuna delle quattro serie del telefilm più un "best of", Il meglio di Kiss me Licia e i Beehive, uscito nel 1991. Gli album vendettero moltissimo e quello tratto dalla prima serie del telefilm, Love me Licia e i Beehive, divenne anche disco di platino nel 1986.
Assieme ai dischi, giunsero anche un album di figurine, nonché articoli e poster relativi al telefilm nelle riviste specializzate in programmi televisivi o dirette ad un pubblico giovane dell’epoca. Concluse le avventure di Licia, nel 1988, Cristina D’Avena continuò poi a recitare in tv per altri quattro anni, con Arriva Cristina, un telefilm in quattro stagioni che la vedeva come protagonista, affiancata anche stavolta da celebri nomi della tv per ragazzi come Marco Bellavia, Enrico Bertorelli, Giulia Franzoso, Grazia Migneco e Giovanni Battezzato. I telefilm di Licia sono poi stati replicati spesso e volentieri durante le ore notturne nel corso degli anni, ne sono stati commercializzati anche i dvd e sono profondamente scolpiti nella memoria di chi visse quegli anni, dimostrandosi non soltanto un valido esempio di televisione per ragazzi di qualità, ma un esperimento unico nel suo genere, che ha contribuito a cementare la popolarità della storia inventata da Kaoru Tada nel nostro paese e in altri paesi europei, come la Spagna, dove i nostri telefilm sono ancora oggi invidiati e ricercatissimi dai vecchi fan.
Chiunque oggi abbia "un bel po' di primavere alle spalle", se pensa a Kiss me Licia, non può che ricordare anche i telefilm, e, involontariamente, tradirà un sorriso nostalgico.
Quanto al manga originale di Kaoru Tada, arrivò nelle nostre edicole e fumetterie, tra l’estate del 2002 e l’inverno del 2003. Pubblicato dall’editore Star Comics, fece da apripista a tutta una serie di titoli "d’annata" (Rocky Joe, Ransie la strega, Hilary, Mila e Shiro) che videro la loro prima pubblicazione italiana in quel periodo, ma l'adattamento è piuttosto libero, con l'aspetto "queer" di certi personaggi molto più enfatizzato rispetto all'originale, citazioni musicali assenti e brani reali sostituiti dai testi dei brani italiani della serie tv. Una seconda edizione è stata pubblicata, insieme ad altre opere della stessa autrice, da Goen tra il 2012 e il 2013, facendo da apripista per la pubblicazione italiana di altre opere dell'autrice come Debora la rivale e Miha Paradise. Il titolo scelto per l’edizione italiana, in entrambe le versioni, è Love me knight, ma in generale non è un titolo che ha riscosso troppo successo, essendo troppo diverso graficamente e per contenuti da quella serie animata che da noi è un'istituzione per chi oggi ha dai trentacinque ai quarant'anni.
Siamo, tuttavia, in attesa della versione interamente a colori, pubblicata in Giappone in edizione digitale, che è stata annunciata da Nippon Shock.
NOTA DELL'AUTORE Desidero ringraziare Yoshie Sato, grandissima fan della serie e della musica rock giapponese degli anni ottanta, che mi è stata di grande aiuto per approfondire le mie conoscenze su Aishite Knight.
L'autrice, che aveva debuttato qualche anno prima e realizzato storie brevi o manga di uno o due volumi, si cimenta qui con un'opera molto più lunga e più matura. Lo stile di disegno si è ormai evoluto, rispetto ai suoi primi manga, in qualcosa di molto più personale, sgraziato, sporco, caricaturale. L'autrice, che già nei suoi primi lavori aveva scelto di rappresentare storie di ragazze giapponesi normali, lontane dai grandi feuilleton ambientati in occidente e dei grandi drammi a sfondo fantastico o fantascientifico di altre autrici shoujo del tempo, con Aishite Knight fa qualcosa di ancora diverso, spostandosi anche dalle storie ambientate tra i banchi di scuola. Nel farlo, si mette completamente a nudo, scegliendo di raccontare fondamentalmente se stessa, le sue passioni, il suo mondo.
Fondamentale è, infatti, il fatto che Aishite Knight non sia ambientato nella solita Tokyo, bensì a Osaka, città dove l'autrice è nata e cresciuta, e che nel manga viene descritta perciò in maniera assai realistica, ma anche molto personale.
Il mondo di Aishite knight è la Osaka dei primi anni ottanta, dove le radio dei ristoranti di okonomiyaki nei quali i lavoratori adulti si fermano a mangiare e bere nelle pause del lavoro passano "Sazanka no yado" di Eisaku Okawa, "Fuyu no riviera"; di Shinichi Mori e altre ballad enka amatissime dai frequentatori adulti dei locali in stile tradizionale e sempre presenti nelle classifiche musicali dell'epoca (basta guardare le classifica di Oricon dei primi anni ottanta per rendersene conto).
In una Osaka dove il puzzo di frittura si mescola a quello dell'alcol e del fumo e gli ojisan animano i locali con appassionate discussioni in dialetto, mentre sullo sfondo passano ballate che narrano di amori malinconici, del passare delle stagioni e di un Giappone che più tradizionale non si può, Kaoru Tada sceglie di raccontarci anche un'altra faccia della città, meno nota al grande pubblico perché osteggiata dagli adulti tradizionalisti di cui sopra: quella delle live house frequentate dai giovani, dove si esibiscono band indie non (ancora) coperte dalla tv e dalla radio, non ancora nelle classifiche di Oricon, perché il loro genere punk-rock non è ben visto e non ha (ancora) granché successo.
Aishite Knight fa incontrare questi due mondi, facendo innamorare la timida Yakko, figlia di un cuoco di okonomiyaki super tradizionalista, e Go, cantante rock emergente ribelle e spregiudicato. Nel narrare la loro storia, l'autrice ci mette dentro tutta se stessa, in quanto era appassionata di musica e aveva contatti diretti con diverse rockband emergenti di Osaka che ha usato come spunto per la creazione dei personaggi.
Il manga, a partire dal titolo stesso, è perciò una continua citazione alla scena musicale indie dell'epoca, con riferimenti e parodie nascosti ovunque nelle tavole, dove l'autrice nasconde anche messaggi che parlano dei fatti suoi, dei concerti che vede, degli album che compra, degli artisti che ringrazia per questa o quella collaborazione.
Diventa così un manga unico, irripetibile e mai più ripetuto, talmente legato alla sua Osaka da popolarla di irresistibili ojisan che parlano in dialetto, e talmente legato alla vita della sua autrice che lei stessa, qualche anno dopo, seguirà le orme della sua protagonista sposandosi uno dei tanti cantanti rock suoi amici.
Aishite Knight è un manga trasgressivo, di nicchia, che racconta l'universo giovanile dell'epoca in maniera del tutto nuova, scegliendo anche di utilizzare personaggi già grandi (Yakko e Go frequentano un'università serale invece delle solite medie o superiori) che quindi fumano, bevono, sono libertini nelle loro relazioni e giocano a più riprese con la sessualità in maniera unica. A fare il resto, ci pensano gli anni ottanta, periodo in cui il Giappone vive lo scontro (perfettamente esemplificato da Yakko, amante del rock, e da suo padre, amante degli enka) tra la vecchia generazione che aveva fatto o subito la guerra e odiava l'Occidente e l'America in particolare, e la nuova, composta di giovani che invece guardano all'Occidente con ammirazione e ne copiano le mode, l'abbigliamento, le acconciature, mangiano hamburger al fast food, tifano per Stan Hansen e Bruiser Brody piuttosto che per Antonio Inoki e Giant Baba, vanno al cinema a vedere Rocky III e vanno pazzi per "What a feeling" di Irene Cara (che ha campeggiato nelle classifiche di Oricon per buona parte dei primi anni Ottanta) invece che per le tristi ballad enka che percepiscono come musica da vecchi. Capelli cotonati e di colori improbabili, abiti di pelle con le borchie, i dischi in vinile, le creste da punk, l'ambiguità sessuale dei cantanti, in Aishite Knight c'è tutto questo e ancor di più, affiancato, in maniera estremamente personale, a una Osaka che rappresenta il cuore pulsante del Giappone Showa più tradizionale.
Troppo di nicchia per fare il botto (fra le opere di Kaoru Tada, in Giappone verrà ampiamente superato in popolarità dal meno sentito ma più longevo Itazura na kiss, venendo oggi ricordato solo da donne adulte che da ragazze erano appassionate di shoujo manga e musica rock), ma non così di nicchia da passare inosservato, Aishite Knight viene adattato da Toei in una serie a cartoni animati di 42 episodi, trasmessi su Tv Asahi tra il 1 marzo 1983 (esattamente quarant'anni fa) e il 24 gennaio 1984.
Tra i grandi nomi coinvolti nello staff ci sono il regista Osamu Kasai (che ha lavorato come regista a praticamente qualsiasi opera Toei precedente, dai robot di Go Nagai alle vecchie maghette, passando per Candy Candy o Galaxy Express 999), lo sceneggiatore Sukehiro Tomita (Wedding Peach, Yu Yu Hakusho), il character designer Shingo Araki (Lady Oscar, Saint Seiya), il musicista Joe Hisaishi (noto per le colonne sonore dei film Ghibli).
Anche il cast dei doppiatori presenta il fior fiore delle voci dell'epoca, a cominciare dai doppiatori dei due protagonisti Yakko e Go, per i quali sono stati scomodati addirittura due speciali mostri sacri. Yakko è Mitsuko Horie, la "principessa delle anison", cantante e doppiatrice che ha interpretato miliardi di sigle (da Candy Candy a Sandybell, da Dangaioh a Sailor Moon Crystal e personaggi iconici (Hilda in Saint Seiya, Upa in Dragon Ball, Galaxia in SailorStars, per dirne alcuni). Ovviamente, oltre a doppiare la protagonista, canta anche la sigla iniziale.
Go è Isao Sasaki, doppiatore (Joe il Condor in Gatchaman, ma anche voce giapponese di Sylvester Stallone, o Christopher Reeve), personaggio televisivo e divinità delle sigle anime (sue le sigle della Corazzata Yamato, di Kyashan, di Goldrake e di molto altro).
I due, che sono colleghi e amici da ormai più di quarant'anni, cantano insieme sin dal tempo di "Susume! Goranger", la celeberrima sigla di Himitsu Sentai Goranger, ed è curioso che si siano ritrovati qui, a doppiare una coppia di innamorati.
Ma a completare il cast ci sono anche Takeshi Aono (il padre di Yakko), Katsuji Mori (Satomi), Yuko Mita (Hashizo) e molti altri nomi famosi.
L'adattamento di una serie manga anni ottanta, giovanile e trasgressiva, affidato a uno staff composto da gente che aveva fatto la storia degli anime anni settanta fa sì che l'anime di Aishite Knight risulti essere diversissimo dal fumetto, da cui prende la storia di base e qualche avvenimento, ma ne cambia infiniti elementi, a cominciare dal colore di capelli della protagonista, che nel fumetto (e nella sigla originale giapponese, realizzata come prova prima della produzione degli episodi) è bionda mentre negli episodi animati è castana, probabilmente per renderla più realistica e per creare una maggior armonia cromatica nelle scene in cui interagisce col biondo Go o lo bacia.
L'anima del fumetto si perde completamente, in primis perché l'ambientazione viene spostata da Osaka a Tokyo, più consona allo staff Toei e al telespettatore giapponese medio. Si viene dunque a perdere la parlata nel dialetto del Kansai che caratterizzava in maniera irresistibile e reale diversi personaggi del fumetto, e nelle scene ambientate al locale del padre di Yakko, più che nella vivacissima Osaka sembra di stare nella Tokyo d'altri tempi e nel locale degli zii di Tora-san in Otoko wa tsurai yo. Meno importanza viene data agli okonomiyaki (che non sono tipici di Tokyo), ovviamente spariscono praticamente tutte le citazioni musicali ad artisti reali. Le canzoni, che nel manga erano cover di brani reali di rockband indie, sono sostituite nell'anime da brani composti ex novo, a loro modo diventati iconici ma molto meno graffianti di quelli presenti nel manga.
In generale, si sono persi o sono stati ammorbiditi parecchio tutti gli elementi più trasgressivi del manga, sostituendoli con altri più "tranquilli" e più vecchio stile. L'età dei personaggi è stata abbassata, Go è meno spregiudicato, meno sexy perché il vocione adulto, virile e vecchio stampo di Isao Sasaki poco gli si addice (infatti, nonostante Sasaki sia anche un cantante, è il più giovanile Ai Takano a interpretare i brani rockettari dei Beehive nelle scene cantate) e meno rispetto al manga si percepisce la vita scombinata che conduce e nella quale coinvolge anche il fratellino Hashizo. Quest'ultimo viene utilizzato come il classico "bambino Toei" (sia esso Kenta di Tiger Mask, Chibiusa di Sailor Moon, Bart e Lynn di Hokuto no Ken, Kiki di Saint Seiya, Nachiguron di Kinnikuman, il vicino di casa di Kenta in Wingman), lo specchio dello spettatore più piccolo, ottiene un ruolo importantissimo e con tantissimo screen time (nel primo episodio, è il primo personaggio che si vede, con Yakko che compare solo dopo più di cinque minuti dall'inizio; il secondo episodio è tutto dedicato a lui e Giuliano, quando ancora Yakko e Go devono formalmente incontrarsi; i suoi compagni d'asilo vengono introdotti subito mentre nel manga compaiono molto più avanti...), diventa protagonista di innumerevoli siparietti che stemperano la tensione e persino della sigla di chiusura, ma rispetto al manga risulta molto meno ribelle e simpatico, esattamente come il fratello, qui molto più rude.
Il target è stato abbassato, rendendo quella che era una storia irriverente per un pubblico più grandicello e smaliziato una storia più infantile per certi versi, modificando e togliendo molti elementi del manga scomodi per la tv (ad esempio, la situazione familiare di Hashizo e Go è totalmente diversa dal fumetto), e sono stati prodotti e inseriti a forza nella storia dei giocattoli, come il giochino elettronico per l'affinità di coppia realizzato dalla Bandai, che fa bella mostra di sé nelle puntate televisive.
Molti personaggi sono anche stati riscritti, o comunque gli è stato dato molto più spazio, come ad esempio Satomi, di cui viene esplorato maggiormente il background, continua ad essere presente anche dopo la risoluzione del triangolo amoroso e viene fatto fidanzare con Meiko, che nel manga aveva un ruolo molto risicato mentre nell'anime è molto più presente. Ovviamente, essendo vicini al target degli spettatori, anche gli amichetti di Hashizo, Kaoru e Gonta, hanno maggior spazio, così come il gatto Giuliano, mascotte della serie protagonista di innumerevoli gag. In generale, la storia di base resta la stessa, e diversi episodi del manga sono stati riproposti fedelmente, ma altri sono invece assenti, riscritti o sostituiti con altre vicende, dato che l'anime ha poi preso una strada tutta sua. A cambiare è tutto il contesto e il target, che modificano la storia e i personaggi scritti da Kaoru Tada rendendoli meno underground e meno problematici.
Diversissimo dal manga è anche il character design: si perde lo stile sgraziato, folle e sporco di Kaoru Tada in favore di uno stile molto più armonioso, più vintage, con gli episodi disegnati in prima persona da Shingo Araki che sono una gioia per gli occhi.
Probabilmente, a causa delle troppe differenze col manga che hanno allontanato i fan, probabilmente a causa del target femminile o dello slot in cui è stato trasmesso (il martedì sera alle sette e mezza su Tv Asahi, slot in cui non venivano programmati anime dal 1979 e dove in precedenza erano andati in onda Il piccolo principe e Calimero, di genere completaemente diverso), l'anime di Aishite Knight in Giappone non ottiene granché successo, finendo per essere cancellato dopo soli 42 episodi, con un finale che chiude più o meno le varie sottotrame romantiche ma non adatta l'ultima parte del manga né mostra chiaro e tondo Yakko e Go convolare a nozze. Tanto Toei e Tv Asahi vogliono prendere le distanze dal flop di Aishite Knight che l'anime che lo sostituisce, Wingman, ibrido tra commedia sentimentale e storia di supereroi tratto da un manga di Masakazu Katsura pubblicato su Shounen Jump, deve aggiungere al titolo originale il prefisso "Yume Senshi", "il guerriero dei sogni", a rimarcare che è un anime a target maschile, di combattimenti, a differenza di Aishite Knight, e che quindi il pubblico maschile, che all'epoca si vergonava tantissimo e si teneva ben alla larga dagli shoujo, ora può risintonizzarsi in tv senza il problema di doversi sorbire una storia per ragazze.
Diametralmente opposta, la situazione nei paesi europei, dove la serie animata è invece andata parecchio forte.
È il 1985 quando la serie animata di Aishite Knight giunge in Italia, trasmessa dalle reti Fininvest (l'odierna Mediaset). Le differenze con la versione originale saltano subito all’occhio a cominciare dal titolo stesso, che viene trasformato in Kiss me Licia. La maggior parte dei nomi dei personaggi, ad eccezione di Satomi, Sheller (il nome giapponese è trascrivibile in vari modi, Sheller è uno dei tanti) e ovviamente Giuliano, furono italianizzati come si usava in quel periodo, con risultati spesso azzeccati spesso di dubbio gusto. La protagonista Yakko fu trasformata in Luciana, detta Licia, mentre il protagonista maschile Go divenne Mirko, Hashizo divenne Andrea, mentre il padre di Yakko, da Shigemaro "Shige-san" Mitamura divenne Anacleto Marrabbio. Anche i personaggi secondari ottennero un similare trattamento, popolando l'universo narrativo della serie di nomi ora "normali" come Elisa, Marina, Katia, Manuela, Tony e Marika, ora più stravaganti come Steve, Matt, nonno Sam, Lauro, Yatas o Grinta.
La serie divenne così popolata da personaggi che portavano un pot-pourri di nomi ora italiani, ora inglesi, ora giapponesi, ma nonostante questo si disse chiaramente, cosa rara per quei tempi, che la storia era ambientata a Tokyo, si citarono nomi come Osaka, samurai, Kansai e nomi di feste tradizionali giapponesi e non si fecero tagli di alcun genere alle scene che mostravano ideogrammi, né tantomeno si tagliarono scene dove i personaggi (sia maschili che femminili) si facevano docce o bagni, cosa che invece fu effettuata ad altre serie di quel periodo. L'unico tipo di censura effettuata, oltre al cambiamento del nome della serie e dei personaggi e l’eliminazione delle sigle originali, fu un leggerissimo ammorbidimento dei dialoghi, in particolar modo quelli legati all’ambiguo cantante Sheller, ma fu davvero poca cosa al confronto di ciò che subirono, ad esempio, Orange Road, Marmalade Boy o Sailor Moon.
A Yakko/Licia diede voce Donatella Fanfani (Hilda in Saint Seiya, Yu/Creamy in L’incantevole Creamy, Sailor Jupiter in Sailor Moon), mentre Go/Mirko fu doppiato dalla voce decisa e professionale di Ivo De Palma (Seiya/Pegasus in Saint Seiya, Pop/Daniel in Dragon Quest), Satomi dal rassicurante Gabriele Calindri (Nettuno in Saint Seiya, Kazuya/Kim in Touch) e Hashizo/Andrea da Paolo Torrisi (Mowgli in Il libro della giungla, Goku adulto in Dragon Ball, Koby in One Piece). Anche molti altri doppiatori molto celebri dell’epoca come Alessandra Karpoff, Antonio Paiola, Riccardo Mantani, Federico Danti, Sergio Romanò e Franco Gamba parteciparono, interpretando personaggi secondari. Pietro Ubaldi (Tom in One Piece, Artemis in Sailor Moon, Senbei in Dr. Slump) diede la voce sia al burbero Shige-san/Marrabbio, sia al gatto Giuliano, mostrando un’incredibile versatilità.
Una scelta particolarmente azzeccata dei nostri adattatori, che determinò nel suo piccolo il gran successo della serie, fu infatti quella di dar voce a Giuliano, che in originale emetteva unicamente miagolii mentre nella versione italiana si lasciava spesso e volentieri andare a spassosissimi commenti parlati o ad occasionali esibizioni canore, in italiano, in inglese o in diversi dialetti nostrani.
Le sigle d’apertura e chiusura originali furono sostituite da un brano intonato, come di consueto, da Cristina D’Avena, che accompagnava un video creato mescolando spezzoni degli episodi e della opening originale. Questo, tuttavia, portò al curioso problema della "Licia bionda", fonte di una bizzarra leggenda metropolitana che si diffuse negli anni, ossia quella che "la Licia bionda"” della sigla non fosse Licia/Yakko, bensì una ragazza che compariva in appositi siparietti che in Giappone andavano in onda dopo gli episodi e che si prefiggevano il compito di impartire insegnamenti di educazione sessuale ai telespettatori. Naturalmente, non c'era nulla di tutto ciò, bensì i consueti siparietti degli episodi successivi e (ma solo nella trasmissione televisiva, non ve n'è traccia nelle edizioni home video) l'angolo delle predizioni amorose di Yakko, dove la doppiatrice Mitsuko Horie leggeva l'oroscopo ai telespettatori.
La sigla italiana di Kiss me Licia è probabilmente uno dei più celebri pezzi di Cristina D’Avena, che viene ricordato da tutti e sempre riproposto nelle esibizioni e negli album della cantante.
Tanto è il successo di questa canzone che l’LP singolo che la contiene si trova al ventiquattresimo posto dei 100 singoli più venduti in Italia a cavallo tra il 1985 e il 1986. Essendo una serie basata sulla musica, a Kiss me Licia venne affidata particolare cura per la colonna sonora. I numerosi pezzi dei Beehive e del gruppo rivale Kiss Relish furono adattati in italiano (salvo un paio che ci siamo persi per strada) mantenendo la base originale, eseguiti dalla magnetica voce di Vincenzo Draghi, che si occupò di cantare nel ruolo di Go/Mirko e di Sheller.
Alle canzoni della serie (i brani dei due gruppi coinvolti, la sigla italiana e un paio di pezzi cantanti sulle basi delle sigle originali giapponesi, più versioni strumentali varie) fu dedicato un altro album, Kiss me Licia e i Beehive, che risultò al settantesimo posto nella classifica dei 100 dischi più venduti nel nostro paese nell’anno 1986 con più di 80.000 copie vendute. Oltre a questi dischi, alla serie animata furono dedicati svariati oggetti di merchandising prodotti nel nostro paese, come album di figurine, un libro illustrato, fotoromanzi con i fotogrammi dell’anime “dialogati” pubblicati sul Corriere dei Piccoli e una collana di videocassette da edicola. Paradossalmente, non è mai uscita un'edizione home video in cofanetto della serie animata, probabilmente perché Mediaset, che ne detiene a vita i diritti, non li ha concessi ad altre aziende affinché li producano.
I responsabili della fascia ragazzi dell’allora Fininvest ci credevano poco, eppure, in quell’autunno del 1985, la love story tra la figlia del cuoco di okonom… pardon, polpette di maiale e la rockstar dal ciuffo rosso conquistò chiunque, tenendo incollati alla tv più di quattro milioni di telespettatori. La storia creata da Kaoru Tada incantò milioni di adolescenti, nel nostro paese, i quali si ritrovavano nell’universo giovanile dipinto dalla serie tv, perché con Licia e Mirko condividevano gli interessi, i gusti musicali, i problemi, i sentimenti. L'inaspettato successo della serie animata le valse ben cinque passaggi in tv consecutivi e persino una trasmissione in orario preserale, cosa oggi impensabile. È una serie che è entrata nella memoria collettiva di chi ha vissuto, anche solo di striscio, la storia della tv per ragazzi italiana negli anni ’80, e che viene spesso e volentieri tuttora replicata dalla Mediaset nonostante sia una storia troppo inscindibilmente legata agli anni ’80 e, quindi, poco appetibile per le nuove generazioni.
A fronte dell’insperato successo riscosso dalla serie animata, e dei moltissimi fans che ne richiedevano una continuazione, dato il finale poco soddisfacente dell’anime, la responsabile della fascia ragazzi di allora, Alessandra Valeri Manera, arrivò a richiedere alla Toei, in Giappone, la produzione di nuovi episodi. La risposta, naturalmente, fu negativa, dato che, in Toei, Aishite Knight era una serie già bella che conclusa da anni, archiviata e per giunta bollata come flop. Come fare, allora? Ci si era ritrovati nella paradossale situazione in cui la serie aveva riscosso più successo all’estero (in Italia e in altri paesi come Francia o Spagna dove era giunta col nostro adattamento) che in patria, e, nonostante tutto questo successo, non si poteva continuarla.
Per risolvere il problema, si prese una decisione rischiosa ma anche, a suo modo, geniale e bizzarra.
Aishite Knight aveva concluso il suo percorso, ma Kiss me Licia sarebbe continuato. Come è possibile, direte voi? Consci dell’impossibilità di convincere Toei a produrre ulteriori episodi per il solo mercato italiano, si decise di far continuare la storia in casa nostra, non sotto forma di cartone animato bensì in quella di sit-com con attori in carne ed ossa. Esordisce così nel 1986 Love me Licia, telefilm basato su Kiss me Licia, che ne offriva una prosecuzione delle vicende in versione live.
La regia è di Mario Cavazzuti e Francesco Vicario, la sceneggiatura e i testi sono di Stefano Vicario e Alessandra Valeri Manera.
La storia viene ripresa da dove la conclusione dell'anime l’aveva lasciata, ma prosegue con vicende tutte nuove introducendo persino nuovi personaggi e mostrando, finalmente, il tanto atteso matrimonio tra i due protagonisti. Nel produrlo, fu spesa una cura maniacale affinché si riproducessero alla perfezione gli ambienti, i costumi, le pettinature dei personaggi, che risultavano così assolutamente identici a quelli del cartone animato. Gli attori scelti per interpretare i personaggi furono esordienti oppure personalità più o meno note della tv per ragazzi del periodo. La protagonista Licia fu interpretata da Cristina D’Avena in persona, cosa che contribuì a rafforzarne la popolarità, Mirko era Pasquale Finicelli, Satomi l’americano Sebastian Harrison, Andrea il piccolo Luca Lecchi, Marrabbio il doppiatore Salvatore Landolina. Inoltre, parteciparono al telefilm, in ruoli più o meno rilevanti, molti personaggi importanti della tv per ragazzi di quel periodo, come Carlotta Pisoni Brambilla, Marco Bellavia, Debora Magnaghi, Emanuela Pacotto, Antonio Paiola, Federico Danti, Augusto Di Bono, Stefano Albertini, Sante Calogero, Mario Scarabelli, Manuel De Peppe, Luigi Rosa, Paola Tovaglia, e anche personaggi importanti della tv “adulta” come Emanuela Folliero, Corrado o Federica Panicucci.
Tutti gli attori, tuttavia, venivano doppiati, ottenendo le stesse voci che avevano nella versione animata (quindi Donatella Fanfani, Ivo De Palma, Pietro Ubaldi, Paolo Torrisi, ecc...), e ovviamente anche le canzoni venivano eseguite da Vincenzo Draghi, come nella serie a cartoni animati. L'ambientazione, sebbene fosse molto fedele all’anime, fu spostata in Italia (ovviamente non potevano creare okonomiyaki, torre di Tokyo o cose così specificatamente giapponesi dal vivo e in Italia) e le trame furono più semplificate rispetto alla storia originale, ma il telefilm si rivelò essere un successo.
Inizialmente pensato in 35 episodi, a fronte dei grandissimi ascolti (più di tre milioni di spettatori a puntata), fu proseguito per altre tre serie, una per anno. Nel 1987 è quindi la volta di Licia, dolce Licia. Seguono poi Teneramente Licia nel 1988 e Balliamo e cantiamo con Licia nel 1989, per un totale di oltre cento episodi. Per ogni serie vennero realizzate, oltre che le rispettive sigle sempre ad opera di Cristina D’Avena, molteplici nuove canzoni, spesso e volentieri eseguite dalla stessa Licia/Cristina D’Avena, che ad un certo punto della storia, con la scusa, fu fatta entrare nel gruppo dei Beehive come voce femminile.
Furono prodotti nuovi album, uno per ognuna delle quattro serie del telefilm più un "best of", Il meglio di Kiss me Licia e i Beehive, uscito nel 1991. Gli album vendettero moltissimo e quello tratto dalla prima serie del telefilm, Love me Licia e i Beehive, divenne anche disco di platino nel 1986.
Assieme ai dischi, giunsero anche un album di figurine, nonché articoli e poster relativi al telefilm nelle riviste specializzate in programmi televisivi o dirette ad un pubblico giovane dell’epoca. Concluse le avventure di Licia, nel 1988, Cristina D’Avena continuò poi a recitare in tv per altri quattro anni, con Arriva Cristina, un telefilm in quattro stagioni che la vedeva come protagonista, affiancata anche stavolta da celebri nomi della tv per ragazzi come Marco Bellavia, Enrico Bertorelli, Giulia Franzoso, Grazia Migneco e Giovanni Battezzato. I telefilm di Licia sono poi stati replicati spesso e volentieri durante le ore notturne nel corso degli anni, ne sono stati commercializzati anche i dvd e sono profondamente scolpiti nella memoria di chi visse quegli anni, dimostrandosi non soltanto un valido esempio di televisione per ragazzi di qualità, ma un esperimento unico nel suo genere, che ha contribuito a cementare la popolarità della storia inventata da Kaoru Tada nel nostro paese e in altri paesi europei, come la Spagna, dove i nostri telefilm sono ancora oggi invidiati e ricercatissimi dai vecchi fan.
Chiunque oggi abbia "un bel po' di primavere alle spalle", se pensa a Kiss me Licia, non può che ricordare anche i telefilm, e, involontariamente, tradirà un sorriso nostalgico.
Quanto al manga originale di Kaoru Tada, arrivò nelle nostre edicole e fumetterie, tra l’estate del 2002 e l’inverno del 2003. Pubblicato dall’editore Star Comics, fece da apripista a tutta una serie di titoli "d’annata" (Rocky Joe, Ransie la strega, Hilary, Mila e Shiro) che videro la loro prima pubblicazione italiana in quel periodo, ma l'adattamento è piuttosto libero, con l'aspetto "queer" di certi personaggi molto più enfatizzato rispetto all'originale, citazioni musicali assenti e brani reali sostituiti dai testi dei brani italiani della serie tv. Una seconda edizione è stata pubblicata, insieme ad altre opere della stessa autrice, da Goen tra il 2012 e il 2013, facendo da apripista per la pubblicazione italiana di altre opere dell'autrice come Debora la rivale e Miha Paradise. Il titolo scelto per l’edizione italiana, in entrambe le versioni, è Love me knight, ma in generale non è un titolo che ha riscosso troppo successo, essendo troppo diverso graficamente e per contenuti da quella serie animata che da noi è un'istituzione per chi oggi ha dai trentacinque ai quarant'anni.
Siamo, tuttavia, in attesa della versione interamente a colori, pubblicata in Giappone in edizione digitale, che è stata annunciata da Nippon Shock.
NOTA DELL'AUTORE Desidero ringraziare Yoshie Sato, grandissima fan della serie e della musica rock giapponese degli anni ottanta, che mi è stata di grande aiuto per approfondire le mie conoscenze su Aishite Knight.
Dopo anni non riesco ancora a farmene una ragione, ma vabbè, alla fine è un problema generale che si trova pure qui in occidente.
Fettine panate, da impazzire di bontà!
La parte migliore sono i commenti del video, hahaha!
Basterebbe anche solo questo a riassumere il concetto.
Non lo rivedrò mai perché questo è uno di quelli di cui preferisco mantenere il bellissimo ricordo, non penso sia una serie invecchiata molto bene, troppo legata a quegli anni.
Il manga gli avevo dato un’occhiata quando era uscito per star ma non mi era piaciuto, soprattutto i disegni.
P.S. ma quanto era più alto il livello delle tv generaliste negli anni 80/90 rispetto adesso?
Più o meno quanto era più alto il livello di produzione cinematografica rispetto ad adesso.
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Per noi italiani è un'icona quindi mi resta comunque il bel ricordo, le frasi iconiche di Marrabbio e Giuliano, le canzoni (grazie al fatto che hanno la stessa base sia in giapponese che in italiano riesco facilmente a cantare quelle giapponesi al karaoke ) e quant'altro, ma (e lo dico da persona che ha sempre apprezzato l'anime), il manga è spanne sopra.
In originale, nel manga, i personaggi sono stati creati su modello di rockband esistenti, cantano cover di canzoni reali che hanno un ritmo molto più duro rispetto a quello dei brani creati per l'anime. Ma, e te lo dice l'opera stessa, all'epoca era un genere di nicchia, osteggiato e non capito dagli adulti, le canzoni non passavano in tv ma i gruppi suonavano solo nei locali, perciò quel tipo di canzoni non sarebbe mai potuto andare in un cartone animato visto anche e soprattutto dai bambini in tv, e si è optato per far cantare ai personaggi brani più melodici (ma che comunque non sono certo dance e sono differenti dalle canzoni pop giapponesi dell'epoca, ad esempio la prima che mi viene in mente "Kimi ni mune kyun" della Yellow Magic Orchestra).
Non sono poi così rari. Da noi hanno replicato per secoli (e continuano a farlo) e sono definite classici, capolavori o icone serie che da loro non valgono nulla e oggi non ricorda più nessuno, tipo Mila e Shiro o Hilary, mentre ignoriamo completamente serie che da loro sono icone celeberrime tipo Kinnikuman, Kochikame, Otoko Juku, High School Kimengumi, Miyuki, Stop! Hibari-kun o praticamente tutti i robot anni ottanta della Sunrise, che in Giappone sono ben più popolari o importanti di certe cose che vengono divinizzate qui e che loro neanche sanno esistono.
Parlando di robot un esempio classico a conferma di quel che dici sono i nagaiani, da noi del trittico la star è sempre stata goldrake, mentre da loro è il figlio minore, soprattutto paragonato a mazinga z.
O jeeg che ha avuto molto più successo qui che in patria…
Qualche appunto:
Il vero nome originale di Licia è Yaeko, Yakko è un soprannome.
Il vero nome giapponese di Andrea è Hideki, Hashizo è il nome che gli dà il fratello.
Non è Enzo Draghi a cantare la canzone di Sheller, ma tal Silvano Fossati.
Nel manga la musica è davvero rock. La colonna sonora dell'anime è il tipico pop-rock che negli anni 80 era in voga in Giappone come ovunque nel mondo, e che si ballava anche nelle discoteche perché il confine tra pop e dance era più sfumato e le stesse discoteche erano diverse da ciò che sarebbero diventate dal decennio successivo in poi. In Giappone poi il rock tende ad essere un po' più melodico rispetto a quello occidentale (anche se le eccezioni ci sono e sono pure numerose, specie a livello indie).
I Take That facevano puro teen pop anni 90 e non certo rock anni 80.
lo mandavano in onda in prima serata, alle 20:00! Oggi è una fascia oraria occupata solamente dai tg mentre un tempo no. E io preferisco avere un Kiss me Licia che ottomila tg ...
Possiedo ancora la cassettina dei Beehive!
Infatti Mazinga ha avuto un film in epoca moderna, Goldrake nisba.
Ricordo l'anime che mi piaceva solo per il gatto Giuliano e il telefilm che non riusciva a piacermi nonostante il gatto Giuliano (sarà che i persiani non li amo troppo), ma il manga sembra decisamente più interessante!
Questa cosa è bellissima!
Al di là di tutto resta però la nostalgia per quegli anni.
In ogni caso ottimo articolo 👍
Sì, ma qui si parla di un vero e proprio flop anime giapponese che qui ebbe così successo da dover persino fare l'unico "dorama" italiano mai creato
Volevo aggiungere solo che gli anime/cartoni in fascia preserale non furino un privilegio riservato solo a Licia. Per anni quella fascia oraria di Italia 1 è stata dedicata alle prime visioni di serie animate. Anche Georgie, Creamy e Occhi di Gatto la occuparono alla loro prima uscita in tv. Dal lunedi al sabato si alternavano (giorni pari/ giorni dispari) anime per bambine e cartoni più "unisex" (Puffi in primis, Snorkies, David Gnomo...)
Bei tempi!!!
A quei tempi in casa mia c'era solo un televisore e alle 20.00 si guardavano i cartoni (poi subito a letto senza fare storie) ricordo con piacere che il resto della famiglia era presente e stava in rispettoso silenzio, sapevano che "Licia" era sacra!
Visti anche i live action, che già allora non li ritenevo all'altezza ma meglio di niente.
Rivisto l'anime da adolescente ne rimasi delusa e lo ridimensionai parecchio.
Il manga provato per curiosità senza sperarci troppo mi ha invece conquistata, spero ancora che la famosa full color veda la luce prima o poi.
Il live action invece mi piaceva un po' meno, perché li si esagerava davvero con la sdolcinatezza, capace di provocarti il diabete, anche se i personaggi era davvero molto somiglianti a quelli dell'anime ed è stato per lunghi anni l'unico live action tratto da un anime esistente in Italia, un vero capostipite.
Eh niente... aspetto ancora che qualcuno si decida a pubblicare la versione full color del manga annunciata più volte....
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