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Prima di cominciare la recensione vera e propria sento il bisogno di fare una premessa: i miei più sentiti complimenti vanno al distributore italiano di questo film per quell'impeccabile disastro che è il doppiaggio, eseguito per qualche oscuro motivo in Francia, da doppiatori francesi peraltro non professionisti. Il risultato è qualcosa di così inascoltabile che suonerebbe ridicolo anche in "Ratatouille", e quindi non posso che consigliare a chiunque di godersi questo film in lingua originale con sottotitoli, come del resto ho fatto anche io. Ritengo comunque che sia giusto giudicare un'opera così come è uscita dalle mani dell'autore, al netto del doppiaggio, perché se dovessi dar peso anche quello il mio voto non andrebbe al di sopra del 5. Stendiamo un velo pietoso.

"Il viaggio verso Agartha" è un film del 2011 diretto da Makoto Shinkai, noto soprattutto per "5cm al secondo", considerato il suo capolavoro, e per il cortometraggio "La voce delle stelle" che lo ha reso noto al pubblico come uno dei registi più interessanti del panorama dell'animazione giapponese recente. Il film parla di una ragazza di undici anni, Asuna, che vive sola con la madre in un paesino di montagna e che possiede un misterioso cristallo lasciatole dal padre. Un giorno, la sua vita subisce una svolta grazie all'incontro con un misterioso giovane, verso il quale sente subito di provare un certo sentimento, e con il professor Morisaki, convinto dell'esistenza di un mondo sotterraneo chiamato Agartha e determinato a raggiungerlo poiché li risiederebbe il potere per riportare in via la sua defunta moglie. Quando però il ragazzo scompare improvvisamente, una serie di circostanze porteranno Asuna ad intraprendere un avventuroso viaggio proprio nel mondo di Agartha allo scopo di potersi alla fine rincontrare con lui.

Si è parlato molto di Makoto Shinkai come del "nuovo Miyazaki", giudizio che, per quanto condivisibile o meno, poggia su basi più che concrete. Il grande merito di Shinkai è stato quello di aver portato il livello tecnico dell'animazione a uno standard ancor più elevato di quello delle migliori produzioni recenti (studio Ghibli compreso), grazie alla magnificenza dei suoi fondali, che sfiorano sovente il fotorealismo, e a una cura per i particolari e le animazioni eccezionale. "Il viaggio verso Agartha" gode della maestria tecnica di Shinkai e la sua bellezza sta prima di tutto nei disegni: ogni inquadratura, sia che mostri le praterie rischiarate dalle stelle di un mondo leggendario o la cucina della casa di Asuna, è in grado di commuovere lo sguardo per il realismo e la definizione di ogni anche più minimo elemento del quadro. Quella di Shinkai è una poesia (o poetica) del particolare, e ogni particolare risplende per costruire scenari fastosi; il rovescio della medaglia è forse l'eccessiva leziosità che contraddistingue alcuni di essi, ma va detto che in questo film si nota poco e solo in rari casi. Su un livello non minore si pongono le animazioni, sempre fluide e impeccabili con punte d'eccellenza che lasciano sinceramente senza fiato.

A forza di essere accostato a Miyazaki (che d'altra parte è una pietra di paragone inevitabile per qualunque regista di anime che punti all'eccellenza artistica) Shinkai deve quindi aver ceduto alla tentazione di confrontarsi sullo stesso piano del maestro dell'animazione. Il risultato è questo film, che sembra infatti urlare "Studio Ghibli" da tutte le parti. Tematiche come la violenza dell'uomo nei confronti dei più deboli e della natura, l'animalismo, l'esaltazione del ciclo naturale e financo l'inquinamento ambientale sono prese in prestito direttamente dall'autore di "Nausicaa" e trasportate qui dentro. Inoltre, l'aspetto generale di tutti gli elementi del mondo di Agartha deve molto allo stile di Miyazaki (prima e più scoperta citazione è la Clavis, pietra azzurra presa direttamente da "Laputa"). Persino il chara design è stato ammorbidito per ricalcare quello di opere come "Totoro" o "La città incantata", con un effetto in questo caso un po' straniante se si confronta la semplicità del tratto dei personaggi con l'esuberanza quasi barocca dello stile generale che ho descritto sopra. Sia chiaro, il fatto di voler assomigliare a un opera dello Studio Ghibli non va assolutamente a demerito del film, che anzi riesce a mantenere un tono drammatico originale e sostanzialmente estraneo alle opere di Miyazaki, e pur tuttavia non si può non percepire una certa aria di "già visto" che va a rovinare leggermente la visione.

La storia è una rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice, condita di elementi mitologici: primo fra i quali la leggenda del mondo sotterraneo di Agartha, che l'immaginazione dell'autore ha voluto essere la sede del passaggio tra regno dei morti e regno dei vivi, il luogo da cui è possibile richiamare indietro le anime dei defunti. Il tono è quindi, come ho già detto, drammatico a causa delle tematiche messe in gioco, ma questo non vuol dire che il film sia pesante, anzi, le scene d'azione e quelle più dense sono sapientemente bilanciate da quelle che mostrano la vita quotidiana della protagonista (nella prima parte del film) e da quelle in cui sono posti in risalto i sentimenti dei due giovani protagonisti e il rapporto tra Asuna e il professor Morisaki, tant'è che il film non risulta mai troppo lento o noioso. E sono proprio i rapporti che si instaurano tra le persone la parte senza dubbio più riuscita e vero fulcro del film, il cui intreccio espone una serie di relazioni interpersonali realistiche e mai banali e, anzi, spesso al limite dell'ambiguità: basti pensare che nessun personaggio (a parte la protagonista, di cui parlerò più avanti) può essere valutato pienamente positivo o negativo e i conflitti interiori che li animano ricombinano continuamente le carte sul tavolo dei rapporti che li legano (soprattutto quelli dei tre protagonisti) che non sono mai uguali a come erano all'inizio, nell'ottica di un processo di formazione ben visibile nei protagonisti maschili e che dovrebbe essere altresì rilevante per la giovane Asuna.

E dico "dovrebbe" perché purtroppo qui il film mostra il fianco alla sua pecca peggiore: la protagonista Asuna. È un vero peccato che proprio il personaggio su cui dovrebbe reggersi il peso maggiore della trama sia in pratica il più piatto e peggio caratterizzato dell'intero film. Asuna è sostanzialmente priva di carattere e di una propria volontà, dal momento che tutto quello che fa sembra essere dettato dal caso e dalle circostanze, non sceglie e non prende decisioni e si lascia trascinare dagli eventi fino alla fine del film. Non è nemmeno plausibile che una ragazzina di undici anni decida senza colpo ferire e senza mostrare alcuna titubanza di attraversare un mondo ignoto e pericoloso per riportare in vita un ragazzo conosciuto due giorni prima; e se questo serve a comunicare che è dotata di una certa forza d'animo (sulla falsa riga delle migliori protagoniste femminili dei film di Miyazaki), allora l'obiettivo è mancato in pieno, perché l'impressione che ha lo spettatore è che si tratti piuttosto di una forzatura della sceneggiatura, non essendoci indizi nel carattere di Asuna che facciano pensare il contrario. Inoltre, non si può dire nemmeno che vi sia un suo vero e proprio percorso di formazione, dal momento che rimane la stessa dall'inizio alla fine, al contrario invece degli altri personaggi e in particolare di Morisaki, questi forse il più riuscito del film.

"Il viaggio verso Agartha" è in ogni caso un film più che sufficiente in grado di intrattenere con la sua trama avvincente e di meravigliare con il suo apparato tecnico magistrale. Certo, resta l'amarezza del pensare che si sarebbe potuto fare molto di più, considerate le capacità del suo regista, ma l'esperienza non può che essere parzialmente rovinata da una protagonista senza spessore, la cui scarsa presenza scenica finisce per intaccare anche la profonda resa delle relazioni interpersonali che è il cuore del film e della poetica di Shinkai. Complice forse, infine, un finale un po' troppo affrettato e che avrei preferito sviluppasse meglio il rapporto tra il professor Morisaki e la moglie.