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8.0/10
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Beh, è "Devilman"... Questo incipit potrebbe riassumere tanto, credo, ma probabilmente non renderebbe il giusto omaggio a quello che considero uno dei capisaldi della letteratura manga. Tanto caposaldo è "Devilman" quanto lo è, impropriamente esprimendomi, Go Nagai in quanto mangaka. Costui ha per certi versi rivoluzionato la concezione del manga, se non altro per la natura "pioneristica" delle sue opere, in merito a certi temi e alle modalità con cui questi vengono affrontati. Senza contare la particolarità del suo tratto, ovviamente. E qui, o meglio, da qui, mi riallaccio appunto al titolo in questione. Il disegno, in "Devilman", è tipicamente "go nagaiano", con quel tratto "vintage" che ne caratterizza tanto la particolarità, quanto ne ricorda la collocazione cronologica. Non dimentichiamo che si tratta di un prodotto del 1972 e dunque, anche se ai più potrebbe sembrare alquanto "datato", il disegno, a parer mio, non fa altro che rimarcare sempre più il periodo storico di stesura, aiutando ancor maggiormente a mettere in risalto la particolarità e la "difficoltà" delle tematiche affrontate, se ricontestualizzate all'interno del "là e allora". Tralasciando un attimo una lettura tanto critica (nel positivo, s'intende), mi lascerò andare per un secondo a un giudizio brevissimo e del tutto soggettivo circa il disegno stesso: a me piace. Punto. E' Go Nagai e così deve disegnare, proprio perchè la semplicità e l'essenzialità dei volti e degli ambienti hanno contribuito a renderlo famoso, a fianco, chiaramente, all'anacronisticità delle sue storie.

Passando alla trama, sento di poter dire che si possa chiudere un occhio sulla semplicità di alcuni dialoghi, che a parer mio risentono un po' del tempo e dell'anno di produzione (ma lo reputo normale), per concentrarsi invece sulla trama in sè. Sangue, arti amputati, corpi lacerati, bambini trucidati, nudo, sesso... Tutto ciò era un tabù tanto al cinema quanto in televisione, più di quarant'anni fa; figurarsi in un manga, opera che all'interno dell'immaginario collettivo viene (erroneamente) considerata come destinata a un pubblico più o meno adolescenziale. Bene: "Devilman" squarcia del tutto questo "velo di Maya", gettando le basi, all'interno dell'opera fumettistica, per l'abbandono di quella che è l'ipocrisia dell'apparenza moderna, imperniata su una desiderabilità sociale che spinge la stessa a considerare tabù tutto ciò che agli occhi del buon costume possa apparire sconcio, scabroso o ineducato/ineducativo, ma che degli stessi temi si nutre e che con gli stessi, il più delle volte, mediaticamente parlando, oramai vive, facendo leva sulla cultura del "proibito". Il buon ragazzo timido e pauroso che diviene freddo e assetato di sangue è un'ottima metafora del cinismo cui spesso l'uomo deve conformarsi per potersi adeguare a tante brutture e a una società sempre meno "umana". L'allegoria rintracciabile nella follia delle masse e nella loro improvvisa psicosi è a dir poco sublime e rappresenta una calzantissima lettura dell'innata indole umana e dei corsi e ricorsi storici che portano l'uomo a imbastire guerre sulla base di ideali inesistenti e di superstizioni, quando non addirittura di sadismo puro. Il finale è quanto di più emozionante possa essere immaginato e rappresenta, a parer mio, una lettura di... Mi fermerò qui, poichè non voglio svelare nulla al futuro lettore...
Come affermato a incipit, mi ripeto: beh, è "Devilman"...
Leggetelo, c'è poco altro da aggiungere...