Recensione
Anna dai capelli rossi
9.0/10
<b>ATTENZIONE! CONTIENE SPOILER!</b>
E' sempre poco naturale, per un ragazzo, entrare in sintonia con un serie che si presuppone essere diretta a un target femminile. Se questo è quasi sempre vero per un pubblico infantile, non lo è altrettanto per un pubblico adolescenziale. Ed è qui che sta la differenza tra un capolavoro e una produzione commerciale. La seconda non riesce a sfondare i propri limiti, mostra a un pubblico predeterminato ciò che esso desidera, con tutti gli stereotipi e i luoghi comuni del caso per minimizzare i rischi. La prima, invece, rompe gli schemi, trascende il solo fattore economico per elevarsi e raggiungere quel ristretto spazio artistico che divide il prodotto dall'opera. E "Anna dai capelli rossi" è un'opera universale il cui valore rimarrà intatto per sempre. Capace di coinvolgere chiunque abbia un minimo di curiosità artistica e culturale, di maturità psicologica e di sensibilità.
L'immedesimazione poi è relativa, e riesce fino a un certo punto per uno spettatore maschile, come il sottoscritto. Ma, nonostante il naturale distacco, si riesce comunque a creare un legame empatico solidissimo con la protagonista e con i comprimari (a patto di guardarlo con lo spirito giusto, ovvio che a una visione distratta e annoiata questo non accade).
Da un punto di vista visivo l'anime mantiene fresca la sua qualità, che non sembra venire minimamente intaccata dagli anni. Le ambientazioni, i fondali sono un vero e proprio sogno a occhi aperti e ricreano un'atmosfera perennemente idilliaca, fin troppo invidiabile: bianchi viali delle delizie, laghi dalle acque splendenti, ma anche ville e stanze ottocentesche, sempre sobrie, spaziose ed eleganti al punto giusto. La regia non lesina sequenze di alto valore artistico, e questo già dalle prime puntate - magnifica ho trovato la scena del primo episodio con Matthew e Anna alla stazione, seduti a pochi passi di distanza, in silente attesa e inconsapevoli del disguido. E se la qualità tecnica è ineccepibile, il meglio deve ancora arrivare. E' l'introspezione psicologica dei personaggi a sorprendere più di tutto. Anna, Marilla e Matthew sono tra i personaggi meglio caratterizzati che abbia mai visto: sempre credibili nei loro atteggiamenti, mai banali o didascalici nei loro messaggi - espliciti e impliciti -, naturali nelle loro reazioni alle gioie e ai dolori della vita, nel loro umore variabile, nei loro sensi di colpa, e chi più ne ha più ne metta. Anche la radicale trasformazione psicologica di Anna, dal 37° episodio (ormai quindicenne), che, di primo acchito, può lasciare l'amaro in bocca, si dimostra una scelta coraggiosa e molto intelligente. Anna non condivide più le proprie riflessioni, i propri pensieri con nessuno, nemmeno con lo spettatore. Anna diventa padrona di se stessa. Ma la maturità di Anna, che può sembrare un semplice espediente, diventa tangibile in quei piccoli momenti di debolezza - quando, appena giunta a Charlettown, la sua determinazione crolla e, colpita da una forte nostalgia, ritrova la forza e il piacere di sfogarsi, di piangere come da bambina, anche se per qualche secondo - e di confusione - quando, dopo il decesso di Matthew, non riesce a versare lacrime, sente un senso di vuoto e di straniamento sconosciuto e doloroso che riempirà solo la notte successiva al funerale.
Si potrebbero elogiare altri aspetti di questa serie, come: la narrazione dai risvolti mai prevedibili (vedi Diana che non prosegue gli studi), l'incipit incalzante (Marilla che rifiuta l'adozione), il ripudio di sequenze pompose e strappalacrime (caratteristiche del genere) in favore di un clima più leggero, ma carico di pathos e pervaso di malinconia. Vedi la fine del club del racconto e l'anniversario del primo anno di permanenza di Anna in casa Cultbert. Serve altro? Nove.
E' sempre poco naturale, per un ragazzo, entrare in sintonia con un serie che si presuppone essere diretta a un target femminile. Se questo è quasi sempre vero per un pubblico infantile, non lo è altrettanto per un pubblico adolescenziale. Ed è qui che sta la differenza tra un capolavoro e una produzione commerciale. La seconda non riesce a sfondare i propri limiti, mostra a un pubblico predeterminato ciò che esso desidera, con tutti gli stereotipi e i luoghi comuni del caso per minimizzare i rischi. La prima, invece, rompe gli schemi, trascende il solo fattore economico per elevarsi e raggiungere quel ristretto spazio artistico che divide il prodotto dall'opera. E "Anna dai capelli rossi" è un'opera universale il cui valore rimarrà intatto per sempre. Capace di coinvolgere chiunque abbia un minimo di curiosità artistica e culturale, di maturità psicologica e di sensibilità.
L'immedesimazione poi è relativa, e riesce fino a un certo punto per uno spettatore maschile, come il sottoscritto. Ma, nonostante il naturale distacco, si riesce comunque a creare un legame empatico solidissimo con la protagonista e con i comprimari (a patto di guardarlo con lo spirito giusto, ovvio che a una visione distratta e annoiata questo non accade).
Da un punto di vista visivo l'anime mantiene fresca la sua qualità, che non sembra venire minimamente intaccata dagli anni. Le ambientazioni, i fondali sono un vero e proprio sogno a occhi aperti e ricreano un'atmosfera perennemente idilliaca, fin troppo invidiabile: bianchi viali delle delizie, laghi dalle acque splendenti, ma anche ville e stanze ottocentesche, sempre sobrie, spaziose ed eleganti al punto giusto. La regia non lesina sequenze di alto valore artistico, e questo già dalle prime puntate - magnifica ho trovato la scena del primo episodio con Matthew e Anna alla stazione, seduti a pochi passi di distanza, in silente attesa e inconsapevoli del disguido. E se la qualità tecnica è ineccepibile, il meglio deve ancora arrivare. E' l'introspezione psicologica dei personaggi a sorprendere più di tutto. Anna, Marilla e Matthew sono tra i personaggi meglio caratterizzati che abbia mai visto: sempre credibili nei loro atteggiamenti, mai banali o didascalici nei loro messaggi - espliciti e impliciti -, naturali nelle loro reazioni alle gioie e ai dolori della vita, nel loro umore variabile, nei loro sensi di colpa, e chi più ne ha più ne metta. Anche la radicale trasformazione psicologica di Anna, dal 37° episodio (ormai quindicenne), che, di primo acchito, può lasciare l'amaro in bocca, si dimostra una scelta coraggiosa e molto intelligente. Anna non condivide più le proprie riflessioni, i propri pensieri con nessuno, nemmeno con lo spettatore. Anna diventa padrona di se stessa. Ma la maturità di Anna, che può sembrare un semplice espediente, diventa tangibile in quei piccoli momenti di debolezza - quando, appena giunta a Charlettown, la sua determinazione crolla e, colpita da una forte nostalgia, ritrova la forza e il piacere di sfogarsi, di piangere come da bambina, anche se per qualche secondo - e di confusione - quando, dopo il decesso di Matthew, non riesce a versare lacrime, sente un senso di vuoto e di straniamento sconosciuto e doloroso che riempirà solo la notte successiva al funerale.
Si potrebbero elogiare altri aspetti di questa serie, come: la narrazione dai risvolti mai prevedibili (vedi Diana che non prosegue gli studi), l'incipit incalzante (Marilla che rifiuta l'adozione), il ripudio di sequenze pompose e strappalacrime (caratteristiche del genere) in favore di un clima più leggero, ma carico di pathos e pervaso di malinconia. Vedi la fine del club del racconto e l'anniversario del primo anno di permanenza di Anna in casa Cultbert. Serve altro? Nove.