Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Puella Magi ★ Madoka Magica
10.0/10
Cosa significa dare 10 a un'opera? Si intende forse che essa è perfetta e priva di difetti? O magari che è inarrivabile e originale? A mio parere no, un voto del genere riflette altre caratteristiche e la definisce un capolavoro, ma cos'è un capolavoro?
Esso è qualcosa che rimane nel tempo, che dopo anni ha ancora qualcosa da dire, che alza l'asticella del suo genere, che copia e innova al tempo stesso, portando una ventata d'aria fresca nel panorama dell'intrattenimento, in ultima analisi si tratta di un prodotto che al tempo stesso è insuperabile e distruttivo: un qualcosa che uccide il suo genere o sotto-genere di appartenenza, un qualcosa con cui bisogna fare i conti quando si scrive, si dirige, si disegna... un qualcosa di immortale. Riuscite a immaginare un film di fantascienza che non tenga conto di "Blade Runner"? Oppure un fantasy che ignori "Il Signore degli Anelli"? Questi non sono dei capolavori perché perfetti, a ben vedere si tratta di opere imprecise, colme di piccoli e grandi problemi, sono dei capolavori perché sono rimasti, mentre tanti altri film sono stati dimenticati, e sono rimasti perché avevano qualcosa di speciale.
"Madoka Magica" è tutto questo, è un anime pieno di problemi più o meno gravi che però è passato alla storia, un anime che a distanza di anni dalla sua uscita ancora fa discutere, riflettere, pensare. Non si tratta certo della prima opera del suo tipo, che mescola il genere "majokko" con tematiche mature e profonde, né forse è quello che ha avuto le idee di sceneggiatura più originali. Nonostante tutto esso rimane, senza dubbio, il miglior mahō shōjo della storia.
La trama la conosciamo tutti, una ragazzina di nome Madoka, una normalissima adolescente, anche se un po' limitata e dal carattere fragile, si ritrova suo malgrado in una guerra eterna tra le maghe e le streghe, spinta da un lato a sottoscrivere un contratto con Kyubey, piccolo esserino dai poteri magici, e dall'altro a salvarsi e rinunciare al conflitto per il proprio bene. A fianco a lei si muovono i personaggi secondari, ognuno con le proprie sofferenze e difficoltà. La storia si dipana quindi tra continui colpi di scena, forte di atmosfere cupe e surreali, quasi le ambientazioni fossero il riflesso della mente delle protagoniste.
Qualcuno potrebbe dire che la trama non è nulla di eccezionale, eppure il modo in cui viene proposta è qualcosa di sublime, quadrato, perfetto a livello grammaticale. Una storia coerente, sensata, che inizia e finisce come un cerchio perfetto; una dolce melodia sintetica che non ha bisogno di continui recap, 'spiegoni' (ce ne sono, ma non così fastidiosi) e filler. Ogni episodio ha un senso, uno scopo, una progettualità: non esistono tempi morti, non esiste minutaggio gettato via. Ad ogni modo non è la storia in sé quello che conta.
Sono i personaggi ad essere il focus della storia, che non ha alcun timore di esplorare con delicatezza quelle sofferenze adolescenziali che molto spesso gli adulti sottovalutano.
Mami, una maga veterana, condannata a un destino di solitudine. Sayaka, migliore amica di Madoka, e la sua lenta discesa nell'abisso della depressione. Kyouko, vittima di sofferenze della vita, anch'essa condannata a confrontarsi con la sensazione di vuoto e perdita di ogni significato nell'esistenza. Infine Homura, miglior personaggio della serie e uno dei meglio costruiti di tutta l'animazione a me nota: la rappresentazione del vuoto e dell'apatia, ma anche dell'amore più viscerale e disperato; lei è l'essenza di come le inevitabili tragedie dell'essere umano conducano alla perdita dell'umanità stessa, e al tempo stesso rappresentazione della speranza, della lotta perpetua contro il destino ineluttabile.
Tutti questi personaggi sono sviscerati con gentilezza, quasi il regista fosse un chirurgo con i fiori al posto dei bisturi. Non c'è nulla di strillato, di esagerato... tutto viene mostrato con naturalezza: un dialogo, un volto, uno sguardo, tutto è centellinato a regola d'arte. Qui le interpretazioni si sprecano, c'è chi vede nelle cinque protagoniste le cinque fasi del lutto, chi invece pensa alle streghe come la metafora dei problemi psicologici e della crescita che tutti abbiamo affrontato e così via; a mio parere, il solo fatto che esitano teorie così dissimili dimostra la profondità dell'anime, la capacità di far discutere e parlare di sé.
Per quanto riguarda l'apparato tecnico, è fondamentalmente perfetto, sia per quanto concerne la regia estremamente ispirata, che riesce ad amalgamare in modo poetico quegli elementi altrimenti banali, sia per le animazioni, le musiche, il sonoro, il design degli ambienti e tutto il resto.
Accanto a una regia che non stanca e che ti tiene incollato allo schermo come una cozza sullo scoglio, il comparto grafico esplode nelle scene deliranti e surreali in cui sono rappresentate le streghe: una scelta coraggiosa ma riuscita, in cui per una volta i mostri non sono semplicemente brutti e pieni di denti, ma veri e propri quadri folli immersi in un labirinto di pazzia e insensatezza; come moderne Alice le protagoniste discendono la tana del coniglio bianco per affrontare le proprie paure.
I fondali, la città, tutto quanto è ispirato e diverso dai classici stilemi anime. La cura per i particolari si vede in ogni dettaglio dell'anime, a cominciare dalla colonna sonora, che fa egregiamente il suo lavoro e non è mai troppo presente. Le scene d'azione sono animate benissimo per l'epoca, così come i volti dei personaggi.
Il comparto sonoro, in definitiva, sebbene abbia qualche piccola incertezza qua e là, riesce a farsi percepire come passabile e gradevole. Ultimo appunto va fatto al montaggio, eccezionale e sempre azzeccato.
È proprio l'apparato tecnico a distanziare questo anime dalla concorrenza, più che la trama in sé. In un'opera del genere, come in un film, la grammatica registica, di sceneggiatura, di messa in scena ecc. è ciò che fa la differenza; per questo i remake di opere famose fanno spesso schifo, anche se la trama è sempre uguale. "Madoka Magica" prende tutti gli elementi del genere cui appartiene e li rielabora in modo nuovo, altisonante. Il motivo principale del successo va proprio a questo, è una gioia da vedere, da sentire, da vivere; ti tiene incollato allo schermo, gioca con i colori e le ombre, ti fa uscire di testa coi design dei mostri e riempie gli sfondi di dettagli onirici e surreali che fanno pensare di essere in una città eterna e fuori dal mondo.
Proprio come Kubrick non sarebbe Kubrick senza la sua regia, "Madoka Magica" è "Madoka Magica" in virtù di come è raccontata la storia, non di cosa racconta. Le emozioni dei personaggi sono palpabili, vivide, si percepiscono come reali; i colpi di scena arrivano al momento giusto e, anche se sono telefonati, ti rimangono impressi; le scene drammatiche sono poche eppure tremendamente taglienti. Nessun altro anime del genere aveva mai raggiunto una qualità così elevata su praticamente ogni cosa al tempo stesso. E nessun anime dopo "Madoka Magica", dello stesso genere, ha mai superato "Madoka Magica": perché non basta prendere delle maghette e farle stare uno schifo, per fare "Madoka Magica"; quest'anime ha ucciso il genere di cui fa parte, creando qualcosa di inarrivabile sia qualitativamente che quantitativamente.
In definitiva, "Madoka Magica" prende a piene mani da tutto ciò che l'ha preceduto, non si inventa nulla, ma smonta pezzo per pezzo gli stilemi narrativi e i cliché del genere, per poi ricomporli come un Picasso e riproporli al pubblico accompagnati da un comparto tecnico eccellente, che a distanza di dieci anni e passa ancora fa la sua porca figura (vedetelo in Bluray); affiancando ad esso una trama sì banale, ma anche efficace ed emozionante, dei personaggi ben scritti e con cui chiunque abbia un vago ricordo della sua adolescenza, o sia adolescente, può identificarsi. Il tutto è mixato bene, senza che nessun elemento superi gli altri o li metta in secondo piano. L'opera tratta temi profondi e complessi e vive del non detto, basta uno sguardo o un dialogo di poche righe per farci capire tutto il dolore di una Sayaka sull'orlo del baratro; bastano poche parole per farci investire dalla malinconia di Homura; non servono spiegazioni sulle intenzioni di Mami, perché dopo solo alcune battute è chiaro cosa la spinga.
In molti scambiano la sintesi, il non mostrare, l'essere delicati, con la superficialità. In questa storia c'è molto di appena sfiorato, ma non per superficiale volontà di proporre un tema e mai affrontarlo davvero: moltissime cose sono trattate con dolcezza e poetica, appena sussurrate. Io adoro quando un prodotto non prende per mano lo spettatore, quando ti lascia la possibilità di riempire i vuoti con la fantasia e la logica: lo stesso Kyubey, uno dei pochi anti-antagonisti dell'animazione e motore della vicenda, viene poco esplorato. Insomma, a prima vista questo anime potrebbe sembrare superficiale, commerciale e volutamente edgy, ma in realtà vive della sensibilità di chi lo guarda, e tanto più si è disposti a concentrarsi, tanto più si intuisce sulla storia e sui personaggi.
Per tutte queste ragioni "Madoka Magica" è un capolavoro, un'opera da 10. Ci sono tanti difetti di cui potrei parlare, alcuni 'spiegoni' di troppo, il ritmo dei primi episodi eccessivamente lento, la pochezza stessa di minutaggio che costringe gli autori a 'rushare' molti eventi importanti, alcune scelte bizzarre dei personaggi, il carattere a tratti insopportabile della protagonista... Insomma, potremmo rimanere qui ore a parlare di tutti i difetti di quest'opera, ma sinceramente nessuno di loro è tale da rendere la visione fastidiosa o da inficiare i pregi: perché 10 non si dà a un'opera perfetta, ma a quell'opera che in virtù dei suoi pregi rimane nella storia nonostante i numerosi difetti. Se dovessi essere oggettivo fino all'inverosimile, darei un 8,5, ma dare un voto oggettivo non ha senso in questi casi: perché allora "Star Wars" sarebbe da 6 e di "Neon Genesis Evangelion" manco ne parliamo. Certe volte un'opera ha qualcosa, qualcosa di magico che la rende immortale. Probabilmente ad oggi non abbiamo più bisogno di "Madoka Magica", i gusti sono cambiati, il pubblico si è evoluto; ma esso rimane un cult, una piccola, piccolissima perla che fortunatamente è stata salvata dall'abisso in cui finiscono moltissimi anime, usciti e dimenticati dal tempo, e che è rimasta come uno di quei prodotti che ogni appassionato dovrebbe vedere.
Insomma "Puella Magi Madoka Magica" è un classico dell'animazione giapponese, un capolavoro del suo genere, un'opera difettosa e bellissima.
"Hai mai sentito parlare di entropia?"
Esso è qualcosa che rimane nel tempo, che dopo anni ha ancora qualcosa da dire, che alza l'asticella del suo genere, che copia e innova al tempo stesso, portando una ventata d'aria fresca nel panorama dell'intrattenimento, in ultima analisi si tratta di un prodotto che al tempo stesso è insuperabile e distruttivo: un qualcosa che uccide il suo genere o sotto-genere di appartenenza, un qualcosa con cui bisogna fare i conti quando si scrive, si dirige, si disegna... un qualcosa di immortale. Riuscite a immaginare un film di fantascienza che non tenga conto di "Blade Runner"? Oppure un fantasy che ignori "Il Signore degli Anelli"? Questi non sono dei capolavori perché perfetti, a ben vedere si tratta di opere imprecise, colme di piccoli e grandi problemi, sono dei capolavori perché sono rimasti, mentre tanti altri film sono stati dimenticati, e sono rimasti perché avevano qualcosa di speciale.
"Madoka Magica" è tutto questo, è un anime pieno di problemi più o meno gravi che però è passato alla storia, un anime che a distanza di anni dalla sua uscita ancora fa discutere, riflettere, pensare. Non si tratta certo della prima opera del suo tipo, che mescola il genere "majokko" con tematiche mature e profonde, né forse è quello che ha avuto le idee di sceneggiatura più originali. Nonostante tutto esso rimane, senza dubbio, il miglior mahō shōjo della storia.
La trama la conosciamo tutti, una ragazzina di nome Madoka, una normalissima adolescente, anche se un po' limitata e dal carattere fragile, si ritrova suo malgrado in una guerra eterna tra le maghe e le streghe, spinta da un lato a sottoscrivere un contratto con Kyubey, piccolo esserino dai poteri magici, e dall'altro a salvarsi e rinunciare al conflitto per il proprio bene. A fianco a lei si muovono i personaggi secondari, ognuno con le proprie sofferenze e difficoltà. La storia si dipana quindi tra continui colpi di scena, forte di atmosfere cupe e surreali, quasi le ambientazioni fossero il riflesso della mente delle protagoniste.
Qualcuno potrebbe dire che la trama non è nulla di eccezionale, eppure il modo in cui viene proposta è qualcosa di sublime, quadrato, perfetto a livello grammaticale. Una storia coerente, sensata, che inizia e finisce come un cerchio perfetto; una dolce melodia sintetica che non ha bisogno di continui recap, 'spiegoni' (ce ne sono, ma non così fastidiosi) e filler. Ogni episodio ha un senso, uno scopo, una progettualità: non esistono tempi morti, non esiste minutaggio gettato via. Ad ogni modo non è la storia in sé quello che conta.
Sono i personaggi ad essere il focus della storia, che non ha alcun timore di esplorare con delicatezza quelle sofferenze adolescenziali che molto spesso gli adulti sottovalutano.
Mami, una maga veterana, condannata a un destino di solitudine. Sayaka, migliore amica di Madoka, e la sua lenta discesa nell'abisso della depressione. Kyouko, vittima di sofferenze della vita, anch'essa condannata a confrontarsi con la sensazione di vuoto e perdita di ogni significato nell'esistenza. Infine Homura, miglior personaggio della serie e uno dei meglio costruiti di tutta l'animazione a me nota: la rappresentazione del vuoto e dell'apatia, ma anche dell'amore più viscerale e disperato; lei è l'essenza di come le inevitabili tragedie dell'essere umano conducano alla perdita dell'umanità stessa, e al tempo stesso rappresentazione della speranza, della lotta perpetua contro il destino ineluttabile.
Tutti questi personaggi sono sviscerati con gentilezza, quasi il regista fosse un chirurgo con i fiori al posto dei bisturi. Non c'è nulla di strillato, di esagerato... tutto viene mostrato con naturalezza: un dialogo, un volto, uno sguardo, tutto è centellinato a regola d'arte. Qui le interpretazioni si sprecano, c'è chi vede nelle cinque protagoniste le cinque fasi del lutto, chi invece pensa alle streghe come la metafora dei problemi psicologici e della crescita che tutti abbiamo affrontato e così via; a mio parere, il solo fatto che esitano teorie così dissimili dimostra la profondità dell'anime, la capacità di far discutere e parlare di sé.
Per quanto riguarda l'apparato tecnico, è fondamentalmente perfetto, sia per quanto concerne la regia estremamente ispirata, che riesce ad amalgamare in modo poetico quegli elementi altrimenti banali, sia per le animazioni, le musiche, il sonoro, il design degli ambienti e tutto il resto.
Accanto a una regia che non stanca e che ti tiene incollato allo schermo come una cozza sullo scoglio, il comparto grafico esplode nelle scene deliranti e surreali in cui sono rappresentate le streghe: una scelta coraggiosa ma riuscita, in cui per una volta i mostri non sono semplicemente brutti e pieni di denti, ma veri e propri quadri folli immersi in un labirinto di pazzia e insensatezza; come moderne Alice le protagoniste discendono la tana del coniglio bianco per affrontare le proprie paure.
I fondali, la città, tutto quanto è ispirato e diverso dai classici stilemi anime. La cura per i particolari si vede in ogni dettaglio dell'anime, a cominciare dalla colonna sonora, che fa egregiamente il suo lavoro e non è mai troppo presente. Le scene d'azione sono animate benissimo per l'epoca, così come i volti dei personaggi.
Il comparto sonoro, in definitiva, sebbene abbia qualche piccola incertezza qua e là, riesce a farsi percepire come passabile e gradevole. Ultimo appunto va fatto al montaggio, eccezionale e sempre azzeccato.
È proprio l'apparato tecnico a distanziare questo anime dalla concorrenza, più che la trama in sé. In un'opera del genere, come in un film, la grammatica registica, di sceneggiatura, di messa in scena ecc. è ciò che fa la differenza; per questo i remake di opere famose fanno spesso schifo, anche se la trama è sempre uguale. "Madoka Magica" prende tutti gli elementi del genere cui appartiene e li rielabora in modo nuovo, altisonante. Il motivo principale del successo va proprio a questo, è una gioia da vedere, da sentire, da vivere; ti tiene incollato allo schermo, gioca con i colori e le ombre, ti fa uscire di testa coi design dei mostri e riempie gli sfondi di dettagli onirici e surreali che fanno pensare di essere in una città eterna e fuori dal mondo.
Proprio come Kubrick non sarebbe Kubrick senza la sua regia, "Madoka Magica" è "Madoka Magica" in virtù di come è raccontata la storia, non di cosa racconta. Le emozioni dei personaggi sono palpabili, vivide, si percepiscono come reali; i colpi di scena arrivano al momento giusto e, anche se sono telefonati, ti rimangono impressi; le scene drammatiche sono poche eppure tremendamente taglienti. Nessun altro anime del genere aveva mai raggiunto una qualità così elevata su praticamente ogni cosa al tempo stesso. E nessun anime dopo "Madoka Magica", dello stesso genere, ha mai superato "Madoka Magica": perché non basta prendere delle maghette e farle stare uno schifo, per fare "Madoka Magica"; quest'anime ha ucciso il genere di cui fa parte, creando qualcosa di inarrivabile sia qualitativamente che quantitativamente.
In definitiva, "Madoka Magica" prende a piene mani da tutto ciò che l'ha preceduto, non si inventa nulla, ma smonta pezzo per pezzo gli stilemi narrativi e i cliché del genere, per poi ricomporli come un Picasso e riproporli al pubblico accompagnati da un comparto tecnico eccellente, che a distanza di dieci anni e passa ancora fa la sua porca figura (vedetelo in Bluray); affiancando ad esso una trama sì banale, ma anche efficace ed emozionante, dei personaggi ben scritti e con cui chiunque abbia un vago ricordo della sua adolescenza, o sia adolescente, può identificarsi. Il tutto è mixato bene, senza che nessun elemento superi gli altri o li metta in secondo piano. L'opera tratta temi profondi e complessi e vive del non detto, basta uno sguardo o un dialogo di poche righe per farci capire tutto il dolore di una Sayaka sull'orlo del baratro; bastano poche parole per farci investire dalla malinconia di Homura; non servono spiegazioni sulle intenzioni di Mami, perché dopo solo alcune battute è chiaro cosa la spinga.
In molti scambiano la sintesi, il non mostrare, l'essere delicati, con la superficialità. In questa storia c'è molto di appena sfiorato, ma non per superficiale volontà di proporre un tema e mai affrontarlo davvero: moltissime cose sono trattate con dolcezza e poetica, appena sussurrate. Io adoro quando un prodotto non prende per mano lo spettatore, quando ti lascia la possibilità di riempire i vuoti con la fantasia e la logica: lo stesso Kyubey, uno dei pochi anti-antagonisti dell'animazione e motore della vicenda, viene poco esplorato. Insomma, a prima vista questo anime potrebbe sembrare superficiale, commerciale e volutamente edgy, ma in realtà vive della sensibilità di chi lo guarda, e tanto più si è disposti a concentrarsi, tanto più si intuisce sulla storia e sui personaggi.
Per tutte queste ragioni "Madoka Magica" è un capolavoro, un'opera da 10. Ci sono tanti difetti di cui potrei parlare, alcuni 'spiegoni' di troppo, il ritmo dei primi episodi eccessivamente lento, la pochezza stessa di minutaggio che costringe gli autori a 'rushare' molti eventi importanti, alcune scelte bizzarre dei personaggi, il carattere a tratti insopportabile della protagonista... Insomma, potremmo rimanere qui ore a parlare di tutti i difetti di quest'opera, ma sinceramente nessuno di loro è tale da rendere la visione fastidiosa o da inficiare i pregi: perché 10 non si dà a un'opera perfetta, ma a quell'opera che in virtù dei suoi pregi rimane nella storia nonostante i numerosi difetti. Se dovessi essere oggettivo fino all'inverosimile, darei un 8,5, ma dare un voto oggettivo non ha senso in questi casi: perché allora "Star Wars" sarebbe da 6 e di "Neon Genesis Evangelion" manco ne parliamo. Certe volte un'opera ha qualcosa, qualcosa di magico che la rende immortale. Probabilmente ad oggi non abbiamo più bisogno di "Madoka Magica", i gusti sono cambiati, il pubblico si è evoluto; ma esso rimane un cult, una piccola, piccolissima perla che fortunatamente è stata salvata dall'abisso in cui finiscono moltissimi anime, usciti e dimenticati dal tempo, e che è rimasta come uno di quei prodotti che ogni appassionato dovrebbe vedere.
Insomma "Puella Magi Madoka Magica" è un classico dell'animazione giapponese, un capolavoro del suo genere, un'opera difettosa e bellissima.
"Hai mai sentito parlare di entropia?"
Neon Genesis Evangelion
7.0/10
“Evangelion è una storia che si ripete. È una storia in cui il protagonista assiste ad infiniti orrori con i suoi occhi, ma prova comunque a non piegarsi. È una storia di forza di volontà, una storia di progressi anche solo piccolissimi. È una storia di paura, in cui qualcuno che deve affrontare una solitudine indefinibile è terrorizzato dallo stringere legami, ma che comunque ci prova lo stesso.”
Sono passati ormai quindici anni dalla violenta catastrofe nota come "Second Impact", che provocò la morte di oltre tre miliardi di persone. Questo incidente, dalle cause non del tutto note, portò le persone a rifugiarsi in alcune città tecnologicamente avanzate, tra cui Neo Tokyo-3. Proprio in questa città, hanno inizio le vicende di uno studente molto introverso di nome Shinji Ikari, che verrà reclutato come pilota dell'Eva-01, un enorme robot costruito appositamente per combattere delle strane creature soprannominate "Angeli", che attaccano continuamente le città minacciando di provocare una terza catastrofe.
Il primo paragrafo riprende esattamente le parole di Hideaki Anno, a proposito dell’anime da lui ideato, “Neon Genesis Evangelion”. Il secondo riporta la trama così come la trovate sulla scheda dell’anime in questione. Quelli successivi, che credo saranno abbastanza lunghi, spiegano perché un capolavoro tanto acclamato come “Neon Genesis Evangelion” mi abbia annoiato.
“Neon Genesis Evangelion” è il tipico caso di opera preceduta dalla sua fama. In giro per il web, che sia su YouTube o siano i reel di Instagram, si sprecano i panegirici su un anime tanto bello, profondo e pionieristico come “Evangelion”, che gode della fama di anime drammatico-psicologico per antonomasia. Prima ancora di iniziarlo, dunque, sapevo a cosa andassi incontro e che, con buone probabilità, non mi sarebbe piaciuto, come piace a tre quarti del globo terracqueo. L’obiezione che mi si potrebbe muovere, a buon diritto, sarebbe: “Che cosa te lo sei visto a fare, allora?”. Beh, converrete anche voi, amanti e non di questo brand, che “Evangelion” vada visto almeno una volta nella vita, perché, nel bene o nel male, ha realmente rivoluzionato il mondo dell’animazione giapponese una volta e per sempre. Armato di pazienza e voglia di immergermi in questo universo immenso, dunque, ho dato il via alla visione di “Evangelion”, non senza un minimo di aspettative. Il risultato è stato, ahimè, alquanto deludente. E vi avverto, se siete persone suscettibili, che non accettano pareri negativi sul loro anime preferito, potete anche cambiare canale.
“Neon Genesis Evangelion” ha, innanzitutto, la pretesa di essere un mecha anime. Il presupposto, dunque, è che i protagonisti combattano a bordo di robot giganti per salvare il mondo. Tale è la dinamica anche in “Evangelion”, in cui, però, come molti di voi converranno, la componente mecha è solamente secondaria, perché la maggior parte degli sforzi sono concentrati su quella psicologica. I robot in sé sono ben congegnati e si nota chiaramente l’influenza esercitata su quanti sono venuti dopo. Tra Dummy Plug, AT-Field e circuiti di collegamento la situazione è tanto ben articolata, quanto poco avvincente. I combattimenti sono presenti e anche in numero elevato, considerando che, almeno fino alla sua metà, l’anime si regge su episodi autoconclusivi, in cui gli Eva si scontrano con l’Angelo malcapitato di turno. Il tutto, però, è privo di mordente. Sai già come andrà a finire e, cosa peggiore, i combattimenti durano un battito di ciglia. In quanto amante del mecha, sono uno strenuo sostenitore delle mazzate ignoranti tra robottoni. Tolte quelle, tolto il divertimento. Di certo, non mi aspettavo lotte spettacolari alla “Gurren Lagann”, ma neanche scontri così scialbi, che, il più delle volte, seguono la dinamica del: entro, spacco, esco, ciao.
A fianco alla dicitura mecha, poi, se ne dovrebbe trovare un’altra: fantascienza. La storia è ambientata in una sorta di mondo post-apocalittico, che è riuscito a risollevarsi e, grazie alle avanzate tecnologie, addirittura a migliorarsi. Proprio sulla catastrofe che colpì la terra quindici anni fa, il “Second Impact”, e l’organizzazione speciale creata per combattere gli Angeli, la Nerv, a cui se ne legano tante altre, come la Seele, gravano tantissimi interrogativi. Proprio questa è, a mio modesto parere, la parte più interessante della storia. Che qualcosa non vada e strane macchinazioni siano in atto dietro le quinte, all’oscuro di tutto e tutti, lo si capisce molto presto, ma sono il modo in cui viene gestita la situazione e come la verità viene dispiegandosi a poco a poco, che mi permettono di sorridere pensando a “Neon Genesis Evangelion”. Qui la storia si fa realmente avvincente e riesce a catturare appieno lo spettatore, nonostante il rischio di perdersi in alcuni passaggi fin troppo complessi. Purtroppo, però, non è tutto oro quel che luccica e la scelta di abbandonare completamente questa parte della storia, nel momento in cui si profilava la possibilità di un “Third Impact” e sarebbe dovuto giungere a conclusione il progetto per il perfezionamento dell’uomo, l’ho trovata incredibilmente stupida. “Eh, ma c’è “The End of Evangelion!”. Io, però, qui sto giudicando la serie originale e, per quanto mi riguarda, è come se la storia fosse rimasta incompiuta. Insoddisfacente.
Infine, c’è l’ultima dicitura: drammatico-psicologico. Qui, subentra la noia, la calma piatta, l’impossibilità da parte mia di riuscire ad affezionarmi a dei personaggi con un retroterra anche sufficientemente interessante, penso per esempio ad Asuka, la cui vita è un lamento continuo, un eterno disprezzare sé stessi, arrivando alla conclusione ultima, e cosa più giusta e banale non poteva esserci, che bisogna imparare ad accettarsi un poco alla volta e non vergognarsi nel cercare l’aiuto del prossimo. Il messaggio sarà stato anche innovativo per l’epoca, anche se questo mi induce a riflettere su quale fosse la situazione nel Giappone di fine Novecento, ma io spettatore non posso subirmi mezz’ora di flusso di coscienza ininterrotto nelle ultime due puntate, dopo le pippe mentali continue degli episodi precedenti, soltanto per arrivare a questa conclusione. Assolutamente no. E credetemi, ho cercato di comprendere le sofferenze, i traumi, la solitudine; ho tentato di immedesimarmi nei personaggi, ragazzini di quattordici anni a cui si chiede di salvare il mondo, ma non sono riuscito ad empatizzare con nessuno di loro, fatta eccezione, forse, per la povera Misato. Anzi, lì dove mi sarei dovuto emozionare maggiormente, crescevano la noia e il disinteresse. Nei confronti di personaggi che riescono solo a lamentarsi e fare il contrario di quello che pensano - sì, sto parlando di te, Asuka - non sono riuscito a provare compassione. Inoltre, mi disturba profondamente che, a soli quattordici anni, questi ragazzi siano già dei complessati mentali di questa guisa. Non oso immaginare toccata la soglia dei trenta. Tutti i personaggi di “Evangelion” sono dei problematici, allucinati, tra chi ha problemi con la figura paterna e chi con quella materna, che provano un forte senso di solitudine, concetto che viene ribadito fino alla nausea. Ecco, “Evangelion” non solo mi ha annoiato, ma mi ha anche fatto arrabbiare, perché, per quanto mi riguarda, vuole essere inutilmente complesso. Per arrivare alla conclusione ultima cui si approda nel finale, si sarebbero potute tranquillamente evitare le puntate 25 e 26, completamente inutili, così da spendere meglio gli scarsi 600 yen utilizzati per produrle. E vi assicuro che è la schiettezza che parla, non l’odio. Quello lo provo solamente nei confronti di chi inneggia al capolavoro senza aver capito una mazza, come il sottoscritto, che ad un certo punto non si è neanche più sforzato di comprendere, e chi esalta le idee illuminate del grandissimo Hideaki Anno, che è stato bravo solamente nel copiare Pirandello.
Nota al merito per le animazioni, di gran lunga sopra la media per gli anime del tempo e invecchiate benissimo, e per le musiche favolose, tra cui l’opening, “A Cruel Angel’s Thesis”.
Per concludere, da un lato vi faccio i miei complimenti se siete arrivati fin qui, anche se sono abbastanza sicuro che esistano parecchi che hanno declamato orazioni molto più lunghe della mia a proposito di “Evangelion”, dall’altro vi confesso il mio sospetto di aver tralasciato qualcosa in questa recensione, per quanto io la ritenga abbastanza completa, infine vi invito ad accettare, non condividere, il mio pensiero che, per quanto possa differire dal vostro, merita rispetto, anche perché mi sembra di non aver insultato la madre di nessuno, almeno non pubblicamente. Detto questo, mi piacerebbe chiudere con una piccola perla, utile a ricordarvi come gira il mondo: “Neanche Gesù piaceva a tutti.”
Sono passati ormai quindici anni dalla violenta catastrofe nota come "Second Impact", che provocò la morte di oltre tre miliardi di persone. Questo incidente, dalle cause non del tutto note, portò le persone a rifugiarsi in alcune città tecnologicamente avanzate, tra cui Neo Tokyo-3. Proprio in questa città, hanno inizio le vicende di uno studente molto introverso di nome Shinji Ikari, che verrà reclutato come pilota dell'Eva-01, un enorme robot costruito appositamente per combattere delle strane creature soprannominate "Angeli", che attaccano continuamente le città minacciando di provocare una terza catastrofe.
Il primo paragrafo riprende esattamente le parole di Hideaki Anno, a proposito dell’anime da lui ideato, “Neon Genesis Evangelion”. Il secondo riporta la trama così come la trovate sulla scheda dell’anime in questione. Quelli successivi, che credo saranno abbastanza lunghi, spiegano perché un capolavoro tanto acclamato come “Neon Genesis Evangelion” mi abbia annoiato.
“Neon Genesis Evangelion” è il tipico caso di opera preceduta dalla sua fama. In giro per il web, che sia su YouTube o siano i reel di Instagram, si sprecano i panegirici su un anime tanto bello, profondo e pionieristico come “Evangelion”, che gode della fama di anime drammatico-psicologico per antonomasia. Prima ancora di iniziarlo, dunque, sapevo a cosa andassi incontro e che, con buone probabilità, non mi sarebbe piaciuto, come piace a tre quarti del globo terracqueo. L’obiezione che mi si potrebbe muovere, a buon diritto, sarebbe: “Che cosa te lo sei visto a fare, allora?”. Beh, converrete anche voi, amanti e non di questo brand, che “Evangelion” vada visto almeno una volta nella vita, perché, nel bene o nel male, ha realmente rivoluzionato il mondo dell’animazione giapponese una volta e per sempre. Armato di pazienza e voglia di immergermi in questo universo immenso, dunque, ho dato il via alla visione di “Evangelion”, non senza un minimo di aspettative. Il risultato è stato, ahimè, alquanto deludente. E vi avverto, se siete persone suscettibili, che non accettano pareri negativi sul loro anime preferito, potete anche cambiare canale.
“Neon Genesis Evangelion” ha, innanzitutto, la pretesa di essere un mecha anime. Il presupposto, dunque, è che i protagonisti combattano a bordo di robot giganti per salvare il mondo. Tale è la dinamica anche in “Evangelion”, in cui, però, come molti di voi converranno, la componente mecha è solamente secondaria, perché la maggior parte degli sforzi sono concentrati su quella psicologica. I robot in sé sono ben congegnati e si nota chiaramente l’influenza esercitata su quanti sono venuti dopo. Tra Dummy Plug, AT-Field e circuiti di collegamento la situazione è tanto ben articolata, quanto poco avvincente. I combattimenti sono presenti e anche in numero elevato, considerando che, almeno fino alla sua metà, l’anime si regge su episodi autoconclusivi, in cui gli Eva si scontrano con l’Angelo malcapitato di turno. Il tutto, però, è privo di mordente. Sai già come andrà a finire e, cosa peggiore, i combattimenti durano un battito di ciglia. In quanto amante del mecha, sono uno strenuo sostenitore delle mazzate ignoranti tra robottoni. Tolte quelle, tolto il divertimento. Di certo, non mi aspettavo lotte spettacolari alla “Gurren Lagann”, ma neanche scontri così scialbi, che, il più delle volte, seguono la dinamica del: entro, spacco, esco, ciao.
A fianco alla dicitura mecha, poi, se ne dovrebbe trovare un’altra: fantascienza. La storia è ambientata in una sorta di mondo post-apocalittico, che è riuscito a risollevarsi e, grazie alle avanzate tecnologie, addirittura a migliorarsi. Proprio sulla catastrofe che colpì la terra quindici anni fa, il “Second Impact”, e l’organizzazione speciale creata per combattere gli Angeli, la Nerv, a cui se ne legano tante altre, come la Seele, gravano tantissimi interrogativi. Proprio questa è, a mio modesto parere, la parte più interessante della storia. Che qualcosa non vada e strane macchinazioni siano in atto dietro le quinte, all’oscuro di tutto e tutti, lo si capisce molto presto, ma sono il modo in cui viene gestita la situazione e come la verità viene dispiegandosi a poco a poco, che mi permettono di sorridere pensando a “Neon Genesis Evangelion”. Qui la storia si fa realmente avvincente e riesce a catturare appieno lo spettatore, nonostante il rischio di perdersi in alcuni passaggi fin troppo complessi. Purtroppo, però, non è tutto oro quel che luccica e la scelta di abbandonare completamente questa parte della storia, nel momento in cui si profilava la possibilità di un “Third Impact” e sarebbe dovuto giungere a conclusione il progetto per il perfezionamento dell’uomo, l’ho trovata incredibilmente stupida. “Eh, ma c’è “The End of Evangelion!”. Io, però, qui sto giudicando la serie originale e, per quanto mi riguarda, è come se la storia fosse rimasta incompiuta. Insoddisfacente.
Infine, c’è l’ultima dicitura: drammatico-psicologico. Qui, subentra la noia, la calma piatta, l’impossibilità da parte mia di riuscire ad affezionarmi a dei personaggi con un retroterra anche sufficientemente interessante, penso per esempio ad Asuka, la cui vita è un lamento continuo, un eterno disprezzare sé stessi, arrivando alla conclusione ultima, e cosa più giusta e banale non poteva esserci, che bisogna imparare ad accettarsi un poco alla volta e non vergognarsi nel cercare l’aiuto del prossimo. Il messaggio sarà stato anche innovativo per l’epoca, anche se questo mi induce a riflettere su quale fosse la situazione nel Giappone di fine Novecento, ma io spettatore non posso subirmi mezz’ora di flusso di coscienza ininterrotto nelle ultime due puntate, dopo le pippe mentali continue degli episodi precedenti, soltanto per arrivare a questa conclusione. Assolutamente no. E credetemi, ho cercato di comprendere le sofferenze, i traumi, la solitudine; ho tentato di immedesimarmi nei personaggi, ragazzini di quattordici anni a cui si chiede di salvare il mondo, ma non sono riuscito ad empatizzare con nessuno di loro, fatta eccezione, forse, per la povera Misato. Anzi, lì dove mi sarei dovuto emozionare maggiormente, crescevano la noia e il disinteresse. Nei confronti di personaggi che riescono solo a lamentarsi e fare il contrario di quello che pensano - sì, sto parlando di te, Asuka - non sono riuscito a provare compassione. Inoltre, mi disturba profondamente che, a soli quattordici anni, questi ragazzi siano già dei complessati mentali di questa guisa. Non oso immaginare toccata la soglia dei trenta. Tutti i personaggi di “Evangelion” sono dei problematici, allucinati, tra chi ha problemi con la figura paterna e chi con quella materna, che provano un forte senso di solitudine, concetto che viene ribadito fino alla nausea. Ecco, “Evangelion” non solo mi ha annoiato, ma mi ha anche fatto arrabbiare, perché, per quanto mi riguarda, vuole essere inutilmente complesso. Per arrivare alla conclusione ultima cui si approda nel finale, si sarebbero potute tranquillamente evitare le puntate 25 e 26, completamente inutili, così da spendere meglio gli scarsi 600 yen utilizzati per produrle. E vi assicuro che è la schiettezza che parla, non l’odio. Quello lo provo solamente nei confronti di chi inneggia al capolavoro senza aver capito una mazza, come il sottoscritto, che ad un certo punto non si è neanche più sforzato di comprendere, e chi esalta le idee illuminate del grandissimo Hideaki Anno, che è stato bravo solamente nel copiare Pirandello.
Nota al merito per le animazioni, di gran lunga sopra la media per gli anime del tempo e invecchiate benissimo, e per le musiche favolose, tra cui l’opening, “A Cruel Angel’s Thesis”.
Per concludere, da un lato vi faccio i miei complimenti se siete arrivati fin qui, anche se sono abbastanza sicuro che esistano parecchi che hanno declamato orazioni molto più lunghe della mia a proposito di “Evangelion”, dall’altro vi confesso il mio sospetto di aver tralasciato qualcosa in questa recensione, per quanto io la ritenga abbastanza completa, infine vi invito ad accettare, non condividere, il mio pensiero che, per quanto possa differire dal vostro, merita rispetto, anche perché mi sembra di non aver insultato la madre di nessuno, almeno non pubblicamente. Detto questo, mi piacerebbe chiudere con una piccola perla, utile a ricordarvi come gira il mondo: “Neanche Gesù piaceva a tutti.”
Serial Experiments Lain
10.0/10
Tra le vette più elevate del "cyberpunk" dell'animazione giapponese... il dramma della solitudine.
Fino ad oggi mi è capitato solo in un'altra occasione di visionare un anime che mi abbia colpito come "serial experiments lain", ed è "Tenshi no Tamago" di M. Oshii.
Mi riferisco non tanto ai contenuti (molto diversi per le due opere), quanto allo stile espositivo, con una regia sempre "on the edge" tra realtà e percezione di essa, metaforica, un po' folle, visionaria, tanto che durante la visione non è difficile perdersi in quei primissimi piani degli occhioni inespressivi della protagonista Lain, in quella sua personalissima visione della realtà così tanto lontana da quella cui siamo abituati.
Vedere "serial experiments lain" (d'ora in avanti "SEL") è a parer mio un'esperienza "immersiva": è come indossare un visore che rielabora, filtrando e alterando quanto ci circonda, e mostrandolo alla nostra mente come una sorta di verità "alternativa" e anche "deformata", in cui l'oggettività abdica in favore della commistione della realtà con l'inconscio, con le paure, timori, interrogativi, l'alienazione, le nevrosi e fissazioni dei personaggi di questa serie e in particolare della protagonista.
Vorrei evitare la facile constatazione che "SEL" sia "solo" un anime distopico, visionario e anticipatore di una tendenza che oggi è sotto gli occhi di tutti. È sicuramente una constatazione che avvalora "SEL" come una pietra miliare del genere cyberpunk, ma che non può limitarsi solo ad avere come pregio illustrare in modo molto originale, con atmosfere cupe e secondo lo stile dell'epoca, l'illusione del mondo virtuale come nuova dimensione esistenziale alternativa alla realtà.
Semmai "SEL" vuole esprimere un vero e proprio concetto di pura astrazione che può essere espresso con termini come "visione del mondo", "immagine del mondo" o "concezione del mondo", ossia la "weltanschauung" di Lain, e quindi di coloro che hanno concepito e realizzato la serie.
Sperando di non esagerare, "SEL" è proprio una sorta di delirio mistico degli autori della serie e della loro "weltanschauung". Un po' come in "Neon Genesis Evangelion" di Hideaki Anno, il concetto di voler fuggire dalla realtà per rifugiarsi in una realtà parallela, artefatta, confortevole e in apparenza incomprensibile in cui si è altro da sé è piuttosto evidente.
Se per Shinji in "NGE" tale concetto lo si comprenderà solo al termine della tetralogia del "Rebuild of Evangelion", in "SEL" lo si apprezza quasi da subito: Lain sembra "bipolare", una versione nel Wired virtuale e una nella realtà fisica antinomiche in tutto e per tutto.
A differenza di "NGE", "SEL" ha il pregio di compattare il suo personale "percorso" sulla concezione del mondo in soli tredici episodi, pervenendo ad un epilogo con un impatto di minor positività rispetto a quello espresso da Anno.
"SEL" parte da un suicidio di una ragazzina delle superiori, per raggiungere Dio (la felicità?) nel Wired, e arriva, attraverso il percorso delirante e oscuro di Lain, ad affermare che l'uomo sarebbe felice se riuscisse a negare tutti gli elementi che lo contraddistinguono: perdere tutti i legami con la realtà fino alla propria corporeità (negare la propria essenza) e assurgere a mera entità astratta composta da bit digitali che possano essere riscritti/copiati/modificati ad libitum, per vivere felici e per consentire a coloro che stanno a cuore di tale "essenza metafisica" di essere a loro volta felici.
Paradigmatici sono gli episodi finali in cui Lain "resetta" quanto visto fino a quel punto, per far sì che la sua "amica" Arisu possa essere nuovamente felice e non continuare ad essere emarginata a causa di Lain.
Ecco finalmente uno dei leit motiv della "cultura" otaku: il desiderio di fuggire dalla realtà e di modificarla a piacimento, per riscrivere eventi traumatici o dolorosi che rendono la vita reale insopportabile. La scena della reazione alla scoperta da parte di Lain che i suoi genitori erano "fittizi" è quanto mai "umana" e "vera", e avvalora ulteriormente tale concetto.
Il finale resta una metafora agrodolce del percorso intrapreso e illustrato dalla serie: Lain incontra la sua amica Arisu ormai adulta e in procinto di sposarsi.
Arisu non la riconosce, ma percepisce che Lain è stata una persona significativa nel suo passato, e Lain, pur essendo una sorta di entità astratta, ha riacquistato la sua corporeità per poterla nuovamente incontrare fisicamente... assumendo ancora le fattezze di una ragazzina adolescente, che stride con il fisico ormai maturo di Arisu. A ben poco serve l'ultima frase di chiusura dell'ultimo episodio in cui Lain dichiara che sarà sempre presente come entità astratta nella vita di Arisu e di tutte le persone con cui ha avuto modo di relazionarsi.
Se, dal punto di vista della trama, "SEL" potrebbe essere visto come il percorso escatologico delle persone che non riescono a vivere la realtà (secondo la "weltanschauung" di Chiaki Konaka e di Yoshitoshi Abe), dal punto di vista dello stile registico l'opera rappresenta un unicum dirompente e a suo modo originale e geniale.
E in questo caso bisogno dare atto a Ryutaro Nakamura (deceduto nel 2013) di essere assurto a uno dei registi di anime assimilabile come tecnica e sperimentalismo ad un altro grandissimo come Mamoru Oshii (di cui accennavo a inizio recensione e autore non solo di "Tenshi no Tamago" e "Lamù - Beautiful Dreamer", ma soprattutto del ben più noto "Ghost in the Shell"). In "SEL" Nakamura ha dato fondo alle sue abilità, riuscendo a produrre un'opera sezionando le immagini e la loro prospettiva in primi piani ritraenti occhi, tralicci, cavi, volti di persone dall'espressione inquietante. Montaggi allucinogeni con colori cupi, saturi, per non scrivere dei rumori armonizzati con le immagini rappresentate.
I tralicci elettrici, e quel ronzio di fondo fastidioso e disturbante su sfondi dai colori inquietanti e così poco naturali sono il suo marchio di fabbrica, tanto da rendere la visione di "SEL" una sorta di viaggio psichedelico in preda a sostanze psicotrope...
"SEL" è pertanto un anime di non immediata fruizione sia per la trama sia per la rappresentazione visiva, che non consente spesso di comprendere con certezza il senso di quanto in visione. È tuttavia una serie concepita e realizzata con grande attenzione per i dettagli, che spesso crea disagio per la drammaticità delle situazioni narrate. Richiede molta concentrazione e approcciare alla narrazione consapevoli del probabile spirito cui sembra ispirarsi l'opera: "Non esiste nessuno a cui piaccia la solitudine. È solo che odio le delusioni" (Haruki Murakami - Norwegian wood).
Fino ad oggi mi è capitato solo in un'altra occasione di visionare un anime che mi abbia colpito come "serial experiments lain", ed è "Tenshi no Tamago" di M. Oshii.
Mi riferisco non tanto ai contenuti (molto diversi per le due opere), quanto allo stile espositivo, con una regia sempre "on the edge" tra realtà e percezione di essa, metaforica, un po' folle, visionaria, tanto che durante la visione non è difficile perdersi in quei primissimi piani degli occhioni inespressivi della protagonista Lain, in quella sua personalissima visione della realtà così tanto lontana da quella cui siamo abituati.
Vedere "serial experiments lain" (d'ora in avanti "SEL") è a parer mio un'esperienza "immersiva": è come indossare un visore che rielabora, filtrando e alterando quanto ci circonda, e mostrandolo alla nostra mente come una sorta di verità "alternativa" e anche "deformata", in cui l'oggettività abdica in favore della commistione della realtà con l'inconscio, con le paure, timori, interrogativi, l'alienazione, le nevrosi e fissazioni dei personaggi di questa serie e in particolare della protagonista.
Vorrei evitare la facile constatazione che "SEL" sia "solo" un anime distopico, visionario e anticipatore di una tendenza che oggi è sotto gli occhi di tutti. È sicuramente una constatazione che avvalora "SEL" come una pietra miliare del genere cyberpunk, ma che non può limitarsi solo ad avere come pregio illustrare in modo molto originale, con atmosfere cupe e secondo lo stile dell'epoca, l'illusione del mondo virtuale come nuova dimensione esistenziale alternativa alla realtà.
Semmai "SEL" vuole esprimere un vero e proprio concetto di pura astrazione che può essere espresso con termini come "visione del mondo", "immagine del mondo" o "concezione del mondo", ossia la "weltanschauung" di Lain, e quindi di coloro che hanno concepito e realizzato la serie.
Sperando di non esagerare, "SEL" è proprio una sorta di delirio mistico degli autori della serie e della loro "weltanschauung". Un po' come in "Neon Genesis Evangelion" di Hideaki Anno, il concetto di voler fuggire dalla realtà per rifugiarsi in una realtà parallela, artefatta, confortevole e in apparenza incomprensibile in cui si è altro da sé è piuttosto evidente.
Se per Shinji in "NGE" tale concetto lo si comprenderà solo al termine della tetralogia del "Rebuild of Evangelion", in "SEL" lo si apprezza quasi da subito: Lain sembra "bipolare", una versione nel Wired virtuale e una nella realtà fisica antinomiche in tutto e per tutto.
A differenza di "NGE", "SEL" ha il pregio di compattare il suo personale "percorso" sulla concezione del mondo in soli tredici episodi, pervenendo ad un epilogo con un impatto di minor positività rispetto a quello espresso da Anno.
"SEL" parte da un suicidio di una ragazzina delle superiori, per raggiungere Dio (la felicità?) nel Wired, e arriva, attraverso il percorso delirante e oscuro di Lain, ad affermare che l'uomo sarebbe felice se riuscisse a negare tutti gli elementi che lo contraddistinguono: perdere tutti i legami con la realtà fino alla propria corporeità (negare la propria essenza) e assurgere a mera entità astratta composta da bit digitali che possano essere riscritti/copiati/modificati ad libitum, per vivere felici e per consentire a coloro che stanno a cuore di tale "essenza metafisica" di essere a loro volta felici.
Paradigmatici sono gli episodi finali in cui Lain "resetta" quanto visto fino a quel punto, per far sì che la sua "amica" Arisu possa essere nuovamente felice e non continuare ad essere emarginata a causa di Lain.
Ecco finalmente uno dei leit motiv della "cultura" otaku: il desiderio di fuggire dalla realtà e di modificarla a piacimento, per riscrivere eventi traumatici o dolorosi che rendono la vita reale insopportabile. La scena della reazione alla scoperta da parte di Lain che i suoi genitori erano "fittizi" è quanto mai "umana" e "vera", e avvalora ulteriormente tale concetto.
Il finale resta una metafora agrodolce del percorso intrapreso e illustrato dalla serie: Lain incontra la sua amica Arisu ormai adulta e in procinto di sposarsi.
Arisu non la riconosce, ma percepisce che Lain è stata una persona significativa nel suo passato, e Lain, pur essendo una sorta di entità astratta, ha riacquistato la sua corporeità per poterla nuovamente incontrare fisicamente... assumendo ancora le fattezze di una ragazzina adolescente, che stride con il fisico ormai maturo di Arisu. A ben poco serve l'ultima frase di chiusura dell'ultimo episodio in cui Lain dichiara che sarà sempre presente come entità astratta nella vita di Arisu e di tutte le persone con cui ha avuto modo di relazionarsi.
Se, dal punto di vista della trama, "SEL" potrebbe essere visto come il percorso escatologico delle persone che non riescono a vivere la realtà (secondo la "weltanschauung" di Chiaki Konaka e di Yoshitoshi Abe), dal punto di vista dello stile registico l'opera rappresenta un unicum dirompente e a suo modo originale e geniale.
E in questo caso bisogno dare atto a Ryutaro Nakamura (deceduto nel 2013) di essere assurto a uno dei registi di anime assimilabile come tecnica e sperimentalismo ad un altro grandissimo come Mamoru Oshii (di cui accennavo a inizio recensione e autore non solo di "Tenshi no Tamago" e "Lamù - Beautiful Dreamer", ma soprattutto del ben più noto "Ghost in the Shell"). In "SEL" Nakamura ha dato fondo alle sue abilità, riuscendo a produrre un'opera sezionando le immagini e la loro prospettiva in primi piani ritraenti occhi, tralicci, cavi, volti di persone dall'espressione inquietante. Montaggi allucinogeni con colori cupi, saturi, per non scrivere dei rumori armonizzati con le immagini rappresentate.
I tralicci elettrici, e quel ronzio di fondo fastidioso e disturbante su sfondi dai colori inquietanti e così poco naturali sono il suo marchio di fabbrica, tanto da rendere la visione di "SEL" una sorta di viaggio psichedelico in preda a sostanze psicotrope...
"SEL" è pertanto un anime di non immediata fruizione sia per la trama sia per la rappresentazione visiva, che non consente spesso di comprendere con certezza il senso di quanto in visione. È tuttavia una serie concepita e realizzata con grande attenzione per i dettagli, che spesso crea disagio per la drammaticità delle situazioni narrate. Richiede molta concentrazione e approcciare alla narrazione consapevoli del probabile spirito cui sembra ispirarsi l'opera: "Non esiste nessuno a cui piaccia la solitudine. È solo che odio le delusioni" (Haruki Murakami - Norwegian wood).
Probabilmente ci sono, così come ci sono per i 10 delle altre opere, le recensioni non sono altro che opinioni personali, non accontentano mai tutti !!!
Dice bene la recensione di Madoka, tutto è centellinato a regola d'arte, e mi soffermerei sulla bellezza dei dialoghi, affascinanti, incantevoli, sentirli è un piacere. Sono pochi gli anime (ed è un peccato) a poter contare su dialoghi tanto incisivi.
Devo dire che ho i dvd/vhs (Di Lain sono anni che cerco i dvd/bluray) di tutte le opere recensite.
una serie di una bellezza abbacinante, l'adoro!
Le altre due confesso che non le ho viste e mi sa che non mi verrà mai la voglia di vederle (forse Madoka che un po' mi incuriosisce)
ormai è noto che o lo si odia o lo si ama, c'è una fanbase feroce cosi come è altrettanto feroce chi lo detesta ahahah
Beh, in realtà il mio atteggiamento verso questo capolavoro potrebbe più o meno riassumersi con
nun me ne po' fregà de meno
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