JoJo Battle Tendency Cover 1Sono passati cinquant’anni dalle vicende di Phantom Blood e, nonostante il malvagio Dio Brando sia stato debellato, la memoria di quella battaglia è ancora viva nelle menti di chi l’ha vissuta.
L’oscura ombra della Maschera di Pietra, tuttavia, non accenna a scomparire e torna a manifestarsi nella figura di un’antichissima e primordiale stirpe di guerrieri invincibili che, addormentati nella roccia, tornano in vita per reclamare il possesso del loro antico pianeta Terra.
Il compito di fermarli spetta a Joseph “Jojo” Joestar, scanzonato nipote del protagonista della prima serie, che non ci farà troppo rimpiangere il nonno.

In un certo senso simile ma anche profondamente diversa dall’avventura precedente, Battle Tendency non manca di sorprenderci e coinvolgerci, regalandoci una storia dall’incipit forse meno originale, pur tuttavia non parco di continui e sorprendenti colpi di scena, e una prosecuzione delle vicende tremendamente appassionante.
Hirohiko Araki comincia a crescere come artista, un po’ in tutti i sensi.
Migliora lo stile grafico, che mantiene ed esalta quelle bizzarrie così caratteristiche che tanto ci avevano affascinato nella prima storia. Ritroviamo quindi personaggi dall’enorme possanza fisica ma anche dal turgido vigore e dalla sorprendente agilità, che assumono pose da contorsionisti, indossano abiti assurdi, appariscenti e un po’ pacchiani e svolgono combattimenti al limite dell’incredibile. I disegni risentono ancora un po’ dell’influenza dello stile del collega Tetsuo Hara, ma si fanno più dettagliati e personali col proseguire della vicenda, rendendo Battle Tendency un po’ una piccola gioia per gli occhi, a cui perdoniamo le saltuarie imprecisioni anatomiche o prospettiche che di tanto in tanto saltano fuori ma che non fanno che aumentare la “bizzarria” del tutto.
Palese differenza con la serie precedente è un’atmosfera meno splatter e meno cupa. Ci saranno anche qui pathos, scontri violenti, zombi e vampiri, drammi, tragedie e scene di grande impatto sia visivo sia emotivo, ma il tutto sarà stemperato da diverse gag e da molteplici sparate e sboronate un po’ trash che ricorderanno non poco lo stile di un altro collega mangaka di Jump dell’epoca, Akira “Otoko Juku” Miyashita.
Emblema di questo nuovo modus narrandi sborone, tamarro e un po’ trash che spesso e volentieri si darà ad un’esagerazione tanto grande da sembrare quasi ridicola è lo stesso protagonista Joseph, che a differenza del serioso nonno Johnathan è un personaggio iperattivo, scalmanato, con la battuta e i pugni sempre pronti e più incline a una certa vivacità tipica dell’adolescenza. Joseph (e l’autore insieme a lui) è un vulcano d’inventiva, sempre pronto a sfruttare la sua tecnica di combattimento nei modi più impensati, spesso ai limiti dell’assurdo o della violenza, e capace di trarsi d’impaccio in ogni situazione agendo all’ultimo secondo in modo da stupire chi partecipa alle sue avventure.
Si tratta di un personaggio in un certo senso più umano e meno costruito a tavolino rispetto al precedente protagonista, e che quindi riesce più facilmente a entrare nel cuore dei lettori. Tuttavia, anche gli altri personaggi godranno di un’ottima caratterizzazione e riusciranno a scolpirsi a tal punto nella mente del pubblico che sono da ricercare (anche) nel cast di Battle Tendency le origini di fortunatissime star di futuri videogiochi quali i vari Rose, Bison, Guile o Gill di Street Fighter.

JoJo Battle Tendency 1La storia si mostra di più ampio respiro rispetto a quella di Phantom Blood e, fra un colpo di scena e l’altro, cambia vicende, scopi e ambientazioni un numero impressionante di volte considerato il moderato numero di volumi che compongono l’opera.
A far da cornice ai soliti allenamenti alla Dragon Ball e ai soliti scontri ai limiti del sovrumano, avremo stavolta un’avventura che porterà i nostri eroi a girare dagli Stati Uniti all’Italia, dall’Inghilterra alla Svizzera, dalla Grecia al Messico, sulle tracce di un mistero sovrannaturale che non poco ricorda la trilogia cinematografica di Indiana Jones che all’epoca furoreggiava nei cinema di tutto il mondo. Cosa peraltro resa ancor più evidente dal setting storico, che stavolta è quello del primo dopoguerra, con tanto di nazisti farseschi come avveniva appunto nei film del famoso archeologo.
Purtroppo, in confronto alla splendida atmosfera della Londra vittoriana della prima storia, le ambientazioni di questa seconda avventura risultano un po’ meno curate e più approssimative e stereotipate, con tanto di qualche errore geografico e una rappresentazione delle popolazioni coinvolte che sa molto di luogo comune (i poliziotti yankee razzisti, gli italiani malavitosi e guasconi…). Si tratta comunque di un difetto infinitesimale, che passa in secondo piano perché ci si fa trasportare dalla storia e perché a Jojo non si richiede, in fondo, il realismo, ma l’azione più sfrenata.
Azione che, come da programma, non manca e ci regala combattimenti tremendamente avvincenti e sanguinosi, scene talmente forti da essere a volte un po’ trash e scontri dove saranno la strategia, le variabili, l’intuizione e lo spirito d’adattamento a farla da padrone, più che le supertecniche.
Un piacevolissimo elemento presente già nella prima storia e qui ampliato sono poi le sempre apprezzabilissime citazioni musicali che si nascondono nei nomi dei personaggi. Fra Kenny Loggins e Jim Messina, i Wham, i Dire Straits, i Creedence Clearwater, gli AC/DC e Carlos Santana sono moltissimi i riferimenti a cantanti o gruppi musicali dell’epoca insiti in questa storia, e giocare a scovarli sarà un’ulteriore, piacevolissima, chiave di lettura dell’opera.

Mi sento quindi, ancora una volta, di promuovere Hirohiko Araki e il suo bizzarro Jojo.
L’autore è riuscito a superarsi, regalandoci una storia avvincente che si legge tutta d’un fiato, piena d’azione, di colpi di scena e di personaggi difficilmente dimenticabili, affinando peraltro anche lo stile di disegno di pari passo con la narrazione.
È una storia che non potrebbe mai nascere oggi come oggi ma che non stentiamo a credere sia stata creata in un periodo, quello di fine anni ’80, in cui sulle pagine di Shonen Jump campeggiavano titoli pieni di combattimenti e un umorismo dall’estetica un po’ trash come Otoko Juku e nei cinema di tutto il mondo si perpetrava un vivo interesse per l’azione e le avventure a stampo archeologico grazie ai mai dimenticati film del buon Harrison Ford.
Un periodo di cui, detto fra noi, è facile oggi come oggi avere un po’ nostalgia. Beh, nel caso si voglia ritornare un po’ indietro a quegli anni, Le bizzarre avventure di Jojo è qui in fumetteria apposta per questo scopo, pronto a far emozionare i nostalgici degli anni ’80 e a conquistare nuovi fans.