Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Caotiche giornate Lucchesi vengono coadiuvate dalle opere dello studio Ghibli: Arrietty, Totoro, La città incantata.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Si inizia dal suono, stavolta, che è il comparto migliore di Arrietty. Se fossimo alti dieci centimetri i rumori, anche quelli a noi più impercettibili si amplificherebbero. La piccola Arrietty, alla sua prima caccia notturna di oggetti "presi in prestito" con il padre, sente il ronzio degli elettrodomestici e il ticchettio degli orologi in lontananza, con un certo timore, che si unisce allo stupore nell'assistere all'imponenza dei mobili e di tutti gli altri oggetti della cucina. Sì perché il film Ghibli non si limita a rimpicciolire i personaggi per poi farli interagire con gli umani, crea due mondi ben distinti, quello a noi visibile, e quello invisibile.

Punto fermo del maestro Miyazaki da oltre vent'anni, la trasposizione animata dei racconti "Gli Sgraffignoli" (traduzione errata di The Borrowers, "prestanti" o meglio ancora "prendinprestito") di Mary Norton è finalmente realtà, grazie alla tenacia del produttore Toshio Suzuki che, una volta scartata l'idea di affidare la regia allo stesso Miyazaki, convoca il giovane ma già navigato Hiromasa Yonebayashi per questo importante progetto, che si era fatto notare per le sue doti di animatore (sua è la scena più spettacolare di Ponyo, quella con le onde a forma di pesce). Scelta che si rivelerà vincente, è dal 1998, anno della tragica e prematura scomparsa di Yoshifumi Kondō (Mimi wo Sumaseba) il più promettente tra i registi, che i due fondatori cercano potenziali successori. Ovviamente è ancora presto per stappare lo spumante, ma indubbiamente la prima è buona, Yonebayashi, pur con la supervisione di Miyazaki, ha dimostrato di essere all'altezza dello Studio, Karigurashi no Arrietty è un piccolo gioiello che di Ghibli ha tutto, dai dettagliatissimi scenari ai movimenti dei capelli della protagonista che ne fanno cogliere le emozioni.

Se la narrazione resta semplice e abbastanza basilare per tutta la sua durata, come spesso capita sono i piccoli accorgimenti e i fattori di contorno a rendere il lavoro pregevole, dal già citato sound editing agli splendidi sfondi, che non sono solo ornamento, ma vanno a completare un meraviglioso affresco che coniuga al contempo immaginario e quotidiano. La famiglia di Arrietty è praticamente formata da stereotipi al punto che sembra quasi una sit-com, dal padre lavoratore alla madre casalinga e perennemente in ansia, completa ovviamente il quadro la figlia adolescenza e curiosa di scoprire il mondo. Il contatto tra la ragazza e Sho, giovane umano cagionevole di salute - chiaro omaggio al personaggio di Colin de "Il Giardino Segreto" -, stravolge l'armonia familiare che si vede costretta a traslocare qualora vengano scoperti dagli umani. Sho è un personaggio atipico nel panorama Ghibliano, figura cinica e negativa, guarda la razza dei prendinprestito con compassione, piuttosto che con interesse, essendo in via di estinzione, e non mancherà di ferire i sentimenti di Arrietty per via della sua inadeguatezza nell'approcciarsi con il prossimo. Ciononostante la regia si adopera nel disporre i personaggi sullo stesso piano fotografico, fare sì che i loro sguardi si incrocino, nonostante la differenza di statura, con lui sdraiato sul letto nei primi incontri, lui sdraiato sull'erba in quello successivo, lei sulla cima di una staccionata nell'ultimo, quello del congedo. E gli sguardi, tanti, presenti nel lungometraggio, sono uno dei punti di forza del linguaggio non-verbale, è incredibile come si riesca a scaturire moltitudini di emozioni tramite il semplice character design Ghibliano, dal primo, interminabile e silenzioso incontro tra Sho e Arritty, e i successivi.

Le musiche, a cura della cantante e musicista Cécile Corbel (che interpreta il tema finale "Arrietty's Song" in diverse lingue, italiano compreso), sono di sicuro impatto, con le loro tonalità celtiche e anglosassoni, ma che a mio avviso non si sposano perfettamente nel contesto del film, forti e sovente invadenti, belle ma poco adatte ad accompagnare lo stile Ghibli. Non essendo la Corbel una musicista cinematografica i brani risultano quasi fuori posto, aggiuntive, al contrario delle melodie di Joe Hisaishi, che invece trovavano perfetta armonia con le immagini.
In questa recensione ho preferito sorvolare sugli evidenti messaggi lanciati dal film, sul consumismo di massa, sulle etnie che scompaiono, proprio perché evidenti, preferendo focalizzare l'attenzione sulle piccole cose, perché Arrietty è questo, uno sguardo curioso su un mondo a noi così vicino, eppure ignorato. Ché si può stare ore ad affermare che tutto sommato il film riprende il Ghibli a noi noto, che non ha l'immaginario del miglior Miyazaki o l'impatto emotivo di un Takahata, ma indubbiamente cattura lo spettatore e manipola il tempo, non lo subisce, un inno al passato e al contempo uno sguardo al futuro, al nuovo che incombe, nello Studio Ghibli come nel mondo. Insomma che volere di più, un intreccio? Personaggi "profondi"? Andiamo.



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'Totoro' è un film diretto e sceneggiato da Hayao Miyazaki, celeberrimo artista la cui fama riecheggia perfino oltre gli angusti confini del paese del sol levante. Si tratta di un'opera che possiede un substrato personale tale da legarsi strettamente all'autore: al suo passato, ai suoi dolori, alle sue gioie, alle sue speranze.
Il lungometraggio si presenta caratterizzato da un'ambientazione bucolica e tranquilla, estremamente pacifica e vicina alla natura. Le persone vivono coltivando, a contatto con un ambiente incontaminato. Una natura "miyazakianamente" intesa, ovverosia considerata in una accezione morale e animista. La natura infatti interagisce con le due bambine, o forse (viceversa) sono le due bambine a interagire con la natura: nella loro ingenuità (anzi proprio per la loro ingenuità e immaginazione) riescono a trovare una via per comunicare con la medesima, a instaurare con essa un rapporto, un legame, che gli adulti non possono vedere. La buffa e cicciottella divinità diventa il simbolo di come si possa instaurare con il mondo naturale un'empatia quasi spirituale, di come si possa vedere nella natura un amico che ti possa aiutare.
La prospettiva più genuina e spontanea con cui avvicinarsi al film è pertanto quella dei fanciulli. Un approccio immediato e ingenuo, privo di aspettative, offre la più autentica delle sorprese; una fiaba semplice e lineare, dove tutto è magico, è grande, è giocoso, fantastico: un sogno, perché è così che il mondo appare (dovrebbe apparire) agli occhi di un bambino. Proprio dalle più piccole cose possono nascerne di grandi, basta saper guardare con gli occhi giusti.

'Totoro' assume poi delle lievi sfumature malinconiche. Poc'anzi accennavamo al fatto che il film fosse collegato con l'esperienza di vita del suo autore, assumendo così un retrogusto nostalgico appena percettibile. Miyazaki sembra rievocare il fantasma di un passato tragico filtrato e rimaneggiato in modo puerile, mostrando una realtà idillica che va a sostituire quella sudicia e non accogliente che il mondo ci offre e da cui vogliamo proteggerci. In questo ambiente (l'infanzia), incantato e senza tempo, giacciono assopiti dolci sentimenti domestici e infinite speranze di avvenire. Tuttavia cedere a queste illusioni è una sconfitta duplice, poiché si chiudono gli occhi innanzi alla realtà, e si crea un mondo sostitutivo al suo posto. La magia rimane negli occhi ingenui dei bambini, e null'altro. Questa interpretazione è caldeggiata dalla scelta della location "arcadica" e da alcuni riferimenti autobiografici, come la situazione familiare delle due fanciulle. La madre di Miyazaki era similmente malata (di tubercolosi) e costretta a letto in ospedale. Inoltre non deve sfuggire che la collocazione storica di 'Totoro', anni '50, poco dopo la conclusione del conflitto mondiale, si potrebbe identificare in un ipotetico dopoguerra alternativo, dove viene sottratto l'orrore da questa causato. Da tale angolazione il film sembra quasi una sorta di reazione, una fuga, dall'atrocità del conflitto e della realtà che per il Giappone è stato un notevole trauma. 'Totoro' potrebbe sembrare in effetti l'altra faccia della medaglia rispetto ad "Una tomba per le lucciole" (di Takahata) dove il mondo viene al contrario palesato senza eufemismi di sorta.

Complessivamente, che si guardi il lungometraggio in una determinata prospettiva piuttosto che nell'altra, considero 'Totoro' un film pressochè vuoto, per certi versi decisamente più leggero e sottile di alcuni suoi consanguinei. Proprio per questo, tuttavia, si rivela maggiormente apprezzabile rispetto ai secondi, alle volte afflitti da una asfissiante e compatta idealità ben maggiore e fastidiosa.
Un'opera che possono apprezzare davvero tutti, atta a suscitare effetti di facile commozione presso un pubblico relativamente poco pretenzioso e acritico. Voto: 6/7.



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Chihiro's adventures in wonderland

Le opere di Hayao Miyazaki sono sempre state concepite per un pubblico universale, per età e per cultura, con un particolare riguardo per i giovani spettatori, che nei protagonisti possono riconoscersi e vivere nei loro panni straordinarie avventure in mondi fantastici, che funzionano come illuminanti e istruttive metafore. "La città incantata" ne è un brillante esempio.
Considerato da molti il capolavoro di Miyazaki, è forse il film più ambizioso del "dio degli anime" con i suoi 1.900.000.000 yen messi a disposizione dallo Studio Ghibli e un contratto di distribuzione internazionale con il colosso hollywoodiano Disney-Buena Vista. Un investimento che ha portato la pellicola a fare incetta di premi in giro per il globo alla sua uscita nel 2001. Fra i molti riconoscimenti possiamo ricordare l'Oscar come miglior film d'animazione (il primo della storia assegnato a un anime), l'Orso d'oro a Berlino, quattro Annie Awards e il Leone d'Oro alla carriera per Miyazaki ricevuto alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2005.

Chihiro è una ragazzina pigra e svogliata. Il trasferimento con i suoi genitori in una nuova città non la esalta e, allorquando l'intera famigliola si smarrisce con l'auto in un boschetto alla fine di un sentiero sterrato, la piccola si ritrova catapultata e intrappolata in un misterioso mondo incantato inaccessibile agli umani: si tratta di un complesso termale destinato a rinfrancare gli spiriti e le divinità della natura logorate e stressate dalla frenesia materialistica del mondo moderno. Una volta all'interno di questo luogo magico, Chihiro dovrà ingegnarsi per liberare i suoi genitori da un incantesimo che li ha tramutati in maiali e, come una moderna Alice, inizierà una mirabolante avventura in cui il suo carattere debole e indolente verrà messo a dura prova. Non le resterà che rimboccarsi le maniche e cominciare il lungo e faticoso cammino verso la maturità.

Liberamente tratto dal romanzo "Il meraviglioso paese oltre la nebbia" della scrittrice Kashiwaba Sachiko, l'anime unisce il racconto di formazione a una fantasmagoria che attinge direttamente alla fonte dell'antica tradizione folkloristica del Sol Levante (con particolare riferimento alla mitologia scintoista e alle credenze sui kami' e sugli yōkai') in una suggestiva favola sulla semplicità d'animo e sulla forza dell'altruismo.
Chihiro, oltre ai problemi pratici di tutti i giorni che risolve con sorprendente spirito di sacrificio, deve affrontare nuovi sentimenti come la solitudine, l'indifferenza, e l'amore. Così, passo dopo passo, riesce a superare tutte le prove che le si presentano, anche la temporanea perdita della sua identità, grazie alla sua forza interiore e all'aiuto delle brave persone che incontra nel corso della sua avventura. Si prefigura così, tra momenti di grande poesia e passaggi di incontenibile forza immaginifica, una potente metafora del passaggio della protagonista in una fase della vita più complessa e problematica: l'adolescenza.
Nelle storie di Miyazaki la figura del protagonista è spesso affidata a una ragazza affiancata da un coetaneo dell'altro sesso, formando delle coppie perfette e indivisibili (Conan e Lana, Pazu e Sheeta, Ashitaka e San) che vivono un rapporto preadolescenziale. Questa volta l'autore trascende la sua stessa formula e il legame che si crea tra Chihiro e Haku, che si rivelerà essere lo spirito di un fiume (Kohaku), sottolinea il rapporto indissolubile tra esseri umani ed entità naturali nella sua personale visione ecologista del mondo.

Come in molte opere del maestro, non ci sono dei veri e propri cattivi, ma ci viene presentata una variegata galleria di personaggi che grondano umanità, tutti minuziosamente sfumati, fra cui emergono caratteri e personalità più complesse e sfaccettate. E' il caso delle due arzille vecchiette di turno, Yubaba e Zeniba: in questi due straordinari personaggi si può riconoscere un altro indovinato ammiccamento al classico della letteratura di Louis Carroll, "Alice's adventures in wonderland", in particolare ai ruoli della Regina di cuori e della Duchessa.
La figura dell'anziano è onnipresente nella filmografia del regista di Akebono, che arriverà a basare un intero film a questa età della vita, "Il castello errante di Howl", 2004, sovvertendo le più classiche regole del fantasy.
Nell'intera opera di Miyazaki il vecchio saggio rappresenta un punto di riferimento, ma anche un elemento destabilizzante perché, avendo già vissuto l'età adulta, è tornato a una condizione assimilabile a quella dell'infanzia, e si crea puntualmente un forte legame con il bambino, quasi un ponte esistenziale tra passato e futuro che gli adulti devono percorrere alla ricerca di una sorta equilibrio ciclico dell'esistenza.

Oltre alla terza età e ai giovani, ritornano altri due leitmotiv del regista: la magia del volo ci viene riproposta in una suggestiva sequenza a bordo nientemeno che di un enorme drago bianco; mentre l'immagine del maiale (questa volta nella sua accezione più negativa) evidenzia l'ottusa indifferenza degli adulti di fronte alle istanze e ai bisogni dei fanciulli.

Al pari delle sue potenti streghe il tocco del genio affabulatore di Miyazaki si rivela deciso e sicuro di sé rivelando una vulcanica e inesauribile vena creativa: i suoi acrobatici funambolismi di scena e le sue creature fantastiche risultano particolarmente ispirati e sembrano animarsi come per magia godendo di vita propria sullo schermo.
Estremamente curato nella realizzazione tecnica e artistica, entro se non oltre i già elevatissimi standard dello Studio Ghibli, il film offre raffinati disegni sia nei fondali minuziosamente dettagliati e sia nelle superbe animazioni: da ricordare le scenografie sfarzose e opulente delle stanze di Yubaba, che descrivono le meraviglie di uno stile 'esotico' all'occidentale.
Joe Hisaishi, da sempre compagno di avventura di Miyazaki (ma anche di "Beat" Takeshi Kitano), si conferma come uno dei più dotati compositori giapponesi di colonne sonore per il cinema. Le sue musiche in questo frangente sono strepitose ed elevano oltremodo l'atmosfera rarefatta del film arricchendolo con sonorità di stampo squisitamente etnico e un maestoso arrangiamento orchestrale. Da ricordare le dolcissime e commoventi ballate pianistiche "The name of life" e "One summer's day".

L'impegno ecologista, la passione per il volo, l'attenzione all'infanzia, i ritratti di eroine, l'etica del lavoro, la spiritualità scintoista, le favolose invenzioni e la perfezione tecnica con cui le realizza, sono tutti elementi che fanno di Hayao Miyazaki un patrimonio della storia del cinema e "Sen to Chihiro no kamikakushi" lo celebra in tutto il mondo come maestro indiscusso dell'animazione di tutti i tempi.
Akira Kurosawa diceva di lui: "Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello."