Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Caotiche giornate Lucchesi vengono coadiuvate dalle opere dello studio Ghibli: Arrietty, Totoro, La città incantata.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Caotiche giornate Lucchesi vengono coadiuvate dalle opere dello studio Ghibli: Arrietty, Totoro, La città incantata.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Si inizia dal suono, stavolta, che è il comparto migliore di Arrietty. Se fossimo alti dieci centimetri i rumori, anche quelli a noi più impercettibili si amplificherebbero. La piccola Arrietty, alla sua prima caccia notturna di oggetti "presi in prestito" con il padre, sente il ronzio degli elettrodomestici e il ticchettio degli orologi in lontananza, con un certo timore, che si unisce allo stupore nell'assistere all'imponenza dei mobili e di tutti gli altri oggetti della cucina. Sì perché il film Ghibli non si limita a rimpicciolire i personaggi per poi farli interagire con gli umani, crea due mondi ben distinti, quello a noi visibile, e quello invisibile.
Punto fermo del maestro Miyazaki da oltre vent'anni, la trasposizione animata dei racconti "Gli Sgraffignoli" (traduzione errata di The Borrowers, "prestanti" o meglio ancora "prendinprestito") di Mary Norton è finalmente realtà, grazie alla tenacia del produttore Toshio Suzuki che, una volta scartata l'idea di affidare la regia allo stesso Miyazaki, convoca il giovane ma già navigato Hiromasa Yonebayashi per questo importante progetto, che si era fatto notare per le sue doti di animatore (sua è la scena più spettacolare di Ponyo, quella con le onde a forma di pesce). Scelta che si rivelerà vincente, è dal 1998, anno della tragica e prematura scomparsa di Yoshifumi Kondō (Mimi wo Sumaseba) il più promettente tra i registi, che i due fondatori cercano potenziali successori. Ovviamente è ancora presto per stappare lo spumante, ma indubbiamente la prima è buona, Yonebayashi, pur con la supervisione di Miyazaki, ha dimostrato di essere all'altezza dello Studio, Karigurashi no Arrietty è un piccolo gioiello che di Ghibli ha tutto, dai dettagliatissimi scenari ai movimenti dei capelli della protagonista che ne fanno cogliere le emozioni.
Se la narrazione resta semplice e abbastanza basilare per tutta la sua durata, come spesso capita sono i piccoli accorgimenti e i fattori di contorno a rendere il lavoro pregevole, dal già citato sound editing agli splendidi sfondi, che non sono solo ornamento, ma vanno a completare un meraviglioso affresco che coniuga al contempo immaginario e quotidiano. La famiglia di Arrietty è praticamente formata da stereotipi al punto che sembra quasi una sit-com, dal padre lavoratore alla madre casalinga e perennemente in ansia, completa ovviamente il quadro la figlia adolescenza e curiosa di scoprire il mondo. Il contatto tra la ragazza e Sho, giovane umano cagionevole di salute - chiaro omaggio al personaggio di Colin de "Il Giardino Segreto" -, stravolge l'armonia familiare che si vede costretta a traslocare qualora vengano scoperti dagli umani. Sho è un personaggio atipico nel panorama Ghibliano, figura cinica e negativa, guarda la razza dei prendinprestito con compassione, piuttosto che con interesse, essendo in via di estinzione, e non mancherà di ferire i sentimenti di Arrietty per via della sua inadeguatezza nell'approcciarsi con il prossimo. Ciononostante la regia si adopera nel disporre i personaggi sullo stesso piano fotografico, fare sì che i loro sguardi si incrocino, nonostante la differenza di statura, con lui sdraiato sul letto nei primi incontri, lui sdraiato sull'erba in quello successivo, lei sulla cima di una staccionata nell'ultimo, quello del congedo. E gli sguardi, tanti, presenti nel lungometraggio, sono uno dei punti di forza del linguaggio non-verbale, è incredibile come si riesca a scaturire moltitudini di emozioni tramite il semplice character design Ghibliano, dal primo, interminabile e silenzioso incontro tra Sho e Arritty, e i successivi.
Le musiche, a cura della cantante e musicista Cécile Corbel (che interpreta il tema finale "Arrietty's Song" in diverse lingue, italiano compreso), sono di sicuro impatto, con le loro tonalità celtiche e anglosassoni, ma che a mio avviso non si sposano perfettamente nel contesto del film, forti e sovente invadenti, belle ma poco adatte ad accompagnare lo stile Ghibli. Non essendo la Corbel una musicista cinematografica i brani risultano quasi fuori posto, aggiuntive, al contrario delle melodie di Joe Hisaishi, che invece trovavano perfetta armonia con le immagini.
In questa recensione ho preferito sorvolare sugli evidenti messaggi lanciati dal film, sul consumismo di massa, sulle etnie che scompaiono, proprio perché evidenti, preferendo focalizzare l'attenzione sulle piccole cose, perché Arrietty è questo, uno sguardo curioso su un mondo a noi così vicino, eppure ignorato. Ché si può stare ore ad affermare che tutto sommato il film riprende il Ghibli a noi noto, che non ha l'immaginario del miglior Miyazaki o l'impatto emotivo di un Takahata, ma indubbiamente cattura lo spettatore e manipola il tempo, non lo subisce, un inno al passato e al contempo uno sguardo al futuro, al nuovo che incombe, nello Studio Ghibli come nel mondo. Insomma che volere di più, un intreccio? Personaggi "profondi"? Andiamo.
Punto fermo del maestro Miyazaki da oltre vent'anni, la trasposizione animata dei racconti "Gli Sgraffignoli" (traduzione errata di The Borrowers, "prestanti" o meglio ancora "prendinprestito") di Mary Norton è finalmente realtà, grazie alla tenacia del produttore Toshio Suzuki che, una volta scartata l'idea di affidare la regia allo stesso Miyazaki, convoca il giovane ma già navigato Hiromasa Yonebayashi per questo importante progetto, che si era fatto notare per le sue doti di animatore (sua è la scena più spettacolare di Ponyo, quella con le onde a forma di pesce). Scelta che si rivelerà vincente, è dal 1998, anno della tragica e prematura scomparsa di Yoshifumi Kondō (Mimi wo Sumaseba) il più promettente tra i registi, che i due fondatori cercano potenziali successori. Ovviamente è ancora presto per stappare lo spumante, ma indubbiamente la prima è buona, Yonebayashi, pur con la supervisione di Miyazaki, ha dimostrato di essere all'altezza dello Studio, Karigurashi no Arrietty è un piccolo gioiello che di Ghibli ha tutto, dai dettagliatissimi scenari ai movimenti dei capelli della protagonista che ne fanno cogliere le emozioni.
Se la narrazione resta semplice e abbastanza basilare per tutta la sua durata, come spesso capita sono i piccoli accorgimenti e i fattori di contorno a rendere il lavoro pregevole, dal già citato sound editing agli splendidi sfondi, che non sono solo ornamento, ma vanno a completare un meraviglioso affresco che coniuga al contempo immaginario e quotidiano. La famiglia di Arrietty è praticamente formata da stereotipi al punto che sembra quasi una sit-com, dal padre lavoratore alla madre casalinga e perennemente in ansia, completa ovviamente il quadro la figlia adolescenza e curiosa di scoprire il mondo. Il contatto tra la ragazza e Sho, giovane umano cagionevole di salute - chiaro omaggio al personaggio di Colin de "Il Giardino Segreto" -, stravolge l'armonia familiare che si vede costretta a traslocare qualora vengano scoperti dagli umani. Sho è un personaggio atipico nel panorama Ghibliano, figura cinica e negativa, guarda la razza dei prendinprestito con compassione, piuttosto che con interesse, essendo in via di estinzione, e non mancherà di ferire i sentimenti di Arrietty per via della sua inadeguatezza nell'approcciarsi con il prossimo. Ciononostante la regia si adopera nel disporre i personaggi sullo stesso piano fotografico, fare sì che i loro sguardi si incrocino, nonostante la differenza di statura, con lui sdraiato sul letto nei primi incontri, lui sdraiato sull'erba in quello successivo, lei sulla cima di una staccionata nell'ultimo, quello del congedo. E gli sguardi, tanti, presenti nel lungometraggio, sono uno dei punti di forza del linguaggio non-verbale, è incredibile come si riesca a scaturire moltitudini di emozioni tramite il semplice character design Ghibliano, dal primo, interminabile e silenzioso incontro tra Sho e Arritty, e i successivi.
Le musiche, a cura della cantante e musicista Cécile Corbel (che interpreta il tema finale "Arrietty's Song" in diverse lingue, italiano compreso), sono di sicuro impatto, con le loro tonalità celtiche e anglosassoni, ma che a mio avviso non si sposano perfettamente nel contesto del film, forti e sovente invadenti, belle ma poco adatte ad accompagnare lo stile Ghibli. Non essendo la Corbel una musicista cinematografica i brani risultano quasi fuori posto, aggiuntive, al contrario delle melodie di Joe Hisaishi, che invece trovavano perfetta armonia con le immagini.
In questa recensione ho preferito sorvolare sugli evidenti messaggi lanciati dal film, sul consumismo di massa, sulle etnie che scompaiono, proprio perché evidenti, preferendo focalizzare l'attenzione sulle piccole cose, perché Arrietty è questo, uno sguardo curioso su un mondo a noi così vicino, eppure ignorato. Ché si può stare ore ad affermare che tutto sommato il film riprende il Ghibli a noi noto, che non ha l'immaginario del miglior Miyazaki o l'impatto emotivo di un Takahata, ma indubbiamente cattura lo spettatore e manipola il tempo, non lo subisce, un inno al passato e al contempo uno sguardo al futuro, al nuovo che incombe, nello Studio Ghibli come nel mondo. Insomma che volere di più, un intreccio? Personaggi "profondi"? Andiamo.
Il mio vicino Totoro
6.0/10
'Totoro' è un film diretto e sceneggiato da Hayao Miyazaki, celeberrimo artista la cui fama riecheggia perfino oltre gli angusti confini del paese del sol levante. Si tratta di un'opera che possiede un substrato personale tale da legarsi strettamente all'autore: al suo passato, ai suoi dolori, alle sue gioie, alle sue speranze.
Il lungometraggio si presenta caratterizzato da un'ambientazione bucolica e tranquilla, estremamente pacifica e vicina alla natura. Le persone vivono coltivando, a contatto con un ambiente incontaminato. Una natura "miyazakianamente" intesa, ovverosia considerata in una accezione morale e animista. La natura infatti interagisce con le due bambine, o forse (viceversa) sono le due bambine a interagire con la natura: nella loro ingenuità (anzi proprio per la loro ingenuità e immaginazione) riescono a trovare una via per comunicare con la medesima, a instaurare con essa un rapporto, un legame, che gli adulti non possono vedere. La buffa e cicciottella divinità diventa il simbolo di come si possa instaurare con il mondo naturale un'empatia quasi spirituale, di come si possa vedere nella natura un amico che ti possa aiutare.
La prospettiva più genuina e spontanea con cui avvicinarsi al film è pertanto quella dei fanciulli. Un approccio immediato e ingenuo, privo di aspettative, offre la più autentica delle sorprese; una fiaba semplice e lineare, dove tutto è magico, è grande, è giocoso, fantastico: un sogno, perché è così che il mondo appare (dovrebbe apparire) agli occhi di un bambino. Proprio dalle più piccole cose possono nascerne di grandi, basta saper guardare con gli occhi giusti.
'Totoro' assume poi delle lievi sfumature malinconiche. Poc'anzi accennavamo al fatto che il film fosse collegato con l'esperienza di vita del suo autore, assumendo così un retrogusto nostalgico appena percettibile. Miyazaki sembra rievocare il fantasma di un passato tragico filtrato e rimaneggiato in modo puerile, mostrando una realtà idillica che va a sostituire quella sudicia e non accogliente che il mondo ci offre e da cui vogliamo proteggerci. In questo ambiente (l'infanzia), incantato e senza tempo, giacciono assopiti dolci sentimenti domestici e infinite speranze di avvenire. Tuttavia cedere a queste illusioni è una sconfitta duplice, poiché si chiudono gli occhi innanzi alla realtà, e si crea un mondo sostitutivo al suo posto. La magia rimane negli occhi ingenui dei bambini, e null'altro. Questa interpretazione è caldeggiata dalla scelta della location "arcadica" e da alcuni riferimenti autobiografici, come la situazione familiare delle due fanciulle. La madre di Miyazaki era similmente malata (di tubercolosi) e costretta a letto in ospedale. Inoltre non deve sfuggire che la collocazione storica di 'Totoro', anni '50, poco dopo la conclusione del conflitto mondiale, si potrebbe identificare in un ipotetico dopoguerra alternativo, dove viene sottratto l'orrore da questa causato. Da tale angolazione il film sembra quasi una sorta di reazione, una fuga, dall'atrocità del conflitto e della realtà che per il Giappone è stato un notevole trauma. 'Totoro' potrebbe sembrare in effetti l'altra faccia della medaglia rispetto ad "Una tomba per le lucciole" (di Takahata) dove il mondo viene al contrario palesato senza eufemismi di sorta.
Complessivamente, che si guardi il lungometraggio in una determinata prospettiva piuttosto che nell'altra, considero 'Totoro' un film pressochè vuoto, per certi versi decisamente più leggero e sottile di alcuni suoi consanguinei. Proprio per questo, tuttavia, si rivela maggiormente apprezzabile rispetto ai secondi, alle volte afflitti da una asfissiante e compatta idealità ben maggiore e fastidiosa.
Un'opera che possono apprezzare davvero tutti, atta a suscitare effetti di facile commozione presso un pubblico relativamente poco pretenzioso e acritico. Voto: 6/7.
Il lungometraggio si presenta caratterizzato da un'ambientazione bucolica e tranquilla, estremamente pacifica e vicina alla natura. Le persone vivono coltivando, a contatto con un ambiente incontaminato. Una natura "miyazakianamente" intesa, ovverosia considerata in una accezione morale e animista. La natura infatti interagisce con le due bambine, o forse (viceversa) sono le due bambine a interagire con la natura: nella loro ingenuità (anzi proprio per la loro ingenuità e immaginazione) riescono a trovare una via per comunicare con la medesima, a instaurare con essa un rapporto, un legame, che gli adulti non possono vedere. La buffa e cicciottella divinità diventa il simbolo di come si possa instaurare con il mondo naturale un'empatia quasi spirituale, di come si possa vedere nella natura un amico che ti possa aiutare.
La prospettiva più genuina e spontanea con cui avvicinarsi al film è pertanto quella dei fanciulli. Un approccio immediato e ingenuo, privo di aspettative, offre la più autentica delle sorprese; una fiaba semplice e lineare, dove tutto è magico, è grande, è giocoso, fantastico: un sogno, perché è così che il mondo appare (dovrebbe apparire) agli occhi di un bambino. Proprio dalle più piccole cose possono nascerne di grandi, basta saper guardare con gli occhi giusti.
'Totoro' assume poi delle lievi sfumature malinconiche. Poc'anzi accennavamo al fatto che il film fosse collegato con l'esperienza di vita del suo autore, assumendo così un retrogusto nostalgico appena percettibile. Miyazaki sembra rievocare il fantasma di un passato tragico filtrato e rimaneggiato in modo puerile, mostrando una realtà idillica che va a sostituire quella sudicia e non accogliente che il mondo ci offre e da cui vogliamo proteggerci. In questo ambiente (l'infanzia), incantato e senza tempo, giacciono assopiti dolci sentimenti domestici e infinite speranze di avvenire. Tuttavia cedere a queste illusioni è una sconfitta duplice, poiché si chiudono gli occhi innanzi alla realtà, e si crea un mondo sostitutivo al suo posto. La magia rimane negli occhi ingenui dei bambini, e null'altro. Questa interpretazione è caldeggiata dalla scelta della location "arcadica" e da alcuni riferimenti autobiografici, come la situazione familiare delle due fanciulle. La madre di Miyazaki era similmente malata (di tubercolosi) e costretta a letto in ospedale. Inoltre non deve sfuggire che la collocazione storica di 'Totoro', anni '50, poco dopo la conclusione del conflitto mondiale, si potrebbe identificare in un ipotetico dopoguerra alternativo, dove viene sottratto l'orrore da questa causato. Da tale angolazione il film sembra quasi una sorta di reazione, una fuga, dall'atrocità del conflitto e della realtà che per il Giappone è stato un notevole trauma. 'Totoro' potrebbe sembrare in effetti l'altra faccia della medaglia rispetto ad "Una tomba per le lucciole" (di Takahata) dove il mondo viene al contrario palesato senza eufemismi di sorta.
Complessivamente, che si guardi il lungometraggio in una determinata prospettiva piuttosto che nell'altra, considero 'Totoro' un film pressochè vuoto, per certi versi decisamente più leggero e sottile di alcuni suoi consanguinei. Proprio per questo, tuttavia, si rivela maggiormente apprezzabile rispetto ai secondi, alle volte afflitti da una asfissiante e compatta idealità ben maggiore e fastidiosa.
Un'opera che possono apprezzare davvero tutti, atta a suscitare effetti di facile commozione presso un pubblico relativamente poco pretenzioso e acritico. Voto: 6/7.
La città incantata
10.0/10
Chihiro's adventures in wonderland
Le opere di Hayao Miyazaki sono sempre state concepite per un pubblico universale, per età e per cultura, con un particolare riguardo per i giovani spettatori, che nei protagonisti possono riconoscersi e vivere nei loro panni straordinarie avventure in mondi fantastici, che funzionano come illuminanti e istruttive metafore. "La città incantata" ne è un brillante esempio.
Considerato da molti il capolavoro di Miyazaki, è forse il film più ambizioso del "dio degli anime" con i suoi 1.900.000.000 yen messi a disposizione dallo Studio Ghibli e un contratto di distribuzione internazionale con il colosso hollywoodiano Disney-Buena Vista. Un investimento che ha portato la pellicola a fare incetta di premi in giro per il globo alla sua uscita nel 2001. Fra i molti riconoscimenti possiamo ricordare l'Oscar come miglior film d'animazione (il primo della storia assegnato a un anime), l'Orso d'oro a Berlino, quattro Annie Awards e il Leone d'Oro alla carriera per Miyazaki ricevuto alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2005.
Chihiro è una ragazzina pigra e svogliata. Il trasferimento con i suoi genitori in una nuova città non la esalta e, allorquando l'intera famigliola si smarrisce con l'auto in un boschetto alla fine di un sentiero sterrato, la piccola si ritrova catapultata e intrappolata in un misterioso mondo incantato inaccessibile agli umani: si tratta di un complesso termale destinato a rinfrancare gli spiriti e le divinità della natura logorate e stressate dalla frenesia materialistica del mondo moderno. Una volta all'interno di questo luogo magico, Chihiro dovrà ingegnarsi per liberare i suoi genitori da un incantesimo che li ha tramutati in maiali e, come una moderna Alice, inizierà una mirabolante avventura in cui il suo carattere debole e indolente verrà messo a dura prova. Non le resterà che rimboccarsi le maniche e cominciare il lungo e faticoso cammino verso la maturità.
Liberamente tratto dal romanzo "Il meraviglioso paese oltre la nebbia" della scrittrice Kashiwaba Sachiko, l'anime unisce il racconto di formazione a una fantasmagoria che attinge direttamente alla fonte dell'antica tradizione folkloristica del Sol Levante (con particolare riferimento alla mitologia scintoista e alle credenze sui kami' e sugli yōkai') in una suggestiva favola sulla semplicità d'animo e sulla forza dell'altruismo.
Chihiro, oltre ai problemi pratici di tutti i giorni che risolve con sorprendente spirito di sacrificio, deve affrontare nuovi sentimenti come la solitudine, l'indifferenza, e l'amore. Così, passo dopo passo, riesce a superare tutte le prove che le si presentano, anche la temporanea perdita della sua identità, grazie alla sua forza interiore e all'aiuto delle brave persone che incontra nel corso della sua avventura. Si prefigura così, tra momenti di grande poesia e passaggi di incontenibile forza immaginifica, una potente metafora del passaggio della protagonista in una fase della vita più complessa e problematica: l'adolescenza.
Nelle storie di Miyazaki la figura del protagonista è spesso affidata a una ragazza affiancata da un coetaneo dell'altro sesso, formando delle coppie perfette e indivisibili (Conan e Lana, Pazu e Sheeta, Ashitaka e San) che vivono un rapporto preadolescenziale. Questa volta l'autore trascende la sua stessa formula e il legame che si crea tra Chihiro e Haku, che si rivelerà essere lo spirito di un fiume (Kohaku), sottolinea il rapporto indissolubile tra esseri umani ed entità naturali nella sua personale visione ecologista del mondo.
Come in molte opere del maestro, non ci sono dei veri e propri cattivi, ma ci viene presentata una variegata galleria di personaggi che grondano umanità, tutti minuziosamente sfumati, fra cui emergono caratteri e personalità più complesse e sfaccettate. E' il caso delle due arzille vecchiette di turno, Yubaba e Zeniba: in questi due straordinari personaggi si può riconoscere un altro indovinato ammiccamento al classico della letteratura di Louis Carroll, "Alice's adventures in wonderland", in particolare ai ruoli della Regina di cuori e della Duchessa.
La figura dell'anziano è onnipresente nella filmografia del regista di Akebono, che arriverà a basare un intero film a questa età della vita, "Il castello errante di Howl", 2004, sovvertendo le più classiche regole del fantasy.
Nell'intera opera di Miyazaki il vecchio saggio rappresenta un punto di riferimento, ma anche un elemento destabilizzante perché, avendo già vissuto l'età adulta, è tornato a una condizione assimilabile a quella dell'infanzia, e si crea puntualmente un forte legame con il bambino, quasi un ponte esistenziale tra passato e futuro che gli adulti devono percorrere alla ricerca di una sorta equilibrio ciclico dell'esistenza.
Oltre alla terza età e ai giovani, ritornano altri due leitmotiv del regista: la magia del volo ci viene riproposta in una suggestiva sequenza a bordo nientemeno che di un enorme drago bianco; mentre l'immagine del maiale (questa volta nella sua accezione più negativa) evidenzia l'ottusa indifferenza degli adulti di fronte alle istanze e ai bisogni dei fanciulli.
Al pari delle sue potenti streghe il tocco del genio affabulatore di Miyazaki si rivela deciso e sicuro di sé rivelando una vulcanica e inesauribile vena creativa: i suoi acrobatici funambolismi di scena e le sue creature fantastiche risultano particolarmente ispirati e sembrano animarsi come per magia godendo di vita propria sullo schermo.
Estremamente curato nella realizzazione tecnica e artistica, entro se non oltre i già elevatissimi standard dello Studio Ghibli, il film offre raffinati disegni sia nei fondali minuziosamente dettagliati e sia nelle superbe animazioni: da ricordare le scenografie sfarzose e opulente delle stanze di Yubaba, che descrivono le meraviglie di uno stile 'esotico' all'occidentale.
Joe Hisaishi, da sempre compagno di avventura di Miyazaki (ma anche di "Beat" Takeshi Kitano), si conferma come uno dei più dotati compositori giapponesi di colonne sonore per il cinema. Le sue musiche in questo frangente sono strepitose ed elevano oltremodo l'atmosfera rarefatta del film arricchendolo con sonorità di stampo squisitamente etnico e un maestoso arrangiamento orchestrale. Da ricordare le dolcissime e commoventi ballate pianistiche "The name of life" e "One summer's day".
L'impegno ecologista, la passione per il volo, l'attenzione all'infanzia, i ritratti di eroine, l'etica del lavoro, la spiritualità scintoista, le favolose invenzioni e la perfezione tecnica con cui le realizza, sono tutti elementi che fanno di Hayao Miyazaki un patrimonio della storia del cinema e "Sen to Chihiro no kamikakushi" lo celebra in tutto il mondo come maestro indiscusso dell'animazione di tutti i tempi.
Akira Kurosawa diceva di lui: "Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello."
Le opere di Hayao Miyazaki sono sempre state concepite per un pubblico universale, per età e per cultura, con un particolare riguardo per i giovani spettatori, che nei protagonisti possono riconoscersi e vivere nei loro panni straordinarie avventure in mondi fantastici, che funzionano come illuminanti e istruttive metafore. "La città incantata" ne è un brillante esempio.
Considerato da molti il capolavoro di Miyazaki, è forse il film più ambizioso del "dio degli anime" con i suoi 1.900.000.000 yen messi a disposizione dallo Studio Ghibli e un contratto di distribuzione internazionale con il colosso hollywoodiano Disney-Buena Vista. Un investimento che ha portato la pellicola a fare incetta di premi in giro per il globo alla sua uscita nel 2001. Fra i molti riconoscimenti possiamo ricordare l'Oscar come miglior film d'animazione (il primo della storia assegnato a un anime), l'Orso d'oro a Berlino, quattro Annie Awards e il Leone d'Oro alla carriera per Miyazaki ricevuto alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2005.
Chihiro è una ragazzina pigra e svogliata. Il trasferimento con i suoi genitori in una nuova città non la esalta e, allorquando l'intera famigliola si smarrisce con l'auto in un boschetto alla fine di un sentiero sterrato, la piccola si ritrova catapultata e intrappolata in un misterioso mondo incantato inaccessibile agli umani: si tratta di un complesso termale destinato a rinfrancare gli spiriti e le divinità della natura logorate e stressate dalla frenesia materialistica del mondo moderno. Una volta all'interno di questo luogo magico, Chihiro dovrà ingegnarsi per liberare i suoi genitori da un incantesimo che li ha tramutati in maiali e, come una moderna Alice, inizierà una mirabolante avventura in cui il suo carattere debole e indolente verrà messo a dura prova. Non le resterà che rimboccarsi le maniche e cominciare il lungo e faticoso cammino verso la maturità.
Liberamente tratto dal romanzo "Il meraviglioso paese oltre la nebbia" della scrittrice Kashiwaba Sachiko, l'anime unisce il racconto di formazione a una fantasmagoria che attinge direttamente alla fonte dell'antica tradizione folkloristica del Sol Levante (con particolare riferimento alla mitologia scintoista e alle credenze sui kami' e sugli yōkai') in una suggestiva favola sulla semplicità d'animo e sulla forza dell'altruismo.
Chihiro, oltre ai problemi pratici di tutti i giorni che risolve con sorprendente spirito di sacrificio, deve affrontare nuovi sentimenti come la solitudine, l'indifferenza, e l'amore. Così, passo dopo passo, riesce a superare tutte le prove che le si presentano, anche la temporanea perdita della sua identità, grazie alla sua forza interiore e all'aiuto delle brave persone che incontra nel corso della sua avventura. Si prefigura così, tra momenti di grande poesia e passaggi di incontenibile forza immaginifica, una potente metafora del passaggio della protagonista in una fase della vita più complessa e problematica: l'adolescenza.
Nelle storie di Miyazaki la figura del protagonista è spesso affidata a una ragazza affiancata da un coetaneo dell'altro sesso, formando delle coppie perfette e indivisibili (Conan e Lana, Pazu e Sheeta, Ashitaka e San) che vivono un rapporto preadolescenziale. Questa volta l'autore trascende la sua stessa formula e il legame che si crea tra Chihiro e Haku, che si rivelerà essere lo spirito di un fiume (Kohaku), sottolinea il rapporto indissolubile tra esseri umani ed entità naturali nella sua personale visione ecologista del mondo.
Come in molte opere del maestro, non ci sono dei veri e propri cattivi, ma ci viene presentata una variegata galleria di personaggi che grondano umanità, tutti minuziosamente sfumati, fra cui emergono caratteri e personalità più complesse e sfaccettate. E' il caso delle due arzille vecchiette di turno, Yubaba e Zeniba: in questi due straordinari personaggi si può riconoscere un altro indovinato ammiccamento al classico della letteratura di Louis Carroll, "Alice's adventures in wonderland", in particolare ai ruoli della Regina di cuori e della Duchessa.
La figura dell'anziano è onnipresente nella filmografia del regista di Akebono, che arriverà a basare un intero film a questa età della vita, "Il castello errante di Howl", 2004, sovvertendo le più classiche regole del fantasy.
Nell'intera opera di Miyazaki il vecchio saggio rappresenta un punto di riferimento, ma anche un elemento destabilizzante perché, avendo già vissuto l'età adulta, è tornato a una condizione assimilabile a quella dell'infanzia, e si crea puntualmente un forte legame con il bambino, quasi un ponte esistenziale tra passato e futuro che gli adulti devono percorrere alla ricerca di una sorta equilibrio ciclico dell'esistenza.
Oltre alla terza età e ai giovani, ritornano altri due leitmotiv del regista: la magia del volo ci viene riproposta in una suggestiva sequenza a bordo nientemeno che di un enorme drago bianco; mentre l'immagine del maiale (questa volta nella sua accezione più negativa) evidenzia l'ottusa indifferenza degli adulti di fronte alle istanze e ai bisogni dei fanciulli.
Al pari delle sue potenti streghe il tocco del genio affabulatore di Miyazaki si rivela deciso e sicuro di sé rivelando una vulcanica e inesauribile vena creativa: i suoi acrobatici funambolismi di scena e le sue creature fantastiche risultano particolarmente ispirati e sembrano animarsi come per magia godendo di vita propria sullo schermo.
Estremamente curato nella realizzazione tecnica e artistica, entro se non oltre i già elevatissimi standard dello Studio Ghibli, il film offre raffinati disegni sia nei fondali minuziosamente dettagliati e sia nelle superbe animazioni: da ricordare le scenografie sfarzose e opulente delle stanze di Yubaba, che descrivono le meraviglie di uno stile 'esotico' all'occidentale.
Joe Hisaishi, da sempre compagno di avventura di Miyazaki (ma anche di "Beat" Takeshi Kitano), si conferma come uno dei più dotati compositori giapponesi di colonne sonore per il cinema. Le sue musiche in questo frangente sono strepitose ed elevano oltremodo l'atmosfera rarefatta del film arricchendolo con sonorità di stampo squisitamente etnico e un maestoso arrangiamento orchestrale. Da ricordare le dolcissime e commoventi ballate pianistiche "The name of life" e "One summer's day".
L'impegno ecologista, la passione per il volo, l'attenzione all'infanzia, i ritratti di eroine, l'etica del lavoro, la spiritualità scintoista, le favolose invenzioni e la perfezione tecnica con cui le realizza, sono tutti elementi che fanno di Hayao Miyazaki un patrimonio della storia del cinema e "Sen to Chihiro no kamikakushi" lo celebra in tutto il mondo come maestro indiscusso dell'animazione di tutti i tempi.
Akira Kurosawa diceva di lui: "Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello."
La città incantata lo vidi tanti anni fa, pensando fosse una favoletta per bambini e invece mi catturò dal primo istante, come riuscivano a fare i cartoni e gli anime di un tempo (quando ero piccino). E' davvero un capolavoro, concordo con Bob, con il suo voto e con la sua bella recensione.
Totoro e La città incantata li ho visti e li possiedo entrambi. Assolutamente fantastici. Il secondo decisamente più del primo. Ci sarà un motivo per cui Miyazaki viene tanto acclamato, no? Approvo quindi il voto della terza recensione, mentre Totoro bé è un capolavoro anche questo il 6 è un po' misero.
Tu si che capisci di cinema....Voto scandaloso, per non dire altro.
Gran bella recensione invece per la Città incantanta.
Bob dalle recensioni si capisce che è un bravo e appassionato critico cinematografico, ed è in effetti così che anche io preferisco considerarli i Ghibli, cinema, piuttosto che anime.
Ringrazio per la pubblicazione di Arrietty.
Finalmente Totoro si prende il voto che si merita!!
Decisamente il film Ghibli più sopravvalutato di tutti (tra quei pochetti che ho visto). Una buona opera per bambini quanto Ponyo o forse un pelino di più, ma niente di eccelso o sublime, come lo è "Gli Animali del Bosco Piccolo" / Gli animali del Bosco di Farthing per fare un controesempio sempre nell'ambito "natura" (buonista anch'esso, ma con giuste dosi di realismo e morti di animali, seppur alcune premesse siano ovviamente irrealizzabili nella realtà).
Totoro si meriterebbe al massimo un 7. Non una media quasi del 9 (imbarazzante!).
E ricordo che il 6 e il 7 sono la sufficienza, NON una bocciatura. Quindi è comunque promosso a priori per lato tecnico, animazioni, artifizi tecnici, trama scorrevole, ending simpatica, ecc. Ma non di più del 7, imho.
Una Tomba per le lucciole è da 10 per restare in tema Ghibli o Howl anche m'è piaciuto più di sto Totoro, idem per Kokuriko Zaka Kara (La Collina dei papaveri) e i Racconti di Terramare
La Città Incantata è uno dei molti film Ghibli che devo ancora vedere e su cui non mi esprimo.
La città incantata invece è un ottimo film, ma scenderei al 8 (anzi un 8.5 per la precisione).
Se non piace un regista, solamente per principio, evita di vederlo e affibiare un voto solamente epr pareri personali...
Lo san tutti che non ti piace, quindi che cavolo scrivi a fare?
Il viaggio di Chihiro: 9
Arietty: 8
Questi sono i voti.
Chi dà 6 a Totoro non ha capito. Si dedichi ad altre opere.
Ciao!
Molto bella anche quella di Twinkle, anche se "Arrietty" non l'ho ancora visto (spero di rimediare al più presto!).
L'avversione di Onizuka per Miyazaki è stranota, anche se stavolta trovo un po' pretestuose alcune sue critiche. "Totoro" è la trasfigurazione della realtà operata dagli occhi di un bambino, è la personificazione della sua immaginazione, dei suoi sogni, delle sue paure. Non ci vedo un'interpretazione morale della natura (o, perlomeno, se c'è, è così in secondo piano da non risultare fastidiosa, come accade invece ad esempio in "Laputa"); il film non trasmette, o meglio, non mi ha trasmesso, il messaggio secondo cui è sbagliato un certo modo di vivere antiecologista degli adulti, anche perché questi adulti sono a tutti gli effetti comparse ai margini della pellicola. E' l'ingenua fantasia di Satsuki e Mei a creare il mondo fantastico dove abitano Totoro e soci, è la loro visione, straripante di infantile energia, a definire ciò che le circonda; "Totoro" è un sogno, colorato, deforme e illogico, e come tale secondo me andrebbe giudicato, non come fonte e/o simbolo di dilemmi morali.
Comunque concordo con gli altri voti, anche se avrei dato anche un 9 ad Arrietty, mi è piaciuto molto non solo per la storia e per l'animazione, ma anche per le musiche.
Per La città incantata non c'è neanche bisogno di parlare, sappiamo tutti che è un capolavoro.
E' come dire che che nell'esorcista il personaggio principale non sia la bambina...
Chi ti ricordi l'esorcista o la bambina?
Chi ti ricordi la bambina o Totoro?
Ma ci ragionate?
Dici bene, Bob, quando affermi che Miyazaki non ha mai creato un cattivo che sia realmente tale. Ciò che non capisco è se Miyazaki crede davvero che non esistano figure malvagie, cioè non concepisce l'esistenza del male in quanto tale, o se la sua è solo una forma di escapismo. Una delle sue tante manifestazioni di escapismo nei confronti di determinati aspetti della realtà.
Arrietty devo ancora visionarlo, quindi non posso esprimermi sull'opera in sè, ma ho apprezzato molto la rece di TWINKLE che da profondo conoscitore di questo studio di animazione ci regala delle analisi sempre puntuali, lucide ed affidabili. E' un consiglio da prendere al volo!
Per quanto riguarda Totoro sono in disaccordo sul voto e sul giudizio negativo complessivo, secondo me è una delle opere più belle di Miyazaki (se non la più bella in assoluto!). D'altronde è risaputa l'idiosincrasia di Onizuka verso questo regista. Cionondimeno ho trovato molto interessanti la maggior parte delle considerazioni espresse, in particolare il passaggio in cui si riflette sull'ambientazione del Giappone post bellico e sul paragone (azzeccatissimo) con Una tomba per le lucciole. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che siano due facce di una stessa medaglia, si tratta di due film che hanno moltissimo in comune, più di quanto possa apparire in apparenza.
Su La città incantata cos'altro posso aggiungere? Dalla mia sviolinata traspare quanto personalmente abbia un debole per le opere di Miyazaki, un autore che mi ha conquistato sin da quando avevo l'età di Mei, mi ha accompagnato senza mai tradirmi per quasi quarant'anni e dopo tanto tempo i suoi film sortiscono in me ancora lo stesso effetto!
10 è ancora poco ma l'11 non era disponibile...
Ringrazio infinitamente i gentili utenti che mi rivolgono parole di elogio e lo staff per avermi selezionato...
Complimenti agli autori!
Condivido pienamente le recensioni sulla Città Incantata (il mio film anime preferito, in assoluto) e su Arrietty, un lungometraggio davvero piacevole, specialmente per quanto riguarda i disegni e le musiche.
- complimenti ai recensori, indipendentemente dal mio parere personale.
- d'accordo col voto per Arrietty e La città incantata ma non su quello di Totoro che un 9 se lo merita. Secondo me non è il miglior film ghibli ma certi passaggi sono eccezionali e questi giustificano il logo assunto dallo studio stesso all'indomani (1988) dell'uscita del film. Personalmente (come disse tempo fa una persona di mia conoscenza) ritengo che Miyazaki abbia messo tutto se stesso, o meglio il suo io di fanciullo, in Totoro, che a tratti è poesia visiva.
- Miyazaki non ha mai creato personaggi del tutto cattivi? se ci limitiamo ai film sono d'accordo, se consideriamo anche altre opere audiovisive io ricordo che in Conan ragazzo del futuro c'era un certo Lepka/Repka che non era proprio uno stinco di santo nè? Potete trovare "qualcosa" anche nel manga di Nausicaa. Diciamo che, perdonate il paragone quasi blasfemo[so di esagerare], Miyazaki come Buron-son (lo sceneggiatore di Hokuto no Ken) tende sempre a "giustificare" il comportamento malvagio dei cattivi spiegandone più o meno le ragioni ed arrivando ad una ""redenzione"" finale.
Ottime recensioni!
La prima è un'idea del mondo, condivisibile o meno poco importa; la seconda però è una distorsione del mondo. Se l'intento era educativo, il risultato è diseducativo.
Chiarisco, parlo del Miyazaki cinematografico, che poi penso sia quello più autentico, o quanto meno il più libero, padre padrone dei suoi progetti dal concepimento alla realizzazione.
Il paragone con Buronson non calza. Hokuto no Ken è imbottito di figure malate, marce fino al midollo, pazze, sadiche. La malvagità, in Hokuto no Ken, ha preso possesso di quel che è rimasto della Terra e scorrazza furiosa e gratuita per le sue strade polverose.
Prendiamo come esempio Porco rosso, il film in cui l'"escapismo" è un tema portante. Anche qui non c'è un villain o un antagonista in senso stretto e lo stesso eroe, che non è più neanche umano esteriormente, sceglie la fuga dal mondo perchè deluso dalle sue storture (la guerra, l'avvento del totalitarismo etc…), ma ciò non toglie la condanna e il rifiuto del protagonista verso quelle storture, che nel film sono relegate sullo sfondo ma non cancellate. Lo si può anche leggere come una metafora dello stesso artista che, rinchiuso nel suo mondo dove è "padre e padrone", non si limita a bearsi della sua creatura fine a se stessa ma si impegna a poggiarla su un minimo di base etica leggibile e comprensibile a tutti.
Un altro buon esempio del genere può essere Howl: niente cattivoni impenitenti, un'eroina fuori dagli schemi classici, tutti i personaggi in fondo sono solo molto umani, ma il male (la guerra sullo sfondo) aleggia e incombe sugli eventi per tutta la durata del film.
Miyazaki ci propone la sua personale visione tramite un linguaggio intellegibile universalmente, poi è pacifico che possa anche non essere del tutto condivisibile nelle modalità di rappresentazione, ma il suo successo di pubblico e i consensi di critica che riscuote sono una dimostrazione di quanto almeno in parte il suo intento sia riuscito. Non a caso si parla spesso di un suo successore, e del fatto che il suo cinema sia un modello da seguire, un punto di riferimento (fosse anche in negativo) per chi si affaccia in questo campo.
Credo che per Miyazaki ci siano cose che vanno (e fanno) bene e cose che vanno (e fanno) male. I suoi film ruotano su questa polarità. Non c'è un agire buono e un agire malvagio, ma uno che va bene, che fa stare bene, e uno che non è salubre. E ci sono ragioni dietro al primo e dietro al secondo. La guerra e le altre storture sono il risultato del secondo tipo di agire. A volte aleggiano sullo sfondo. A volte prorompono in primissimo piano, rubano la scena, la fagocitano - Mononoke Hime. Tuttavia non sono né diretta emanazione del male né una sua rappresentazione. Rappresentano solo degli errori umani. Le conseguenze di scelte sbagliate.
Penso ciò sia abbastanza vero sia per Porco Rosso, sia per Howl, sia per tutto il resto.
Magari è anche meglio così. Si elude un facile manicheismo.
Quello che volevo dire io è che tra tutte le sfumature di grigio, Miyazaki mette anche il bianco purissimo, ma non lo bilancia con il nero assoluto. Qua sta lo squilibrio, fondamentalmente. Da dove nasce: questo mi sembrava un buon punto interrogativo a cui cercare una risposta. Ecco, la scelta stilistica mi sembra una buona risposta. Ma volevo andare ancora oltre, e passare dai film all'uomo, o quanto meno capire meglio le idee del secondo attraverso i primi. Poi le si può anche non condividere, ma è questione di nessuna importanza, suppongo.
Una domanda. Perché Miyazaki come riferimento negativo per le nuove generazioni di artisti?
L'unico film più per adulti è quello che hai citato anche tu sottolineandone le caratteristiche atipiche, e cioè Mononoke hime, ed infatti è anche il più controverso e pessimista. Anche se la sua poetica, secondo me, ne rimane pressoché inalterata.
Woody Allen tirerebbe in ballo Freud sull'idea di psicanalizzare un artista attraverso le sue opere.
Comunque penso che Miyazaki umanamente sia molto più pessimista di quanto potrebbe sembrare a prima vista, questo spiegherebbe perché nei suoi film insiste a rivolgersi essenzialmente alle nuove generazioni (vedi Ponyo). Oltre al fatto che come lo fa lui non lo fa nessuno! (intendo le opere per ragazzi)
Perché Miyazaki come riferimento negativo per le nuove generazioni di artisti?
Scusa, mi sono espresso male, e comunque ho usato il congiuntivo come ipotesi remota, supponendo che se ci sono dei detrattori tra i fan, ce ne sarà anche qualcuno tra gli addetti ai lavori.
A ogni modo, l'intenzione non era quella di psicoanalizzare il regista. La ritengo un'operazione che lascia il tempo che trova. Alcuni lo fanno, magari può anche essere una cosa carina, ma m'interessa di più capire il Miyazaki pensiero anziché le dinamiche psicologiche che ci stanno dietro. Credo serva a comprendere meglio le sue opere. O almeno a ragionarci sopra con più cognizione di causa.
E sì, anch'io penso che Miyazaki sia più pessimista di quanto non rivelino, almeno in apparenza, i suoi film. Ecco, Arrietty è molto significativo a riguardo, essendo molto più esplicito rispetto ad altre sue sceneggiature. Su Ponyo invece ho un'idea differente rispetto alla tua.
PS
Per come la vedo io, Miyazaki non è un esempio né da seguire né da non seguire, indipendentemente dagli schieramenti - chiamiamoli così - a cui si appartiene. Per questo tutti i discorsi sulla sua ipotetica successione mi paiono un mucchio di stronzate. Bisogna essere capaci di mettere una lapide alla fine di ogni percorso, e capire che è unico e che il suo termine è irrevocabile. Chi è stato il successore di Kubrik? Chi sarà il successore di Miyazaki? Chi lo vuole?
Mi ero perso questa chicca di Onizuka. Come insultare la grande maggioranza del pubblico di Miyazaki in due righe. Secondo me ci sono gli estremi per bocciare la recensione in quanto gli insulti sono vietati dal regolamento. Ma vabbe', inutile fare polemica.
@goonie
Eh già, sicuramente tu invece di cinema capisci tutto U_U Bello constatare come per certe persone importi più la forma che la sostanza di un discorso.
A me non importa un fico secco di stabilire se totoro sia o meno un capolavoro del cinema (cosa stupidissima ed inutile), a me interessa ragionare sul film e sulla sua relazione con l'autore e vedere se ciò sia proficuo oppure no. Tutto il resto è inutile e poco interessante. Se a te invece sta più a cuore che tutti, in modo fideistico, tessino lodi alla suprema maestà di sua eccellenza, bè, contento tu. Fai proprio parte di quel pubblico "poco pretenzioso e acritico" perché ti accontenti che tutti si crogiolino nella loro idolatria dicendo quanto sono belli i film di "sua eccellenza". Ciò emerge spesso dai tuoi commenti in cui affermi: tale opera x è un capolavoro, e termini qui la tua brillante disamina, complimenti davvero.
@ TWINKLE
Penso che in questa sede il tema di interesse peculiare non sia certo il perchè io decida di vedere un film, ma il film stesso. Per fugare le tue perplessità posso però dirti che guardo i film di "sua eminenza" perchè penso che si tratti di opere che hanno una loro importanza nel panorama dell'animazione, sebbene essi non vadano incontro al mio senso e gusto artistico, vanno visti anche solo per cultura generale. Inoltre scrivo le recensioni proprio perché voglio dire la mia riguardo a tali film, come farei con qualsiasi altra opera.
@grandebonzo
Temo che tu abbia frainteso grandemente cosa io intendessi per "morale". Infatti mi riferivo soltanto alla solita ontologica bontà dell'elemento naturale. Tutto qui, lo so benissimo che non è un fattore simile ad altri film come laputa o mononoke e nemmeno con lo stesso peso, totoro anzi è praticamente esente dal moralismo che di solito si assapora nelle sue opere. Inoltre io nella rece non ho mai parlato di un "messaggio secondo cui è sbagliato un certo modo di vivere antiecologista degli adulti" anche perchè nel film non è rintracciabile alcun riferimento ad una cosa del genere...dove sarebbero gli adulti che si comportano in modo antiecologista???!!!!???? Il rapporto con la natura è invece mediato dall'ingenuità del bambino. Anche tu affermi " "Totoro" è la trasfigurazione della realtà operata dagli occhi di un bambino, è la personificazione della sua immaginazione, dei suoi sogni, delle sue paure. etc etc" è esattamente il punto di partenza della mia recensione, ti invito a leggerla con maggiore accortezza. La mia critica punge proprio sull'elemento ideale che è inserito a proposito dell'infanzia, ed è tale tema che a mio avviso svuota Totoro di ogni possibile profondità, rendendolo un titolo piuttosto leggero, anche se sicuramente non da bocciare. Infatti è proprio la sua leggerezza che lo salva rispetto ad altri titoli.
Limbes & Bob
Mi trovo concorde con alcune riflessioni sia dell'uno che dell'altro, aggiungo che anche secondo me Miyazaki sicuramente mostra dei cenni di pessimismo in mononoke hime, ma il fatto è che il nocciolo duro della sua poetica è costituito da una malformazione etico-ideale che a mio avviso lo rende spesso molto scontato. Sempre prendendo ad esempio Mononoke hime, il solo fatto che per lui Ashitaka sia colui che vede "con occhi non velati dall'odio" la dice lunga sull'impostazione ideale del film e sulla sua scontatezza. E se diciamo che mononoke hime è la sua opera più matura, poveri noi, che delusione
Bob, è chiaro che se io fossi un artista non mutilerei mai una idea solo per arruffianarmi il pubblico. Non capirò mai cosa ci sia da elogiare nel fatto che tali film siano adatti a tutti, proprio questo è un segno di abbassamento, piuttosto che di innalzamento.
Micheles
Non mi sembra una frase offensiva....
Ah no? E se io ti dicessi che sei una persona poca pretenziosa e acritica saresti contento? Lo prenderesti per un complimento? Proprio in questo messaggio a Goonie stai rinfacciando di essere poco pretenzioso e acritico con chiaro intento offensivo, non lanciare il sasso e nascondere la mano. Almeno sii offensivo con coraggio. Di piu' non dico per non fare intervenire i moderatori.
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