Le bizzarre avventure di JoJo: Diamond is Unbreakable
La trasposizione è molto fedele al manga, le animazioni della David Production sono molto fluide e soddisferanno i fanatici del manga, ma a me la cosa che ha fatto storcere il naso a sfavore dell'anime è il character design, soprattutto di Jotaro: in diversi frame, in confronto al manga non si può vedere; stessa cosa per Josuke e altri personaggi; oppure piccolezze come ad esempio Josuke che, quando viene insultato sulla capigliatura, non gli si drizzano neanche i capelli.
Ha delle belle OST, come anche le sigle d'apertura, soprattutto a me è piaciuta molto "Chase".
Tuttavia, questa trasposizione della quarta serie non mi sento di lodarla più di troppo, direi che un 7 va più che bene per un'opera buona nel complesso.
Ha delle belle OST, come anche le sigle d'apertura, soprattutto a me è piaciuta molto "Chase".
Tuttavia, questa trasposizione della quarta serie non mi sento di lodarla più di troppo, direi che un 7 va più che bene per un'opera buona nel complesso.
Sono arrivato al terzo capitolo animato di “Le bizzarre avventure di JoJo”, chiamato “Diamond is Unbreakable”, senza aver visto il secondo capitolo “Stardust Crusaders”: rispetto alla prima serie non ci sono più da combattere vampiri, zombie o guerrieri immortali, e niente onde concentriche, quanto possessori buoni e cattivi di stand. Cos’è uno stand? Un essere collegato alle persone colpite da una freccia magica che dona un potere al possessore e ha la capacità di combattere: per esempio, Josuke possiede “Crazy Diamond”, con la capacità di guarire, e suo zio Jotaro possiede “The World”, che è in grado di fermare il tempo. Nel corso del racconto ne troveremo molti altri, che daranno vita a spettacolari combattimenti con i vari cattivi fino all’apparizione del vero malvagio della serie, un pluriomicida che si nasconde sotto i panni di un mediocre impiegato qualsiasi, mentre in realtà è molto astuto, ma non dirò di più per non ‘spoilerare’.
Lo staff della David production ha fatto nuovamente un buon lavoro con il manga del genio Hirohiko Araki.
Nota di biasimo per VVVVID, che ha spezzato la continuità della serie.
Lo staff della David production ha fatto nuovamente un buon lavoro con il manga del genio Hirohiko Araki.
Nota di biasimo per VVVVID, che ha spezzato la continuità della serie.
"Diamond is Unbreakable" è la quarta stagione della serie "Le bizzarre avventure di Jojo", serie di manga molto famosa del mangaka Hirohiko Araki, di cui pian piano stanno realizzando tutte le trasposizioni animate.
Rispetto alle prime tre questa serie ha uno stile molto diverso, non solo per l'animazione ma anche per la storia. Infatti non ci troveremo più in giro per il mondo a vivere super-avventure, con compagni muscolosi e super-scolpiti alla "Ken il guerriero", ma tutte le vicende avverranno a Morio-cho, una cittadina del Giappone, e i protagonisti principali saranno perlopiù adolescenti. Prima di iniziare questa stagione ero molto dubbiosa, io non amo i grandi cambiamenti in generale, ma in fondo è anche vero che dopo tre serie molto simili ci volesse qualcosa di diverso.
Quindi questa è la storia di Josuke Higashikata, figlio illegittimo di Joseph Joestar che si ritroverà suo malgrado invischiato nelle faccende della famiglia Joestar: si scoprirà infatti che esiste una freccia che riesce a creare gli stand della persona che colpisce. Così, grazie a dei compagni a cui si unirà man mano nella storia, si metterà alla ricerca della freccia, scoprendo verità molto più oscure e terribili.
La storia che Joseph avesse avuto una scappatella durante la scorsa stagione mi aveva fatto davvero storcere il naso, perché abbastanza inverosimile e forzata, ma dopo un paio di episodi non ci ho fatto più caso.
Devo dire di essere rimasta molto stupita: non solo ci si abitua quasi subito al cambiamento del character design dei personaggi, anche se gli sfondi e i colori acidi continuano a non essere di mio gusto, ma le vicende, pur riguardanti solo una cittadina, sono davvero avvincenti. Ci si domanda sempre come faranno i nostri protagonisti a cavarsela anche stavolta, quando ormai la situazione sembra senza speranze, e ogni volta l'autore trova sempre idee geniali, un paio di volte strane e improbabili, ma molte altre volte davvero geniali e per nulla scontate. Insomma, questa serie mi ha invogliata a guardarla un episodio dopo l'altro, e non è da tutti saper far appassionare le persone alla propria storia così tanto.
I personaggi secondari sono molto ben caratterizzati e viene dato a ognuno il proprio spazio per crescere e farsi valere. Di questi sono riuscita ad affezionarmi solo a Koichi, l'amico di Josuke che starà con lui fin dall'inizio e che avrà la crescita maggiore all'interno della serie.
Le sigle mi sono piaciute tutte abbastanza, anche se la mia preferita, ovvero la seconda, sarà quella che faranno vedere per meno episodi, purtroppo.
Infine, consiglio molto quest'anime, soprattutto agli amanti dello shonen, e anche a chi non ha visto le serie precedenti, che però forse avrà un piccolo svantaggio.
E il mio voto è 8, perché, come detto prima, non ha mai smesso di farmi stare in suspense e mi ha molto coinvolto.
Rispetto alle prime tre questa serie ha uno stile molto diverso, non solo per l'animazione ma anche per la storia. Infatti non ci troveremo più in giro per il mondo a vivere super-avventure, con compagni muscolosi e super-scolpiti alla "Ken il guerriero", ma tutte le vicende avverranno a Morio-cho, una cittadina del Giappone, e i protagonisti principali saranno perlopiù adolescenti. Prima di iniziare questa stagione ero molto dubbiosa, io non amo i grandi cambiamenti in generale, ma in fondo è anche vero che dopo tre serie molto simili ci volesse qualcosa di diverso.
Quindi questa è la storia di Josuke Higashikata, figlio illegittimo di Joseph Joestar che si ritroverà suo malgrado invischiato nelle faccende della famiglia Joestar: si scoprirà infatti che esiste una freccia che riesce a creare gli stand della persona che colpisce. Così, grazie a dei compagni a cui si unirà man mano nella storia, si metterà alla ricerca della freccia, scoprendo verità molto più oscure e terribili.
La storia che Joseph avesse avuto una scappatella durante la scorsa stagione mi aveva fatto davvero storcere il naso, perché abbastanza inverosimile e forzata, ma dopo un paio di episodi non ci ho fatto più caso.
Devo dire di essere rimasta molto stupita: non solo ci si abitua quasi subito al cambiamento del character design dei personaggi, anche se gli sfondi e i colori acidi continuano a non essere di mio gusto, ma le vicende, pur riguardanti solo una cittadina, sono davvero avvincenti. Ci si domanda sempre come faranno i nostri protagonisti a cavarsela anche stavolta, quando ormai la situazione sembra senza speranze, e ogni volta l'autore trova sempre idee geniali, un paio di volte strane e improbabili, ma molte altre volte davvero geniali e per nulla scontate. Insomma, questa serie mi ha invogliata a guardarla un episodio dopo l'altro, e non è da tutti saper far appassionare le persone alla propria storia così tanto.
I personaggi secondari sono molto ben caratterizzati e viene dato a ognuno il proprio spazio per crescere e farsi valere. Di questi sono riuscita ad affezionarmi solo a Koichi, l'amico di Josuke che starà con lui fin dall'inizio e che avrà la crescita maggiore all'interno della serie.
Le sigle mi sono piaciute tutte abbastanza, anche se la mia preferita, ovvero la seconda, sarà quella che faranno vedere per meno episodi, purtroppo.
Infine, consiglio molto quest'anime, soprattutto agli amanti dello shonen, e anche a chi non ha visto le serie precedenti, che però forse avrà un piccolo svantaggio.
E il mio voto è 8, perché, come detto prima, non ha mai smesso di farmi stare in suspense e mi ha molto coinvolto.
Rendendo meritatamente onore al suo nome, “Le bizzarre avventure di JoJo” è sempre stata una serie assai strana. Se ancora le sue prime tre parti si mantenevano fedeli ai dettami dello shounen manga del periodo in cui sono uscite, presentando avventure epiche, viaggi in paesi lontani ed eroi nerboruti in stile Kenshiro, la folle genialità dell’autore Hirohiko Araki comincia a spiccare il volo con la quarta parte, “Diamond is Unbreakable”, recentemente trasposta da David Production in una serie animata di trentanove episodi andata in onda da aprile a dicembre 2016.
In vari modi legata alle precedenti, ma da esse molto diversa, l’avventura dello studente teppistello Josuke Higashikata ha luogo in una piccola e apparentemente normalissima città del Giappone che nasconde molti misteri, tutti riconducibili in un modo o nell’altro ai poteri Stand e alle secolari battaglie a cui la famiglia Joestar è destinata.
Con “Diamond is Unbreakable” l’autore comincia ad abbandonare quasi del tutto la linearità della narrazione, stupendo di continuo con trovate fuori di testa e battaglie sempre più intellettuali e meno prettamente fisiche. Questa quarta avventura di JoJo non prevede viaggi e peregrinazioni, ma ci catapulta nella vita quotidiana dei suoi protagonisti, costretti a confrontarsi con una moltitudine di individui dotati di poteri Stand che in un modo o nell’altro portano scompiglio in città e nelle loro vite, e con un mistero che si dipana assai lentamente. Manca quasi del tutto l’epica tipica delle serie precedenti, i viaggi avventurosi in paesi lontani, la sensazione di una lotta voluta dal destino, perché “Diamond is Unbreakable”, se spogliata di tutte le stramberie caratteristiche di JoJo, potrebbe benissimo essere una storia vera. Morioh, la cittadina che fa da setting alla serie, è basata su Sendai, la città natale dell’autore, e, nonostante il futuristico (per i tempi in cui il fumetto è uscito per la prima volta sulle pagine di Shounen Jump) 1999 in cui sono ambientate le vicende e il perenne cielo giallo acido che la sovrasta, la si riesce facilmente a percepire come un luogo reale: il porto, la caffetteria, la banca, la scuola, il ristorante, il vialetto con la cassetta delle lettere, l’iconico e riconoscibilissimo minimarket (L)Owson sono tutti posti che potremmo benissimo vedere davvero, passeggiando per le strade di una città del Giappone.
Questa apparente “normalità” è una delle caratteristiche più particolari ma anche uno dei talloni d’Achille di “Diamond is Unbreakable”, che si rivela essere una serie più lenta e dispersiva delle precedenti, in cui la trama principale, inframezzata da mille e più scontri autoconclusivi contro il potere Stand di turno, comincia a dipanarsi solo nella seconda metà della serie, presentando ufficialmente il vero cattivo e dandogli spazio in maniera anche maggiore rispetto ai protagonisti. Il gruppo dei “buoni”, infatti, fatta esclusione per il timido ma coraggioso Koichi Hirose e lo schizzato mangaka Rohan Kishibe, non si fa ricordare più di tanto, dato che Okuyasu Nijimura non si discosta quasi mai dal suo ruolo di “scemo del villaggio” piuttosto inutile e lo stesso protagonista Josuke infastidisce con certi suoi comportamenti da bulletto e si fa rubare la scena dagli altri personaggi, spesso e volentieri senza neppure avere un ruolo di primo piano in molti episodi. Sono personaggi molto particolari, molto lontani dall’archetipo dell’eroe visto anche nelle serie precedenti, che non fanno più di tanto gruppo tra loro, se non per fare i bulletti con qualche comprimario, e perciò risulta paradossalmente più facile, piuttosto che da loro, sentirsi coinvolti dal malato eppure splendidamente raccontato stile di vita del cattivo.
Quest’ultimo è un personaggio che si fa odiare in maniera facile eppure piacevolissima, complice anche il fatto che l’autore le pensa proprio tutte per tirarlo sempre fuori dai guai, donandogli potenziamenti o scappatoie, e che a livello di design sia lui che il suo Stand sono azzeccatissimi e temibili.
Nonostante un cast non sempre simpaticissimo, anche questa quarta avventura di JoJo non manca di tenerci incollati allo schermo in preda a suspense, curiosità ed ansia, riuscendo a risultare per certi versi anche superiore all’originale versione manga, di cui riesce, per non si sa quale miracolo, a comprimere i moltissimi volumi in soli trentanove episodi senza tralasciare quasi nulla. A parte qualche cambiamento nell’ordine dei combattimenti, un paio di scontri un po’ abbreviati e l’unione degli ultimissimi scontri in un solo gruppo di episodi invece che in gruppi di episodi separati, è praticamente uguale al fumetto, e c’è proprio tutto, anche quegli episodi che magari potevano essere tolti perché davvero ininfluenti per la trama (e in “Diamond is Unbreakable” ce ne sono tanti). Il ridotto numero di puntate aiuta a diminuire un po’ la dispersività della narrazione e il formato dell’animazione, con colori, musiche e cliffhanger strategici, giova tantissimo a una storia come quella di “Diamond is Unbreakable”, che punta tantissimo sull’ansia, la suspense e le sensazioni del fruitore.
Ad aiutare il coinvolgimento c’è anche quello che, da sempre, è uno dei più grandi punti di forza della saga di JoJo, ossia la grande fantasia dell’autore nel creare poteri e scontri ricchissimi di astuzie, imprevisti, variabili e stramberie, che appassionano tantissimo anche quando i personaggi coinvolti non sono di per sé interessanti. Anche se, nella prima parte, la narrazione è lenta e ci vuole un po’ prima di capire dove la storia vuole andare a parare, con questa serie non ci si annoia mai, sempre in preda a combattimenti ansiogeni di cui finiamo per aspettare la risoluzione con immensa curiosità, mentre i personaggi sono sempre sul filo del rasoio, e noi con loro. Fra capelli semoventi, gente che vive sui tralicci, sedicenti alieni mutaforma, sfide mortali a morra cinese, bombe che modificano il tempo, gente capace di sfruttare le onomatopee dei rumori o di leggere le persone come fossero libri, anche stavolta Araki si inventa mille e più stramberie, e perdersi per la quarta volta nella sua mente folle e geniale risulta ancora una volta bellissimo, anche se le sensazioni che proviamo stavolta sono un po’ diverse rispetto alle precedenti.
Come già per le tre serie precedenti, anche “Diamond is Unbreakable” è impreziosito da una resa animata fedelissima allo stile dell’autore originale, ricchissima di colori acidi, onomatopee svolazzanti e altre bizzarrie grafiche di ogni tipo (cito ad esempio il mangaka Rohan Kishibe, i cui capelli senza senso sono tinti di una rosa di colori che va dal rosa all’azzurro, passando per il verde, e non sono mai dello stesso colore per due apparizioni di fila). Ormai abbiamo imparato ad aspettarcele, e anzi le desideriamo quasi, ma JoJo fortunatamente non ci delude mai, risultando sempre più folle e psichedelico, ma ‘fighissimo’ proprio per questo, ogni volta che un nuovo discendente dei Joestar inizia la sua avventura.
Sempre spassosissimo il doppiaggio, che schiera nomi del calibro di Wataru Takagi, Shigeru Chiba e Yuki Kaji (che non si discosta granché dal suo personaggio “tipo” del ragazzino lagnoso ma che si impegna, tuttavia il ruolo di Koichi gli calza a pennello), mentre tornano a riprendere i loro ruoli della serie precedente un granitico Daisuke Ono e un rimbambito e sempre divertentissimo Unshou Ishizuka.
Oltre che con la tavolozza dei colori, JoJo ha sempre giocato tantissimo anche con la musica, e anche stavolta la serie animata non ci ha deluso da questo punto di vista, regalandoci delle chicche davvero straordinarie. Se, tutto sommato, la parte orchestrata in sottofondo agli episodi non è granché incisiva e spesso riprende (decontestualizzandoli e spogliandoli di tutto il loro fascino) brani della precedente terza serie, sono le sigle a darci le maggiori soddisfazioni. Nonostante il ridotto numero di puntate, “Diamond is Unbreakable” ha ben tre sigle d’apertura, una più bella dell’altra.
La prima, “Crazy Noisy Bizarre Town”, dei The DU, si adatta perfettamente all’atmosfera più “easygoing” della prima parte della storia e si concede il lusso di un ritmo allegro e di un video dove i personaggi si esibiscono addirittura in coreografie e pose plastiche uscite da “La febbre del sabato sera”, tra colori psichedelici, riferimenti velati ad eventi futuri della storia e citazioni a scene iconiche del manga. Il video della sigla cambia più volte, rispecchiando gli eventi degli episodi, ma a un certo punto cambia persino l’arrangiamento della canzone, sostituita con una sua versione ancor più smaccatamente ballabile.
La seconda sigla, “Chase”, dei Batta, è la più debole delle tre: brevissima anche nella sua versione completa (soltanto poco più di due minuti), non colpisce più di tanto dal lato musicale, ma il suo essere una canzone più rock e aggressiva ben si confà all’atmosfera della parte di storia che accompagna e al video che la correda, ricchissimo di tocchi di classe e riferimenti all’universo di “Diamond is Unbreakable” ma non solo.
È con la terza, “Great Days”, di Karen Aoki e Daisuke Hasegawa, che JoJo esplode in tutta la sua ‘fighissima’ bizzarria. Una canzone che, a sentirne solo l’incipit, potrebbe benissimo (e non è un caso) essere di un gruppo rock occidentale degli anni novanta, ma poi continua con un testo giapponese e un ritmo totalmente diverso ma non meno coinvolgente. Il video che l’accompagna rappresenta l’essenza più intrinseca e affascinante dell’epopea di JoJo, tra colori acidi, personaggi che ballano e fanno capolino nelle pose più assurde, loghi che svolazzano qua e là e riferimenti a varie parti di questa avventura ormai trentennale che tanto continua a piacerci.
Il modo, totalmente inaspettato ma assolutamente geniale, in cui questa sigla viene ribaltata a sorpresa negli ultimi episodi, è da applausi a scena aperta.
Ciliegina su una torta già di per sé gustosissima è la sigla di chiusura, che, come da graditissima tradizione della saga, è ancora una volta una canzone occidentale. Stavolta tocca a “I Want You”, brano del 1996 degli australiani Savage Garden. Il legame con la trama della storia stavolta è piuttosto labile (non è la genialata di “Walk Like an Egyptian” della terza serie) ma decisamente funzionale, perché a livello di ritmo riesce perfettamente a riportarci con la mente a quella fine degli anni ’90 in cui questo tipo di band e di canzoni la facevano da padrone e in cui, sia pure anche solo in maniera futuristica, l’avventura di Josuke e compagni è ambientata.
Avere “Bohemian Rhapsody” come sigla finale sarebbe stato davvero troppo, per quanto ce lo aspettavamo tutti, da una serie che nei nomi dei suoi personaggi e dei loro poteri continua imperterrita a giocare con artisti, gruppi, canzoni, album (Queen, ma anche David Bowie, Pink Floyd, Enigma, Pearl Jam, U2, Earth Wind and Fire, Red Hot Chili Peppers, fra gli altri). Le nostre previsioni non si sono avverate, ma del risultato siamo più che soddisfatti lo stesso, e lo sono anche i Giapponesi, che, come per il Pat Metheny Group dello scorso anno, si sono potuti beccare con la scusa diverse ridistribuzioni a tema JoJo degli album dei Savage Garden.
“Diamond is Unbreakable” si distacca un po’ dalle serie precedenti, presentando una storia più lenta e meno epica e dei personaggi meno eroici, ma ci si mette decisamente poco a cadere ancora una volta nel folle e appassionante gioco orchestrato dal geniale Hirohiko Araki, che appassiona sino alla fine portandoci in un trip acido, coloratissimo, ansiogeno e intrigante. Al momento non si hanno ancora notizie dell’adattamento della quinta serie, ma ormai noi a JoJo siamo assuefatti e continuiamo intensamente a sperarci, perché la nostra sete di effetti psichedelici, combattimenti sul filo del rasoio, personaggi che si vestono al buio e canzoni da (ri)scoprire non si è ancora spenta, e ben sappiamo che al di là della ora tranquilla Morioh c’è il resto di un folle mondo ancora tutto da scoprire.
In vari modi legata alle precedenti, ma da esse molto diversa, l’avventura dello studente teppistello Josuke Higashikata ha luogo in una piccola e apparentemente normalissima città del Giappone che nasconde molti misteri, tutti riconducibili in un modo o nell’altro ai poteri Stand e alle secolari battaglie a cui la famiglia Joestar è destinata.
Con “Diamond is Unbreakable” l’autore comincia ad abbandonare quasi del tutto la linearità della narrazione, stupendo di continuo con trovate fuori di testa e battaglie sempre più intellettuali e meno prettamente fisiche. Questa quarta avventura di JoJo non prevede viaggi e peregrinazioni, ma ci catapulta nella vita quotidiana dei suoi protagonisti, costretti a confrontarsi con una moltitudine di individui dotati di poteri Stand che in un modo o nell’altro portano scompiglio in città e nelle loro vite, e con un mistero che si dipana assai lentamente. Manca quasi del tutto l’epica tipica delle serie precedenti, i viaggi avventurosi in paesi lontani, la sensazione di una lotta voluta dal destino, perché “Diamond is Unbreakable”, se spogliata di tutte le stramberie caratteristiche di JoJo, potrebbe benissimo essere una storia vera. Morioh, la cittadina che fa da setting alla serie, è basata su Sendai, la città natale dell’autore, e, nonostante il futuristico (per i tempi in cui il fumetto è uscito per la prima volta sulle pagine di Shounen Jump) 1999 in cui sono ambientate le vicende e il perenne cielo giallo acido che la sovrasta, la si riesce facilmente a percepire come un luogo reale: il porto, la caffetteria, la banca, la scuola, il ristorante, il vialetto con la cassetta delle lettere, l’iconico e riconoscibilissimo minimarket (L)Owson sono tutti posti che potremmo benissimo vedere davvero, passeggiando per le strade di una città del Giappone.
Questa apparente “normalità” è una delle caratteristiche più particolari ma anche uno dei talloni d’Achille di “Diamond is Unbreakable”, che si rivela essere una serie più lenta e dispersiva delle precedenti, in cui la trama principale, inframezzata da mille e più scontri autoconclusivi contro il potere Stand di turno, comincia a dipanarsi solo nella seconda metà della serie, presentando ufficialmente il vero cattivo e dandogli spazio in maniera anche maggiore rispetto ai protagonisti. Il gruppo dei “buoni”, infatti, fatta esclusione per il timido ma coraggioso Koichi Hirose e lo schizzato mangaka Rohan Kishibe, non si fa ricordare più di tanto, dato che Okuyasu Nijimura non si discosta quasi mai dal suo ruolo di “scemo del villaggio” piuttosto inutile e lo stesso protagonista Josuke infastidisce con certi suoi comportamenti da bulletto e si fa rubare la scena dagli altri personaggi, spesso e volentieri senza neppure avere un ruolo di primo piano in molti episodi. Sono personaggi molto particolari, molto lontani dall’archetipo dell’eroe visto anche nelle serie precedenti, che non fanno più di tanto gruppo tra loro, se non per fare i bulletti con qualche comprimario, e perciò risulta paradossalmente più facile, piuttosto che da loro, sentirsi coinvolti dal malato eppure splendidamente raccontato stile di vita del cattivo.
Quest’ultimo è un personaggio che si fa odiare in maniera facile eppure piacevolissima, complice anche il fatto che l’autore le pensa proprio tutte per tirarlo sempre fuori dai guai, donandogli potenziamenti o scappatoie, e che a livello di design sia lui che il suo Stand sono azzeccatissimi e temibili.
Nonostante un cast non sempre simpaticissimo, anche questa quarta avventura di JoJo non manca di tenerci incollati allo schermo in preda a suspense, curiosità ed ansia, riuscendo a risultare per certi versi anche superiore all’originale versione manga, di cui riesce, per non si sa quale miracolo, a comprimere i moltissimi volumi in soli trentanove episodi senza tralasciare quasi nulla. A parte qualche cambiamento nell’ordine dei combattimenti, un paio di scontri un po’ abbreviati e l’unione degli ultimissimi scontri in un solo gruppo di episodi invece che in gruppi di episodi separati, è praticamente uguale al fumetto, e c’è proprio tutto, anche quegli episodi che magari potevano essere tolti perché davvero ininfluenti per la trama (e in “Diamond is Unbreakable” ce ne sono tanti). Il ridotto numero di puntate aiuta a diminuire un po’ la dispersività della narrazione e il formato dell’animazione, con colori, musiche e cliffhanger strategici, giova tantissimo a una storia come quella di “Diamond is Unbreakable”, che punta tantissimo sull’ansia, la suspense e le sensazioni del fruitore.
Ad aiutare il coinvolgimento c’è anche quello che, da sempre, è uno dei più grandi punti di forza della saga di JoJo, ossia la grande fantasia dell’autore nel creare poteri e scontri ricchissimi di astuzie, imprevisti, variabili e stramberie, che appassionano tantissimo anche quando i personaggi coinvolti non sono di per sé interessanti. Anche se, nella prima parte, la narrazione è lenta e ci vuole un po’ prima di capire dove la storia vuole andare a parare, con questa serie non ci si annoia mai, sempre in preda a combattimenti ansiogeni di cui finiamo per aspettare la risoluzione con immensa curiosità, mentre i personaggi sono sempre sul filo del rasoio, e noi con loro. Fra capelli semoventi, gente che vive sui tralicci, sedicenti alieni mutaforma, sfide mortali a morra cinese, bombe che modificano il tempo, gente capace di sfruttare le onomatopee dei rumori o di leggere le persone come fossero libri, anche stavolta Araki si inventa mille e più stramberie, e perdersi per la quarta volta nella sua mente folle e geniale risulta ancora una volta bellissimo, anche se le sensazioni che proviamo stavolta sono un po’ diverse rispetto alle precedenti.
Come già per le tre serie precedenti, anche “Diamond is Unbreakable” è impreziosito da una resa animata fedelissima allo stile dell’autore originale, ricchissima di colori acidi, onomatopee svolazzanti e altre bizzarrie grafiche di ogni tipo (cito ad esempio il mangaka Rohan Kishibe, i cui capelli senza senso sono tinti di una rosa di colori che va dal rosa all’azzurro, passando per il verde, e non sono mai dello stesso colore per due apparizioni di fila). Ormai abbiamo imparato ad aspettarcele, e anzi le desideriamo quasi, ma JoJo fortunatamente non ci delude mai, risultando sempre più folle e psichedelico, ma ‘fighissimo’ proprio per questo, ogni volta che un nuovo discendente dei Joestar inizia la sua avventura.
Sempre spassosissimo il doppiaggio, che schiera nomi del calibro di Wataru Takagi, Shigeru Chiba e Yuki Kaji (che non si discosta granché dal suo personaggio “tipo” del ragazzino lagnoso ma che si impegna, tuttavia il ruolo di Koichi gli calza a pennello), mentre tornano a riprendere i loro ruoli della serie precedente un granitico Daisuke Ono e un rimbambito e sempre divertentissimo Unshou Ishizuka.
Oltre che con la tavolozza dei colori, JoJo ha sempre giocato tantissimo anche con la musica, e anche stavolta la serie animata non ci ha deluso da questo punto di vista, regalandoci delle chicche davvero straordinarie. Se, tutto sommato, la parte orchestrata in sottofondo agli episodi non è granché incisiva e spesso riprende (decontestualizzandoli e spogliandoli di tutto il loro fascino) brani della precedente terza serie, sono le sigle a darci le maggiori soddisfazioni. Nonostante il ridotto numero di puntate, “Diamond is Unbreakable” ha ben tre sigle d’apertura, una più bella dell’altra.
La prima, “Crazy Noisy Bizarre Town”, dei The DU, si adatta perfettamente all’atmosfera più “easygoing” della prima parte della storia e si concede il lusso di un ritmo allegro e di un video dove i personaggi si esibiscono addirittura in coreografie e pose plastiche uscite da “La febbre del sabato sera”, tra colori psichedelici, riferimenti velati ad eventi futuri della storia e citazioni a scene iconiche del manga. Il video della sigla cambia più volte, rispecchiando gli eventi degli episodi, ma a un certo punto cambia persino l’arrangiamento della canzone, sostituita con una sua versione ancor più smaccatamente ballabile.
La seconda sigla, “Chase”, dei Batta, è la più debole delle tre: brevissima anche nella sua versione completa (soltanto poco più di due minuti), non colpisce più di tanto dal lato musicale, ma il suo essere una canzone più rock e aggressiva ben si confà all’atmosfera della parte di storia che accompagna e al video che la correda, ricchissimo di tocchi di classe e riferimenti all’universo di “Diamond is Unbreakable” ma non solo.
È con la terza, “Great Days”, di Karen Aoki e Daisuke Hasegawa, che JoJo esplode in tutta la sua ‘fighissima’ bizzarria. Una canzone che, a sentirne solo l’incipit, potrebbe benissimo (e non è un caso) essere di un gruppo rock occidentale degli anni novanta, ma poi continua con un testo giapponese e un ritmo totalmente diverso ma non meno coinvolgente. Il video che l’accompagna rappresenta l’essenza più intrinseca e affascinante dell’epopea di JoJo, tra colori acidi, personaggi che ballano e fanno capolino nelle pose più assurde, loghi che svolazzano qua e là e riferimenti a varie parti di questa avventura ormai trentennale che tanto continua a piacerci.
Il modo, totalmente inaspettato ma assolutamente geniale, in cui questa sigla viene ribaltata a sorpresa negli ultimi episodi, è da applausi a scena aperta.
Ciliegina su una torta già di per sé gustosissima è la sigla di chiusura, che, come da graditissima tradizione della saga, è ancora una volta una canzone occidentale. Stavolta tocca a “I Want You”, brano del 1996 degli australiani Savage Garden. Il legame con la trama della storia stavolta è piuttosto labile (non è la genialata di “Walk Like an Egyptian” della terza serie) ma decisamente funzionale, perché a livello di ritmo riesce perfettamente a riportarci con la mente a quella fine degli anni ’90 in cui questo tipo di band e di canzoni la facevano da padrone e in cui, sia pure anche solo in maniera futuristica, l’avventura di Josuke e compagni è ambientata.
Avere “Bohemian Rhapsody” come sigla finale sarebbe stato davvero troppo, per quanto ce lo aspettavamo tutti, da una serie che nei nomi dei suoi personaggi e dei loro poteri continua imperterrita a giocare con artisti, gruppi, canzoni, album (Queen, ma anche David Bowie, Pink Floyd, Enigma, Pearl Jam, U2, Earth Wind and Fire, Red Hot Chili Peppers, fra gli altri). Le nostre previsioni non si sono avverate, ma del risultato siamo più che soddisfatti lo stesso, e lo sono anche i Giapponesi, che, come per il Pat Metheny Group dello scorso anno, si sono potuti beccare con la scusa diverse ridistribuzioni a tema JoJo degli album dei Savage Garden.
“Diamond is Unbreakable” si distacca un po’ dalle serie precedenti, presentando una storia più lenta e meno epica e dei personaggi meno eroici, ma ci si mette decisamente poco a cadere ancora una volta nel folle e appassionante gioco orchestrato dal geniale Hirohiko Araki, che appassiona sino alla fine portandoci in un trip acido, coloratissimo, ansiogeno e intrigante. Al momento non si hanno ancora notizie dell’adattamento della quinta serie, ma ormai noi a JoJo siamo assuefatti e continuiamo intensamente a sperarci, perché la nostra sete di effetti psichedelici, combattimenti sul filo del rasoio, personaggi che si vestono al buio e canzoni da (ri)scoprire non si è ancora spenta, e ben sappiamo che al di là della ora tranquilla Morioh c’è il resto di un folle mondo ancora tutto da scoprire.
Conoscevo solo l'arco narrativo "Stardust Crusader" e rispetto ad esso la cosa che più si nota è il differente taglio che è stato dato alla serie: là, dove "Stardust Crusader" era permeato da un'atmosfera avventuriera con protagonisti adulti e machi, qui sono decisamente i temi e le situazioni tipiche dell'adolescenza a fare da intercalare allo scorrere della storia.
Nota per me un po’ negativa è stato il fatto di non aver sentito valorizzati appieno alcuni personaggi secondari che avrebbero potuto dare molto di più, Okuyasu e Jotaro in primis, anche se è vero che l'attenzione verso altri un po’ compensa (Kiri, Koichi e Josuke spadroneggiano!) questa mancanza (ma solo un po’!). Ammetto anche che un pochetto mi è pesata la staticità del luogo che fa da sfondo alle vicende contro il lungo viaggio dell'arco precedente, ma è vero d'altra parte che il finale di "Diamond is Unbreakable" è stato inaspettatamente emozionante e commovente.
Per il reparto opening/ending, "Diamond is Unbreakable" vince su tutta la linea per quel che riguarda le opening sia dal punto di vista visivo che musicale (sopra la media in generale), mentre nelle ending manca quella scelta inconsueta, ma per questo così originale e peculiare, di Pat Metheny.
Fatte queste differenze, seppure inoltre con una grafica più stilizzata, ma non per questo spiacevole (anzi), ritornano tutte le caratteristiche che avevano fatto brillare anche la serie precedente: avversari dalle personalità e dai poteri assurdi e colorati, nemici che si trasformano in amici, protagonisti simpatici e spregiudicati.
E' stato un piacere ritornare nel mondo dei JoJo, e non mi posso che augurare di poter vedere anche altri archi trasposti (anche se ormai sia Jotaro che Josuke avranno sempre un posto speciale nei miei ricordi).
Nota per me un po’ negativa è stato il fatto di non aver sentito valorizzati appieno alcuni personaggi secondari che avrebbero potuto dare molto di più, Okuyasu e Jotaro in primis, anche se è vero che l'attenzione verso altri un po’ compensa (Kiri, Koichi e Josuke spadroneggiano!) questa mancanza (ma solo un po’!). Ammetto anche che un pochetto mi è pesata la staticità del luogo che fa da sfondo alle vicende contro il lungo viaggio dell'arco precedente, ma è vero d'altra parte che il finale di "Diamond is Unbreakable" è stato inaspettatamente emozionante e commovente.
Per il reparto opening/ending, "Diamond is Unbreakable" vince su tutta la linea per quel che riguarda le opening sia dal punto di vista visivo che musicale (sopra la media in generale), mentre nelle ending manca quella scelta inconsueta, ma per questo così originale e peculiare, di Pat Metheny.
Fatte queste differenze, seppure inoltre con una grafica più stilizzata, ma non per questo spiacevole (anzi), ritornano tutte le caratteristiche che avevano fatto brillare anche la serie precedente: avversari dalle personalità e dai poteri assurdi e colorati, nemici che si trasformano in amici, protagonisti simpatici e spregiudicati.
E' stato un piacere ritornare nel mondo dei JoJo, e non mi posso che augurare di poter vedere anche altri archi trasposti (anche se ormai sia Jotaro che Josuke avranno sempre un posto speciale nei miei ricordi).