Settant'anni fa la Seconda guerra mondiale ebbe fine, con l'immagine del grande fungo di fumo che si innalza con lo sgancio dell'atomica. Negli ultimi anni il nucleare ha mietuto nuovamente delle vittime, orchestrando uno dei più grandi disastri di sempre, insieme al terremoto e allo tsunami che hanno colpito la costa del Tōhoku l'11 marzo 2011. È in un tempo come questo che dalla regia di Mizuho Nishikubo nasce il progetto di Giovanni no shima (ジョバンニの島, l'isola di Giovanni), lungometraggio di circa un'ora e quaranta minuti, che affida ai bambini il delicato compito di ridare speranza al paese, all'indomani della grande tragedia. Come il bellissimo fiore di loto sboccia nel fango maleodorante, così dalle macerie di città decadute fioriscono i semi di una nuova umanità. Una speranza per il domani. La speranza portata dai bambini e dai loro genitori che sull'attenti, come i soldati prima di affrontare una guerra, combattono una continua battaglia per assicurare la vita ai propri figli. Come scrive Fukunaga Shin in un racconto del post-3/11: «quasi tutte le cose di questo mondo sono sulle spalle dei bambini. [...] Ogni giorno, ogni notte, da qualche parte si presenta un problema abbastanza, straordinariamente, enormemente grande. E ogni volta i bambini, con coraggio e impegno, si prendono l'incarico di trovare la soluzione.»
Junpei e Kanta Senō, due fratellini orfani di madre, conducono una vita tranquilla nell'isola di Shikotan, che protetta dai soldati dell'Alba, non ha assaporato la guerra nella sua forma più crudele. Nell'agosto del 1945, però, l'URSS occupa militarmente il villaggio di pescatori in cui vivono i ragazzi e inizia una massiccia deportazione degli uomini nei campi di concentramento sul suolo russo. Grazie all'innocenza dei piccoli protagonisti, quello che dovrebbe essere uno scontro fra civiltà diverse, diviene incontro di esistenze. Simbolica, in questo senso, è la scuola elementare divisa in due classi, quella russa e quella giapponese, che abbatte il muro divisore e trova comunione soltanto nell'intonazione dei reciproci canti popolari da parte dei bambini, che nella curiosità di scoprire il nemico vi ritrovano un principio di amicizia. È nell'infanzia, l'età vulnerabile, quella a cui si deve rendere conto degli errori commessi e delle volte che si è finto di non vedere, che Giovanni no shima individua i principali referenti del debito che ogni adulto contrae con un essere umano, e proprio in loro trova una spinta decisiva per portare avanti un discorso nel quale i bambini insegnano ai più grandi com'è che si sta al mondo.
Il Giovanni del titolo non è altri che Junpei, il cui nome è una trasposizione del Giovanni protagonista del racconto Una notte sul treno della Via Lattea (河鉄道の夜 ginga tetsudō no yoru) dello scrittore e poeta Miyazawa Kenji, che come interlocutore privilegiato delle sue storie ha scelto proprio i bambini. Lo stesso vale per il nome del piccolo Kanta, ispirato al Campanella della medesima favola. Ed è proprio all'opera di Miyazawa che Giovanni no shima si rifà, riportando in auge gli stessi temi e facendo vivere ai personaggi un destino simile a quello dei predecessori. Il famoso racconto narra di quando Giovanni, stanco dopo una dura giornata di lavoro, sulla via del ritorno a casa, dove lo aspetta la madre malata, si sdraia su una collina a riposare. Nel frattempo si imbatte in un maestoso treno e vi riesce a salire. Su quel fantastico treno incontra il suo amico Campanella e gli promette che insieme andranno avanti lungo tutto il tragitto. Tuttavia, durante il viaggio, si accorgono che il serpentone elettrico della Via Lattea non è altro che un mezzo per raggiungere l'aldilà e, ogni volta che una persona scende alla fermata, abbandona per sempre la vita. Proprio come Giovanni e Campanella, Junpei e Kanta salgono su questo fantastico treno, che a suon di ciuff ciuff percorre i binari di bianco latte; e lì si promettono a vicenda di non lasciarsi mai. Su questo treno incontrano tanti passeggeri, e ognuno di essi interpreta un ruolo nelle vicende che vivono: ad esempio, conoscono la dolce e bella Tanya, una bambina russa che si insedia nella loro vecchia casa assieme alla sua famiglia; si lasciano trascinare dallo spirito libero dello zio Hideo, che sfida i russi durante i suoi viaggetti sulla terraferma; si affidano alle cure materne della maestra Sawako; rincorrono il viso del padre Tatsuo al di là del filo spinato... ma soprattutto lottano per guadagnarsi un futuro, in cui la luce delle stelle non è oscurata dalla guerra e in cui la diversità si annulla dinanzi alla vita.
Uno dei temi portanti del film è la venerazione del furusato (故郷). L'attaccamento a quello che gli inglesi definiscono col termine «hometown», è stato per i giapponesi una continua fonte di ispirazione nei secoli addietro. In Giovanni no shima, l'isola di Shikotan, appartenente all'arcipelago delle Curili, vittima di un contenzioso tra il Giappone e la Russia per decenni, diviene il simbolo della patria decaduta, che il 15 agosto 1945 riceve via radio, attraverso la voce dell'amato imperatore, l'annuncio della resa nella Seconda guerra mondiale da parte dell'esercito nipponico. Dopo lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, il Sol Levante è costretto a inchinarsi al vincitore, vivendo il tramonto degli ideali nazionalisti che avevano acceso la guerra ma ridotto il paese in un cumulo di macerie e di anime vaganti. In questo modo, la decisione del nonno di morire nella sua isola, e precisamente come fanno i pescatori nel mare, le cui profondità sono state fonte di sostentamento per il popolo giapponese per secoli, è simbolica tanto quanto fu la morte dell'imperatore Meiji, che segnò la fine di un tempo e l'inizio di un nuovo Giappone. La grande fenice, che risorge dalle sue ceneri e mai il capo abbassa dinanzi alla morte, ancora una volta è chiamata al rinnovo. Lo sventolante vessillo, bianco con al centro l'enorme cerchio rosso, è agognato per tutto la durata della pellicola in un continuo anelito di speranza. Così è dall'isola che Junpei scappa per ribagnare nella giapponesità le sue membra stanche di tanto vagare; così il medesimo all'isola fa ritorno, per ritrovare il se stesso perduto nel vento, assieme al disegno della dolce fanciulla russa che gli aveva catturato il cuore.
Il film, realizzato da Production I.G, ha una grafica evocativa. In particolare l'utilizzo delle colorazioni degli sfondi, che passano dalle tonalità calde dell'isola patria alla scala di grigi delle località russe innevate e ostili, trasmette il cambiamento che la famigliola giapponese vive con lo scorrere dei mesi. In questo senso, è ancor più poetica la trasformazione dell'ambiente in un cielo stellato solcato da una locomotiva che attraversa il blu trapunto di luci, portando sulla scena le immagini che Miyazawa invocava in uno dei suoi racconti più significativi. Come in un sogno, nel cielo attraversato dal treno della Via Lattea ogni stella rappresenta una persona, che abbandonate le spoglie mortali è volata sul soffitto del mondo, brillando per chi da quaggiù ha bisogno ancora di lei. La morte, intesa nel suo significato buddhista di metempsicosi, è sì separazione e sofferenza da chi ci lascia, ma nel ciclo della rinascita regala la serenità di un incontro futuro. Ed è così che osservare il cielo diviene rassicurante, ed è proprio guardando il firmamento che l'uomo riconosce di essere uguale, perché tutti gli uomini abitano sotto lo stesso cielo e non ci sono uomini con cieli diversi.
Altrettanto evocativa è la colonna sonora, che riporta alla memoria canzoni popolari, in un intreccio di cori di civiltà, che dinanzi alla musica si spogliano della loro bandiera e accolgono il prossimo nel calore di casa propria. La musica, infatti, non fa distinzione, e ricambia sempre l'amore che l'uomo gli dimostra ponendo in riga le sette note. Il culmine viene raggiunto nell'inno al furusato che accompagna i titoli di coda: la patria è una madre che accoglie in un affettuoso abbraccio i figli dispersi per il mondo.
Il character design potrà far strizzare gli occhi agli amanti del bel disegno in stile manga, ma è un buon ritratto del tipo asiatico, che viene immortalato nei suoi occhi a mandorla, in visi dalla mascella pronunciata e nei suoi caratteristici colori bruni. Si passa dalla durezza del volto del padre di Junpei, all'ilarità del visino del piccolo Kanta che suscita nello spettatore una grande tenerezza. D'altra parte, anche i russi vengono ben delineati nelle loro fattezze fisiche, in quegli splendidi capelli biondi, in quei meravigliosi occhi azzurri e in quella carnagione bianca come la neve che cade fitta in casa loro, e che tanto fa contrasto con la pelle scura dei giapponesi. Questo realismo figurativo ben si adatta ad una storia di guerra, che nella fiction narra di eventi che potrebbero tranquillamente essere accaduti.
Il doppiaggio, infine, è coinvolgente nella sua alternanza di lingue diverse. Pregevole è infatti la scelta di lasciar parlare ogni civiltà nella lingua madre: si odono perciò sia il giapponese, sia il russo e, nella seconda parte, anche il coreano. Sono pregnanti i dialoghi fra Tanya e Junpei, che nonostante utilizzino lingue diverse riescono a comprendersi, perché siamo tutti uomini e in quanto tali apparteniamo alla stessa specie.
Junpei e Kanta Senō, due fratellini orfani di madre, conducono una vita tranquilla nell'isola di Shikotan, che protetta dai soldati dell'Alba, non ha assaporato la guerra nella sua forma più crudele. Nell'agosto del 1945, però, l'URSS occupa militarmente il villaggio di pescatori in cui vivono i ragazzi e inizia una massiccia deportazione degli uomini nei campi di concentramento sul suolo russo. Grazie all'innocenza dei piccoli protagonisti, quello che dovrebbe essere uno scontro fra civiltà diverse, diviene incontro di esistenze. Simbolica, in questo senso, è la scuola elementare divisa in due classi, quella russa e quella giapponese, che abbatte il muro divisore e trova comunione soltanto nell'intonazione dei reciproci canti popolari da parte dei bambini, che nella curiosità di scoprire il nemico vi ritrovano un principio di amicizia. È nell'infanzia, l'età vulnerabile, quella a cui si deve rendere conto degli errori commessi e delle volte che si è finto di non vedere, che Giovanni no shima individua i principali referenti del debito che ogni adulto contrae con un essere umano, e proprio in loro trova una spinta decisiva per portare avanti un discorso nel quale i bambini insegnano ai più grandi com'è che si sta al mondo.
Il Giovanni del titolo non è altri che Junpei, il cui nome è una trasposizione del Giovanni protagonista del racconto Una notte sul treno della Via Lattea (河鉄道の夜 ginga tetsudō no yoru) dello scrittore e poeta Miyazawa Kenji, che come interlocutore privilegiato delle sue storie ha scelto proprio i bambini. Lo stesso vale per il nome del piccolo Kanta, ispirato al Campanella della medesima favola. Ed è proprio all'opera di Miyazawa che Giovanni no shima si rifà, riportando in auge gli stessi temi e facendo vivere ai personaggi un destino simile a quello dei predecessori. Il famoso racconto narra di quando Giovanni, stanco dopo una dura giornata di lavoro, sulla via del ritorno a casa, dove lo aspetta la madre malata, si sdraia su una collina a riposare. Nel frattempo si imbatte in un maestoso treno e vi riesce a salire. Su quel fantastico treno incontra il suo amico Campanella e gli promette che insieme andranno avanti lungo tutto il tragitto. Tuttavia, durante il viaggio, si accorgono che il serpentone elettrico della Via Lattea non è altro che un mezzo per raggiungere l'aldilà e, ogni volta che una persona scende alla fermata, abbandona per sempre la vita. Proprio come Giovanni e Campanella, Junpei e Kanta salgono su questo fantastico treno, che a suon di ciuff ciuff percorre i binari di bianco latte; e lì si promettono a vicenda di non lasciarsi mai. Su questo treno incontrano tanti passeggeri, e ognuno di essi interpreta un ruolo nelle vicende che vivono: ad esempio, conoscono la dolce e bella Tanya, una bambina russa che si insedia nella loro vecchia casa assieme alla sua famiglia; si lasciano trascinare dallo spirito libero dello zio Hideo, che sfida i russi durante i suoi viaggetti sulla terraferma; si affidano alle cure materne della maestra Sawako; rincorrono il viso del padre Tatsuo al di là del filo spinato... ma soprattutto lottano per guadagnarsi un futuro, in cui la luce delle stelle non è oscurata dalla guerra e in cui la diversità si annulla dinanzi alla vita.
Uno dei temi portanti del film è la venerazione del furusato (故郷). L'attaccamento a quello che gli inglesi definiscono col termine «hometown», è stato per i giapponesi una continua fonte di ispirazione nei secoli addietro. In Giovanni no shima, l'isola di Shikotan, appartenente all'arcipelago delle Curili, vittima di un contenzioso tra il Giappone e la Russia per decenni, diviene il simbolo della patria decaduta, che il 15 agosto 1945 riceve via radio, attraverso la voce dell'amato imperatore, l'annuncio della resa nella Seconda guerra mondiale da parte dell'esercito nipponico. Dopo lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, il Sol Levante è costretto a inchinarsi al vincitore, vivendo il tramonto degli ideali nazionalisti che avevano acceso la guerra ma ridotto il paese in un cumulo di macerie e di anime vaganti. In questo modo, la decisione del nonno di morire nella sua isola, e precisamente come fanno i pescatori nel mare, le cui profondità sono state fonte di sostentamento per il popolo giapponese per secoli, è simbolica tanto quanto fu la morte dell'imperatore Meiji, che segnò la fine di un tempo e l'inizio di un nuovo Giappone. La grande fenice, che risorge dalle sue ceneri e mai il capo abbassa dinanzi alla morte, ancora una volta è chiamata al rinnovo. Lo sventolante vessillo, bianco con al centro l'enorme cerchio rosso, è agognato per tutto la durata della pellicola in un continuo anelito di speranza. Così è dall'isola che Junpei scappa per ribagnare nella giapponesità le sue membra stanche di tanto vagare; così il medesimo all'isola fa ritorno, per ritrovare il se stesso perduto nel vento, assieme al disegno della dolce fanciulla russa che gli aveva catturato il cuore.
Il film, realizzato da Production I.G, ha una grafica evocativa. In particolare l'utilizzo delle colorazioni degli sfondi, che passano dalle tonalità calde dell'isola patria alla scala di grigi delle località russe innevate e ostili, trasmette il cambiamento che la famigliola giapponese vive con lo scorrere dei mesi. In questo senso, è ancor più poetica la trasformazione dell'ambiente in un cielo stellato solcato da una locomotiva che attraversa il blu trapunto di luci, portando sulla scena le immagini che Miyazawa invocava in uno dei suoi racconti più significativi. Come in un sogno, nel cielo attraversato dal treno della Via Lattea ogni stella rappresenta una persona, che abbandonate le spoglie mortali è volata sul soffitto del mondo, brillando per chi da quaggiù ha bisogno ancora di lei. La morte, intesa nel suo significato buddhista di metempsicosi, è sì separazione e sofferenza da chi ci lascia, ma nel ciclo della rinascita regala la serenità di un incontro futuro. Ed è così che osservare il cielo diviene rassicurante, ed è proprio guardando il firmamento che l'uomo riconosce di essere uguale, perché tutti gli uomini abitano sotto lo stesso cielo e non ci sono uomini con cieli diversi.
Altrettanto evocativa è la colonna sonora, che riporta alla memoria canzoni popolari, in un intreccio di cori di civiltà, che dinanzi alla musica si spogliano della loro bandiera e accolgono il prossimo nel calore di casa propria. La musica, infatti, non fa distinzione, e ricambia sempre l'amore che l'uomo gli dimostra ponendo in riga le sette note. Il culmine viene raggiunto nell'inno al furusato che accompagna i titoli di coda: la patria è una madre che accoglie in un affettuoso abbraccio i figli dispersi per il mondo.
Il character design potrà far strizzare gli occhi agli amanti del bel disegno in stile manga, ma è un buon ritratto del tipo asiatico, che viene immortalato nei suoi occhi a mandorla, in visi dalla mascella pronunciata e nei suoi caratteristici colori bruni. Si passa dalla durezza del volto del padre di Junpei, all'ilarità del visino del piccolo Kanta che suscita nello spettatore una grande tenerezza. D'altra parte, anche i russi vengono ben delineati nelle loro fattezze fisiche, in quegli splendidi capelli biondi, in quei meravigliosi occhi azzurri e in quella carnagione bianca come la neve che cade fitta in casa loro, e che tanto fa contrasto con la pelle scura dei giapponesi. Questo realismo figurativo ben si adatta ad una storia di guerra, che nella fiction narra di eventi che potrebbero tranquillamente essere accaduti.
Il doppiaggio, infine, è coinvolgente nella sua alternanza di lingue diverse. Pregevole è infatti la scelta di lasciar parlare ogni civiltà nella lingua madre: si odono perciò sia il giapponese, sia il russo e, nella seconda parte, anche il coreano. Sono pregnanti i dialoghi fra Tanya e Junpei, che nonostante utilizzino lingue diverse riescono a comprendersi, perché siamo tutti uomini e in quanto tali apparteniamo alla stessa specie.
«Fino a quando il mondo non conquisterà la felicità nessun uomo potrà essere felice»: queste parole di Miyazawa alimentano la convinzione profonda che occorra sentire il dolore di tutti, anche di chi è lontano, poiché non vi è diversità nella sofferenza, e la felicità dell'individuo non può prescindere dalla felicità del mondo intero. In tempi di guerra e distruzione come quelli che corrono oggi, quindi, Giovanni no shima è una visione obbligatoria, perché insegna che senza fratellanza fra l'uomo non ci potrà mai essere pace, e quindi non ci potrà mai essere felicità. Nell'utopia di un futuro senza morte, gli uomini salgono sulla locomotiva della Via Lattea e insieme si affacciano dai finestrini per intravedere le costellazioni, ritornando per un attimo bambini. Quei bambini che non conoscono la guerra e che agli eroi dei libri letti dai genitori come ninna nanna votano il proprio credo. Delicato ma intenso, struggente e commovente, profondo eppure ingenuo, un piccolo capolavoro che rievoca Gen di Hiroshima e i suoi piedi nudi.
Molto bella e giusta la recensione.
Complimenti a LaMelina che ha scaputo descrivere così bene le atmosfere di questa toccante pellicola, che ha il pregio anche di riportare alla memoria un episodio storico poco noto, e cioè l'occupazione sovietica di Sakhalin e delle Kurili, queste ultime oggentto ancora oggi di controversie e rivendicazioni tra Giappone e Federazione Russa. Ma anche l'innocenza e la spontaneità dei due piccoli Junpei e Kanta, così come dei loro compagni di scuola che nella loro innocenza riescono a fraternizzare con i bambini figli dei soldati dell'Armata Rossa, quando invece, purtroppo, gli adulti restano distanti e diffidenti. E sono proprio gli adulti a rovinare questa breve amicizia, con le loro azioni, e soprattuto con l'odio politico che poi avrà per i due piccoli fratellini giapponesi conseguenze tragiche. Una pellicola molto intensa e commovente che sarebbe bene fosse esportata anche da noi, e che ribadisce ancora una volta e di più ripetto ad altre quanto sia assurda la logica del conflitto che oppone stati, ideologie, razze e popolazioni diverse; e quanto questo, ingiustizia suprema, poi ricada sulle spalle delle creature più deboli ed innocenti, come per l'appunto i bambini di questa storia.
LiquidSnake: Concordo in pieno con te, purtroppo questa pellicola esula molto dai canoni e dalle logiche delle grandi major cinematografiche. Sarebbe molto bello comunque venisse proiettata nei nostri cinema.
Il film mi è piaciuto molto, è stato davvero intenso e struggente, bellissimo (nel bene e nel male) il ruolo dei bambini, perfettamente spiegato nella recensione. Anche secondo me questo film potrebbe concorrere all'oscar, personalmente l'ho trovato più bello sia di Si Alza il vento che della Principessa kaguya!
Giovanni no shima è un film che mi è piaciuto un sacco e che è riuscito a commuovermi più volte. Anche a me è piaciuto molto vedere come adulti e bambini vivono la situazione in modo così differente. Ho trovato per esempio bellissima la scena a scuola dove i bambini giapponesi cantano la canzone russa e viceversa. C'è poco da fare: i bambini hanno sempre qualcosa da insegnare anche a noi tutti, che crescendo abbiamo imparato tanto, ma allo stesso tempo perso qualcosa.
Un film stupendo che anche io ho trovato superioere ai più noti Si alza il vendo e La Principessa Kaguya.
Mi interessa soprattutto vedere come hanno reso l'atmosfera di quel periodo burrascoso, quella parte di storia bellica che i Giapponesi non hanno mai digerito, quegli ultimi scampoli di guerra che hanno strappato loro parte del suolo patrio e che hanno provocato controversie diplomatiche non ancora risolte.
Forse però ha influito anche la mia non conoscenza del romanzo di Miyazawa, che non mi ha fatto cogliere e apprezzare del tutto i vari rimandi. Anche sul piano emotivo il film mi ha preso meno rispetto ad altri: ok, qualche scampolo di emozione qua e là l'ho provato, ma mi ha commosso molto di più questa recensione che l'intero film.
In ogni caso, menzione d'onore al comandante russo che corregge l'operazione sulla lavagna.
@grandebonzo: In effetti la storia dei poveri Junpei e Kanta, oltre che dei loro familiari e compatrioti presenti in quell'infausto momento a Shikotan, sembra essere un po' lo specchio din quella di tante altre persone nel mondo che alla fine di conflitti perduti rovinosamente hanno perso anche la loro terra natia, e soo stati costretti a migrare verso luoghi che sono nella loro patria, ma che non potranno, almeno nei loro cuori, mai sostituire il posto in cui sono nati e cresciuti, lasciando nel loro animo una profonda ferita che mai si potrà rimarginare. Di esempi di questo tipo ce ne sono molti: in giuliano/dalmati in Italia, i tedeschi di Boemia in Germania, i palestinesi espulsi dalle loro terre con la creazione di Israele, etc.
Il mio non era un confronto a livello di qualità del film in sé ma di quanto mi sia piaciuto e di quello che mi ha trasmesso, un giudizio personale quindi.
Alla fine, almeno a mio modesto parere, non è possibile fare una classifica di quale sia il migliore. Perciò , se dovessi assegnare un premio finirei per darlo a tutti e tre ex-aequo; ma se fossi proprio costretto a scegliere un solo titolo, allora opterei per Giovanni no shima per dare un riconoscimento ad un autore meno famoso dei due Maestri della Ghibli, e per il tema trattato.
In effetti hai ragione e probabilmente il termine "superiore" non è quello più corretto: diciamo che Giovanni no Shima è riuscito a coinvolgermi, emozionarmi e trasmettermi molto più rispetto agli altri due film, e per questo posso dire che mi sia piaciuto di più, pur riconoscendo l'indubbia qualità delle altre due pellicole. Insomma: tra i 3 io ho preferito L'isola di Giovanni, ma non ho certo la pretesa di paragonare le 3 opere tra di loro. Si tratta solo di un parere personale
Sono infinitamente riconoscente della visibilità che è stata data a questa mia recensione, non tanto perché si tratta di una cosa che ho scritto io (anche se sarei ipocrita nel dire che non mi fa piacere, è pur sempre la prima volta! ^/////^), ma perché quest'anime merita di essere conosciuto e di arrivare a più persone possibili. Penso che sia una visione obbligata -passatemi il termine-, pone molti spunti di riflessione, che reputo fondamentali nella realtà di oggi.
@Slan
menzione d'onore al comandante russo che corregge l'operazione sulla lavagna.
Questa scena è piaciuta un casino anche a me! Ero col fiato sospeso e poi lui ha completato l'operazione e mi ha sorpresa! Infine, lascia che ti ringrazi in maniera particolare... queste parole: "ma mi ha commosso molto di più questa recensione che l'intero film" hanno commosso me. Per una persona a cui piace scrivere, sapere di essere arrivata fino a questo punto è quanto di più bello possa esistere.
@Arashi84
grazie ai suoi scritti riesco sempre a conoscere qualcosa della storia o della cultura giapponese che ignoravo
Io lo dico sempre che tu mi sopravvaluti. Ma sono felice di passare quel poco che so alle persone ♥
@LaMelina: I complimenti che hai ricevuto sono pienamente meritati! Scrivi davvero molto bene e hai anche il dono della modestia. Mi è piaciuta davvero molto questa tua recensione, anch'io mi sono ripromesso di scriverne una su questo titolo, devo solo trovare il tempo di mettere insieme le idee e buttare giù in buon italiano, cosa che purtroppo mica sempre mi riesce, specialmente quando scrivo dal tablet (maledetto dizionario automatico, quanti errori mi fai fare!).
@Debris: Sarebbe davvero una gran cosa se potessimo influenzare qualcuno alla Yamato, alla Dynit, o alla Lucky Red per fargli prendere in considerazione Giovanni no shima, e chissà magari si riuscisse a coinvolgere qualche personaggio del mondo della scuola , visto che l'argomento trattato si presta abbastanza bene ad un progetto interdisciplinare sulla Seconda Guerra Mondiale visto che quest'anno ricorrono i 70 anni dalla fine del conflitto segnata dalle due bombe nucleari sganciato su Hiroshima e Nagasaki, e questo ha dato il via alla riedizione italiana del manga di Hadashi no Gentile (che ho finito di leggere poche sere fa trattenendo, e non lo dico così per dire, le lacrime), con Giovanni no shima invece si toccano aspetti meno noti delle conseguenze di quel tragico conflitto, che però non mi sembrano meno importanti, visto che in qualche modo somigliano ad esperienze vissute non solo dai giapponesi che abitavano nelle Kurili, ma anche da altre popolazioni, incluse la nostra (gli esempi li ho fatti in un commento postato in precedenza).
Ciò che mi rende davvero felice è di essere riuscita nel mio piccolo a convincere più persone a dare una possibilità alla pellicola. La scelta delle parole giuste col quale recensirlo era mirata solo a questo.
Complimenti all'autrice per la recensione, ha colto tutti i punti essenziali del film
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