Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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"No Game No Life", o forse sarebbe più giusto dire "No Cheat No Win", è un isekai che oggettivamente si distingue molto dagli altri, in quanto non punta molto all'ambientazione fantastico-medievale, alle classiche motivazioni Bene contro Male o ai combattimenti di cappa, spada e magia. Bensì punta agli spazi ristretti di una stanza, a motivazioni più egoistiche e a sfide di ingegno. La serie si tiene strette la ricchezza multirazziale tipica del genere, in questo caso ben sedici specie diverse, tra cui varie classiche e apprezzate, ma solo per allungare la corsa dei due protagonisti, che, nonostante ciò che dicono, non sono rinati in un nuovo mondo, ci sono solo stati portati.

I protagonisti sono Sora e Shiro, due fratellastri NEET, di cui una è una undicenne alla "Lucky Star", con colori più delicati, atteggiamento rilassato e continue espressioni graziose della bocca. Già dicendo questo, si parte un po' prevenuti nella visione, e in effetti il loro legame è molto... diciamo pure troppo, stretto, a un passo dalla sindrome "Lannister". I due protagonisti fanno sempre tutto insieme, vanno d'accordo, hanno totale fiducia reciproca, si compensano nei momenti di crisi, vengono colti da attacchi di panico se si separano di pochi metri, e soprattutto si capiscono al primo sguardo. Più che anime gemelle, sono la stessa anima divisa in due corpi. Due auto-reclusi, con un'innata genialità in tutto ciò che è considerabile come confronto ludico, indipendentemente dal formato, dal genere e dalle varianti. In realtà, questo è più un confine che si sono creati loro, in quanto, nonostante la giovane età, hanno più cultura, capacità di calcolo e di analisi di chiunque altro al mondo, trascendono le capacità umane e riescono ad assimilare informazioni dai libri, con una rapidità seconda solo al Johnny 5 di "Corto Circuito"... anche se in regia non si sono premurati molto di giustificare la conoscenza della lingua parlata e non di quella scritta. A muovere i due ragazzi, oltre al loro interesse personale di volersi divertire, ci sarà, sempre da parte loro, il solito comizio anime sulle infinite possibilità del genere umano, sul fare la differenza pensando fuori dagli schemi e sull'orgoglio dell'umanità, trattata classicamente come la cenerentola delle specie senzienti, ma che, se si impegna, guarda caso può superare tutti.

A guidare gli eventi sarà principalmente Sora, il fratello maggiore, che, come i malati di gioco d'azzardo, prova un certo godimento nel rischiare tutto quello che ha. Come molti tronfi protagonisti intelligentoni tipici degli isekai, Sora raccatterà ogni informazione possibile e sarà molto attento ad ogni minimo, dannato, particolare, con l'aggravante di essere più rapido di Flash nel saper che fare e più onesto nel mostrare fin troppo la sua sicurezza. La sua specialità è la strategia, potremmo dire... di tipo napoleonico, ovvero non solo concentrata sugli elementi in campo, ma anche sulla comprensione umana degli avversari, su cui non di rado farà pressione psicologica. La sorella Shiro invece, dichiaratamente la più intelligente dei due, è più portata alla fredda e ferrea elaborazione degli elementi matematici.

A fare particolarmente le spese del loro stile di vita sarà Stephanie, la tipica formosa testa vuota, indifesa e dal cuore d'oro. Il modo in cui viene trattata la ragazza a volte mi ha ricordato la povera Flauto dell'ormai dimenticato "Violinista di Hamelin". Anche lei infatti viene derisa a livello personale (cognitivo), sfruttata lavorativamente e persino umiliata in pubblico, rimanendo, nonostante questo, sempre devota, in minima parte per via di una scommessa persa. Eh già, scommessa, perché non è una semplice schiava vinta al gioco. In questo particolare mondo ogni partita ha conseguenze inevitabili per lo sconfitto, e qualsiasi sia la posta in gioco va rispettata, anche se vuol dire manomettere il libero arbitrio, se non addirittura la stessa esistenza di una persona. E purtroppo (o per fortuna) è anche l'unico modo per risolvere le controversie.

Bisogna riconoscere agli autori di aver tentato di rappresentare il più possibile i due fratelli come due simpatiche canaglie, capaci di atti distensivi dopo la vittoria o dopo un eccessivo attacco personale, nonostante l'agire luciferino tenuto sia per provocare che per vincere gli scontri. Con Shiro, si potrebbe dire che vi sono riusciti, visto il fattore kawaii e il fatto che sia la più dipendente, nel loro indissolubile legame. Una sottomissione, mascherata dal fatto che lei sembri pensarla anticipatamente allo stesso modo, sempre. La piccola Shiro va oltre il concetto di genialità comune, ed è anche maliziosetta, ma non è astuta come Sora né altrettanto energica, ed essendo una bambina, per giunta con un'infanzia difficile, non ha la stessa, seppur limitata, esperienza di vita del fratello. Con Sora invece è più complicato dare un giudizio, anche solo per la sua sconsideratezza da sociopatico. Francamente, l'avrei visto a più riprese adatto come cattivo, ma alla fine lo hanno reso solo un gran pazzoide bluffatore, ma buono nel profondo.

L'interesse delle fazioni nel voler espandere a tutti i costi i propri territori, nonostante lo spazio a disposizione e la bassa popolazione generale, è sicuramente qualcosa di realistico, tuttavia, quello che tragicamente non va in "No Game No Life" è che i due fratelli sono realmente invincibili, e per i motivi peggiori, cioè becero protagonismo. Non ci troviamo di fronte a una storia che vuole andare molto per le lunghe, anche perché di fazioni ve ne sono parecchie, quindi, dopo aver conquistato subito un alloggio comodo, l'obiettivo, invece di perder tempo e proteggere ciò che si ha, sarà di prendere tutto il territorio di ogni avversario, in una o due sfide. Il problema è il modo in cui i due hikikomokori vincono. Praticamente, ogni giocata, dalla più impegnativa alla meno rilevante, verrà presa seriamente dai due ragazzi, perché il loro motto è "non perdere mai". Di conseguenza elaboreranno strategie, o ne avranno di già precotte all'uso, anche per le cose più semplici. Il difetto nascerà quando gli scontri si faranno pesanti, perché in quel caso Sora e Shiro, oltre a non contemplare la possibilità di un imprevisto, cominceranno ad avere una sfera di cristallo grande come il monte Fuji, giocandosi il tutto per tutto su eventi con zero possibilità realistica di avvenimento e... quando non sarà così, o si faranno aiutare tanto quanto gli avversari oppure, con il loro comportamento, semplicemente volgeranno a loro favore le regole in modo ridicolo. Capisco che gli avversari abbiano abilità innate che li avvantaggiano, e capisco meno perché in un luogo fantasy l'umanità non ne abbia, o meglio, non ne possa acquisire nessuna. Sicuramente le strategie sono necessarie, ma, se vi era bisogno di trovate tanto ingarbugliate, ci credo che l'umanità era in declino. Contrariamente a ciò che vorrebbero gli autori, non ti viene curiosità di sapere cosa i due fratelli tireranno fuori dal cilindro, in quanto è troppo lontano da quello che potrebbe fare chiunque, per quanto abile.

"No Game No Life" fa solo finta di prendersi sul serio, e mira piuttosto ad attirare una certa fascia di utenza. Durante la visione, compariranno varie citazioni di famose proprietà intellettuali, tra cui: "Doraemon", "Phoenix Wright", "Jojo", "Persona", "Steins;Gate" e "Di-gi Charat". I personaggi secondari, per quanto sopra le righe, non lasceranno mai il segno, risultando solo un inutile presenza harem, priva di qualsiasi peso nella storia, con scarsa valenza comica e fuori dall'obbiettivo romantico. Alcune saranno pure indefinibili, come l'elfa Fi, oppure saranno un pasticcio come la più presente celestiale Djibril, che si potrebbe definire una proto-Albedo che, però, vuole essere troppe cose, senza per questo far simpatia. Se rimanevano solo i due fratelli e Stephanie, onestamente, non cambiava moltissimo. Infine, c'è da sottolineare l'immancabile componente ecchi, con tanto di mega-bagno regale incluso nel pacchetto. La cosa strana è che, per quanto la serie potesse godere di personaggi femminili pensati apposta per essere guardati con lascività, invece di giocare sul sicuro, oseranno giocherellare persino con la figura acerba di Shiro, e la cosa, onestamente, mi ha sorpreso, e credo infastidirà più di qualche spettatore.

Questa serie non ha personaggi che mi siano piaciuti particolarmente, anzi, i protagonisti (specie Sora) rischiano di suscitare antipatia con la loro strafottente sicurezza. Stephanie mi ha suscitato almeno un briciolo di compassione e qualche sorriso, ma niente di più, in quanto il suo ruolo di bambola da mostrare seminuda la rende una figura fin troppo banale ormai. Tra le cose rimaste in sospeso, rimane da capire come il fratello avesse cercato o progettato di aiutare la sorella ad esprimere il suo potenziale, visto che alla fine, per quanto predisposta, l'ha fatta semplicemente rintanare come lui, modellandola a sua immagine, peggio di alcuni animali domestici che finiscono per somigliare ai loro padroni. Ci sono indubbiamente spunti interessanti in "No Game No Life", già il concetto di voler sfidare la divinità reggente, tramite un gioco da tavolo, ricorda vagamente la partita del, forse sopravvalutato, "Il Settimo Sigillo" di Bergman, e questo delirio di onnipotenza è sicuramente più intrigante dello sconfiggere il tipico capo dei cattivoni nel suo cupo maniero. Tra l'altro, Tet, la divinità assoluta di questo mondo, è un tipetto da cui aspettarsi prima o poi qualche grossa sorpresa.

Il comparto tecnico è discreto e vi è una colorazione accesa e luminosa che dividerà certamente i pareri, ma che personalmente ho davvero gradito. Purtroppo, i pochi pregi non aiutano a rendere la visione particolarmente interessante, ma solo a godersi meglio alcuni momenti più concitati nelle poche sfide importanti, di cui l'ultima, a mio avviso, è la meno ispirata di tutte.

In definitiva, ci troviamo davanti a una serie con, finora, solo un antefatto uscito in formato di lungometraggio, e da cui non so se aspettarmi una continuazione, che dovrebbe mostrare tra l'altro un bel saltone nella caratura dei prossimi sfidanti. Un anime ricco di fancervice, dove non si va avanti di abilità, e nemmeno di strategie, nonostante 'spiegoni' e alleanze improbabili. Tutto, dall'acqua fino al sale, andrà avanti a suon di piani assurdi e protagonismo puro e semplice, e, credetemi, la cosa si farà presto stancante, al punto di desiderare fortemente che arrivi un tragico imprevisto a scuotere gli eventi.

Si può guardare, ma, a mio parere, nel suo voler esagerare fino alla fine, e nel suo volersi circondare di elementi attira-otaku, ha sprecato gran parte del suo potenziale.

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Ogni giorno l'essere umano compie un numero smisurato di azioni, talvolta in maniera così meccanica, da non rendersene neanche conto e attribuir loro il giusto peso e significato. Dalla nostra prospettiva può sembrare la cosa più normale del mondo uscire dalla porta di casa e costruire delle relazioni con altri individui nel mondo esterno. Con il termine giapponese "hikikomori" si intende la decisione consapevole da parte di un soggetto di ritirarsi dalla vita e dai legami sociali, preferendo l'isolamento o il confinamento tra le proprie mura di casa. Molteplici possono essere i fattori che stanno alla base di tale disturbo, i quali vanno naturalmente riscontrati all'interno dello stile di vita del soggetto e in modo particolare delle dinamiche psicologiche che lo caratterizzano.

Nel caso del nostro protagonista, Sato, l'ex-studente universitario è oramai recluso da ben quattro anni nel suo appartamento, avendo abbandonato di fatto l'università e sopravvivendo nel senso letterale del termine attraverso un assegno che i genitori gli inviano ogni mese. Quando si trova circondato da altre persone, Sato evita di entrare in contatto con gli altri e pensa che tutti lo guardino dall'alto verso il basso, manifestando delle chiare conseguenze dell'effetto spotlight, cioè la tendenza dell'individuo a sopravvalutare il grado di attenzione che gli altri rivolgono al nostro aspetto e al nostro comportamento. La vita dell'hikikomori comincia a cambiare drasticamente dopo l'incontro casuale con la giovane Nakahara, la quale decide di prendersi cura di Sato, aiutandolo attraverso delle fantomatiche sedute psicoanalitiche. Tuttavia, dietro la sua scelta si cela una precisa motivazione, la quale va analizzata all'interno dell'angosciante condizione psicologica che caratterizza la ragazza. Per salvaguardare il suo vuoto interiore e la sua profonda sfiducia in sé stessa, ha dovuto trovare un altro individuo che si trovasse in una condizione pari o inferiore alla sua. Il supporto di Nakahara ha due finalità: una corretta e una sbagliata. Quella corretta si identifica nell'aiutare Sato a uscire dalla sua condizione di hikikomori, mentre quella sbagliata è aspettarsi forzatamente che anche Sato facesse la stessa cosa per lei. Dunque Nakahara ha supportato per tutto questo tempo il ragazzo, semplicemente per ricevere qualcosa in cambio, esteriorizzando la sua natura egoistica e soprattutto non molto consona ai canoni dell'amicizia. Sebbene il comportamento di Nakahara possa sembrare spregevole, bisognerebbe scavare ancora più a fondo nella sua psiche, in quanto la concezione distorta e l'evidente insicurezza maturata sono due aspetti importanti scaturiti da un cagionevole rapporto con le figure genitoriali. Da una parte, una madre fin troppo debole a livello caratteriale, soggiogata continuamente dal potere coercitivo espresso dal padre; dall'altra, il padre adottivo stesso, il quale non è riuscito a trasmettere null'altro che egoismo e totale indifferenza alla propria figlia. Probabilmente i riflettori sono tutti o quasi indirizzati nei confronti del protagonista e del suo disturbo, ma, dal mio punto di vista, la figura instabile di Nakahara è ancora più complessa e difficile da analizzare, in quanto frutto di un percorso deviato iniziato sin dall'infanzia e le cui conseguenze negative si sono riversate inesorabilmente anche nel periodo adolescenziale. In fin dei conti, Sato ha avuto una famiglia e anche degli amici che lo hanno affiancato, Nakahara, invece, non riuscendo a superare il trauma subito da piccola, si è chiusa così tanto in sé stessa, da non legare emotivamente più con nessuno, neanche con gli zii che si sono presi cura di lei.

Il comparto grafico è forse l'unico vero e consistente contro della serie: ci sono alcuni spezzoni di episodi nei quali i produttori davvero mi chiedo cosa abbiano combinato, sperando che sia tutto dovuto a una mancanza di budget. I primissimi minuti del diciannovesimo episodio mi hanno davvero lasciato senza parole, il character design e soprattutto alcuni aspetti fisici dei personaggi sono stati approssimati in una maniera così imprecisa e poco realistica, che alcune parti del corpo erano chiaramente sproporzionate. Per il resto, le OST mi sono sembrate congruenti e adatte alla serie, inoltre ho seguito l'anime doppiato in italiano. Il doppiaggio tutto sommato mi è piaciuto, ritengo che il migliore sia stato Davide Garbolino nel ruolo di Yamazaki, difficilmente potrò dimenticarmi delle sue urla folli e talvolta inopportune.

Nel complesso, "NHK ni Youkoso" è un'opera che va guardata con molta attenzione, per comprendere l'amplio repertorio delle tematiche che vengono analizzate: l'alienazione causata dai videogiochi, il potere suggestivo che l'altro potrebbe utilizzare su di noi, il mondo di Internet oppure questioni delicate come il suicidio. Quelle appena citate sono tutte tematiche che avrebbero meritato di essere approfondite e discusse all'interno del mio discorso, tuttavia ho voluto ridurre il succo del discorso a ciò che mi ha veramente colpito quando ho guardato la serie, evitando di scrivere un lungo poema che non segue un filo logico e con argomenti sparsi qua e là. In fondo, credo che il messaggio trasmesso dell'autore sia unico e inequivocabile: il mondo reale non è un cartone animato, durante la nostra esistenza è piuttosto improbabile che qualcuno venga a bussare alla nostra porta per aiutarci nella missione utopica di cambiare la nostra vita. "NHK ni Youkoso" rappresenta il perfetto esempio di come l'individuo dovrebbe comprendere, attraverso i propri mezzi e la propria consapevolezza, la condizione in cui si trova, e provare di conseguenza a dare una svolta alla propria esistenza. Delle volte, però, non si possiede la forza interiore e la volontà necessaria a mettere in atto dei cambiamenti sostanziali rispetto a quanto accaduto in passato, ed è proprio per questo che esistono due strutture molto importanti: da una parte la famiglia, dall'altra gli amici. Entrambe devono essere sensibilizzate ad evitare di abbandonare un proprio figlio o un proprio amico per il semplice fatto che è diverso da noi o si trova in una particolare condizione. Nel caso di Sato, il merito del suo graduale cambiamento è dovuto proprio alla presenza e alla lungimiranza dei suoi due amici, Nakahara e Yamazaki, i quali si sono sempre preoccupati di andarlo a trovare e soprattutto di spronarlo a uscire dalla propria abitazione. Dopotutto non siamo soli, ci saranno sempre una o due persone, là fuori, nel mondo esterno, che ci vogliono bene e tengono davvero a noi. Di conseguenza, perché dovremmo rifiutare l'altro, se veramente vuole aiutarci a superare i nostri problemi?
Il mio voto finale è 9.

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"Sono un uccello migratore.
Su una reggetta,
in un sol grido la mia ombra vola.
Oggi puoi trovarmi qui,
domani altrove.
Così è la mia vita infame,
scritta di getto.
La sacrifico per ogni tavola
su cui lavorerò.
Proprio come Okikusama,
morta per niente."

Queste sono le prime parole di "Elegia in rosso" di Seiichi Hayashi pubblicato tra il 1970 e il 1971 sulle pagine di “Garo”.

Queste prime frasi hanno una duplice funzione: sono un messaggio diretto che l’autore fa al lettore esternando il proprio umore e l’impegno messo nel suo lavoro, contemporaneamente però delineano la psicologia del protagonista maschile, Ichiro Nishimoto, introdotto nella pagina seguente.
Il modo in cui viene introdotto è alquanto particolare, lo troviamo discutere su uno sfondo completamento bianco con un cartoon dalle fattezze metà umane e metà calamaio; ovviamente la scena che stiamo guardando non rappresenta la realtà ma l’inconscio di Ichiro, stressato a causa del lavoro. Il bianco di sfondo rappresenta la bolla dei suoi pensieri e il cartoon è un’estensione del suo io.
È evidente che "Elegia in rosso" sia un'opera estremamente stratificata sia per cosa vuole raccontare, sia per come lo vuole fare.

Hayashi ci racconta frammenti della vita di Ichiro e Sachiko, la giovane coppia protagonista, ed in particolare i problemi lavorativi, sociali, familiari e relazionali che devono affrontare. Lui è un animatore part-time sottopagato, lei si sente schiacciata da una società che la vuole relegata a una vita familiare. Il loro rapporto è caratterizzato da alti e bassi, piccoli momenti di complicità e altri di incomprensione e incomunicabilità che si andranno a fare sempre più presenti con il progredire della storia.

Se con le tematiche affrontate il fumetto fotografa abbastanza bene la società del Giappone a cavallo tra gli anni sessanta e settanta è pero con il disegno che l’opera fa un ulteriore passo di qualità. Dal punto di vista grafico "Elegia in rosso" è un gekiga eclettico dove vari stili si mescolano insieme in base a cosa vuole comunicare l’autore.

Per quanto riguardo lo sfondo due sono le principali soluzione adottate. Uno sfondo completamente bianco, spesso per gli interni dell’appartamento di Ichiro e Sachiko, che può avere varie interpretazioni. Può avere la stessa funzione della tavola descritta precedentemente dove i personaggi si isolano nei loro tormenti escludendo tutto il resto, oppure può sottolineare la distanza che c’è nella coppia, la solitudine e l’insoddisfazione del loro rapporto.
Per gli esterni invece le cose cambiano, sono ricchi di particolari, retini, tratteggi; il nero si fa molto presente; i contrasti tra zone illuminate e in ombra sono particolarmente incisivi e danno una sensazione di forte realismo alle scene.
Non mancano poi i riferimenti agli ukiyo-e: ciliegi in fiore, fulmini, pioggia che bene sottolineano l’umore dei protagonisti. Oltre ai riferimenti alle stampe artistiche giapponesi l’autore fa utilizzo anche di notan partendo da fotografie reali e sintetizzandole in una bicromia di luce ed ombra; esempio di questo si può trovare nei TV frame nelle prime pagine.

Particolare attenzione è rivolta al character design. Le figure maschili mature, come il padre di Sachiko o un uomo sullo sfondo, vengono raffigurati con tratti particolarmente realistici, forse ad indicare i segni delle difficoltà che hanno superato nel corso della vita. Al contrario i protagonisti e i propri coetanei, che da poco sono venuti a contatto con le difficoltà della vita quotidiana, vengono rappresentati con una linea semplice, molto spesso di profilo o di tre quarti e quasi totalmente privi di ombreggiature se non per qualche piega sui vestiti.
È interessante notare però come nei momenti di particolare tragicità il tratto di questi personaggi muta, il volto viene quasi o completamente nascosto e ci si concentra su un taglio d’occhi, una mano estremamente realistica.
Tra le varie tavole interessati due risultano a mio avviso particolarmente incisive.

L’estasi del rapporto sessuale tra Ichiro e Sachiko è disegnato con un tratto particolarmente spesso e le due figure, irriconoscibili l’una dall’altra, sono caratterizzate esclusivamente dal volto e da una mano perfettamente speculari mentre i loro corpi sono fusi insieme. Alle loro spalle invece brilla una stella, elemento ricorrente nell’opera.
Altra tavola d’impatto è quella in cui Ichiro porta il proprio fumetto ad un editor. Abbiamo una prospettiva centrale particolarmente accentuata; al centro della stanza si staglia un uomo senza volto con i piedi e le mani appena abbozzate e il vestito e i capelli realistici. Alle sue spalle due bambini giocano a palla ed in lontananza un aereo sembra precipitare.
Con questa immagine surreale l’autore sembra volerci suggerire l’ansia del ragazzo distorcendo la stanza con la prospettiva e la riverenza che prova nei confronti dell’uomo senza volto, mentre le due scene sullo sfondo potrebbero indicare l’infrangersi dei sogni infantili.

"Elegia in rosso" è un’opera che stupisce molte volte nella sua lettura, se si riesce a darle l'opportunità.