Alle origini del mito c’è un mangaka di Takarazuka di nome Osamu Tezuka, un po’ medico e un po’ artista che dona vita al personaggio, in quella specifica ambientazione per aiutare i bambini ad immaginarsi un futuro migliore di quello che il dopoguerra e le rivolte studentesche avevano lasciato loro; crea da zero la città futuristica in cui robot e umani condividono spazi e socialità ma senza renderla irriconoscibile rispetto le esperienze dei suoi lettori, o sarebbe stata esageratamente estraniante. Ed ecco che fa iniziare la storia nell’aprile 2003, circa quarant’anni dall’anno di pubblicazione del cartaceo. Nello specifico il 7 aprile 2003. Forse Tezuka avrebbe dovuto avere sottomano un calendario e spostare di poco il festeggiamento: il giorno sarebbe caduto di lunedì e gli anniversari ad inizio settimana non sono generalmente ben celebrati. Motivo per cui ha sempre lasciato un minimo di elasticità tra 6 e 7. Ed è importante? È importante perché probabilmente Tezuka mai si sarebbe immaginato di dover festeggiare pubblicamente la nascita del suo robottino, non si pose neppure il problema.
Prima di arrivare a fondare un suo studio, Tezuka compie i primi significativi passi nell'animazione a partire dal 1960, quando lavora a Saiyuki per Toei Animation: il grande studio era all’epoca focalizzato sulla produzione di lungometraggi animati in grado di rivaleggiare con le opere di Walt Disney, ma il giovane di Takarazuka decide di mettersi in proprio per dare vita alle sue stesse opere a fumetti; nel 1961, pochissimo dopo, fonda la Osamu Tezuka Production che poco dopo rinomina Mushi Production (o Mushi Pro.). A lui si uniscono molti animatori che avevano lavorato in precedenza per Toei, attirati dalle nuove sfide e sperimentazioni che il progetto di Tezuka avrebbe garantito loro, tra i quali Gisaburō Sugii, Eiichi Yamamoto e Rintarō.
Il 5 novembre 1962 Osamu Tezuka offre al pubblico una proiezione speciale per la prefettura di Ginza a Tokyo: Aru Machi Kado no Monogatari, un lungometraggio antologico atto a mettere in mostra le capacità del neonato studio e soprattutto additare le opere Toei di inutili sfarzi, così come esporre in maniera diretta come fosse possibile fare animazione senza grosse risorse. Assieme all’antologia animata, viene proiettato anche il primo episodio di Tetsuwan Atom anche se di soli dieci minuti. L’idea di adattare in animazione il manga di Tetsuwan Atom fu di Yusaku Sakamoto. A detta sua, Astro Boy era il candidato perfetto per diventare una serie per la tv perché i capitoli del manga funzionavano anche come storie autoconclusive e in più il soggetto originale era già sdoganato e famoso. In caso di fallimento avrebbero comunque potuto portare a termine la serializzazione doppiando le vignette del fumetto.
Ed effettivamente vi è stato manifesto interesse per la produzione di una serie televisiva basata sul fenomeno manga.
Per scoraggiare ipotetici competitori, Tezuka accetta di produrre la serie con tempi e finanziamenti veramente esigui: secondo Eiichi Yamamoto il budget fu di 750.000 yen mentre i costi effettivi di produzione si aggiravano attorno ai 2.500.000 yen. Il negoziato fu estenuante e vide da un lato Tezuka e la Mushi Pro, dall’altro la Fuji Tv, l’azienda dolciaria Meiji Seika e l’agenzia pubblicitaria Mannen-sha. Le avventure animate di Tobio finirono per coprire un totale di 193 episodi.
Quando lo staff si è impuntato per avere almeno una pausa estiva, lo si è visto costretto a rivolgersi altrove per cercare rispettare le scadenze. E uno degli apparati più curiosi è sicuramente l’associazione con il neonato Studio Zero. In un ex-palestra di pugilato un team di mangaka si era messa a lavorare di giorno ai loro progetti cartacei, e di notte all’animazione. I dipendenti si potevano contare sulle dita di due mani, circa 6, e solo Suzuki aveva precedentemente lavorato ad una serie animata per lo studio Otogi. Durante l’episodio 34 Studio Zero inizia il primo lavoro di outsourcing per Mushi Pro; il loro lavoro aveva come fulcro lo storyboard: Mushi mandava lo script, Studio Zero gestiva storyboard, pipeline, creava le animazioni e rimandava tutto a Mushi per il lavoro di ripresa, montaggio e effetti speciali. Non c’era quindi un vero regista, usavano i manga di Tezuka per reference, per cui, appunto, lo storyboard era ciò su cui si basavano principalmente i pochi artisti dello Studio Zero.
Vediamo dunque come l’adattamento animato del manga di maggior fama di Osamu Tezuka ha segnato un punto fondamentale per l’animazione giapponese: Astro Boy è stata infatti la prima serie animata nipponica a cadenza settimanale e ciò ha avuto una serie di ripercussioni produttive e soprattutto di emulazione.
Era il ritmo serrato di trasmissione a dettare l’andamento dei lavori: nasce così quella che viene generalmente contrapposta alla visione cinematografica dello studio Toei, l’animazione seriale giapponese in limited animation. Era impensabile con un budget limitato e un numero esiguo di animatori e artisti creare un’opera tecnicamente paragonabile allo studio Disney da Tezuka, per cui facendo affidamento su tutte le conoscenze cinematografiche in suo possesso cercò di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. In suo soccorso sono giunte le esperienze d’infanzia, dacché aveva avuto la fortuna di avere un padre cineasta grazie al quale ha potuto recuperare molti film, ma soprattutto ha avuto la possibilità di leggere molti fumetti di derivazione americana: di tutti questi ha cercato di emulare il linguaggio espressivo.
Tra questi abbiamo l’uso dell’animazione a passo tre già usata negli anni cinquanta dagli studi americani quali il famoso UPA, e che ad oggi risulta massicciamente impiegata in quella nipponica assieme a quella a passo due: si tratta di modificare un frame ogni tre sui ventiquattro che servono per comporre un secondo di animazione, cioè al posto di disegnare ex novo 24 frame, ne bastano 8. Vi è anche da dire che Astro boy, però, era spesso animato a passo quattro, riducendo ancora il numero di disegni per secondo.
Si possono trovare anche il frequente utilizzo di bank animation per non dover animare da capo movimenti già creati: si tratta infatti di riutilizzare segmenti di animazione precedentemente utilizzati nella stessa puntata o nelle puntate precedenti movimenti di camera o azioni che i personaggi fanno di frequente (ad esempio un attacco speciale, una sequenza di trasformazione o semplicemente il personaggio che cammina). Oppure, ancora, il labiale fuori sincrono realizzato muovendo solo la bocca evitando di adattare le espressioni facciali e i muscoli del viso alle battute del personaggio.
Questi, tra tanti altri, sono piccoli accorgimenti utilizzati per alleggerire la produzione dell’anime e che ancora oggi vengono messi in pratica e che secondo alcuni sono fondamentali per la creazione dell’ “estetica anime”.
Che fosse una serie pionieristica si sapeva perché è stato proprio Tetsuwan Atom a piantare i primi semi nell’animazione seriale per come la consociamo oggi. Non si è trattato però della prima serie animata andata in onda sulla televisione giapponese, perché il primato è da un lato di Manga Shock del 1958, un reportage che comprendeva alcune scene in cut out su cui però gli studiosi sono in disaccordo sul suo essere effettivamente considerata assimilabile agli anime; dall'altro invece è di Instant History / Otogi Production Calendar, una serie di tre minuti ad episodio dedicata ad eventi storici del 1961 che andò in onda, appunto, nel 1961. Ma Astro Boy fu la prima a durare per tutti i venticinque minuti canonici, a coprire un intero slot televisivo. E soprattutto è stato Astro Boy a mostrare alle televisioni che dall’animazione seriale si poteva trarre un cospicuo profitto.
Ma al di là dei traguardi raggiunti dalla serie in sé vi è sicuramente quello di aver dato i natali ad alcuni autori e registi che sarebbero divenuti di fondamentale importanza per la storia, sviluppo e diffusione dell'animazione giapponese tra i quali vi furono i futuri fondatori dello studio Madhouse, Yoshiyaki Kawajiri (Ninja Scroll, La città delle bestie ammaliatrici), Osamu Dezaki (Rocky Joe, Lady Oscar), e il già citato Rintaro. La stessa Yoko Hatta vice-presidente dello studio Kyoto Animation aveva lavorato come pittrice di fondali per Mushi Pro. Lo stesso discorso si può fare per altri studi quali Sunrise o Pierrot, fondati da ex dipendenti dello studio di Osamu Tezuka.
Il manga e la serie sono diventati così iconici e fondamentali da diventare per l'autore orgoglio e dispiacere. Come molti artisti identificati con una sola tra le loro innumerevoli opere, Tezuka ha sofferto molto per la fama che il suo bimbo androide aveva raggiunto e che non riuscivano a raggiungere le sue altre opere.
La fama del piccolo androide, oltre che per la ventata di novità e freschezza che ha portato nelle televisioni prima orientali e poi occidentali, si può ritrovare ne temi toccati. Astro Boy era una serie sulle discriminazioni e i problemi di incomprensione: Osamu Tezuka stesso ha dichiarato di essere stato malmenato da un drappello di militari americani subito dopo la fine della guerra perché, con il suo zoppicante inglese, non era riuscito a farsi comprendere.
D'altro canto c’è chi lo vede come un titolo sulla ripresa e le speranze del Giappone nel dopoguerra, ma altri studiosi hanno voluto leggerci di più: Andrea Fontana ad esempio lo inserisce a pieno titolo nella letteratura di ribellione, dal momento che raffigura un mondo in cui una società storicamente e comportamentalmente marcata da usi e costumi delle generazioni passate, fa fatica ad accettare tutto ciò che è nuovo, lasciando nelle mani dei giovani il gravoso compito di spianare la strada verso il futuro e riparare ai propri errori. Toshio Miyake aggiunge a questa lettura una che fa più perno sulle caratteristiche fisiche del protagonista: essere una centrale nucleare ambulante. Un supereroe, quindi, meno grandioso dei famosi Superman e Capitan America, più “di quartiere”, ma che racchiude in sé la forza che poco prima sconvolse il Giappone e il mondo intero.
Nell’ottica di questa lettura, va detto, Tezuka si farebbe promotore della mentalità nipponica volta a volgere in positivo le grandi catastrofi che hanno colpito il paese, motivo per il quale dopo gli sconvolgenti fatti di Hiroshima e Nagasaki, un’ala governativa si è fatta forte promotrice della nuclearizzazione del paese anche come forma di progresso tecnologico per una realtà che stava aprendosi al resto del mondo. L’alternativa a ciò è, nei fatti, l’oblio.
Mettendo assieme i due punti di vista, Astro Boy è quindi un memento ambulante nel corpo di un bambino, una speranza per un futuro migliore ma con la costante presenza di ciò che le generazioni passate avevano causato.
Tirando le somme, ricorrono ora i sessant'anni di un'opera rivoluzionaria. Per temi, inventiva e produzione fu uno spartiacque e il piccolo Tobio continua e continuerà a far parlare di sé nel ricordo di chi lo conobbe quando muoveva i primi passi nel mondo e negli occhi di chi sarà spettatore dei numerosi remake e adattamenti che ci aspettano in futuro; perché se Astro Boy incarna la speranza di un paese, un desiderio di comunione, proprio come quei sentimenti sarà duro a morire.
Ricordiamo che mentre la serie animata risulta inedita in Italia, del manga è stata pubblicata una raccolta in cinque volumi di alcune delle storie originali da parte di Planet Manga, mentre JPOP ha pubblicato una nuova versione della storia del piccolo Atom realizzata negli anni '60.
Fonti consultate e approfondimenti:
- Fontana, Andrea (2013) - La bomba e l'onda. Storia dell'animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima
- Miyake, Toshiyo (2012) Desideri nucleari e convergenze mediatiche in "Cinergie" di dicembre 2012
- Schodt, Frederik L. (2007) The Astro Boy essays
- The History of TMS 1: the birth of anime
Ottimo reportage, ci ricordiamo di lui, perché era un ottimo anime ben fatto 360,°
Auguri alla prima vera serie anime della Storia!
Anche in questo il "dio" non poteva che essere pioniere (e attuale ancora oggi).
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