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“Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, recita l’scrizione sulla porta dell’Inferno nella Divina Commedia di Dante. “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, dovrebbe presentare in apertura “The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim”, per avvisare preventivamente tutti gli spettatori del film d’animazione diretto da Kenji Kamiyama di abbandonare quel desiderio stupido e perverso di poter assistere a un’opera che possa anche soltanto avvicinarsi alla trilogia capolavoro diretta da Peter Jackson.

Merito soprattutto dell’opera originale scritta da J. R. R. Tolkien, il regista neozelandese ha ideato un’opera mastodontica difficilmente replicabile e che quasi sicuramente non vedremo mai più sul grande schermo, di questo dovrebbero esserne consapevoli quantomeno tutti i fan della saga originale. Neanche “Lo Hobbit”, per quel che mi riguarda, si avvicina alla trilogia de “Il Signore degli Anelli”, figuriamoci dunque come potrebbe mai riuscirci un film d’animazione prodotto nel Sol Levante e diretto da un regista giapponese, nonostante Kenji Kamiyama non sia l’ultimo degli stupidi, forse i titoli “Jin-Roh - Uomini e Lupi”, “Ghost in the Shell” (i film) e “Eden of the East” vi dicono qualcosa. Una premessa che non dovrebbe essere necessaria, ma che sono obbligato a farvi, siccome mi tocca leggere recensioni oscene e fuori di testa come l’unica, per ora, presente qui sul sito, evidentemente scritta da un fanatico che nella propria vita ha letto solo le storie di Tolkien. Siccome, però, il fanatismo è una delle radici del male, meglio lasciarlo da parte e provare, una volta ogni tanto, a prendere le cose per quello che sono, così da riuscire, magari, ad apprezzare anche un film come “The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim”, che tutto è fuorché obbrobrioso, come molti invece vogliono far credere.

Éowyn narra la storia con cui Héra, aspirante scudiera di Rohan e figlia del re Helm Mandimartello, non verrà ricordata nei grandi racconti o nelle canzoni. Circa 183 anni prima degli eventi della Guerra dell'Anello, Freca, un signore dunlandiano, giunge al cospetto di Re Helm con suo figlio Wulf, amico d'infanzia di Héra. Freca è sconvolto dal fatto che Héra deve sposare un signore di Gondor e cerca di forzare il matrimonio tra Wulf e Héra, per usurpare il trono di Rohan. Wulf desidera sposare Héra, ma lei non è interessata né agli uomini né al matrimonio. Per questa ragione, Helm e Freca iniziano una rissa fuori dalla sala, durante la quale Helm uccide involontariamente Freca con un solo pugno, guadagnandosi il soprannome di "Mandimartello". Un giorno, Wulf viene a cercare vendetta per la morte del padre; Helm e la sua gente sono così costretti a resistere in un'antica roccaforte di Hornburg, un'immane fortezza che verrà poi conosciuta con il nome leggendario di Fosso di Helm. Hèra, figlia di Helm, si troverà in situazioni disperate, ma dovrà stringere i denti e richiamare a sé tutta la forza necessaria per guidare la resistenza contro il mortale nemico che desidera la loro distruzione.

Come facilmente deducibile da questa breve sintesi, si tratta di una trama semplice e lineare, in cui si dà molto spazio ai combattimenti, bonariamente definiti dall’amico con cui ho guardato il film ‘infiniti’, in pieno stile “Il Signore degli Anelli”. Neanche a dirlo, la pellicola deve molto alla trilogia di Jackson, specialmente al secondo film che la compone, “Le Due Torri”, in cui si consuma l’indimenticabile battaglia al Fosso di Helm contro gli orchi guidati da Saruman, originariamente interpretato da Christopher Lee, di cui, tra l’altro, nel film è stata riprodotta la voce con l’intelligenza artificiale, cosa che ha suscitato parecchio scalpore e sdegno tra i fan. Oltre al debito narrativo e grafico notevole - le ambientazioni sono riprese pedissequamente dalla saga originale e semplicemente disegnate -, il film è costellato da alcune chicche sicuramente apprezzate dai fan della saga, come il parallelo con la scena in cui Gandalf si presenta con l'esercito di Rohan alle prime luci dell'alba, giusto per citarne una. Per fortuna, però, la pellicola non vive di sole citazioni, che comunque svolgono una parte importante del lavoro. La storia l’ho trovata interessante, seppur incentrata su un personaggio molto secondario nell’universo tolkeniano come Héra, la cui scelta è in linea con quelle che sono le tendenze cinematografiche degli ultimi anni, che vogliono le donne grandi protagoniste di film e serie televisive. Héra è la provvida guerriera senza macchia che ha le medesime aspirazioni di un uomo e, come gli uomini, sa combattere e conosce molto bene la guerra. Una protagonista tutto sommato discreta, di cui forse stonano solo i suoi capelli di un rosso troppo acceso - diverso da quello della folta e trasandata chioma di Gimli -, elemento che la distingue dagli altri e la rende a suo modo unica. Il film procede spedito e non annoia mai, anche perché a differenza di quelli di Jackson non dura tre ore bensì due e un quarto, durata comunque non irrilevante per un film d’animazione. Certo, bisogna considerare che i picchi maggiori il film li raggiunge quando cita la trilogia di Jackson e che alcuni avvicendamenti si muovono sulla riga sottile che separa il logico dall’illogico, anche se la base fantasy rende credibile tutto quello a cui si assiste a schermo. Alcune scene, seppur esagerate, sono e restano di grande impatto, come quella che sancisce la conclusione della parabola del mitico Helm Mandimartello, momenti che contribuiscono alla buona riuscita del film, che non sarà da Premio Oscar, ma rientra sicuramente nel novero delle visioni apprezzabili, specialmente se si è fan della saga originale, da cui “The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim” riprende giustamente anche la colonna sonora da brividi.

Di citazione non si muore, questo Kenji Kamiyama lo ha compreso bene e, nonostante le sue origini lontane da quelle di J. R. R. Tolkien, è riuscito a maneggiare con cura e competenza un mostro sacro del romanzo fantasy come “Il Signore degli Anelli”.