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Pietra miliare dell’animazione giapponese di tutti i tempi e adattamento dell’omonimo romanzo per ragazzi della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery, “Anna dai capelli rossi” è una serie animata di 50 episodi diretta e sceneggiata da quel genio troppo scarsamente considerato di Isao Takahata e disegnata dal sensei Hayao Miyazaki, insieme fondatori del celebre Studio Ghibli. Trasmesso in Giappone a partire dalla fine degli anni ’70, più precisamente dal 1979, dalla Fuji Tv, l’anime arriva in Italia l’anno successivo e si impone sin da subito come cult assoluto. Prima di prenderne visione, per poi restarne folgorato, infatti, non so quante volte mi era capito di sentir nominare la famosa “Anna dai capelli rossi”, opera che è rimasta nel cuore di quanti hanno vissuto il periodo a cavallo tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ’90.

XIX secolo. Anne Shirley, o forse sarebbe meglio dire Anna, una bambina magra e rossa di capelli, nasce a Bolingbroke nella Nuova Scozia, da Walter e Bertha Shirley, due docenti di liceo. Tre mesi dopo, entrambi i genitori della bambina muoiono di una malattia infettiva e Anna viene affidata alla signora Thomas, una vicina povera e con il marito alcolizzato. La bambina vive con la famiglia Thomas fino all'età di otto anni, quando il marito della donna muore improvvisamente. A questo punto, per Anna, non c'è più posto nella famiglia Thomas e viene quindi affidata alla signora Hammond, che vive con il marito e i suoi otto figli in una baracca in riva al fiume. La bambina accudisce anche i figli della signora Hammond, fino a che, con la morte del marito avvenuta due anni dopo, viene affidata all'orfanotrofio di Hopetown, dove rimane per quattro mesi.
Canada, Isola del Principe Edoardo, seconda metà del XIX secolo. Gli anziani fratelli Matthew e Marilla Cuthbert, rimasti scapoli, decidono di adottare un maschio orfano che li aiuti con il lavoro nei campi. Tuttavia, recatosi alla stazione per accogliere il nuovo membro della famiglia, Matthew si trova di fronte una chiacchierona ragazzina dai capelli rossi, Anna Shirley. A causa di un disguido, l'orfanotrofio ha, infatti, inviato una ragazza e non un ragazzo come richiesto; Matthew decide quindi di portare la piccola Anna alla propria casa e consultarsi con Marilla sul da farsi. Anna è una ragazzina dalla spiccata fantasia, che, ancora ignara dell'errore avvenuto, non riesce a contenere la gioia di aver abbandonato l'austerità dell'orfanotrofio per andare a vivere al Tetto Verde, la famosa casa dei Cuthbert, così chiamata per i suoi verdi abbaini. Dopo essersi confrontati, i due fratelli, anzi, Marilla si risolve di rimandare la bambina all’orfanotrofio, ma è ormai troppo tardi, perché Matthew si è già affezionato a quella bambina dallo sguardo così vispo. Questo è l’antefatto della nostra storia così dolce e commovente.

Non essendo abituato a opere di questo tipo, all’inizio ho fatto fatica a seguire “Anna dai capelli rossi”, tanto da pensare che l’opera non fosse adatta a me e che avrei fatto meglio a dedicarmi a ben altro. Per fortuna, la mia smania di non lasciare mai le cose a metà, in questo caso agli albori, ha avuto la meglio e ne sono stato ampiamente ripagato. In particolar modo, nel corso delle primissime puntate, facevo fatica a sopportare la parlantina di Anna e i suoi discorsi così profondi e tristi, atipici per una ragazzina della sua età. Questa impasse, però, è durata molto poco, perché alla loquacità di Anna ci si fa subito il callo e, soprattutto, si impara ad apprezzare la sua profondità di pensiero, la stessa che la porta ad usare troppo spesso dei paroloni che proprio non stanno bene in bocca ad una bambina di undici anni. In perfetto stile slice of life, l’opera racconta della crescita di Anna, passando per le vicissitudini e gli accadimenti della vita quotidiana, dal diverbio con la signora Lindt vicina di casa all’amicizia inscalfibile con Diana, raccontati con quella dolcezza tipica della penna e del genio di Isao Takahata. Gli episodi scorrono lentamente, ma senza mai annoiare. Anna inizia ad andare a scuola, impara a sbrigare le faccende di casa e vive, in un certo qual senso, le sue prime turbe amorose. In poche parole, Anna cresce e con lei, come direbbe un mio amico, anche lo spettatore. Anna è una ragazza a modo, intelligente e sveglia, dotata di un’ottima dialettica, per quanto un po’ pasticciona e combinaguai, come lo siamo stati tutti da bambini. Anna sa apprezzare le gioie semplici della vita, lo sbocciare di un fiore o la vista di un tramonto, per quanto non manchi, come tutte le bambine della sua età, di una buona dose di vanità. Anna è una bambina imperfetta, perché la perfezione è un concetto che non esiste, eppure, dall’alto della sua imperfezione, impartisce alcuni insegnamenti degni di riecheggiare nelle aule scolastiche e universitarie.
“Le cose che si sono desiderate da piccoli non conservano nemmeno la metà del loro fascino, quando si cresce e le si ottiene. Questo è il guaio maggiore di crescere".
"Io sono felice di essere Anna dal Tetto Verde con la mia collanina di perline, perché so che Matthew me l'ha regalata con tanto amore e per me vale più di tutti i gioielli dell'universo intero".
"Ora capisco che oltre al piacere della vittoria, c'è anche quello del tentativo in sé stesso".
"Nessuno potrà mai privarmi del diritto di vivere nella mia fantasia o di ritagliarmi uno spazio nel mondo dei sogni".

Con queste piccole perle di saggezza, che nascono sia dalla sua mentre brillante e acuta sia dall’esperienza maturata nel corso degli anni passati ad Avonlea al Tetto Verde, Anna ci insegna che, troppo spesso, capiamo l'importanza di una cosa soltanto quando non ce l'abbiamo più; ci insegna che un regalo semplice fatto con amore vale molto di più di uno appariscente ma fatto con disinteresse; ci insegna che, sì, vincere è bello, ma oltre a questo c’è anche il piacere della mera partecipazione; ci insegna che sognare non costa nulla e che non serve essere costantemente attaccati alla realtà, soprattutto se essa appare deludente e insoddisfacente, così come è stato per Anna, che la felicità l’ha conosciuta soltanto quando è arrivata al Tetto Verde, la casa dei suoi unici ed autentici genitori.

Matthew è un uomo buono e gentile, che ha più di qualche problema nel relazionarsi con il sesso opposto e, infatti, proprio come la sorella, non si è mai sposato. Le uniche donne che gli vanno a genio si contano sulle dita di una mano: Marilla stessa ed Anna, perché quella bambina dai capelli rossi e magra di corporatura, dotata di una fantasia inesauribile e una parlantina fuori dal comune, le entra subito nel cuore, fatto di cui la sorella, almeno inizialmente, non riesce proprio a capacitarsi. Come si suol dire in questi casi, all’amor non si comanda, e quello che Matthew prova per Anna è amore paterno allo stato puro. Nonostante l’assenza di un legame di sangue diretto e il fatto che, molto probabilmente, gli doni maggiormente l’appellativo di zio, Matthew può essere, a conti fatti, considerato il padre amorevole che Anna non ha mai avuto. Così come fanno tutti i padri con le loro figlie, Matthew vizia la sua ragazza, facendole non di rado dei regali, e, soprattutto, non rimproverandole mai nulla. Non c’è stato un solo momento, nell’arco dell’intera serie, in cui Matthew non abbia patteggiato per Anna, quella bambina per cui, all’inizio, prova tanta compassione e di cui, col passare del tempo, sarà sempre più fiero.
“È stata la mia ragazza, è stata la mia ragazza di cui sono tanto orgoglioso”.
Fatta eccezione per Marilla, Matthew è sempre stato solo nella propria vita, che ha vissuto tenendosi costantemente in disparte, senza mai dare occasione alle pettegole del paese di parlare di sé. Matthew è sempre stato una comparsa, eppure, quando alla fine diviene protagonista, lo fa nel modo peggiore di tutti. In quel momento, ti ritrovi a piangere tutte le lacrime che hai in corpo, perché capisci che sarebbe stato meglio sé Matthew avesse continuato ad essere un personaggio secondario e a vegliare amorevolmente, da dietro le quinte, su quella figlia che tanto lo aveva reso orgoglioso e felice.

Marilla è una donna a modo seppur un po’ burbera, anche lei rimasta scapola per motivi poco chiari. È proprio lei che, all’inizio, non vuole tenere a casa con sé Anna, questa ragazzina a cui rimprovera costantemente il suo eccessivo volare con la fantasia. Marilla è una donna d’altri tempi, molto, forse troppo attaccata alla realtà e che considera futili cose come un picnic al lago o una recita di classe. Per Marilla esistono solo due cose, lo studio e il lavoro, e questo esige da Anna quando la prende con sé al Tetto Verde. In quanto donna di casa, è a lei che spetta l’educazione della bambina, che all’inizio veramente non le va a genio. Marilla, proprio come il sottoscritto e più di qualunque altra cosa, non riesce a sopportare la parlantina di Anna e molto spesso si trova a rimproverarla per questo motivo, finendo col diventare una vera e propria maestra nello zittirla. Il tempo, però, passa e quelli che all’inizio sembravano dei difetti, cominciano a sembrare delle virtù a Marilla, che adesso guarda Anna con occhi diversi, quelli dell’amore. Marilla mette tutta sé stessa nell’educazione della bambina, a cui non fa mancare nulla. Le insegna a sbrigare le faccende di casa, a cucinare e a portarsi nei momenti di maggior serietà. L’amore serbato per anni in quel grembo che mai ha visto la luce di un figlio, Marilla lo riversa in Anna. L’amore, specialmente quello materno, cambia le persone e cambia anche la stoica Marilla, che non potrà più fare a meno della compagnia di quella bambina dai capelli rossi adottata per sbaglio e di cui, durante le sue assenze, sentirà una terribile mancanza. Anna è e sarà sempre devota a Marilla per averla accolta al Tetto Verde, ma allo stesso tempo Marilla sarà sempre grata ad Anna per aver cambiato in meglio la sua vita e per averle fatto capire cosa significa amare incondizionatamente, proprio come una madre fa con la propria figlia.

A questi che sono i tre grandi pilastri della storia, si aggiungono tutta una serie di comprimari di grande spessore: Diana, la migliore amica di Anna, una ragazza gentile e giudiziosa, a cui è difficile non affezionarsi subito; Gilbert, il belloccio della scuola, con cui Anna proprio non sembra voler andare d’accordo, anche se l’odio fa presto a trasformarsi in amore; la signora Lindt, compagna di pettegolezzi della buona Marilla, che in più di un’occasione ha da ridire su Anna; poi Ruby, Jane, Josie, la piccola Minnie May, la signora Allan, la signorina Stacy e potrei continuare ad elencarli tutti, perché tutti meriterebbero quanto meno una piccola menzione d’onore. Ma siccome mi sono dilungato già abbastanza, l’ultima menzione la lascio per il confortevole Tetto Verde, grande protagonista inanimato della nostra storia, il cui titolo originale, infatti, è “Anne of Green Gables”. Il Tetto Verde rappresenta per Anna il primo ed unico luogo che lei abbia mai potuto veramente chiamare casa. Al Tetto Verde, Anna vive una vita stabile e tranquilla, non più fatta di continui spostamenti e nuove adozioni. Al Tetto Verde, si consumano i momenti più stupendi e tristi dell’intera serie, fosse anche il semplice desinare la sera tutti insieme, Matthew, Marilla ed Anna, proprio come una vera famiglia. Non importa quale sia la circostanza, il Tetto Verde è lì, a fare da attento custode e ad aspettare sempre, in ogni momento, il ritorno della sua Anna, Anna del Tetto Verde.

Il panegirico è finito. Se non si fosse capito, considero “Anna dai Capelli Rossi” un autentico capolavoro, per quanto, forse, a 45 anni di distanza, meriterebbe un bel remake. Il comparto grafico, nonostante qualche incertezza, regge ancora il confronto con le opere uscite negli anni successivi, ma il doppiaggio esige una pulizia totale. Ho perso il conto delle volte in cui Matthew ha iniziato un discorso con “Ecco, veramente”, quasi come se fosse un maledetto meme. Nonostante ciò, “Anna dai Capelli Rossi” resta un’opera che non risente quasi per nulla del peso degli anni e che, onestamente, merita di essere vista più per i suoi contenuti, che per qualsiasi altra futile ragione. Mi duole dirlo, ma di capolavori così, oggigiorno, non se ne producono quasi più.

Grazie Takahata, per la perla di cui ci hai fatto dono.