La collina dei papaveri
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Introduzione
Uno spaccato di vita di altri tempi, una storia volta alla semplicità della vita e alla riscoperta di un clima di ilarità, spensieratezza e felicità, un rapporto che comincia dal niente e che si consolida nel tempo grazie al lavoro di squadra: siamo nel Giappone dell'inizio degli Anni '60, su questo sfondo una ragazza che gestisce l'ostello insieme alla nonna e ad altre pensionanti si appresta a fare una scoperta sensazionale che le cambierà la vita per sempre.
Trama: 7,5
Umi è una ragazza di sedici anni la quale ha perso il padre nella Guerra di Corea. Ogni mattina, come rito quotidiano, issa due bandiere marittime sull'asta del giardino dell'ostello, le quali recano un significato molto preciso, prima di recarsi a scuola per le lezioni e in ricordo del genitore scomparso che le ha insegnato il rito. Shun è un ragazzo di diciassette anni, il quale svolge anche la funzione di rappresentante del consiglio studentesco della scuola. Nel tempo libero aiuta suo padre adottivo che lavora come timoniere di un peschereccio del posto. I due si incontrano per puro caso e cominciano a frequentarsi. Piano piano emergono dei particolari decisamente più profondi, e alla fine emerge la verità sul conto dei due. Infatti, Shun dichiara a Umi di essere andato a fare delle ricerche sul conto del proprio padre e di avere scoperto che sono fratello e sorella. Ciononostante, continuano a considerarsi amici e a frequentarsi dopo la scuola. Ma Umi non si sente del tutto bene e ha un attacco di depressione, in seguito al quale fa un sogno che le fa rivedere i suoi genitori e nel quale essi sono ancora presenti nella sua vita. Successivamente, i nostri protagonisti si recano dal vice-capo dell'istituto, al fine di domandargli di venire ad effettuare un sopralluogo, e quindi convincere il preside della scuola a cambiare idea riguardo alla chiusura e alla demolizione del Quartier Latin, la sede dei club delle attività extrascolastiche; il sovraintendente rimane colpito dallo sforzo e dei ragazzi ed è disposto a sostenerli, in quanto capisce la portata storica e il fatto che la scuola è piena di ricordi. Qui c'è una sorpresa: sua madre è tornata dagli Stati Uniti. A questo punto Umi pone a sua madre la fatidica domanda riguardo al padre, menzionando anche Shun e la foto del padre. A questo punto la madre tira fuori un album delle fotografie di famiglia dal cassetto della scrivania e le racconta del proprio passato e di come suo padre l'abbia aiutata a diventare quello che è diventata. Infine, giunge un collega del padre di Umi e Shun, il quale fa vedere le foto di quando lui, Tachibana (il padre di Shun) e Sawakura, il padre di Umi, erano compagni di corso all'accademia. Il capitano si congeda, li ringrazia per aver esaudito il suo desiderio e riprende il largo.
Grafica: 8
La grafica è sempre uno degli aspetti meglio curati dei film dello Studio Ghibli. Il Maestro Miyazaki Goro, figlio del più celebre Hayao, dimostra ancora una volta di avere molto da imparare dal padre, dal quale riprende ovviamente lo stile grafico, e da questo fa scaturire un'ambientazione semplice, ma efficace, che però non fa altro che aderire alla realtà dell'ambientazione. I disegni sono semplici e fluidi, e illustrano e descrivono spontaneamente le singole scene della vicenda. L'ambientazione rientra negli standard, senza eccessi e/o difetti. Ricordiamoci che uno dei punti di forza dell'animazione dei Miyazaki è l'adesione alla realtà, fattore che ha sempre giocato un ruolo chiave nel successo delle loro trame. Gli elementi che più colpiscono l'attenzione sono senz'ombra di dubbio il nome della sede delle attività extrascolastiche, le fotografie, ma anche e soprattutto le bandiere e il loro significato (Intelligenza e "Sono alla ricerca di un porto sicuro"), che rendono il senso della trama e lo traspongono nello svolgimento.
Personaggi: 7
I personaggi rientrano negli standard, senza troppe aspettative: quelli di contorno svolgono il proprio ruolo di supporto ai protagonisti, lavorano per riordinare e ricostruire la sede principale della storia. I nostri due protagonisti, invece, cercano sé stessi e il proprio passato, insieme ai loro ricordi, per fare in modo che non vengano dimenticati. Il destino li mette sulla loro strada e alla fine essi riescono a recuperare la vera memoria circa i loro genitori, la interiorizzano e la integrano nella propria vita. Tuttavia, ci si sarebbe aspettati magari qualche scena legata alla ricerca sui genitori dei protagonisti e non solo degli accenni. Questa cosa lascia un certo amaro in bocca.
Colonna sonora: 7
La colonna sonora è composta di tracce di musica swing e jazz che conferiscono alla vicenda un'atmosfera rilassante, senza troppi turbamenti. Ciò permette allo spettatore di rilassarsi e di godersi questa storia dal ritmo molto lento, ma che sa trasmettere molto pathos, soprattutto per quanto riguarda le scene dei ricordi dei due protagonisti, nei quali la colonna sonora fa da cornice e aiuta anche lo spettatore a meglio immedesimarsi e quasi identificarsi con gli stessi, riuscendo quindi a capire i loro stati mentali, emotivi. Tuttavia, qui la colonna sonora non svolge un ruolo preponderante, ma si limita a sottofondo, e poi eventualmente fa emergere le suddette emozioni e sentimenti, ma sempre con una certa moderazione e senza un'enfasi eccessivamente marcata.
Messaggio: 8
Senza dubbio uno dei messaggi più importanti che emergono da questa vicenda è l'importanza della memoria storica, nonché di quella personale. Le persone hanno bisogno di ricordare il loro passato e in particolare quello dei propri cari, per ricordare loro stessi. Un altro aspetto importante è quello dell'amicizia, inerente al primo. I genitori dei protagonisti diventano amici, e questo valore si trasmette nel corso del tempo ai loro figli, affinché conservino la propria memoria.
Giudizio finale
Una piccola opera alla riscoperta di quei valori fondamentali e quindi di quel concetto semplice, ma troppo spesso sottovalutato, di nome "umanità". Una storia delicata e semplice, immersa nella vita quotidiana di tutti i giorni.
Voto: 7,5
Introduzione
Uno spaccato di vita di altri tempi, una storia volta alla semplicità della vita e alla riscoperta di un clima di ilarità, spensieratezza e felicità, un rapporto che comincia dal niente e che si consolida nel tempo grazie al lavoro di squadra: siamo nel Giappone dell'inizio degli Anni '60, su questo sfondo una ragazza che gestisce l'ostello insieme alla nonna e ad altre pensionanti si appresta a fare una scoperta sensazionale che le cambierà la vita per sempre.
Trama: 7,5
Umi è una ragazza di sedici anni la quale ha perso il padre nella Guerra di Corea. Ogni mattina, come rito quotidiano, issa due bandiere marittime sull'asta del giardino dell'ostello, le quali recano un significato molto preciso, prima di recarsi a scuola per le lezioni e in ricordo del genitore scomparso che le ha insegnato il rito. Shun è un ragazzo di diciassette anni, il quale svolge anche la funzione di rappresentante del consiglio studentesco della scuola. Nel tempo libero aiuta suo padre adottivo che lavora come timoniere di un peschereccio del posto. I due si incontrano per puro caso e cominciano a frequentarsi. Piano piano emergono dei particolari decisamente più profondi, e alla fine emerge la verità sul conto dei due. Infatti, Shun dichiara a Umi di essere andato a fare delle ricerche sul conto del proprio padre e di avere scoperto che sono fratello e sorella. Ciononostante, continuano a considerarsi amici e a frequentarsi dopo la scuola. Ma Umi non si sente del tutto bene e ha un attacco di depressione, in seguito al quale fa un sogno che le fa rivedere i suoi genitori e nel quale essi sono ancora presenti nella sua vita. Successivamente, i nostri protagonisti si recano dal vice-capo dell'istituto, al fine di domandargli di venire ad effettuare un sopralluogo, e quindi convincere il preside della scuola a cambiare idea riguardo alla chiusura e alla demolizione del Quartier Latin, la sede dei club delle attività extrascolastiche; il sovraintendente rimane colpito dallo sforzo e dei ragazzi ed è disposto a sostenerli, in quanto capisce la portata storica e il fatto che la scuola è piena di ricordi. Qui c'è una sorpresa: sua madre è tornata dagli Stati Uniti. A questo punto Umi pone a sua madre la fatidica domanda riguardo al padre, menzionando anche Shun e la foto del padre. A questo punto la madre tira fuori un album delle fotografie di famiglia dal cassetto della scrivania e le racconta del proprio passato e di come suo padre l'abbia aiutata a diventare quello che è diventata. Infine, giunge un collega del padre di Umi e Shun, il quale fa vedere le foto di quando lui, Tachibana (il padre di Shun) e Sawakura, il padre di Umi, erano compagni di corso all'accademia. Il capitano si congeda, li ringrazia per aver esaudito il suo desiderio e riprende il largo.
Grafica: 8
La grafica è sempre uno degli aspetti meglio curati dei film dello Studio Ghibli. Il Maestro Miyazaki Goro, figlio del più celebre Hayao, dimostra ancora una volta di avere molto da imparare dal padre, dal quale riprende ovviamente lo stile grafico, e da questo fa scaturire un'ambientazione semplice, ma efficace, che però non fa altro che aderire alla realtà dell'ambientazione. I disegni sono semplici e fluidi, e illustrano e descrivono spontaneamente le singole scene della vicenda. L'ambientazione rientra negli standard, senza eccessi e/o difetti. Ricordiamoci che uno dei punti di forza dell'animazione dei Miyazaki è l'adesione alla realtà, fattore che ha sempre giocato un ruolo chiave nel successo delle loro trame. Gli elementi che più colpiscono l'attenzione sono senz'ombra di dubbio il nome della sede delle attività extrascolastiche, le fotografie, ma anche e soprattutto le bandiere e il loro significato (Intelligenza e "Sono alla ricerca di un porto sicuro"), che rendono il senso della trama e lo traspongono nello svolgimento.
Personaggi: 7
I personaggi rientrano negli standard, senza troppe aspettative: quelli di contorno svolgono il proprio ruolo di supporto ai protagonisti, lavorano per riordinare e ricostruire la sede principale della storia. I nostri due protagonisti, invece, cercano sé stessi e il proprio passato, insieme ai loro ricordi, per fare in modo che non vengano dimenticati. Il destino li mette sulla loro strada e alla fine essi riescono a recuperare la vera memoria circa i loro genitori, la interiorizzano e la integrano nella propria vita. Tuttavia, ci si sarebbe aspettati magari qualche scena legata alla ricerca sui genitori dei protagonisti e non solo degli accenni. Questa cosa lascia un certo amaro in bocca.
Colonna sonora: 7
La colonna sonora è composta di tracce di musica swing e jazz che conferiscono alla vicenda un'atmosfera rilassante, senza troppi turbamenti. Ciò permette allo spettatore di rilassarsi e di godersi questa storia dal ritmo molto lento, ma che sa trasmettere molto pathos, soprattutto per quanto riguarda le scene dei ricordi dei due protagonisti, nei quali la colonna sonora fa da cornice e aiuta anche lo spettatore a meglio immedesimarsi e quasi identificarsi con gli stessi, riuscendo quindi a capire i loro stati mentali, emotivi. Tuttavia, qui la colonna sonora non svolge un ruolo preponderante, ma si limita a sottofondo, e poi eventualmente fa emergere le suddette emozioni e sentimenti, ma sempre con una certa moderazione e senza un'enfasi eccessivamente marcata.
Messaggio: 8
Senza dubbio uno dei messaggi più importanti che emergono da questa vicenda è l'importanza della memoria storica, nonché di quella personale. Le persone hanno bisogno di ricordare il loro passato e in particolare quello dei propri cari, per ricordare loro stessi. Un altro aspetto importante è quello dell'amicizia, inerente al primo. I genitori dei protagonisti diventano amici, e questo valore si trasmette nel corso del tempo ai loro figli, affinché conservino la propria memoria.
Giudizio finale
Una piccola opera alla riscoperta di quei valori fondamentali e quindi di quel concetto semplice, ma troppo spesso sottovalutato, di nome "umanità". Una storia delicata e semplice, immersa nella vita quotidiana di tutti i giorni.
Voto: 7,5
Pochi giorni fa ho recensito un film perfetto per il Natale (“Tokyo Godfathers”), oggi ho trovato un film buono per San Valentino. Non un film che parla di una passione feroce, nel mondo attuale la passione è poca e non dura. Questo film è lineare (qualcuno ha detto addirittura piatto) nel presentare un amore adolescenziale dolce, pacato, senza scatti.
Qualcuno di voi dirà: “Che noia!” Vi assicuro che non è così, anche io da bambino preferivo le storie dei robot alle storie tratte dalla letteratura mondiale, ma ho imparato ad apprezzare prodotti diversi, da vedere con occhi diversi. Non parlerò delle animazioni di altissimo livello, non dirò di Hayao Miyazaki alla sceneggiatura, quelle cose sono dei di più, ciò che è certo è che Goro Miyazaki riesce a creare una storia (uno slice of life) interessantissima che unisce una micro-realtà a una storia di tutti i giorni.
Ambientato a Yokohama in Giappone, nell’anno 1963, narra delle a vicissitudini quotidiane di due ragazzi, rappresentando la loro vita a casa e a scuola; fra gli ambienti di sottofondo merita particolare attenzione il Quartiere Latino, sede di vari club, che rischia la demolizione: non starò qui a farvi il ‘pippone’ su tradizione e innovazione, fra il rispetto per ciò che è vecchio e accompagna la nostra esistenza o ciò che significa avere qualcosa di nuovo, vergine di ricordi ma spesso più funzionale, anche perché queste riflessioni non ci sono nel film e sarei io a volerne dilatare il significato: c’è uno spunto e non di più.
Altro problema: la regia. Goro imita il padre, tarpandosi le ali: sono felice che i due vadano d’amore e d’accordo, ma sono dell’avviso che in Goro ci sia molto più potenziale, come dimostra l’apprezzamento che ho espresso per “I racconti di Terramare”, dove Goro, con un budget decisamente più limitato dei film di Hayao, aveva fatto comunque un’opera coi baffi.
Qualcuno di voi dirà: “Che noia!” Vi assicuro che non è così, anche io da bambino preferivo le storie dei robot alle storie tratte dalla letteratura mondiale, ma ho imparato ad apprezzare prodotti diversi, da vedere con occhi diversi. Non parlerò delle animazioni di altissimo livello, non dirò di Hayao Miyazaki alla sceneggiatura, quelle cose sono dei di più, ciò che è certo è che Goro Miyazaki riesce a creare una storia (uno slice of life) interessantissima che unisce una micro-realtà a una storia di tutti i giorni.
Ambientato a Yokohama in Giappone, nell’anno 1963, narra delle a vicissitudini quotidiane di due ragazzi, rappresentando la loro vita a casa e a scuola; fra gli ambienti di sottofondo merita particolare attenzione il Quartiere Latino, sede di vari club, che rischia la demolizione: non starò qui a farvi il ‘pippone’ su tradizione e innovazione, fra il rispetto per ciò che è vecchio e accompagna la nostra esistenza o ciò che significa avere qualcosa di nuovo, vergine di ricordi ma spesso più funzionale, anche perché queste riflessioni non ci sono nel film e sarei io a volerne dilatare il significato: c’è uno spunto e non di più.
Altro problema: la regia. Goro imita il padre, tarpandosi le ali: sono felice che i due vadano d’amore e d’accordo, ma sono dell’avviso che in Goro ci sia molto più potenziale, come dimostra l’apprezzamento che ho espresso per “I racconti di Terramare”, dove Goro, con un budget decisamente più limitato dei film di Hayao, aveva fatto comunque un’opera coi baffi.
Opera seconda di Miyazaki junior, “La collina dei papaveri” è uno slice of life ambientato a ridosso delle olimpiadi di Tokyo del 1964, in una città portuale del Giappone.
Il comparto tecnico, avendo il “bollino” Studio Ghibli, è inevitabilmente di tutto rispetto: i fondali sono magnifici, il chara design morbido e affusolato, bellissimi i colori, i movimenti in generale sono fluidi, anche se le camminate dei personaggi sono un po’ strane (hanno un non so che di militaresco).
Non conosco le motivazioni che hanno spinto lo staff a scegliere questa epoca, se è un periodo di tempo che ha un qualche valore affettivo per lo sceneggiatore, se si voleva promuovere la nuova candidatura di Tokyo alle olimpiadi o per un semplice vezzo, fatto sta che, per quanto mi riguarda, tale scelta si è dimostrata azzeccata: difficilmente si vedono in giro opere cinematografiche recenti riconducibili a quel periodo e, riguardo agli anime, penso sia un unicum. È molto bello vedere un mondo in pieno boom industriale, ma senza tecnologie informatiche, e dove quindi si usano i volantini invece che i post sui social; le bandiere piuttosto che i messaggini; i tram in sostituzione della metro; dove le stampanti sono rigorosamente “umane” e, per immortalare le proprie gesta, non ci sono né YouTube né TikTok, ma bisogna accontentarsi di una semplice foto.
La storia in sé, per una serie di motivi, la definirei “tiepida”. La parte più vivace ruota intorno a un vecchio caseggiato scolastico che deve essere abbattuto, e un gruppo di studenti “ribelli” che cerca di impedire tale accadimento. Gli eventi associati a questa “battaglia” con le autorità avranno il compito di alleggerire la narrazione, regalandoci qualche simpatico sketch, e saranno l’espediente utilizzato dagli autori per far conoscere i due ragazzi. Se l’intreccio che collega la coppia è anche interessante, non si può non notare che proprio il rapporto tra i due sia il punto debole di questo film.
Nessuno conosce bene la formula che permette di creare quella giusta empatia tra lo spettatore e i protagonisti di una storia, dato che opere apparentemente simili possono ricevere giudizi diametralmente opposti da parte della critica e/o del pubblico. Di sicuro, in caso di vicende sentimentali, c’è bisogno di una qualche sorta di ostacolo che si oppone all’agognato “Happy End“ (di solito è un villan, ma non necessariamente), e qua l’ostacolo c’è, è ben congegnato, e va a scavare nella nascita stessa dei ragazzi; serve poi un ottimo comparto tecnico, che ovviamente qui è eccelso, compresa l’ottima OST a cura di Satoshi Takebe, che riesce a dare un grande supporto alle resa emotiva della visione; non deve poi mancare il tempo, cioè pagine e pagine (per i libri e manga) o minuti su minuti (per film, anime e serie) che contribuiscono a creare quel legame affettivo e di empatia tra chi assiste alla storia e gli eroi di turno. Ma il primo problema de “La collina dei papaveri” è proprio questo, il tempo, dato che dura appena ottantasette minuti, cioè troppo poco. Quello che però assolutamente non può mancare in un’avventura con una componente romantica è quel clima di tensione continua tra i protagonisti fatto di piccoli conflitti, timidi tentativi di approccio, repentini allontanamenti, grandi litigate, tanti tentennamenti... e tutto ciò lo si ottiene rendendo i due molto diversi tra di loro o addirittura opposti: uno estroverso, l’altro timido; uno popolare, l’altro emarginato; uno ricco, l’altro povero; uno smidollato, l’altro inquadrato; uno solare, l’altro tenebroso; uno innamorato perso, l’altro “freddino”, insomma come il giorno e la notte o come il sole e la luna. A quel punto i due personaggi principali, “caricati” a dovere delle loro caratteristiche salienti, saranno come i poli opposti di una batteria e, una volta entrati in contatto, faranno scorrere la corrente necessaria a tenere forte la presa sul pubblico. Il problema di questo anime sono proprio i protagonisti Umi e Shun, perché sono troppo simili, troppo inquadrati, troppo bravi ragazzi: se nei primi istanti del loro incontro Shun sembrerà destinato a recitare il ruolo dello scapestrato, mentre lei avrà riservato quello della ragazza più timida e introversa, ben presto il giovane sarà messo a sedere su una polverosa scrivania, diventerà tremendamente razionale, lucido e distaccato, quindi diverrà quasi un clone “caratteriale” di lei. Ciò renderà la loro interazione piatta, monocorde... per farla breve, “moscia”. Saranno come una batteria scarica o addirittura una batteria con tutti e due i poli “positivi”, e non riusciranno a trasmettere quella verve, quel brio, quelle scintille necessari per rendere questo spaccato di vita spumeggiante e godibile, e le poche scene di “disimpegno” saranno affidate a personaggi secondari loro compagni di scuola.
Ovviamente non c’è modo di sapere le ragioni che hanno portato alla realizzazione di questa trama (tratta comunque da un manga degli anni ‘80), ma mi viene da pensare che, essendo un lungometraggio che ha come target “per tutti”, molto probabilmente si è deciso di livellare i picchi emotivi ed edulcorare i comportamenti “scellerati” tipici della gioventù, ottenendo però, come effetto collaterale, il non felice risultato di aver creato un racconto che narra di drammi, ma che li colloca lontani nel tempo; che mostra la ribellione giovanile, ma la imbriglia in un contesto istituzionale; che cerca di far suscitare le emozioni, evitando però rigorosamente gli eccessi, e soprattutto che crea e disfa, in pochi passaggi, il personaggio del ribelle, perché magari poteva essere diseducativo per i più giovani. Sembra in sostanza una storia che “sorge” libera come un ruscello di montagna, ma che viene poi incanalata all’interno di argini molto alti e stringenti lungo tutto il suo (breve) percorso, e che giunge placidamente verso la meta, senza affrontare particolari curve, pericolose rapide o vigorose cascate.
Se dietro ad esso non ci fosse stata “l’impalcatura” Ghibli, molto probabilmente non avrebbe raggiunto la sufficienza. Voto: 7.
Il comparto tecnico, avendo il “bollino” Studio Ghibli, è inevitabilmente di tutto rispetto: i fondali sono magnifici, il chara design morbido e affusolato, bellissimi i colori, i movimenti in generale sono fluidi, anche se le camminate dei personaggi sono un po’ strane (hanno un non so che di militaresco).
Non conosco le motivazioni che hanno spinto lo staff a scegliere questa epoca, se è un periodo di tempo che ha un qualche valore affettivo per lo sceneggiatore, se si voleva promuovere la nuova candidatura di Tokyo alle olimpiadi o per un semplice vezzo, fatto sta che, per quanto mi riguarda, tale scelta si è dimostrata azzeccata: difficilmente si vedono in giro opere cinematografiche recenti riconducibili a quel periodo e, riguardo agli anime, penso sia un unicum. È molto bello vedere un mondo in pieno boom industriale, ma senza tecnologie informatiche, e dove quindi si usano i volantini invece che i post sui social; le bandiere piuttosto che i messaggini; i tram in sostituzione della metro; dove le stampanti sono rigorosamente “umane” e, per immortalare le proprie gesta, non ci sono né YouTube né TikTok, ma bisogna accontentarsi di una semplice foto.
La storia in sé, per una serie di motivi, la definirei “tiepida”. La parte più vivace ruota intorno a un vecchio caseggiato scolastico che deve essere abbattuto, e un gruppo di studenti “ribelli” che cerca di impedire tale accadimento. Gli eventi associati a questa “battaglia” con le autorità avranno il compito di alleggerire la narrazione, regalandoci qualche simpatico sketch, e saranno l’espediente utilizzato dagli autori per far conoscere i due ragazzi. Se l’intreccio che collega la coppia è anche interessante, non si può non notare che proprio il rapporto tra i due sia il punto debole di questo film.
Nessuno conosce bene la formula che permette di creare quella giusta empatia tra lo spettatore e i protagonisti di una storia, dato che opere apparentemente simili possono ricevere giudizi diametralmente opposti da parte della critica e/o del pubblico. Di sicuro, in caso di vicende sentimentali, c’è bisogno di una qualche sorta di ostacolo che si oppone all’agognato “Happy End“ (di solito è un villan, ma non necessariamente), e qua l’ostacolo c’è, è ben congegnato, e va a scavare nella nascita stessa dei ragazzi; serve poi un ottimo comparto tecnico, che ovviamente qui è eccelso, compresa l’ottima OST a cura di Satoshi Takebe, che riesce a dare un grande supporto alle resa emotiva della visione; non deve poi mancare il tempo, cioè pagine e pagine (per i libri e manga) o minuti su minuti (per film, anime e serie) che contribuiscono a creare quel legame affettivo e di empatia tra chi assiste alla storia e gli eroi di turno. Ma il primo problema de “La collina dei papaveri” è proprio questo, il tempo, dato che dura appena ottantasette minuti, cioè troppo poco. Quello che però assolutamente non può mancare in un’avventura con una componente romantica è quel clima di tensione continua tra i protagonisti fatto di piccoli conflitti, timidi tentativi di approccio, repentini allontanamenti, grandi litigate, tanti tentennamenti... e tutto ciò lo si ottiene rendendo i due molto diversi tra di loro o addirittura opposti: uno estroverso, l’altro timido; uno popolare, l’altro emarginato; uno ricco, l’altro povero; uno smidollato, l’altro inquadrato; uno solare, l’altro tenebroso; uno innamorato perso, l’altro “freddino”, insomma come il giorno e la notte o come il sole e la luna. A quel punto i due personaggi principali, “caricati” a dovere delle loro caratteristiche salienti, saranno come i poli opposti di una batteria e, una volta entrati in contatto, faranno scorrere la corrente necessaria a tenere forte la presa sul pubblico. Il problema di questo anime sono proprio i protagonisti Umi e Shun, perché sono troppo simili, troppo inquadrati, troppo bravi ragazzi: se nei primi istanti del loro incontro Shun sembrerà destinato a recitare il ruolo dello scapestrato, mentre lei avrà riservato quello della ragazza più timida e introversa, ben presto il giovane sarà messo a sedere su una polverosa scrivania, diventerà tremendamente razionale, lucido e distaccato, quindi diverrà quasi un clone “caratteriale” di lei. Ciò renderà la loro interazione piatta, monocorde... per farla breve, “moscia”. Saranno come una batteria scarica o addirittura una batteria con tutti e due i poli “positivi”, e non riusciranno a trasmettere quella verve, quel brio, quelle scintille necessari per rendere questo spaccato di vita spumeggiante e godibile, e le poche scene di “disimpegno” saranno affidate a personaggi secondari loro compagni di scuola.
Ovviamente non c’è modo di sapere le ragioni che hanno portato alla realizzazione di questa trama (tratta comunque da un manga degli anni ‘80), ma mi viene da pensare che, essendo un lungometraggio che ha come target “per tutti”, molto probabilmente si è deciso di livellare i picchi emotivi ed edulcorare i comportamenti “scellerati” tipici della gioventù, ottenendo però, come effetto collaterale, il non felice risultato di aver creato un racconto che narra di drammi, ma che li colloca lontani nel tempo; che mostra la ribellione giovanile, ma la imbriglia in un contesto istituzionale; che cerca di far suscitare le emozioni, evitando però rigorosamente gli eccessi, e soprattutto che crea e disfa, in pochi passaggi, il personaggio del ribelle, perché magari poteva essere diseducativo per i più giovani. Sembra in sostanza una storia che “sorge” libera come un ruscello di montagna, ma che viene poi incanalata all’interno di argini molto alti e stringenti lungo tutto il suo (breve) percorso, e che giunge placidamente verso la meta, senza affrontare particolari curve, pericolose rapide o vigorose cascate.
Se dietro ad esso non ci fosse stata “l’impalcatura” Ghibli, molto probabilmente non avrebbe raggiunto la sufficienza. Voto: 7.
“Il passato è come una lampada posta all’ingresso del futuro.”
Uscito nelle sale giapponesi nel 2011, “La collina dei papaveri” è la seconda pellicola diretta da Goro Miyazaki, figlio del più celebre Hayao, considerato da molti uno dei più celebri registi d'animazione giapponese di tutti i tempi. Cinque anni dopo il “fallimento” de “I racconti di Terramare”, di cui non ho ancora preso visione, il regista si riaffaccia sul mondo cinematografico, questa volta in collaborazione con il padre, mostrando una regia matura e assolutamente non estranea agli insegnamenti del sensei. Inquadrature eccezionali, animazioni sublimi e musiche stupende. Il tutto posto a cornice di una storia, come al solito, semplice ed efficace.
Giappone, 1963. È passato oltre un decennio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, che aveva portato devastazione in tutto il mondo, specialmente nel Paese del Sol Levante. Gli anni Sessanta, in particolar modo, sono quelli in cui giunge a maturazione la baby boom generation, la generazione nata e cresciuta nel benessere economico degli anni post-bellici e con lo spettro costante della bomba atomica, che lotta contro i valori tradizionali della famiglia e della società e nel ’68 si fa protagonista delle rivolte studentesche che investirono, seppur in modo differente, il mondo intero. E in questo quadro storico, fu proprio il Giappone a svolgere un ruolo fondamentale. Da una parte, sotto la guida del governo di occupazione americano, si fece protagonista di quello che da molti economisti del tempo fu definito un autentico ’miracolo economico’, tale da far registrare una crescita economica senza pari rispetto agli altri Paesi del mondo. Allo stesso tempo, gli studenti giapponesi, riuniti nel movimento del Zenkyoto, parteciparono attivamente alle rivolte di quegli anni. In questo contesto storico e accompagnata da “Sunrise - The Breakfast Song”, ecco che ci viene introdotta la nostra storia, che ha come protagonista Umi Komatsuzaki, una studentessa risiedente nella città portuale di Yokohama. La scuola da lei frequentata è, da qualche tempo, in fermento per le accese discussioni che si scatenano circa la necessità di salvare o meno dalla demolizione il "Quartier Latin", un edificio adibito a sede dei club scolastici, carico di storia e di ricordi ma ormai vecchio e fatiscente. In quello che da molti viene definito come un “Nuovo Giappone”, non c’è spazio per il vecchio edificio, ma non tutti la pensano allo stesso modo. Ecco, quindi, che inizia da parte degli studenti la protesta per salvare l’edificio. E, proprio in questo clima, Umi fa la conoscenza di Shun, il ragazzo di cui poi si innamorerà e a cui sembra essere legata dal destino.
Come nelle più belle e indimenticabili delle pellicole Ghibli, a trovare ampio spazio è il tema dell’amore, in particolar modo quello adolescenziale. Un amore ingenuo, difficile e, a tratti, controverso, sbocciato all’insegna della primavera; che vede i due protagonisti avvicinarsi, per poi subire un brusco allontanamento proprio nel momento in cui le cose sembrano andare per il verso giusto. Questo perché, ben presto, i due vengono a conoscenza di un segreto legato al loro passato e a quello dei rispettivi genitori. Dall’amore, si passa dunque al mistero, altro evergreen dello studio Ghibli che, almeno in questa pellicola, non sfocia nel sovrannaturale. Amore e mistero si mescolano, dunque, in questa storia non particolarmente originale, ma che riesce a colpire per il modo dolce in cui viene raccontata e che assume un volto diverso se collocata al centro di un quadro più grande, la cui cornice è sicuramente rappresentata dalla protesta studentesca per il salvataggio del ‘Quartier Latin’. Ed è proprio intorno a questa situazione che, a mio modesto avviso, si snoda il tema più importante di tutta l’opera: la necessità di preservare il passato e la sua cultura. Un tema significativo se si pensa che quelli sono gli anni del cambiamento, dell’innovazione, dell’abbandonare il vecchio per fare spazio al nuovo. In questa visione, però, non deve essere assolutamente inclusa la cultura, da quella scientifica a quella umanistica, fonte inesauribile di modelli esemplari da seguire e altrettanti riprovevoli da ripudiare, un po’ come accade con la storia. D’altronde conoscere il passato è fondamentale per evitare gli stessi errori commessi da chi ci ha preceduto e credo, senza troppa presunzione, che questa sia una lezione molto cara ai Giapponesi.
Le animazioni sono spettacolari come sempre e la regia di Goro riesce, nonostante l’impossibile paragone con il padre, a farsi onore. Stupendi i fondali, in cui dominano due colori vivaci come il blu del mare e il verde della selva, simboli della primavera e dell’amore. Non mancano, inoltre, riferimenti a pellicole precedenti targate Hayao Miyazaki, tra cui “I sospiri del mio cuore”, con cui “La collina dei papaveri” condivide l’amore per la cultura, e “Il mio vicino Totoro”, di cui si possono notare i continui riferimenti sparsi per tutta la pellicola. Infine, sublimi le musiche di Satoshi Takebe, in cui dominano il pianoforte e gli strumenti a fiato e la canzone “Sukiyaki” di Kyu Sakamoto, che fa da colonna sonora al film.
Non la migliore delle opere Ghibli, ma sicuramente un prodotto ben riuscito, il cui merito va in gran parte a Goro Miyazaki. Provare per credere.
Uscito nelle sale giapponesi nel 2011, “La collina dei papaveri” è la seconda pellicola diretta da Goro Miyazaki, figlio del più celebre Hayao, considerato da molti uno dei più celebri registi d'animazione giapponese di tutti i tempi. Cinque anni dopo il “fallimento” de “I racconti di Terramare”, di cui non ho ancora preso visione, il regista si riaffaccia sul mondo cinematografico, questa volta in collaborazione con il padre, mostrando una regia matura e assolutamente non estranea agli insegnamenti del sensei. Inquadrature eccezionali, animazioni sublimi e musiche stupende. Il tutto posto a cornice di una storia, come al solito, semplice ed efficace.
Giappone, 1963. È passato oltre un decennio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, che aveva portato devastazione in tutto il mondo, specialmente nel Paese del Sol Levante. Gli anni Sessanta, in particolar modo, sono quelli in cui giunge a maturazione la baby boom generation, la generazione nata e cresciuta nel benessere economico degli anni post-bellici e con lo spettro costante della bomba atomica, che lotta contro i valori tradizionali della famiglia e della società e nel ’68 si fa protagonista delle rivolte studentesche che investirono, seppur in modo differente, il mondo intero. E in questo quadro storico, fu proprio il Giappone a svolgere un ruolo fondamentale. Da una parte, sotto la guida del governo di occupazione americano, si fece protagonista di quello che da molti economisti del tempo fu definito un autentico ’miracolo economico’, tale da far registrare una crescita economica senza pari rispetto agli altri Paesi del mondo. Allo stesso tempo, gli studenti giapponesi, riuniti nel movimento del Zenkyoto, parteciparono attivamente alle rivolte di quegli anni. In questo contesto storico e accompagnata da “Sunrise - The Breakfast Song”, ecco che ci viene introdotta la nostra storia, che ha come protagonista Umi Komatsuzaki, una studentessa risiedente nella città portuale di Yokohama. La scuola da lei frequentata è, da qualche tempo, in fermento per le accese discussioni che si scatenano circa la necessità di salvare o meno dalla demolizione il "Quartier Latin", un edificio adibito a sede dei club scolastici, carico di storia e di ricordi ma ormai vecchio e fatiscente. In quello che da molti viene definito come un “Nuovo Giappone”, non c’è spazio per il vecchio edificio, ma non tutti la pensano allo stesso modo. Ecco, quindi, che inizia da parte degli studenti la protesta per salvare l’edificio. E, proprio in questo clima, Umi fa la conoscenza di Shun, il ragazzo di cui poi si innamorerà e a cui sembra essere legata dal destino.
Come nelle più belle e indimenticabili delle pellicole Ghibli, a trovare ampio spazio è il tema dell’amore, in particolar modo quello adolescenziale. Un amore ingenuo, difficile e, a tratti, controverso, sbocciato all’insegna della primavera; che vede i due protagonisti avvicinarsi, per poi subire un brusco allontanamento proprio nel momento in cui le cose sembrano andare per il verso giusto. Questo perché, ben presto, i due vengono a conoscenza di un segreto legato al loro passato e a quello dei rispettivi genitori. Dall’amore, si passa dunque al mistero, altro evergreen dello studio Ghibli che, almeno in questa pellicola, non sfocia nel sovrannaturale. Amore e mistero si mescolano, dunque, in questa storia non particolarmente originale, ma che riesce a colpire per il modo dolce in cui viene raccontata e che assume un volto diverso se collocata al centro di un quadro più grande, la cui cornice è sicuramente rappresentata dalla protesta studentesca per il salvataggio del ‘Quartier Latin’. Ed è proprio intorno a questa situazione che, a mio modesto avviso, si snoda il tema più importante di tutta l’opera: la necessità di preservare il passato e la sua cultura. Un tema significativo se si pensa che quelli sono gli anni del cambiamento, dell’innovazione, dell’abbandonare il vecchio per fare spazio al nuovo. In questa visione, però, non deve essere assolutamente inclusa la cultura, da quella scientifica a quella umanistica, fonte inesauribile di modelli esemplari da seguire e altrettanti riprovevoli da ripudiare, un po’ come accade con la storia. D’altronde conoscere il passato è fondamentale per evitare gli stessi errori commessi da chi ci ha preceduto e credo, senza troppa presunzione, che questa sia una lezione molto cara ai Giapponesi.
Le animazioni sono spettacolari come sempre e la regia di Goro riesce, nonostante l’impossibile paragone con il padre, a farsi onore. Stupendi i fondali, in cui dominano due colori vivaci come il blu del mare e il verde della selva, simboli della primavera e dell’amore. Non mancano, inoltre, riferimenti a pellicole precedenti targate Hayao Miyazaki, tra cui “I sospiri del mio cuore”, con cui “La collina dei papaveri” condivide l’amore per la cultura, e “Il mio vicino Totoro”, di cui si possono notare i continui riferimenti sparsi per tutta la pellicola. Infine, sublimi le musiche di Satoshi Takebe, in cui dominano il pianoforte e gli strumenti a fiato e la canzone “Sukiyaki” di Kyu Sakamoto, che fa da colonna sonora al film.
Non la migliore delle opere Ghibli, ma sicuramente un prodotto ben riuscito, il cui merito va in gran parte a Goro Miyazaki. Provare per credere.
Dopo un esordio appena sufficiente ("I racconti di Terramare"), Goro trova maturità, sostegno familiare e soggetto adatti a tirar fuori una bella storia, con una regia più poetica che solida. In parte affrancato dal fantasma di Hayao, che è proprio nato con un talento straordinario, l'ex giovane Goro elabora un suo stile, in cui le coste giapponesi assomigliano al Salento, e il cui elemento shoji gioca con disinvoltura con l'ambivalenza tradizionale/futuristica, che è un tratto tipicamente giapponese.
Dolcissimo capolavoro firmato Studio Ghibli purtroppo sottovalutato e per questo sconosciuto ai più, "La collina dei papaveri" si svolge nel corso degli anni Sessanta del secolo XX ai tempi del riscatto economico del Giappone dopo il disastro del secondo conflitto bellico mondiale. In questo frangente storico sono i ritrovi degli studenti quelli impegnati a promettere un futuro più giusto, all'insegna dell'incontro mediante la cultura e la propaganda. La giovane Umi si troverà coinvolta, inizialmente quasi suo malgrado, nell'attività di uno dei settori dell'azione studentesca con sede in una vecchia e malandata casa; sarà lì che conoscerà Shunya, con cui presto scambierà un reciproco e crescente affetto... ma il loro rapporto sembra ostacolato da un segreto celato nel passato.
Le voci sono sempre le solite: i doppiatori dei cartoni animati dello Studio Ghibli ci hanno persino abituati ai ruoli (la voce del protagonista maschile e della protagonista femminile sono le stesse rispettivamente di Haku e Chihiro ne "La città incantata", opera del regista Hayao Miyazaki vincitrice del premio Oscar per il miglior film d'animazione nel 2003).
I disegni sono usualmente dai tratti semplici, mentre sfondi e ambienti chiusi sono realizzati con maestria nei minimi particolari, il tutto risultando molto realistico, nonostante non manchi l'amatissimo carattere dai toni visivi un po' da favola tipici dell'animazione nipponica, seppur nella narrazione di pagine difficili e sofferte della storia. Studio Ghibli riesce qui a miscelare bene sfondo storico coerente e personaggi inventati, senza pesantezza né eccessiva libertà fantastica priva di logica (ahimè, successe con "Ponyo sulla scogliera"), e ci riesce molto più di quanto non sia riuscito a fare in opere ben più note e acclamate (ad esempio "Si alza il vento").
Lo consiglio vivamente: si tratta del mio cartone animato preferito di Studio Ghibli dopo "La città incantata".
Le voci sono sempre le solite: i doppiatori dei cartoni animati dello Studio Ghibli ci hanno persino abituati ai ruoli (la voce del protagonista maschile e della protagonista femminile sono le stesse rispettivamente di Haku e Chihiro ne "La città incantata", opera del regista Hayao Miyazaki vincitrice del premio Oscar per il miglior film d'animazione nel 2003).
I disegni sono usualmente dai tratti semplici, mentre sfondi e ambienti chiusi sono realizzati con maestria nei minimi particolari, il tutto risultando molto realistico, nonostante non manchi l'amatissimo carattere dai toni visivi un po' da favola tipici dell'animazione nipponica, seppur nella narrazione di pagine difficili e sofferte della storia. Studio Ghibli riesce qui a miscelare bene sfondo storico coerente e personaggi inventati, senza pesantezza né eccessiva libertà fantastica priva di logica (ahimè, successe con "Ponyo sulla scogliera"), e ci riesce molto più di quanto non sia riuscito a fare in opere ben più note e acclamate (ad esempio "Si alza il vento").
Lo consiglio vivamente: si tratta del mio cartone animato preferito di Studio Ghibli dopo "La città incantata".
"La collina dei papaveri" è un film di animazione prodotto nel 2011 dallo Studio Ghibli che vede alla regia Goro Miyazaki in collaborazione con suo padre Hayao Miyazaki.
La storia è ambientata in Giappone nel 1963, periodo in cui il Paese inizia a riprendersi dalla Seconda Guerra Mondiale e comincia a intravedere un futuro roseo e pieno di speranze; come è logico, tuttavia, i drammi della guerra non sono ancora stati superati e moltissime famiglie si ritrovano distrutte e segnate da perdite irrecuperabili. Questa è una delle argomentazioni che viene trattata in maniera più delicata e completa, divenendo per l'appunto parte integrante e fondamentale della trama.
La protagonista della storia è Umi Komatsuzaki, ragazza liceale che ha perso il padre durante la guerra; ogni giorno alla mattina prima di andare a scuola issa delle bandiere in onore del padre, senza sapere che Shunya Kazama, un ragazzo che frequenta la sua stessa scuola, le risponde issando quelle dell'imbarcazione del padre.
Durante la vita di tutti i giorni i due ragazzi, uniti insieme agli altri studenti nel tentativo di salvaguardare il "Quartier Latin", vecchio edificio della scuola, si conoscono e finiscono per innamorarsi, ma quando tutto sembra andare a gonfie vele scoprono una parte del loro passato che potrebbe compromettere per sempre il loro rapporto.
Tecnicamente è stato svolto un ottimo lavoro; la grafica è ottima, soprattutto per quanto riguarda gli sfondi e le ambientazioni che sono state riprodotte con molta cura.
Comparto audio nella norma, senza particolari meriti, ma comunque sempre adatto alle situazioni.
Per quanto riguarda il regista, ha svolto un ottimo lavoro, il film procede in modo lineare e, anche se abbastanza lentamente, si lascia seguire senza mai annoiare.
Dal mio punto di vista, completamente inutili sono i paragoni col padre, infatti non è questo il tipo di opera che si addice ad Hayao Miyazaki, vista la completa mancanza del fattore soprannaturale, sempre presente nelle sue opere di maggior successo; credo sia più utile riconoscere i dovuti meriti al figlio senza andare a cercare il pelo nell'uovo.
In conclusione un ottimo film, sotto ogni punto di vista, di cui consiglio la visione a tutti.
La storia è ambientata in Giappone nel 1963, periodo in cui il Paese inizia a riprendersi dalla Seconda Guerra Mondiale e comincia a intravedere un futuro roseo e pieno di speranze; come è logico, tuttavia, i drammi della guerra non sono ancora stati superati e moltissime famiglie si ritrovano distrutte e segnate da perdite irrecuperabili. Questa è una delle argomentazioni che viene trattata in maniera più delicata e completa, divenendo per l'appunto parte integrante e fondamentale della trama.
La protagonista della storia è Umi Komatsuzaki, ragazza liceale che ha perso il padre durante la guerra; ogni giorno alla mattina prima di andare a scuola issa delle bandiere in onore del padre, senza sapere che Shunya Kazama, un ragazzo che frequenta la sua stessa scuola, le risponde issando quelle dell'imbarcazione del padre.
Durante la vita di tutti i giorni i due ragazzi, uniti insieme agli altri studenti nel tentativo di salvaguardare il "Quartier Latin", vecchio edificio della scuola, si conoscono e finiscono per innamorarsi, ma quando tutto sembra andare a gonfie vele scoprono una parte del loro passato che potrebbe compromettere per sempre il loro rapporto.
Tecnicamente è stato svolto un ottimo lavoro; la grafica è ottima, soprattutto per quanto riguarda gli sfondi e le ambientazioni che sono state riprodotte con molta cura.
Comparto audio nella norma, senza particolari meriti, ma comunque sempre adatto alle situazioni.
Per quanto riguarda il regista, ha svolto un ottimo lavoro, il film procede in modo lineare e, anche se abbastanza lentamente, si lascia seguire senza mai annoiare.
Dal mio punto di vista, completamente inutili sono i paragoni col padre, infatti non è questo il tipo di opera che si addice ad Hayao Miyazaki, vista la completa mancanza del fattore soprannaturale, sempre presente nelle sue opere di maggior successo; credo sia più utile riconoscere i dovuti meriti al figlio senza andare a cercare il pelo nell'uovo.
In conclusione un ottimo film, sotto ogni punto di vista, di cui consiglio la visione a tutti.
Trascorsi ben 5 anni dal fallimentare film "I Racconti di Terramare", con il quale l'animazione aveva raggiunto livelli mediocri, Goro Miyazaki afferra a volo l'occasione offertagli per girare il film "La Collina dei Papaveri", coadiuvato dal padre Hayao alle prese con la sceneggiatura del film. Uscito in Giappone nel 2011, l'opera è stata portata in Italia dalla Lucky Red nel 2012, pubblicata sia in DVD che in Blu-Ray.
La storia come al solito è semplice. Anno 1963, Umi Komatsuzaki è una ragazza di 16 anni che ogni giorno svolge diligentemente le faccende domestiche e l'attività scolastica. Un giorno, dal tetto della scuola un ragazzo di nome Kazama, decide di tuffarsi dall'enorme altezza in piscina, suscitando il disprezzo di Umi, ma l'ammirazione di tutte le ragazze della scuola. Tra queste c'è Sora, sorella di Umi, che muore dalla voglia di avere l'autografo del ragazzo e così cercandolo le due entrano in un edificio adibito alla cultura chiamato "Quartier Latin". Umi si appassiona alle attività culturali di questo centro e decide di aiutare in prima persona, avvicinandosi al contempo sempre di più a Kazama.
Il soggetto del film in sé è interessante e sicuramente Goro si ritrova più a suo agio con un'opera di impostazione neo-realista come questa rispetto ad un fantasy come "I Racconti di Terramare". Il problema del film risiede in una sceneggiatura scritta discretamente, ma che risulta sin troppo ordinaria, non sforzandosi nemmeno di presentare un qualsiasi contenuto profondo o vagamente interessante, decidendo di fermarsi alla solita semplicità che contraddistingue quasi tutte le storie dello Studio Ghibli. Se questa cosa va bene per i fantasy di Miyazaki impostati su toni fiabeschi, una storia di impostazione realistica come "La Collina dei Papaveri" necessiterebbe di una sceneggiatura che seppur risulti semplice, compensi ciò scavando in profondità nelle varie vicende. Purtroppo nel film non abbiamo niente di tutto ciò; la storia risulta piatta con un intreccio lineare che non presenta mai un sussulto, mostrando un solo colpo di scena a metà della pellicola degno di fiction stile "Beautiful "o "Cento Vetrine", il quale tra l'altro si risolve in un nulla di fatto perché la felicità deve regnare sovrana, anche a costo di giungere ad un finale costruito in modo artificioso, poiché finisce con il tirare via le vicende in modo sin troppo semplicistico e macchinoso. Verrebbe da chiedersi quanto tempo Miyazaki ci abbia messo per scrivere una sceneggiatura del genere, perché se ha impiegato 1-2 giorno è un conto, mentre se ha impiegato qualche mese nel concepirla, si dovrebbe imbarazzare per aver partorito un simile piattume.
I personaggi seguono di pari passo l'impostazione semplicistica della sceneggiatura, non mostrando alcuna caratterizzazione o personalità complessa. Umi, è la classica ragazzina diligente e tutto fare, che finisce con l'innamorarsi del figo di turno, ma che dimostra una sua dignità a causa della morte del padre nella Guerra di Corea. Kazama non si discosta dal classico ruolo di belloccio che attira su di sé l'attenzione di tutte le ragazze della scuola. L'unico personaggio veramente interessante è Shun, amico di Kazama, che fa discorsi interessanti sulla cultura, che va giustamente protetta perché le tradizioni ci hanno formato e da esse deriviamo e quindi non possiamo guardare al futuro senza voltarci dietro verso il passato. E' un tema interessante questo della difesa della cultura, che trova concretezza materiale nell'antico edificio del "Quartier Latin", luogo di cultura che viene trasmesso dai vecchi allievi ai nuovi di generazione in generazione. Peccato che un tema buttato lì, senza dei dialoghi o monologhi filosofici costruiti attorno.
La regia di Goro Miyazaki svolge il suo compitino in modo diligente e senza sbavature evidenti. Il regista riesce a descrivere bene i momenti di slice of life scavando nel quotidiano delle vicende dei vari personaggi, indugiando sul pranzo in famiglia, la spesa al supermercato o le pulizie al "Quartier Latin". Complice un montaggio lineare, ma serrato quando gli serve, Goro riesce a mostrare bene i ripetuti gesti della monotona vita di Umi, che ogni giorno si sveglia, issa le bandiere nautiche, prepara la colazione e così via.
Il problema è che dal punto di vista registico Goro non riesce a compiere il salto di qualità, limitandosi al mero compito svolto in modo discreto, ma senza alcuna volontà di sperimentare nuove soluzioni registiche. Da riconoscergli il merito però per aver creato una messa in scena realistica perfettamente fedele al periodo storico, grazie anche a dialoghi scritti bene e all'aiuto degli animatori dello Studio Ghibli.
In sostanza, non ci ritroviamo per niente innanzi al centesimo capolavoro tanto decantato dai fanboy dello Studio Ghibli, visto che presenta una scarsità di contenuti imbarazzante, una storia di una piattezza unica e una regia che si limita a svolgere il suo compitino senza brillare più di tanto. Se volete proprio visionare un film che ha un incipit del genere e che presenti sempre un approccio realistico alla vicenda, vedetevi "Una Lettera per Momo" di Okiura, uscito uscito pochi mesi dopo, che massacra artisticamente questo filmetto senza infamia e senza lode. Comunque sia, chi è stufo delle solite pellicole a stampo fantasy, se ha scarse pretese artistiche finirà con l'avere discrete soddisfaziono dalla "Collina dei Papaveri". Si spera che in futuro Goro possa proseguire su questa strada, perché un po' di talento lo possiede. Magari è auspicabile che si cimentasse anche nella scrittura della sceneggiatura, visto che un autore per rendere al meglio in questo tipo di storie, deve avere libertà nel testo.
La storia come al solito è semplice. Anno 1963, Umi Komatsuzaki è una ragazza di 16 anni che ogni giorno svolge diligentemente le faccende domestiche e l'attività scolastica. Un giorno, dal tetto della scuola un ragazzo di nome Kazama, decide di tuffarsi dall'enorme altezza in piscina, suscitando il disprezzo di Umi, ma l'ammirazione di tutte le ragazze della scuola. Tra queste c'è Sora, sorella di Umi, che muore dalla voglia di avere l'autografo del ragazzo e così cercandolo le due entrano in un edificio adibito alla cultura chiamato "Quartier Latin". Umi si appassiona alle attività culturali di questo centro e decide di aiutare in prima persona, avvicinandosi al contempo sempre di più a Kazama.
Il soggetto del film in sé è interessante e sicuramente Goro si ritrova più a suo agio con un'opera di impostazione neo-realista come questa rispetto ad un fantasy come "I Racconti di Terramare". Il problema del film risiede in una sceneggiatura scritta discretamente, ma che risulta sin troppo ordinaria, non sforzandosi nemmeno di presentare un qualsiasi contenuto profondo o vagamente interessante, decidendo di fermarsi alla solita semplicità che contraddistingue quasi tutte le storie dello Studio Ghibli. Se questa cosa va bene per i fantasy di Miyazaki impostati su toni fiabeschi, una storia di impostazione realistica come "La Collina dei Papaveri" necessiterebbe di una sceneggiatura che seppur risulti semplice, compensi ciò scavando in profondità nelle varie vicende. Purtroppo nel film non abbiamo niente di tutto ciò; la storia risulta piatta con un intreccio lineare che non presenta mai un sussulto, mostrando un solo colpo di scena a metà della pellicola degno di fiction stile "Beautiful "o "Cento Vetrine", il quale tra l'altro si risolve in un nulla di fatto perché la felicità deve regnare sovrana, anche a costo di giungere ad un finale costruito in modo artificioso, poiché finisce con il tirare via le vicende in modo sin troppo semplicistico e macchinoso. Verrebbe da chiedersi quanto tempo Miyazaki ci abbia messo per scrivere una sceneggiatura del genere, perché se ha impiegato 1-2 giorno è un conto, mentre se ha impiegato qualche mese nel concepirla, si dovrebbe imbarazzare per aver partorito un simile piattume.
I personaggi seguono di pari passo l'impostazione semplicistica della sceneggiatura, non mostrando alcuna caratterizzazione o personalità complessa. Umi, è la classica ragazzina diligente e tutto fare, che finisce con l'innamorarsi del figo di turno, ma che dimostra una sua dignità a causa della morte del padre nella Guerra di Corea. Kazama non si discosta dal classico ruolo di belloccio che attira su di sé l'attenzione di tutte le ragazze della scuola. L'unico personaggio veramente interessante è Shun, amico di Kazama, che fa discorsi interessanti sulla cultura, che va giustamente protetta perché le tradizioni ci hanno formato e da esse deriviamo e quindi non possiamo guardare al futuro senza voltarci dietro verso il passato. E' un tema interessante questo della difesa della cultura, che trova concretezza materiale nell'antico edificio del "Quartier Latin", luogo di cultura che viene trasmesso dai vecchi allievi ai nuovi di generazione in generazione. Peccato che un tema buttato lì, senza dei dialoghi o monologhi filosofici costruiti attorno.
La regia di Goro Miyazaki svolge il suo compitino in modo diligente e senza sbavature evidenti. Il regista riesce a descrivere bene i momenti di slice of life scavando nel quotidiano delle vicende dei vari personaggi, indugiando sul pranzo in famiglia, la spesa al supermercato o le pulizie al "Quartier Latin". Complice un montaggio lineare, ma serrato quando gli serve, Goro riesce a mostrare bene i ripetuti gesti della monotona vita di Umi, che ogni giorno si sveglia, issa le bandiere nautiche, prepara la colazione e così via.
Il problema è che dal punto di vista registico Goro non riesce a compiere il salto di qualità, limitandosi al mero compito svolto in modo discreto, ma senza alcuna volontà di sperimentare nuove soluzioni registiche. Da riconoscergli il merito però per aver creato una messa in scena realistica perfettamente fedele al periodo storico, grazie anche a dialoghi scritti bene e all'aiuto degli animatori dello Studio Ghibli.
In sostanza, non ci ritroviamo per niente innanzi al centesimo capolavoro tanto decantato dai fanboy dello Studio Ghibli, visto che presenta una scarsità di contenuti imbarazzante, una storia di una piattezza unica e una regia che si limita a svolgere il suo compitino senza brillare più di tanto. Se volete proprio visionare un film che ha un incipit del genere e che presenti sempre un approccio realistico alla vicenda, vedetevi "Una Lettera per Momo" di Okiura, uscito uscito pochi mesi dopo, che massacra artisticamente questo filmetto senza infamia e senza lode. Comunque sia, chi è stufo delle solite pellicole a stampo fantasy, se ha scarse pretese artistiche finirà con l'avere discrete soddisfaziono dalla "Collina dei Papaveri". Si spera che in futuro Goro possa proseguire su questa strada, perché un po' di talento lo possiede. Magari è auspicabile che si cimentasse anche nella scrittura della sceneggiatura, visto che un autore per rendere al meglio in questo tipo di storie, deve avere libertà nel testo.
Credo che tutti almeno una volta nella vita abbiamo sperato che un nostro gesto quotidiano e abitudinario, venga notato da qualcuno e visto con occhi differenti, questo è quello che a grandi linee capita alla protagonista di "La collina dei papaveri".
Inizio col dire che la storia è ambientata al 1963; il Giappone sta cercando di riprendersi dalla seconda Guerra Mondiale, e si trova perciò proprio in quegli anni a vivere un ritrovato benessere economico. Tuttavia però come tutte le guerre ormai passate da qualche decennio, se da un lato ha elementi positivi come appunto questo ritrovato benessere, dall'altro c'è il rovescio della medaglia dato dalle ferite lasciate alle famiglie distrutte, e delle perdite irrecuperabili dei propri cari, che non possono essere messi appunto sullo stesso piano. Nel film questo (lasciatemi dire) spezzone di storia, viene spiegato molto bene e addirittura reso parte integrante e filo condutture della storia stessa del film non inserendolo invece quale elemento di contorno di questa.
La protagonista della storia si chiama Umi, vive assieme alla sorella e alla nonna sul promontorio di una collina col quale gestisce assieme un'ostello in cui sono ospitate delle ragazze. Umi è una ragazza dotata di grande dedizione alla famiglia, tanto che ogni giorno si alza molto prima di tutti per preparare la colazione a tutti quanti e sbrigare le faccende domestiche prima di andare a scuola.
Ogni giorno è sua abitudine issare delle bandiere sul pennone di casa. Queste, sono visibili dalla baia e contengono un messaggio nascosto; infatti sa utilizzare il linguaggio delle bandiere, pertanto lo usa per salutare la giornata e il padre che non c'è più a causa appunto della guerra. Queste bandiere vengono notate da un ragazzo che risponde ogni mattina anche lui con lo stesso metodo, dall'imbarcazione del padre. Questo ragazzo è Shunya Kazama frequenta la sua stessa scuola, ha un carattere solare e vivace, e inutile a dirsi tra i due nascerà qualcosa di più di una amicizia. Insieme si prodigheranno a salvare un edificio della scuola che ospita una infinità di club studenteschi più o meno seguiti da questi.
Umi se da un lato ha un carattere buono e disponibile, dall'altro nasconde l'immensa mancanza di affetto da parte della madre fuori per lavoro e da parte del padre che ormai non c'è più.
Questo lungometraggio, benché ambientato nel 1963, non ha una storia vecchia e improbabile ma invece una storia che può benissimo essere traspositrice dei giorni nostri, anzi è forse proprio questo uno dei punti di forza del film perché lo spettatore riesce a immedesimarsi benissimo con la protagonista.
I disegni sono eccezionali. I personaggi sono disegnati molto bene e anche le espressioni del viso sono rappresentate abbastanza bene anche a seconda dei loro stati d'animo. L'ambientazione è quella tipica di un Giappone del 1963, per cui sia i paesaggi che gli sfondi della città rispecchiano il periodo storico in questione. Gli sfondi sono in alcuni tratti più particolareggiati rispetto alle scene di base vere e proprie, e il regista ha saputo utilizzarli anche per lunghi tratti nello stesso film, facendo notare il talento dell'autore nel disegno (ma stiamo parlando di una produzione Ghibli, e di un'opera di Goro Miyazaki figlio del più noto Hayao Miyazaki! Per cui non ci si può di certo aspettare aranciata senza sapore!). Buone anche le musiche soprattutto quella iniziale del film.
Per questo film il mio voto è 9 pieno, perché la storia è semplice, ma il mix tra il sentimento, il romanticismo, la scuola e il trascorrere dei giorni sono amalgamati molto bene.
Inizio col dire che la storia è ambientata al 1963; il Giappone sta cercando di riprendersi dalla seconda Guerra Mondiale, e si trova perciò proprio in quegli anni a vivere un ritrovato benessere economico. Tuttavia però come tutte le guerre ormai passate da qualche decennio, se da un lato ha elementi positivi come appunto questo ritrovato benessere, dall'altro c'è il rovescio della medaglia dato dalle ferite lasciate alle famiglie distrutte, e delle perdite irrecuperabili dei propri cari, che non possono essere messi appunto sullo stesso piano. Nel film questo (lasciatemi dire) spezzone di storia, viene spiegato molto bene e addirittura reso parte integrante e filo condutture della storia stessa del film non inserendolo invece quale elemento di contorno di questa.
La protagonista della storia si chiama Umi, vive assieme alla sorella e alla nonna sul promontorio di una collina col quale gestisce assieme un'ostello in cui sono ospitate delle ragazze. Umi è una ragazza dotata di grande dedizione alla famiglia, tanto che ogni giorno si alza molto prima di tutti per preparare la colazione a tutti quanti e sbrigare le faccende domestiche prima di andare a scuola.
Ogni giorno è sua abitudine issare delle bandiere sul pennone di casa. Queste, sono visibili dalla baia e contengono un messaggio nascosto; infatti sa utilizzare il linguaggio delle bandiere, pertanto lo usa per salutare la giornata e il padre che non c'è più a causa appunto della guerra. Queste bandiere vengono notate da un ragazzo che risponde ogni mattina anche lui con lo stesso metodo, dall'imbarcazione del padre. Questo ragazzo è Shunya Kazama frequenta la sua stessa scuola, ha un carattere solare e vivace, e inutile a dirsi tra i due nascerà qualcosa di più di una amicizia. Insieme si prodigheranno a salvare un edificio della scuola che ospita una infinità di club studenteschi più o meno seguiti da questi.
Umi se da un lato ha un carattere buono e disponibile, dall'altro nasconde l'immensa mancanza di affetto da parte della madre fuori per lavoro e da parte del padre che ormai non c'è più.
Questo lungometraggio, benché ambientato nel 1963, non ha una storia vecchia e improbabile ma invece una storia che può benissimo essere traspositrice dei giorni nostri, anzi è forse proprio questo uno dei punti di forza del film perché lo spettatore riesce a immedesimarsi benissimo con la protagonista.
I disegni sono eccezionali. I personaggi sono disegnati molto bene e anche le espressioni del viso sono rappresentate abbastanza bene anche a seconda dei loro stati d'animo. L'ambientazione è quella tipica di un Giappone del 1963, per cui sia i paesaggi che gli sfondi della città rispecchiano il periodo storico in questione. Gli sfondi sono in alcuni tratti più particolareggiati rispetto alle scene di base vere e proprie, e il regista ha saputo utilizzarli anche per lunghi tratti nello stesso film, facendo notare il talento dell'autore nel disegno (ma stiamo parlando di una produzione Ghibli, e di un'opera di Goro Miyazaki figlio del più noto Hayao Miyazaki! Per cui non ci si può di certo aspettare aranciata senza sapore!). Buone anche le musiche soprattutto quella iniziale del film.
Per questo film il mio voto è 9 pieno, perché la storia è semplice, ma il mix tra il sentimento, il romanticismo, la scuola e il trascorrere dei giorni sono amalgamati molto bene.
Dolce, romantico, divertente.
Meno movimentato dei film del vecchio Miyazaki (con la sola eccezione, forse dell'altrettanto meraviglioso "I sospiri del mio cuore"). La trama è piuttosto lineare, in alcuni punti prevedibile, ma tutti gli elementi sono tanto ben curati da perdonare anche le piccole sbavature, certo limitate dal fatto che il padre di Goro ha comunque messo il proprio zampino nella sceneggiatura del film.
La storia narra della giovane Umi Komatsuzaki, del suo impegno quotidiano per coniugare vita privata e scolastica, del suo incontro con Shunya Kazama, giovane della stessa età, e dell'impegno di entrambi per salvaguardare la sede del giornale scolastico.
I disegni sono molto belli, soprattutto per chi, come me, ama il cartone animato classico e non l'animazione computerizzata.
Sublime la colonna sonora, dolcissima.
Forse alcuni personaggi potevano essere caratterizzati un po' di più, come l'amico comune dei due protagonisti.
Meno movimentato dei film del vecchio Miyazaki (con la sola eccezione, forse dell'altrettanto meraviglioso "I sospiri del mio cuore"). La trama è piuttosto lineare, in alcuni punti prevedibile, ma tutti gli elementi sono tanto ben curati da perdonare anche le piccole sbavature, certo limitate dal fatto che il padre di Goro ha comunque messo il proprio zampino nella sceneggiatura del film.
La storia narra della giovane Umi Komatsuzaki, del suo impegno quotidiano per coniugare vita privata e scolastica, del suo incontro con Shunya Kazama, giovane della stessa età, e dell'impegno di entrambi per salvaguardare la sede del giornale scolastico.
I disegni sono molto belli, soprattutto per chi, come me, ama il cartone animato classico e non l'animazione computerizzata.
Sublime la colonna sonora, dolcissima.
Forse alcuni personaggi potevano essere caratterizzati un po' di più, come l'amico comune dei due protagonisti.
Questa è la mia prima recensione, quindi spero mi perdoniate se non vi possa risultare del tutto valida.
"La collina dei Papaveri" è il secondo lungometraggio di Gorō Miyazaki, figlio del più noto Hayao. Il voto che ho attribuito a questo film è figlio di una mia personalissima media, nata dal voto (7) che do al film così come è, e dal voto che do alla crescita del suddetto regista (9).
Il primo film di Goro, "I racconti di Terramare", è, forse, il meno riuscito dei film firmati Studio Ghibli. Specificando che non ho ancora visto Ocean Waves, My Neighbors the Yamadas, The Cat Returns. Era un film "scialbo", con una sceneggiatura mal sviluppata, con passaggi non molto chiari, con i personaggi non del tutto definiti ed una regia non impeccabile. Poi, aggiungiamo il fatto che, essendo figlio di un certo Hayao Miyazaki, i paragoni iniziano ad essere impietosi, a maggior ragione per il fatto che la storia sarebbe potuta essere una tipica storia dei film di Miyazaki padre.
"La collina dei papaveri" è diverso. Non sto qui a farvi il riassunto del film, penso che ormai sia abbastanza chiaro a tutti.
Iniziamo dalla sceneggiatura. L'errore che molti hanno fatto giudicando questo film è l'ostinato paragone padre-figlio. Continuando a dare immensi meriti al padre, sceneggiatore di questo anime insieme a Keiko Niwa, questo film comunque non è un tipico film che avrebbe potuto trattare Miyazaki padre. Non ci sono maghi, streghe, mostri e mondi sconosciuti. C'è una semplice storia d'amore tra due adolescenti che, prima del lieto fine, attraversa alcuni impedimenti. E' un film permeato dalla realtà, capiamo le tradizioni giapponesi negli anni '60, vediamo la vita comune dei ragazzi che iniziano ad aprire allora gli occhi sul mondo. E' un film, come dire, alla Takahata. Anche questo non è un paragone facile per il povero Goro, Takahata è il neorelista dell'animazione giapponese, autore di film come "Una tomba per le lucciole" e "Only Yesterday", veri e propri capolavori neorealisti. Il film di Goro è molto più vicino a questi.
Con una sceneggiatura lineare, ben sviluppata, possiamo apprezzare un film piacevole, non lento e senza buchi come era successo ne "I racconti di Terramare". Naturalmente non stiamo parlando di un film lacerante come "Una tomba per le lucciole", né di un film introspettivo come "Only Yesterday". Scorre tranquillamente, senza però entrarti nella mente come riescono a fare i suddetti film.
I disegni sono molto ben fatti, molto probabilmente i paesaggi e la descrizione dei luoghi frequentati dai protagonisti sono il punto forte del film, a mio parere impeccabili.
La regia è senza particolari fronzoli, anche in questo caso è un po' come la sceneggiatura. Piacevole, ma senza niente di particolre che ti possa rimanere in mente.
In conclusione posso dire che, molto probabilmente, Goro stesso ha capito che il paragone con il padre può essere più deleterio che positivo. Per cui ha sviluppato un film che non ha molto a che vedere con i film di Hayao, evitando eccessivi fronzoli che avrebbero potuto rendere il film troppo pesante. Confermo quindi il mio 7 per il film ed il mio 9 per la crescita artistica del regista, con un voto finale pari ad 8.
"La collina dei Papaveri" è il secondo lungometraggio di Gorō Miyazaki, figlio del più noto Hayao. Il voto che ho attribuito a questo film è figlio di una mia personalissima media, nata dal voto (7) che do al film così come è, e dal voto che do alla crescita del suddetto regista (9).
Il primo film di Goro, "I racconti di Terramare", è, forse, il meno riuscito dei film firmati Studio Ghibli. Specificando che non ho ancora visto Ocean Waves, My Neighbors the Yamadas, The Cat Returns. Era un film "scialbo", con una sceneggiatura mal sviluppata, con passaggi non molto chiari, con i personaggi non del tutto definiti ed una regia non impeccabile. Poi, aggiungiamo il fatto che, essendo figlio di un certo Hayao Miyazaki, i paragoni iniziano ad essere impietosi, a maggior ragione per il fatto che la storia sarebbe potuta essere una tipica storia dei film di Miyazaki padre.
"La collina dei papaveri" è diverso. Non sto qui a farvi il riassunto del film, penso che ormai sia abbastanza chiaro a tutti.
Iniziamo dalla sceneggiatura. L'errore che molti hanno fatto giudicando questo film è l'ostinato paragone padre-figlio. Continuando a dare immensi meriti al padre, sceneggiatore di questo anime insieme a Keiko Niwa, questo film comunque non è un tipico film che avrebbe potuto trattare Miyazaki padre. Non ci sono maghi, streghe, mostri e mondi sconosciuti. C'è una semplice storia d'amore tra due adolescenti che, prima del lieto fine, attraversa alcuni impedimenti. E' un film permeato dalla realtà, capiamo le tradizioni giapponesi negli anni '60, vediamo la vita comune dei ragazzi che iniziano ad aprire allora gli occhi sul mondo. E' un film, come dire, alla Takahata. Anche questo non è un paragone facile per il povero Goro, Takahata è il neorelista dell'animazione giapponese, autore di film come "Una tomba per le lucciole" e "Only Yesterday", veri e propri capolavori neorealisti. Il film di Goro è molto più vicino a questi.
Con una sceneggiatura lineare, ben sviluppata, possiamo apprezzare un film piacevole, non lento e senza buchi come era successo ne "I racconti di Terramare". Naturalmente non stiamo parlando di un film lacerante come "Una tomba per le lucciole", né di un film introspettivo come "Only Yesterday". Scorre tranquillamente, senza però entrarti nella mente come riescono a fare i suddetti film.
I disegni sono molto ben fatti, molto probabilmente i paesaggi e la descrizione dei luoghi frequentati dai protagonisti sono il punto forte del film, a mio parere impeccabili.
La regia è senza particolari fronzoli, anche in questo caso è un po' come la sceneggiatura. Piacevole, ma senza niente di particolre che ti possa rimanere in mente.
In conclusione posso dire che, molto probabilmente, Goro stesso ha capito che il paragone con il padre può essere più deleterio che positivo. Per cui ha sviluppato un film che non ha molto a che vedere con i film di Hayao, evitando eccessivi fronzoli che avrebbero potuto rendere il film troppo pesante. Confermo quindi il mio 7 per il film ed il mio 9 per la crescita artistica del regista, con un voto finale pari ad 8.
L'ultimo anime del famoso Studio Ghibli ci riporta indietro nel tempo, più precisamente nel Giappone degli anni '60, periodo storico in cui il Giappone post seconda guerra mondiale e post bomba nucleare inizia quel processo di occidentalizzazione e rinnovamento culturale.
<b>Contiene spoiler!</b>
La storia è ambientata in un paesino rurale ai piedi del mare e inizia facendoci conoscere la protagonista, Umi, che vive sulla collina dei papaveri in una grande casa, sorta dove un tempo c'era un ospedale, insieme alla nonna, ai fratellini, e a due inquiline che hanno preso in affitto una camera. È orfana di padre, morto in mare durante la guerra di Corea, mentre la madre è spesso all'estero per lavoro. Umi ha 16 anni, frequenta la scuola locale, tutti i giorni si occupa con dedizione alle faccende domestiche, come preparare i pasti, e ha un rituale giornaliero per tener viva la memoria del defunto padre: issare sul pennone che domina la collina due bandiere di segnalazione marittima per augurare buona navigazione. Shun è un ragazzo più grande di un anno rospetto ad Umi, frequentano la stessa scuola, ma i due non si conoscono. Fa parte del club di giornalismo ed è un ragazzo popolare. Nel tempo libero aiuta il padre a gestire un rimorchiatore di navi e tutti i giorni assiste al rituale delle bandiere senza saperne il motivo. Il ragazzo ogni giorno risponde issando sulla nave dei segnali di risposta, ma senza sapere che Umi non può vederlo.
Emozionato e incuriosito un giorno scrive sul giornale scolastico una poesia. Come per il '68 in Italia e nel resto del mondo, il clima politico giapponese è in fermento e non passa giorno che gli studenti non si organizzino in assemblee per protestare e cercare di cambiare le cose. Proprio in uno di questi incontri Umi e Shun si incontrano e dopo vari eventi Umi inizierà a dare una mano al ragazzo all'interno del club di letteratura e giornalismo. Il club, così come la maggior parte delle associazioni studentesche, ha la sua sede in una grande casa detta Quartiere Latin. Peccato che questo enorme e vecchio edificio carico di storia sia fatiscente, non curato, e prossimo alla demolizione. Dopo un'altra colorita assemblea, grazie ad un'idea di Umi, la maggior parte degli studenti contrari alla demolizione si rimboccano le maniche per ripulirlo, ripararlo e riportare l'edificio alle bellezze di una volta.
Durante tutti questi avvenimenti il rapporto tra Umi e Shun si approfondirà, ma vecchi fantasmi e avvenimenti del passato rischieranno di rovinare tutto…
Vi ho già raccontato molto della storia, però mi fermo qui e non vi voglio dire nulla del rapporto tra i due ragazzi per non rovinarvi la visione. È un anime molto particolare nella produzione dello Studio Ghibli, diverso dalle opere maggiori ("Il castello errante di Howl", "La città incantata" ecc..) e più simile a "Una tomba per le lucciole".
La storia che ruota principalmente intorno al rapporto tra i due protagonisti risulta molto lenta e forse scontata, ci troviamo di fronte ad un racconto di tipo slice of life, una storia molto reale e per un pubblico nettamente adulto, da cui ognuno può cogliere molti messaggi. Personalmente focalizzerei l'attenzione su due messaggi principali: non è possibile andare avanti lasciando perdere tutto il nostro passato, pensando alla memoria del passato come ad bagaglio pesante da trascinare, ma il passato è qualcosa di cui bisogna aver cura e non dimenticare. E proprio l'aver cura, delle persone così come degli oggetti, è l'altro messaggio principale che Miyazaki jr. ci lascia.
Anime particolare, ma delicato e di buoni sentimenti, io ve lo consiglio.
<b>Contiene spoiler!</b>
La storia è ambientata in un paesino rurale ai piedi del mare e inizia facendoci conoscere la protagonista, Umi, che vive sulla collina dei papaveri in una grande casa, sorta dove un tempo c'era un ospedale, insieme alla nonna, ai fratellini, e a due inquiline che hanno preso in affitto una camera. È orfana di padre, morto in mare durante la guerra di Corea, mentre la madre è spesso all'estero per lavoro. Umi ha 16 anni, frequenta la scuola locale, tutti i giorni si occupa con dedizione alle faccende domestiche, come preparare i pasti, e ha un rituale giornaliero per tener viva la memoria del defunto padre: issare sul pennone che domina la collina due bandiere di segnalazione marittima per augurare buona navigazione. Shun è un ragazzo più grande di un anno rospetto ad Umi, frequentano la stessa scuola, ma i due non si conoscono. Fa parte del club di giornalismo ed è un ragazzo popolare. Nel tempo libero aiuta il padre a gestire un rimorchiatore di navi e tutti i giorni assiste al rituale delle bandiere senza saperne il motivo. Il ragazzo ogni giorno risponde issando sulla nave dei segnali di risposta, ma senza sapere che Umi non può vederlo.
Emozionato e incuriosito un giorno scrive sul giornale scolastico una poesia. Come per il '68 in Italia e nel resto del mondo, il clima politico giapponese è in fermento e non passa giorno che gli studenti non si organizzino in assemblee per protestare e cercare di cambiare le cose. Proprio in uno di questi incontri Umi e Shun si incontrano e dopo vari eventi Umi inizierà a dare una mano al ragazzo all'interno del club di letteratura e giornalismo. Il club, così come la maggior parte delle associazioni studentesche, ha la sua sede in una grande casa detta Quartiere Latin. Peccato che questo enorme e vecchio edificio carico di storia sia fatiscente, non curato, e prossimo alla demolizione. Dopo un'altra colorita assemblea, grazie ad un'idea di Umi, la maggior parte degli studenti contrari alla demolizione si rimboccano le maniche per ripulirlo, ripararlo e riportare l'edificio alle bellezze di una volta.
Durante tutti questi avvenimenti il rapporto tra Umi e Shun si approfondirà, ma vecchi fantasmi e avvenimenti del passato rischieranno di rovinare tutto…
Vi ho già raccontato molto della storia, però mi fermo qui e non vi voglio dire nulla del rapporto tra i due ragazzi per non rovinarvi la visione. È un anime molto particolare nella produzione dello Studio Ghibli, diverso dalle opere maggiori ("Il castello errante di Howl", "La città incantata" ecc..) e più simile a "Una tomba per le lucciole".
La storia che ruota principalmente intorno al rapporto tra i due protagonisti risulta molto lenta e forse scontata, ci troviamo di fronte ad un racconto di tipo slice of life, una storia molto reale e per un pubblico nettamente adulto, da cui ognuno può cogliere molti messaggi. Personalmente focalizzerei l'attenzione su due messaggi principali: non è possibile andare avanti lasciando perdere tutto il nostro passato, pensando alla memoria del passato come ad bagaglio pesante da trascinare, ma il passato è qualcosa di cui bisogna aver cura e non dimenticare. E proprio l'aver cura, delle persone così come degli oggetti, è l'altro messaggio principale che Miyazaki jr. ci lascia.
Anime particolare, ma delicato e di buoni sentimenti, io ve lo consiglio.
"La collina dei papaveri" è ambientato nel Giappone degli anni '60, a Yokohama. Shun Kazama ed Umi Matsuzaki sono due studenti impegnati nella lotta per salvare una vecchia casa della scuola, il "Quartier latin", dalla demolizione. Grazie a ciò si frequentano e finiscono con l'innamorarsi, ma la loro felicità viene minacciata a causa di un segreto relativo al loro passato...
Seconda opera di Goro Miyazaki che abbiamo modo di visionare, questo film, privo delle magie de "I racconti di Terramare", è a mio avviso molto più bello. Goro è migliorato, e lascia prevedere che col tempo maturerà sempre di più (anche se ovviamente ne ha ancora di strada da fare rispetto al maestro Hayao!).
"I racconti di Terramare" mi aveva lasciato non poche perplessità, sia sul messaggio di fondo che su alcuni aspetti della trama, su dove si volesse andare a parare; "La collina dei papaveri", invece, armonizza alla perfezione l'aspetto patriottico della storia, la cura del Quartier Latin da parte degli studenti, indice di un rispetto per il passato non certo esente dallo giusto sguardo al futuro, con la storia d'amore dei protagonisti, tenera e delicata come da perfetto stile "ghibliano".
La colonna sonora non è opera di Joe Hisaishi, ma, come per Terramare, di Satoshi Takebe, che pure si rivela un artista degno di nota. Belle le musiche e le parole, che abbiamo modo di comprendere grazie all'inserimento dei sottotitoli.
Infine buono anche il doppiaggio, come al solito i doppiatori mi sembrano adatti ai loro ruoli.
In realtà i papaveri del titolo appaiono solo raramente e di sfuggita, bisogna fare molta attenzione per scovarli, ma cosa importa in fondo? Anche considerando che "I racconti di Terramare" pareva ancora più strano come titolo, ed invece qui i papaveri ci sono davvero.
Abbiamo davanti l'ennesimo capolavoro Ghibli. Ovviamente il mio voto finale è 10!
Seconda opera di Goro Miyazaki che abbiamo modo di visionare, questo film, privo delle magie de "I racconti di Terramare", è a mio avviso molto più bello. Goro è migliorato, e lascia prevedere che col tempo maturerà sempre di più (anche se ovviamente ne ha ancora di strada da fare rispetto al maestro Hayao!).
"I racconti di Terramare" mi aveva lasciato non poche perplessità, sia sul messaggio di fondo che su alcuni aspetti della trama, su dove si volesse andare a parare; "La collina dei papaveri", invece, armonizza alla perfezione l'aspetto patriottico della storia, la cura del Quartier Latin da parte degli studenti, indice di un rispetto per il passato non certo esente dallo giusto sguardo al futuro, con la storia d'amore dei protagonisti, tenera e delicata come da perfetto stile "ghibliano".
La colonna sonora non è opera di Joe Hisaishi, ma, come per Terramare, di Satoshi Takebe, che pure si rivela un artista degno di nota. Belle le musiche e le parole, che abbiamo modo di comprendere grazie all'inserimento dei sottotitoli.
Infine buono anche il doppiaggio, come al solito i doppiatori mi sembrano adatti ai loro ruoli.
In realtà i papaveri del titolo appaiono solo raramente e di sfuggita, bisogna fare molta attenzione per scovarli, ma cosa importa in fondo? Anche considerando che "I racconti di Terramare" pareva ancora più strano come titolo, ed invece qui i papaveri ci sono davvero.
Abbiamo davanti l'ennesimo capolavoro Ghibli. Ovviamente il mio voto finale è 10!
Nuovo film prodotto dallo studio Ghibli ad opera di Goro Miyazaki, figlio di Hayao.
La collina dei papaveri tratta di una storia d'amore adolescenziale che ha per protagonisti due ragazzi sullo sfondo del Giappone degli anni '60. La storia è permeata dall'ottimismo e dalla gran voglia di fare che avevano i giapponesi in quell'epoca di prosperità post-bellica. In fondo, il vedere all'opera gli studenti nel tentativo di salvare dalla demolizione un antico palazzo utilizzato per le attività extra-scolastiche, altro non è che il tentativo di celebrare il passato, conservarlo ed usarlo a memoria del futuro. Stesso si può dire della buona abitudine che ha la protagonista Umi di issare le bandiere in ricordo del padre ormai defunto. Non dimenticare il passato, perché esso resterà sempre presente in te e ti aiuterà a camminare nel futuro. La storia d'amore tra Umi e Shunya è presentata molto all'acqua di rose, i due solo si sfiorano, ma ad un certo punto c'è il colpo di scena che mina l'happy ending. Molto trascinanti le musiche del film che ben rappresentano la musica in voga in quegli anni. Buon doppiaggio, ben studiato. Da non perdere.
La collina dei papaveri tratta di una storia d'amore adolescenziale che ha per protagonisti due ragazzi sullo sfondo del Giappone degli anni '60. La storia è permeata dall'ottimismo e dalla gran voglia di fare che avevano i giapponesi in quell'epoca di prosperità post-bellica. In fondo, il vedere all'opera gli studenti nel tentativo di salvare dalla demolizione un antico palazzo utilizzato per le attività extra-scolastiche, altro non è che il tentativo di celebrare il passato, conservarlo ed usarlo a memoria del futuro. Stesso si può dire della buona abitudine che ha la protagonista Umi di issare le bandiere in ricordo del padre ormai defunto. Non dimenticare il passato, perché esso resterà sempre presente in te e ti aiuterà a camminare nel futuro. La storia d'amore tra Umi e Shunya è presentata molto all'acqua di rose, i due solo si sfiorano, ma ad un certo punto c'è il colpo di scena che mina l'happy ending. Molto trascinanti le musiche del film che ben rappresentano la musica in voga in quegli anni. Buon doppiaggio, ben studiato. Da non perdere.
"La collina dei papaveri" è un film che ci presenta uno spaccato della vita giapponese degli anni sessanta, alla vigilia dell'importante appuntamento delle olimpiadi di Tokyo.
La protagonista della storia è Umi, una ragazzina che è costretta a dividersi tra la gestione dell'ostello di famiglia e la normale vita scolastica. Tutti i giorni Umi issa nel giardino di casa - dal quale si vede il mare - due bandiere che nel codice nautico sono un augurio di buona navigazione; tutto questo in ricordo del padre marinaio deceduto durante la guerra di Corea.
Dopo una breve introduzione della vita quotidiana di Umi si viene coinvolti nell'intreccio di due storie.
Il Giappone è uscito dalla seconda guerra mondiale e vuole rinnovarsi. Tra i tanti edifici destinati ad essere abbattuti per costruirne altri più moderni c'è anche un'ala della scuola di Umi, separata dal corpo principale, che accoglie tutti i club culturali dell'istituto. I membri dei club, anche se in minoranza rispetto a quelli che vogliono abbattere l'edificio, si danno da fare per evitare la distruzione delle loro sedi. Allo stesso tempo Umi conosce Shun, studente della sua scuola e uno dei membri del club culturale che si occupa della realizzazione del giornale dell'istituto. Umi, frequentando Shun, comincia a provare qualcosa nei suoi confronti. I due ragazzi sembrano uniti da uno strano filo del destino: Umi mostra a Shun una foto che ritrae suo padre in compagnia di due commilitoni, e Shun ne ha una copia identica a casa, quasi a suggerire che i due ragazzi abbiano qualcosa in comune.
Il secondo film di Goro Miyazaki è di buon livello. Le due storie si intrecciano in maniera fluida all'interno dell'opera ed è molto facile seguirle senza rimanere confusi. Immancabile la storiellina d'amore tra i due protagonisti, ma qui c'è un impedimento di non poco conto tra i sentimenti dei due ragazzi: questo rende gli eventi molto avvincenti. Molto interessante anche il messaggio che si cela dietro ai tentativi di mantenere in vita la sede dei club scolastici: bisogna fare attenzione a non perdere i simboli del passato perché con loro si perde anche la memoria degli eventi. Lo svolgimento delle storie ricalca il classico "lieto fine": le due storie terminano nel modo più scontato possibile, ma personalmente ho trovato molto rassicurante e non banale una conclusione di questo genere. Il finale della storia tra Umi e Shun, in realtà, è aperto: quello che Miyazaki jr. non ha detto viene lasciato alla fantasia dello spettatore.
Eccellente, come da tradizione dello studio Ghibli, la realizzazione grafica. La parte audio non mi ha convinto molto, musiche sufficienti ma non esaltanti tra le quali si salva solo la dolce canzone della sigla finale.
Un film interessante, da vedere anche per entrare nella vita quotidiana del Giappone dei frenetici anni sessanta
La protagonista della storia è Umi, una ragazzina che è costretta a dividersi tra la gestione dell'ostello di famiglia e la normale vita scolastica. Tutti i giorni Umi issa nel giardino di casa - dal quale si vede il mare - due bandiere che nel codice nautico sono un augurio di buona navigazione; tutto questo in ricordo del padre marinaio deceduto durante la guerra di Corea.
Dopo una breve introduzione della vita quotidiana di Umi si viene coinvolti nell'intreccio di due storie.
Il Giappone è uscito dalla seconda guerra mondiale e vuole rinnovarsi. Tra i tanti edifici destinati ad essere abbattuti per costruirne altri più moderni c'è anche un'ala della scuola di Umi, separata dal corpo principale, che accoglie tutti i club culturali dell'istituto. I membri dei club, anche se in minoranza rispetto a quelli che vogliono abbattere l'edificio, si danno da fare per evitare la distruzione delle loro sedi. Allo stesso tempo Umi conosce Shun, studente della sua scuola e uno dei membri del club culturale che si occupa della realizzazione del giornale dell'istituto. Umi, frequentando Shun, comincia a provare qualcosa nei suoi confronti. I due ragazzi sembrano uniti da uno strano filo del destino: Umi mostra a Shun una foto che ritrae suo padre in compagnia di due commilitoni, e Shun ne ha una copia identica a casa, quasi a suggerire che i due ragazzi abbiano qualcosa in comune.
Il secondo film di Goro Miyazaki è di buon livello. Le due storie si intrecciano in maniera fluida all'interno dell'opera ed è molto facile seguirle senza rimanere confusi. Immancabile la storiellina d'amore tra i due protagonisti, ma qui c'è un impedimento di non poco conto tra i sentimenti dei due ragazzi: questo rende gli eventi molto avvincenti. Molto interessante anche il messaggio che si cela dietro ai tentativi di mantenere in vita la sede dei club scolastici: bisogna fare attenzione a non perdere i simboli del passato perché con loro si perde anche la memoria degli eventi. Lo svolgimento delle storie ricalca il classico "lieto fine": le due storie terminano nel modo più scontato possibile, ma personalmente ho trovato molto rassicurante e non banale una conclusione di questo genere. Il finale della storia tra Umi e Shun, in realtà, è aperto: quello che Miyazaki jr. non ha detto viene lasciato alla fantasia dello spettatore.
Eccellente, come da tradizione dello studio Ghibli, la realizzazione grafica. La parte audio non mi ha convinto molto, musiche sufficienti ma non esaltanti tra le quali si salva solo la dolce canzone della sigla finale.
Un film interessante, da vedere anche per entrare nella vita quotidiana del Giappone dei frenetici anni sessanta
Eccomi a recensire finalmente "La collina dei papaveri", la nuova creazione dello studio Ghibli, opera di Goro Miyazaki in collaborazione con suo padre, il più noto Hayao Miyazaki.
Parto con il dire che non sono una grande amante di Goro, avevo trovato infatti che "I racconti di Terramare" non fosse un film al pari con i film di suo padre e che nel complesso fosse alquanto moscio e salvabile solo grazie a qualche inquadratura, alle musiche e ai disegni e quando ho deciso di vedere il film che vi sto per recensire ho tenuto conto dell'esperienza precedente sperando che questo non fosse una delusione e riproposta di una trama comune ormai a tutti gli anime scolastici/romantici.
Devo dire che i passi in avanti sono stati molti e finalmente ho visto anche da parte del regista un cambiamento non da poco, cambiamento in cui si vede la mano del padre.
L'opera ci racconta un Giappone degli anni 60', anzi una vita scolastica degli anni 60', fatta di alunni, assemblee, gruppi studenteschi, persino un giornalino scolastico e le solite chiacchiere e storie di scuola. I protagonisti sono una ragazza, Umi, e un ragazzo, Shunya, che scopriremo entrambi legati al mare e ad una spiacevole coincidenza, entrambi non hanno padre. Lei innalza le bandiere al mattino, gestisce quella che è la vita di casa (essendo la sua casa una sorta di pensione per donne e avendo una madre che a causa del lavoro è sempre fuori), mentre lui accompagna suo padre a lavoro e aiuta il suo amico, il presidente del consiglio studentesco con il Quartier Latin, una casa in rovina, sede del giornale e dei vari club scolastici. I due verranno per coincidenza a conoscersi e li sboccerà un sentimento che li porterà a scelte e a scoperte sulla loro vita e sulle loro famiglie e soprattutto vedremo anche il confronto con quella che è la faticosa situazione della scuola nel dopoguerra.
Il film oltre a svolgersi senza intoppi, e soprattutto senza essere mai lento, presenta ottimi disegni e una grafica eccellente. Le musiche ci accompagnano e ci lasciano assaporare il gusto del passato e delle cose semplici, ci mostrano un Giappone legato al passato e alle tradizioni.
Molti hanno considerato il film come un'opera godibile ma senza troppi meriti, forse presi dal paragone con le opere del padre hanno sottovalutato le abilità del figlio; non penso che la seguente opera possa essere considerata da 4 come da 7 sicuramente al pari e superiore rispetto a molti film di nuova generazione che ci vengono proposti al giorno d'oggi. "La collina dei papaveri" ci da molta più soddisfazione. Forse a coloro che come me sono veri appassionati del Miyazaki senior il film risulterà molto una scopiazzatura di alcune inquadrature del maestro o ancora che alcuni personaggi, anche se ben caratterizzati, sembreranno i soliti personaggi stereotipati degli slice of life sentimentali. Ma secondo me c'è di più: gli stessi eventi presenti nel film dimostrano un cambiamento dell'autore. Di certo non sono l'opera di un maestro ma l'opera di una mente nuova. Non ci saremmo mai sognati una storia del genere nella fase dello studio precedente, in cui si puntava molto sulla fantasia, sulla natura, sulle emozioni, i simboli e le tradizioni. Qui puntiamo essenzialmente sulle piccole cose senza mai essere esagerati. Credo che l'opera meriti una rivalutazione generale e sono convinta che anche le opere successive, se seguiranno questa scia, potranno essere ottime.
Consiglio la visione a tutti.
Parto con il dire che non sono una grande amante di Goro, avevo trovato infatti che "I racconti di Terramare" non fosse un film al pari con i film di suo padre e che nel complesso fosse alquanto moscio e salvabile solo grazie a qualche inquadratura, alle musiche e ai disegni e quando ho deciso di vedere il film che vi sto per recensire ho tenuto conto dell'esperienza precedente sperando che questo non fosse una delusione e riproposta di una trama comune ormai a tutti gli anime scolastici/romantici.
Devo dire che i passi in avanti sono stati molti e finalmente ho visto anche da parte del regista un cambiamento non da poco, cambiamento in cui si vede la mano del padre.
L'opera ci racconta un Giappone degli anni 60', anzi una vita scolastica degli anni 60', fatta di alunni, assemblee, gruppi studenteschi, persino un giornalino scolastico e le solite chiacchiere e storie di scuola. I protagonisti sono una ragazza, Umi, e un ragazzo, Shunya, che scopriremo entrambi legati al mare e ad una spiacevole coincidenza, entrambi non hanno padre. Lei innalza le bandiere al mattino, gestisce quella che è la vita di casa (essendo la sua casa una sorta di pensione per donne e avendo una madre che a causa del lavoro è sempre fuori), mentre lui accompagna suo padre a lavoro e aiuta il suo amico, il presidente del consiglio studentesco con il Quartier Latin, una casa in rovina, sede del giornale e dei vari club scolastici. I due verranno per coincidenza a conoscersi e li sboccerà un sentimento che li porterà a scelte e a scoperte sulla loro vita e sulle loro famiglie e soprattutto vedremo anche il confronto con quella che è la faticosa situazione della scuola nel dopoguerra.
Il film oltre a svolgersi senza intoppi, e soprattutto senza essere mai lento, presenta ottimi disegni e una grafica eccellente. Le musiche ci accompagnano e ci lasciano assaporare il gusto del passato e delle cose semplici, ci mostrano un Giappone legato al passato e alle tradizioni.
Molti hanno considerato il film come un'opera godibile ma senza troppi meriti, forse presi dal paragone con le opere del padre hanno sottovalutato le abilità del figlio; non penso che la seguente opera possa essere considerata da 4 come da 7 sicuramente al pari e superiore rispetto a molti film di nuova generazione che ci vengono proposti al giorno d'oggi. "La collina dei papaveri" ci da molta più soddisfazione. Forse a coloro che come me sono veri appassionati del Miyazaki senior il film risulterà molto una scopiazzatura di alcune inquadrature del maestro o ancora che alcuni personaggi, anche se ben caratterizzati, sembreranno i soliti personaggi stereotipati degli slice of life sentimentali. Ma secondo me c'è di più: gli stessi eventi presenti nel film dimostrano un cambiamento dell'autore. Di certo non sono l'opera di un maestro ma l'opera di una mente nuova. Non ci saremmo mai sognati una storia del genere nella fase dello studio precedente, in cui si puntava molto sulla fantasia, sulla natura, sulle emozioni, i simboli e le tradizioni. Qui puntiamo essenzialmente sulle piccole cose senza mai essere esagerati. Credo che l'opera meriti una rivalutazione generale e sono convinta che anche le opere successive, se seguiranno questa scia, potranno essere ottime.
Consiglio la visione a tutti.
Ho trovato "La Collina dei Papaveri" un lavoro diligente, ben realizzato, piacevole da guardare, con una storia apprezzabile, personaggi ben caratterizzati e con una gradevolissima ricostruzione dell'epoca in cui è ambientato. Nel complesso, il film è un lavoro di buon livello e un enorme passo avanti per Goro Miyazaki, che dopo il mediocre lavoro fatto in Terramare regala in quest'opera alcune scelte registiche azzeccate ed efficaci.
Il genere in cui si piazza questo lungometraggio è quello degli slice of life sentimentali, non nuovo per Studio Ghibli in lavori come "I sospiri del mio cuore" e ricorrente anche in alcune opere ahimè ancora inedite in Italia. Goro si allontana dalle tematiche più fantastiche care al padre e intraprende un percorso proprio, provando questa volta un approccio più realista e ritrattista, raccontando un'epoca e un modo di vivere, ovvero quello giapponese degli anni '60, di cui a mio parere azzecca bene l'essenza.
Se è vero che la visione non mi è mai pesata e che si è dimostrata efficace, è anche vero che non presenta alcun climax e che risulta piuttosto lineare e prevedibile. Il film è bello da vedere, interessante nelle sue ricostruzioni storico-sociali, carine alcune gag e curiosi alcuni personaggi, ma nel complesso manca un po' di mordente e non l'ho trovato coinvolgente come altre opere. Mancano quasi del tutto quei momenti magici ed emozionanti presenti in altri lavori ghibliani, capaci di trascinarti e scaldarti il cuore: non che "La Collina dei Papaveri" non sia in grado di emozionare, ma lo fa in modo pacato e timido, quasi temendo di osare. Si tratta, come detto, di un lavoro fatto molto bene e diligente, ma probabilmente troppo scolastico e manca secondo me di un po' di personalità. Si nota comunque un regista in decisa ascesa, che ha proposto un soggetto difficile e che è riuscito a trasformarlo in un buon prodotto. Ora deve, secondo il mio parare, fare ulteriore pratica e riuscire a ritagliarsi uno stile proprio che lo contraddistingua.
Il finale arriva anch'esso sulle punte dei piedi, non prova a strafare e chiude gli eventi nel modo più logico e probabilmente prevedibile, lasciandomi la semplice convinzione di avere visto un film carino, ma niente più di questo.
Il genere in cui si piazza questo lungometraggio è quello degli slice of life sentimentali, non nuovo per Studio Ghibli in lavori come "I sospiri del mio cuore" e ricorrente anche in alcune opere ahimè ancora inedite in Italia. Goro si allontana dalle tematiche più fantastiche care al padre e intraprende un percorso proprio, provando questa volta un approccio più realista e ritrattista, raccontando un'epoca e un modo di vivere, ovvero quello giapponese degli anni '60, di cui a mio parere azzecca bene l'essenza.
Se è vero che la visione non mi è mai pesata e che si è dimostrata efficace, è anche vero che non presenta alcun climax e che risulta piuttosto lineare e prevedibile. Il film è bello da vedere, interessante nelle sue ricostruzioni storico-sociali, carine alcune gag e curiosi alcuni personaggi, ma nel complesso manca un po' di mordente e non l'ho trovato coinvolgente come altre opere. Mancano quasi del tutto quei momenti magici ed emozionanti presenti in altri lavori ghibliani, capaci di trascinarti e scaldarti il cuore: non che "La Collina dei Papaveri" non sia in grado di emozionare, ma lo fa in modo pacato e timido, quasi temendo di osare. Si tratta, come detto, di un lavoro fatto molto bene e diligente, ma probabilmente troppo scolastico e manca secondo me di un po' di personalità. Si nota comunque un regista in decisa ascesa, che ha proposto un soggetto difficile e che è riuscito a trasformarlo in un buon prodotto. Ora deve, secondo il mio parare, fare ulteriore pratica e riuscire a ritagliarsi uno stile proprio che lo contraddistingua.
Il finale arriva anch'esso sulle punte dei piedi, non prova a strafare e chiude gli eventi nel modo più logico e probabilmente prevedibile, lasciandomi la semplice convinzione di avere visto un film carino, ma niente più di questo.
Io amo i film dello studio Ghibli, però si nota quando i film sono di papà Miyazaki o del figliolo Goro, e la triste verità è che questo film dai toni romantici e delicati è bellino, è godibile, ma non è niente di eccezionale e per essere un pelino crudeli direi che non merita il biglietto del cinema.
La trama è banale, ma non trovo sia questa la ragione del fallimento, diciamo così, del film. Non è inusuale per queste opere avere un tema semplicistico di fondo, sta poi nei risvolti narrativi l'incredibile tocco del maestro, a prescindere che il tema sia ritrito, banale o scontato, è il come i personaggi affrontano il tutto che dà il valore aggiunto in questi film, purtroppo però non è questo il caso. La storia qui tocca la bivalenza del compromesso tra amore e amicizia, quando soprattutto l'amicizia è il piano B e affronta la cosa in modo davvero pietoso.
Poteva uscire qualcosa di assolutamente migliore, più articolato, anche più profondo, gli stessi protagonisti, Shun e Umi, sono trattati al limite della sufficienza, sono pozzanghere con qualche segreto che non è nemmeno tale e non laghi che nascondono abissi, e questo trovo sia un fattore molto castrante per la qualità dell'opera. Tutti i comprimari sono prevedibili, piatti, appena accennati, pennellate su una tela bianca, non mappe dettagliate, e anche questa poteva essere una scelta, se di contro la focalizzazione sui due fanciulli avesse dato un di più. Di fatto invece seguiamo un amore adolescenziale, piatto, noioso e francamente evitabile. L'ambientazione scolastica è gradevole e crea senza dubbio una buona cornice, soprattutto per l'epoca scelta, eppure insufficiente a compensare il vuoto di personaggi che hanno troppo poco da dire sia come personalità sia come carattere. Ma veniamo a due righe di trama.
La storia segue l'amore nato a scuola tra due ragazzini che si piacciono per pura casualità di eventi, e che per causa situazioni famigliari (problema di padre/i) finiscono a doversi imporre il ruolo di amici e non altro. L'evoluzione psicologica, il disagio, il dissidio interiore sono trattati a malapena in modo superficiale, e francamente la comoda risoluzione nobile e pratica che propinano entro la fine del film fa abbastanza cadere le braccia, anche perché non ci sono grandi spiegazioni né grandi colpi di scena.
Tutto è piatto e lineare, il fatto che la risoluzione invece sia un progettone di nobiltà fa tanto purè di sentimenti, da paladino che stona proprio con l'ambientazione. Il fatto che le due famiglie vengano poi solo tratteggiate con i meri punti comodi per arrivare alla risoluzione finale è davvero deludente.
Musiche e disegni sono loro, quindi piaceranno sicuramente, anche se non è il meglio visto dallo studio nemmeno su questo fronte.
Il mio 6 è forse un po' bassino lo confesso, ma da appassionata devo dire che la delusione è tanta, non si può vedere un simile livello di superficialità nella caratterizzazione.
La trama è banale, ma non trovo sia questa la ragione del fallimento, diciamo così, del film. Non è inusuale per queste opere avere un tema semplicistico di fondo, sta poi nei risvolti narrativi l'incredibile tocco del maestro, a prescindere che il tema sia ritrito, banale o scontato, è il come i personaggi affrontano il tutto che dà il valore aggiunto in questi film, purtroppo però non è questo il caso. La storia qui tocca la bivalenza del compromesso tra amore e amicizia, quando soprattutto l'amicizia è il piano B e affronta la cosa in modo davvero pietoso.
Poteva uscire qualcosa di assolutamente migliore, più articolato, anche più profondo, gli stessi protagonisti, Shun e Umi, sono trattati al limite della sufficienza, sono pozzanghere con qualche segreto che non è nemmeno tale e non laghi che nascondono abissi, e questo trovo sia un fattore molto castrante per la qualità dell'opera. Tutti i comprimari sono prevedibili, piatti, appena accennati, pennellate su una tela bianca, non mappe dettagliate, e anche questa poteva essere una scelta, se di contro la focalizzazione sui due fanciulli avesse dato un di più. Di fatto invece seguiamo un amore adolescenziale, piatto, noioso e francamente evitabile. L'ambientazione scolastica è gradevole e crea senza dubbio una buona cornice, soprattutto per l'epoca scelta, eppure insufficiente a compensare il vuoto di personaggi che hanno troppo poco da dire sia come personalità sia come carattere. Ma veniamo a due righe di trama.
La storia segue l'amore nato a scuola tra due ragazzini che si piacciono per pura casualità di eventi, e che per causa situazioni famigliari (problema di padre/i) finiscono a doversi imporre il ruolo di amici e non altro. L'evoluzione psicologica, il disagio, il dissidio interiore sono trattati a malapena in modo superficiale, e francamente la comoda risoluzione nobile e pratica che propinano entro la fine del film fa abbastanza cadere le braccia, anche perché non ci sono grandi spiegazioni né grandi colpi di scena.
Tutto è piatto e lineare, il fatto che la risoluzione invece sia un progettone di nobiltà fa tanto purè di sentimenti, da paladino che stona proprio con l'ambientazione. Il fatto che le due famiglie vengano poi solo tratteggiate con i meri punti comodi per arrivare alla risoluzione finale è davvero deludente.
Musiche e disegni sono loro, quindi piaceranno sicuramente, anche se non è il meglio visto dallo studio nemmeno su questo fronte.
Il mio 6 è forse un po' bassino lo confesso, ma da appassionata devo dire che la delusione è tanta, non si può vedere un simile livello di superficialità nella caratterizzazione.
<b>Attenzione! Contiene spoiler!</b>
Non so perché, ma generalmente i film firmati Ghibli trovano la propria rovina nel finale. Anche qui avviene la medesima cosa, purtroppo. Lo stesso avvenne con "Howl", ad esempio, che, pur rimanendo un capolavoro di fantasia, ha un finale terrificante.
La storia, in questo nuovo film del 2011, diretto da Miyazaki jr. e sceneggiato da Miyazaki sr., è piuttosto banale, uno "scadente melodramma", se vogliamo essere caustici citando Shun stesso (kafkiano! quando ho ascoltato la frase mi è sembrata quasi un'autocritica). Suvvia, non voglio essere tanto tagliente, dacché la storia mi è piaciuta abbastanza, pur essendo melensa, probabilmente grazie a un'ambientazione storico-sociale molto realistica - secondo le mie nozioni, non avendo vissuto l'epoca -, al riferimento finale a Diogene "il cane" che mi ha entusiasmato e ad altre cosine sparse qua e là.
La trama è semplicissima, verte su d'una piccola casa-ostello in cui vive Umi, ragazzina senza padre e con madre dalla residenza non fissa in Giappone, con la sorella, la nonna e altre ragazze. Ella va a scuola, qui si scopre la presenza di una sorta di vetusta abitazione in cui si riuniscono i vari club scolastici con fermenti da pseudo-sessantotto, ma decisamente non comunisti. Ovviamente, come in tutti i film Ghibli, l'amore fra due umani in età puberale scoppia automaticamente e come diretta conseguenza, tolte le interessanti parti relative a quell'insieme di club, il resto verte solamente su Shun, il capo-bastone dei circoli, e Umi.
Colpo di scena improvviso! Doloroso colpo di scena nella storia romantica, ma può esser mai che un film ghibliano finisca così, può esser mai che un elemento simile distrugga un sogno? In effetti siamo a poco più di metà dell'opera, sono sicuro che le cose si rivolgeranno per potere rientrare nella parte e nella norma. Difatti è così. Un finale arduo, come sarebbe potuto essere, viene mostrato leggermente e poi scartato, per potere ricoronare l'etereo sogno amoroso.
Perché rovinare così? Perché rendere il tutto assolutamente prevedibile, normale?
Peccato, perché io fino al momento in cui mi sono reso conto di come sarebbe andata a finire - ossia poco dopo il colpo di scena - ero quasi esaltato da questo film, per poi cadere in una sorta di apatia dovuta a delusione. La delusione, come è detto, non è tanto nell'opera stessa, quanto nel proporre una steccata di quelle proporzioni (di certo, comunque, non una novità in ambito artistico!) e poco dopo fare tabula rasa per motivi oscuri oppure fin troppo chiari. Onestamente mi sento fortunato che il padre non sia tornato improvvisamente a casa dallo scrigno di Davy Jones, che sarebbe stato il culmine del banale.
Peccato anche per i personaggi e le musiche, molto nella norma. Direi, di conseguenza, un film nella norma.
Non so perché, ma generalmente i film firmati Ghibli trovano la propria rovina nel finale. Anche qui avviene la medesima cosa, purtroppo. Lo stesso avvenne con "Howl", ad esempio, che, pur rimanendo un capolavoro di fantasia, ha un finale terrificante.
La storia, in questo nuovo film del 2011, diretto da Miyazaki jr. e sceneggiato da Miyazaki sr., è piuttosto banale, uno "scadente melodramma", se vogliamo essere caustici citando Shun stesso (kafkiano! quando ho ascoltato la frase mi è sembrata quasi un'autocritica). Suvvia, non voglio essere tanto tagliente, dacché la storia mi è piaciuta abbastanza, pur essendo melensa, probabilmente grazie a un'ambientazione storico-sociale molto realistica - secondo le mie nozioni, non avendo vissuto l'epoca -, al riferimento finale a Diogene "il cane" che mi ha entusiasmato e ad altre cosine sparse qua e là.
La trama è semplicissima, verte su d'una piccola casa-ostello in cui vive Umi, ragazzina senza padre e con madre dalla residenza non fissa in Giappone, con la sorella, la nonna e altre ragazze. Ella va a scuola, qui si scopre la presenza di una sorta di vetusta abitazione in cui si riuniscono i vari club scolastici con fermenti da pseudo-sessantotto, ma decisamente non comunisti. Ovviamente, come in tutti i film Ghibli, l'amore fra due umani in età puberale scoppia automaticamente e come diretta conseguenza, tolte le interessanti parti relative a quell'insieme di club, il resto verte solamente su Shun, il capo-bastone dei circoli, e Umi.
Colpo di scena improvviso! Doloroso colpo di scena nella storia romantica, ma può esser mai che un film ghibliano finisca così, può esser mai che un elemento simile distrugga un sogno? In effetti siamo a poco più di metà dell'opera, sono sicuro che le cose si rivolgeranno per potere rientrare nella parte e nella norma. Difatti è così. Un finale arduo, come sarebbe potuto essere, viene mostrato leggermente e poi scartato, per potere ricoronare l'etereo sogno amoroso.
Perché rovinare così? Perché rendere il tutto assolutamente prevedibile, normale?
Peccato, perché io fino al momento in cui mi sono reso conto di come sarebbe andata a finire - ossia poco dopo il colpo di scena - ero quasi esaltato da questo film, per poi cadere in una sorta di apatia dovuta a delusione. La delusione, come è detto, non è tanto nell'opera stessa, quanto nel proporre una steccata di quelle proporzioni (di certo, comunque, non una novità in ambito artistico!) e poco dopo fare tabula rasa per motivi oscuri oppure fin troppo chiari. Onestamente mi sento fortunato che il padre non sia tornato improvvisamente a casa dallo scrigno di Davy Jones, che sarebbe stato il culmine del banale.
Peccato anche per i personaggi e le musiche, molto nella norma. Direi, di conseguenza, un film nella norma.
Per citare il Nerone di Mel Brooks nella vasca d'oro: "Carino. Non eccelso, ma carino".
Il film merita assolutamente la visione, dato che si tratta di un prodotto Studio Ghibli, anche se Goro Miyazaki non sarà mai Hayao. E dire che, gli storyboard, glieli ha fatti il padre, altrimenti sono certo avremmo avuto una specie di Terramare 2 in tutta la sua assurdità.
La tematica affrontata è la solita, ossia il classico amore giovanile che sboccia al liceo. Il setting, ossia Giappone 1963, è assolutamente da lodare, dato che è stato riprodotto con una perfezione invidiabile. Di questo devo dare atto e inchinarmi. Il problema vero di questo film è che si sente di non essere proprio in tono con le regolari produzioni ghibliane. Un po' come "Arrietty", per capirci: non male ma la perfezione di un "Totoro" o "Mimi wo Sumaseba" è lontana anni luce.
La carne al fuoco in questo film è al contempo tanta e poca: se da una parte abbiamo filone 1 (ricostruzione edificio dei club scolastici) e filone 2 (storia dei ragazzi), dall'altra ciascun filone è ripieno come un tacchino di avvenimenti, piccoli ma in sequenza piuttosto tirata.
Gli appassionati di film Ghibli storceranno sicuramente il naso notando decine di sequenze/posture scopiazzate e riciclate dai vecchi film del padre, ma non lo metterei come un vero difetto. Certo però che talvolta Goro ha l'abitudine, come in terramare, di rubare a man bassa character design di Hayao e farne un collage sui volti della gente: va bene che in fondo lo stile di disegno non permette grandi cambiamenti, ma se il padre ha inventato così tanti volti, ognuno legato a una propria personalità, chiaramente il problema non è insolubile.
Parlando dei personaggi, c'è da dire che gli stereotipi sono tanti. Nella stragrande maggioranza dei casi si può indovinare in un decimo di secondo chi farà cosa, dato che Goro si è attenuto strettamente al classico binomio faccia/personalità, senza mai sgarrare minimamente.
Il film merita a mio avviso un 8 solo perché molti dei difetti che vedono provengono da una accurata e ripetuta visione dei precedenti film Ghibli. Per un neofita, o qualcuno con minore attenzione per i particolari, il film meriterebbe senza problemi l'8 secco, e magari pure un 9. Personalmente, gli avrei dato al massimo 7 per l'evidentissimo impegno rispetto all'obbrobrio chiamato "Terramare", ma mi rendo conto di avere una visione troppo da critico e troppo poco da spettatore.
Il film merita assolutamente la visione, dato che si tratta di un prodotto Studio Ghibli, anche se Goro Miyazaki non sarà mai Hayao. E dire che, gli storyboard, glieli ha fatti il padre, altrimenti sono certo avremmo avuto una specie di Terramare 2 in tutta la sua assurdità.
La tematica affrontata è la solita, ossia il classico amore giovanile che sboccia al liceo. Il setting, ossia Giappone 1963, è assolutamente da lodare, dato che è stato riprodotto con una perfezione invidiabile. Di questo devo dare atto e inchinarmi. Il problema vero di questo film è che si sente di non essere proprio in tono con le regolari produzioni ghibliane. Un po' come "Arrietty", per capirci: non male ma la perfezione di un "Totoro" o "Mimi wo Sumaseba" è lontana anni luce.
La carne al fuoco in questo film è al contempo tanta e poca: se da una parte abbiamo filone 1 (ricostruzione edificio dei club scolastici) e filone 2 (storia dei ragazzi), dall'altra ciascun filone è ripieno come un tacchino di avvenimenti, piccoli ma in sequenza piuttosto tirata.
Gli appassionati di film Ghibli storceranno sicuramente il naso notando decine di sequenze/posture scopiazzate e riciclate dai vecchi film del padre, ma non lo metterei come un vero difetto. Certo però che talvolta Goro ha l'abitudine, come in terramare, di rubare a man bassa character design di Hayao e farne un collage sui volti della gente: va bene che in fondo lo stile di disegno non permette grandi cambiamenti, ma se il padre ha inventato così tanti volti, ognuno legato a una propria personalità, chiaramente il problema non è insolubile.
Parlando dei personaggi, c'è da dire che gli stereotipi sono tanti. Nella stragrande maggioranza dei casi si può indovinare in un decimo di secondo chi farà cosa, dato che Goro si è attenuto strettamente al classico binomio faccia/personalità, senza mai sgarrare minimamente.
Il film merita a mio avviso un 8 solo perché molti dei difetti che vedono provengono da una accurata e ripetuta visione dei precedenti film Ghibli. Per un neofita, o qualcuno con minore attenzione per i particolari, il film meriterebbe senza problemi l'8 secco, e magari pure un 9. Personalmente, gli avrei dato al massimo 7 per l'evidentissimo impegno rispetto all'obbrobrio chiamato "Terramare", ma mi rendo conto di avere una visione troppo da critico e troppo poco da spettatore.