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Un qualunque liceo giapponese. Tre studenti amici e molto diversi tra loro. Un fatto epocale che sconvolge l'umanità e, per condire, una miriade di personaggi secondari. Questo è Alive, "evoluzione finale" o meglio, "noia mortale" di un genere che non rinnova se stesso, in mano all'ennesimo sceneggiatore che non convince.
Prima di entrare nel merito della discussione è bene fare una precisazione. Esistono due Alive in sequenza che potrebbero essere tranquillamente due serie diverse dello stesso manga. La prima, ossia i primi nove volumi dell'opera, gradevole e abbastanza convincente, anche se piuttosto piatto dal punto di vista dell'originalità. La seconda, dal decimo al ventunesimo volume è invece un riciclaggio di stereotipi che sospingo una trama morta, completamente priva di ritmo narrativo. Perché tutto ciò?
Da alcuni anni ormai in Giappone sembra scoppiata la mania dell'esagerazione e gli sceneggiatori perdono spesso di vista quello che è il primo obbiettivo di chi scrive: farsi capire. La trama di Alive è un nebuloso ammasso di stereotipi, azioni viste e riviste, formule magiche per l'action movie e squallide inquadrature erotiche per rianimare l'attenzione, ormai defunta, di un annoiatissimo lettore.

Nella lettura del manga infatti si incontrano due scogli difficili da gestire. Il primo è, come già detto, la fiacchezza della trama, buonista, ricca di frasi e paroloni sull'amicizia, sulla lealtà e su altre baggianate che, se non supportate dai fatti (come per esempio in Dragon Ball o altri eccellenti shonen), restano solo vacue speculazioni su una filosofia di vita molto lontana dalla verità effettiva della vita. L'eroe nipponico che si sacrifica, i pianti, il dolore esistenziale, sono tutti ingredienti genuini se conditi da una trama che sa reggerli in piedi e legarli tra loro. In Alive sono quasi fastidiosi, buttati lì nel mucchio del discorrere, compaiono come ortiche che irritano la lettura e appesantiscono oltre ogni limite la trama. Il secondo grande ostacolo è l'infinita costellazione di personaggi, piatti come un asse da stiro, che si muovono sul palcoscenico di Alive, con una profondità bidimensionale e che a turno elargiscono sentenze, buonismi o spacconerie, per poi scomparire nel buco nero del nulla dal quale sono stati evocati.
Si può dire, senza troppi fronzoli, che non ci siano personaggi con una psicologia accettabile, perfino i tre protagonisti, che compaiono dall'inizio alla fine (21 volumi), sono spesso incoerenti con se stessi e con le loro decisioni. E se in un sedicenne è forse anche plausibile, in un sedicenne dotato di superpoteri, che spara razzi di energia e vuole salvare non si sa bene chi o cosa è inaccettabile.

Entriamo ora nel merito di questi tre amici liceali, gli unici di cui vale la pena parlare, per capire come l'autore sia riuscito a violare le regole del buon senso narrativo con banali escamotage. Taisuke Kano è il protagonista centrale, colui che porta il peso della storia dall'inizio alla fine. Siccome la trama si arroga di voler fare filosofia sul senso della vita e sull'evoluzione dell'uomo come spirito ed essere senziente, si presuppone che, almeno il protagonista abbia uno spessore morale decente. Non è così. Taisuke ha effettivamente una crescita emotiva nel manga, ma passa da "giovane scimunito" a "silenzioso giustiziere" nel giro di poche pagine e, cosa pessima, "silenzioso giustiziere" rimane fino alla fine, senza sottolineare la naturale evoluzione del carattere umano nella difficoltà. L'immaturità qua non è del protagonista ma dello sceneggiatore, Kawashima Tadashi, che pialla i sentimenti dei suoi personaggi per evitare che la trama gli sfugga di mano. Una tecnica da manuale, eseguita con un po' troppa irruenza direi. Gli altri due soggetti, le spalle, per così dire, ossia Megumi e Hirose, sono talmente taciturni e involuti da apparire quasi decelebrati. Ma del resto questa è la scusa propinataci da Kawashima per non dover approfondire gli altri due personaggi principali, l'uno rimbambito da un trauma emotivo, l'altra ipnotizzata dal "cattivo" fino alla fine della storia. Troppo facile mister Kawashima, troppo facile, quindi noioso. Tutto il resto è aria fritta, dozzine di personaggi stereotipo o inutili che saltellano nella trama scimmiottando un siparietto di cliché triti e ritriti.

Il senso narrativo, se possibile, è ancora più deprecabile. Un calderone dove vengono rimescolati: poteri soprannaturali; veggenza; marines; presidenti e primi ministri; armi di distruzione di massa; segreti militari; improbabili eventi naturali e alieni mistici. Insomma, chi più ne ha più ne metta e il nostro Kawashima, nel dubbio, ha messo proprio tutto. Peccato che nulla leghi gli elementi della storia se non i deboli personaggi già descritti, troppo impegnati ad azionare le loro funzioni celebrali per poter dare man forte agli eventi che si susseguono. Ma il vero abisso si tocca nel concept. Un mix di filosofia spicciola, senso della vita e Dio che rischiano davvero di far saltare i nervi al lettore.
Il disegno di Adachitoka è buono e gradevole, ma non basta per sollevare le sorti di un manga privo di capo e coda. Sfumature ben confezionate, contrasto intelligente, anche se con qualche scivolone, retinatura quasi assente, come piace a me.
L'edizione GP è buona. Brussura a filo refe, copertina in cartoncino morbido e sovraccoperta patinata, a colori. Tavole in bianco e nero. Carta con grammatura decisa, ruvida al tatto, senza trasparenza e abbastanza morbida. Inchiostro nero opaco, non grasso. Lettering e traduzione a regola d'arte. Prezzo giustificato.
Nel complesso quindi un'opera asciutta, priva di spessore e inconcludente, che rischia di farsi abbandonare (giustamente) da un lettore che apprezzi il movimento ma non l'eccesso di trama inefficace. Se proprio volete leggerla, compratevi i primi nove volumi, il resto è una mera speculazione. Alive è quindi un opera altezzosa, con grandi mire filosofiche, diretta da uno sceneggiatore incapace. Quattro.