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5.0/10
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Amo molto la Takahashi, perchè con Lamù e Maison Ikkoku - entrambi veri e propri capolavori - ha letteralmente aperto un mondo.
Con questo titolo però, probabilmente per motivi puramente (e tristemente) commerciali, la "Regina dei manga" ha subìto una vera e propria involuzione che ha trovato il suo apice in Inuyasha e il suo seguito (credo perchè ho droppato la lettura molto presto) in Rinne.
L'involuzione di cui parlo è basata (e questo lo si rileverà in modo drammatico, come dicevo, in Inuyasha) sul fatto che le storie da lei imbastite, che probabilmente avevano il loro sviluppo naturale nell'arco di una ventina di volumetti, sono state allungate fuori misura, per intenti, evidentemente, solo commerciali, ottenendo così un brodino insapore e deludente.
Le idee vincenti, infatti, non mancherebbero certo alla Takahashi, che dal punto di vista dell'originalità, non ha mai mostrato almeno fino a questo punto lacune in questo senso, quindi Ranma, come Lamù (vero manifesto takahashiano) ci presenta un'idea di fondo, davvero geniale, ovvero la storia per cui chi disgraziatamente cade in una delle mille fonti maledette in Cina, si trasforma quando si bagna con acqua fredda nella creatura che secoli prima era annegata in quella pozza.
Ecco quindi che ci troveremo di fronte a Ranma che da ragazzo si trasforma in ragazza, uomini-panda, ragazzi-maialino e chi più ne ha più ne metta.
Questo permette all'autrice di sbizzarirsi nel campo a lei più congeniale, la creazione di gags basate sugli equivoci, sui malintesi e sulle sorprese.
Ma, come detto, il gioco è bello quando dura poco, e l'entusiasmo per un'idea così' brillante finisce per scemare quando all'ennesima riproposizione del solito schema : nuovo personaggio - nuova trasformazione - rivalità/amore per uno dei protagonisti, ci fa capire che il meccanismo comincia ad incepparsi e a scricchiolare.
Non risolleva certo la situazione la scelta del finale, letteralmente desolante, che ci offre una vera e propria NON conclusione...
i cosiddetti finali aperti, possono pure star bene, in un certo contesto, ma qui, soltanto per premiare la perseveranza dei lettori che si sono sciroppati i 53 volumi dell' edione italiana, la Takahashi avrebbe dovuto proporre un finale scoppiettante e invece...
Un ulteroriore fattore che fa scivolare in basso il voto è il disegno della Takahashi, fattore non propriamente secondario in un fumetto, e che tutto sommato è il tallone d'achille di questa autrice, fin dai tempi dei suoi precedenti capolavori.
Il tratto tipico della regina dei manga, infatti, molto semplice, a volte spigoloso, e certamente non ricercato e ricco di dettagli come quello di altri colleghi, se passava in second'ordine in opere come Lamù e Maison ikkoku, penalizza ulteriormente questa serie.
In conclusione, un'opera che lascia davvero l'amaro in bocca, soprattutto a chi, come me, ama la Takahashi.
Poteva essere un'altra serie cult, ma il voler allungare la serie oltre i suoi limiti naturali e strutturali, e non averle dato un finale degno di questo nome, ha portato Ranma a rappresentare il primo passo falso di questa autrice.